domenica 28 dicembre 2008

Terremoto di Messina del 28 dicembre 1908: una tragedia che unì l'Europa

MESSINA - Cento anni fa, alle 5.25 del 28 dicembre 1908, le città di Messina e Reggio Calabria vennero distrutte dal più devastante terremoto che l'Europa ricordi, una tragedia destinata ad occupare nell'immaginario della Belle Epoque un posto pari a quello del Titanic e che trovò l'Europa unita in una corsa di solidarietà mai vista prima. Per trentasette secondi sotto Messina, la città dove Giovanni d'Austria, il vincitore dei Turchi a Lepanto, apprese "la felicità del vivere", dove Shakespeare ambientò il suo "Molto rumore per nulla" e dove solo poche ore prima si assisteva all'Aida, la terra trema con una violenza inaudita (11 gradi della scala Mercalli).Poco dopo nel silenzio spettrale si ode un rombo che viene dal profondo del mare: onde alte fino a 13 metri si scagliano sulla città e divorano gli imponenti palazzi del lungomare. Così muoiono molti dei sopravvissuti del sisma, scesi in strada e corsi verso la riva in cerca di scampo. Alla fine i morti saranno 80.000 a Messina e 15.000 a Reggio.In quei trentasette secondi di apocalisse edifici, ferrovie, strade e anche la stazione radio sono distrutte o gravemente danneggiate. Svaniscono come fantasmi gli edifici neoclassici della monumentale Palazzata del lungomare, scompaiono le chiese barocche dove Filippo Juvara aveva mostrato il suo primo talento e la strada dei Monasteri.Quando la furia si placa, Messina e Reggio si trovano in un buco nero dal quale non si può lanciare nemmeno un Sos. In questo luogo inesistente resteranno per tutta la mattina e tutto il pomeriggio del 28 dicembre fino a quando - come ricostruisce Giorgio Boatti nel suo libro "La Terra Trema" - alle 17.25 arriva sulla scrivania di Giolitti, Presidente del Consiglio e ministro dell'Interno, il telegramma che finalmente fa rompere gli indugi. Ma un'intera giornata preziosa è andata perduta.I primi aiuti arrivano dalle navi ancorate al porto di Messina. In giornata il piroscafo Usa Washington e poi la nave Montebello portano a Catania i primi feriti messinesi, mentre il mercantile inglese Afonwen fa rotta verso il porto di Siracusa. Da queste due città partono i primi aiuti e viene lanciato l' Sos che raggiungerà le squadre navali russa e inglese che si addestravano al largo delle coste siciliane.Sul finire della prima terribile notte dopo il cataclisma arrivano i primi aiuti organizzati. Nell'alba livida, sotto gli occhi spiritati dei superstiti ancora sotto shock, dalle corazzate Cesarevic e Slava e dagli incrociatori Makarov e Bogatyr scendono circa tremila marinai che salveranno migliaia di persone. Più tardi arriva l'incrociatore inglese Sutley con i suoi 170 allievi marinai, al quale seguirà il giorno dopo l' incrociatore Minerva partito da Malta, e poi alcune navi tedesche.Sempre il 29 arriveranno le corazzate italiane Regina Margherita e Regina Elena mentre la Napoli si dirige verso Reggio Calabria. Una quarta corazzata italiana, il Vittorio Emanuele, arriva il 30 dicembre con a bordo il Re e la Regina.Poi per Messina giungono giorni forse ancora più terribili: viene deciso lo stato di assedio e si arriva persino a pensare di cannoneggiare la città semidistrutta, raderla al suolo per ricostruirla altrove. Il timore di un complotto ribassista sui titoli della Banca d'Italia induce poi il generale Mazza a usare troppo zelo nella difesa di banche e caveau. In realtà il 7 gennaio 1909, alla riapertura della Borsa, le azioni della Banca d'Italia perdono solo 13 punti (e non i 100 temuti).Ma accanto a tanti errori e polemiche che investirono anche il Governo (Giolitti si recherà a Messina solo nel 1911 dove, scrive un suo biografo, "fu accolto a fischi") brilla ancora oggi il ricordo della solidarietà arrivata da tanti Paesi.Dopo le squadre navali russa e inglese da tutto il mondo arriveranno aiuto per le sfortunate Messina e Reggio: dalla Germania all' Austria-Ungheria, dalla Francia agli Stati Uniti, dalla Danimarca alla Grecia alla Spagna al Portogallo. Uomini che pochi anni dopo si sarebbero trovati su opposte trincee sui fronti della Grande Guerra, accorsero per restituire alle due città la speranza di una nuova vita.

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