di Alessandra Ziniti
Rifondarsi tornando all’antico, serrare le fila riaffidandosi ai vecchi padrini, ritornando alle vecchie regole e ai vecchi organigrammi. Ecco la strategia con la quale Cosa nostra stava provando a rimettersi in piedi dopo le centinaia di arresti di capi e gregari degli ultimi anni, dopo le pesantissime condanne, dopo la nuova raffica di pentiti, dopo la rivolta degli imprenditori vittime del racket. La nuova mafia dopo la cattura di Bernardo Provenzano e di Totuccio e Sandro Lo Piccolo ha sempre il volto di Totò Riina. Con l’autorizzazione del capo incontrastato di Cosa nostra, i vecchi capimandamento tornati in libertà avrebbero nominato i nuovi reggenti e ricostituito la vecchia commissione provinciale, sostanzialmente tramontata già prima della stagione delle stragi. Un progetto di cui ben 31 capomafia hanno messo a punto i dettagli in una riunione svoltasi il 14 novembre scorso e interrotto d’u rgenza da un grosso blitz portato a termine la notte scorsa dai carabinieri del comando provinciale di Palermo che hanno eseguito un provvedimento di fermo a carico di 94 persone firmato dai sostituti procuratori Roberta Buzzolani, Maurizio de Lucia, Francesco Del Bene e Marzia Sabella.Il progetto, messo in atto con la sovrintendenza del superlatitante Matteo Messina Denaro, boss del trapanese che mantiene comunque un rapporto di interlocuzione con i palermitani, è stato stroncato nel timore non solo di fuga dei destinatari del provvedimento ma anche di una possibile ripresa delle ostilità visto che due famiglie di Palermo città si opponevano alla nomina di quello che era stato individuato come il nuovo capo della commissione, Benedetto Capizzi, anziano boss di Villagrazia. Attorno a lui alcuni tra i nomi storici di Cosa nostra, vecchia capimafia ottantenni, da Gerlando Alberti "u paccarè" a Gregorio Agrigento di San Giuseppe Jato, da Giovanni Lipari a Gaetano Fidanzati a Salvatore Lombardo, boss di Montelepre che, con i suoi 87 anni, è il più anziano degli arrestati.
Coppola, bastone e autista, gli anziani boss, molti dei quali appena scarcerati per motivi di salute, avevano già ripreso il controllo della situazione e non esitavano ad incontrarsi anche in luoghi pubblici come l’Ospedale Civico, l’unico posto dove, essendo in regime di arresti domiciliari per motivi di salute, avevano il permesso di recarsi. In ospedale si incontravano e in ospedale, con la complicità di un infermiere del Centro Tumori, Giovanni Polizzi, precostituivano falsi referti per simulare malattie oncologiche o altre patologie che potessero fruttare loro la remissione in libertà o comunque benefici carcerari.Dalla carte dell’inchiesta viene fuori anche il nuovo corso mafioso di Corleone dove il figlio di Totò Riino, Giuseppe Salvatore, scarcerato da alcuni mesi, sarebbe stato invitato a tenersi fuori e a "non uscire da casa", evidentemente per volere del padre intenzionato a non farlo rischiare oltre visto che il primogenito ha già un ergastolo sulle spalle. Capo del mandamento di Corleone è Rosario Lo Bue: da lui il giovane Riina non si sarebbe neanche presentato al suo ritorno a Corleone dopo essere uscito dal carcere. Assume così una nuova luce la decisione del giovane di chiedere al tribunale di sorveglianza di potersi recare in Nord Italia dove avrebbe trovato lavoro.Anche negli affari, Cosa nostra avrebbe tentato un ritorno all’a ntico, affiancando al business delle estorsioni e a quello nuovo delle slot machine truccate, il traffico di stupefacenti con il Sudamerica, con l’importazione di pasta di cocaina che sarebbe stata raffinata in Sicilia per poi essere distribuita. Un carico di dieci chili di prova era già arrivato, altri cento chili avrebbero dovuto arrivare a gennaio.
(La Repubblica, 16 dicembre 2008)
martedì 16 dicembre 2008
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