martedì 9 dicembre 2008

Il giudice Roberto Scarpinato: «Certi centri commerciali lavatrici di denaro sporco»

GIORGIO PETTA
L'interesse dei boss nei confronti di distribuzione alimentare e centri commerciali perché si tratta di «straordinarie lavatrici di denaro sporco».
Palermo. È come il gioco degli specchi. L'immagine sembra vicina e invece è riprodotta e rinviata all'infinito da uno specchio all'altro. Inafferrabile anche se perfettamente rifratta e quindi riconoscibile. Cosa Nostra è così. Moderna e antica al contempo; innovatrice e tradizionale; vitale e moribonda; schematica e irrazionale; organizzata e anarchica. Un ossimoro. O forse un'Araba fenice, capace di morire e rinascere dalle proprie ceneri. Sempre in condizioni di ritessere le fila del proprio potere adeguandosi alla realtà – politica, economica, sociale – circostante in continua evoluzione, ma senza mai perdere di vista l'obiettivo primario dell'arricchimento.È questa caratteristica che rende unica Cosa Nostra nel panorama criminale mondiale. Da Palermo ad Agrigento, da Trapani a Caltanissetta, da Catania ad Enna le inchieste giudiziarie degli ultimi anni non fanno che confermare tutto ciò. È dalla metà degli anni '90 che gli inquirenti ne seguono l'evoluzione. Della Cosa Nostra di un decennio prima – dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio, gli attentati dinamitardi a Firenze, Roma e Milano della cosiddetta «sfida allo Stato», le catture dei boss latitanti più pericolosi tra cui Totò Riina – non era rimasto granché del sogno egemonico corleonese. Esclusa ormai dai grandi traffici internazionali di stupefacenti, guardata con sospetto dai «cugini» siculo-americani, continuamente sottoposta ad indagini sempre più pressanti e raffinate, risale a quel periodo la strategia di sommersione decisa da Bernardo Provenzano. Con un cambio di rotta, sul fronte dei traffici illeciti e del riciclaggio, di 180 gradi rispetto alla precedente gestione di Totò «u curtu», vittima di un delirio di onnipotenza che si aveva finito per dimostrarsi disastrosa addirittura per la sopravvivenza della stessa organizzazione criminale. Con nuove e precise direttive per quanto riguarda i nuovi «interessi», questa volta all'insegna della massima prudenza: sanità pubblica e privata, grande distribuzione organizzata, turismo, investimenti immobiliari «puliti».Il primo a parlare di questa svolta fu Giovanni Brusca e fu tra le prime cose che svelò agli inquirenti dopo che decise di collaborare con la Giustizia. Altri pentiti, come Maurizio Di Gati, avrebbero confermato successivamente le sue parole. Né più né meno di quanto si legge sui «pizzini» trovati e sequestrati nel covo di Montagna dei cavalli il giorno in cui fu catturato Bernardo Provenzano.È un agire apparentemente dietro le quinte, ma estremamente redditizia per le casse di Cosa Nostra, come dimostrano le inchieste giudiziarie «Goldimine» e «Agorà» di Palermo ed Agrigento a proposito dell'interesse dei boss nei confronti di distribuzione alimentare e centri commerciali. Un'attenzione davvero particolare perché si tratta di «una straordinaria lavatrice di denaro sporco – spiega il procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato – costituita da una complessa filiera ideale per il riciclaggio». Un riciclaggio sicuro, senza scosse né rischi – almeno fin quando non finisce nel mirino degli investigatori – da cui scaturisce un enorme flusso quotidiano di denaro contante che riesce a by-passare il sistema bancario e quindi a sfuggire ad ogni verifica. Non solo, ma il controllo di catene di supermercati e di centri commerciali fa sì che il potere mafioso sul territorio resti intatto e possa esprimersi nel modo più pervasivo. «Sia attraverso le assunzioni di personale fidato o raccomandato dagli "amici" – continua Scarpinato – sia attraverso le aziende produttrici ammesse alla rete di distribuzione soltanto se sono di proprietà di persone legate all'organizzazione e quindi escludendo tutte le altre. Si tratta di veri e propri monopoli mafiosi. Con il risultato finale di alterare e compromettere, insieme con le leggi dell'economia, la libertà e la trasparenza del mercato».Pur continuando Cosa Nostra ad occuparsi di racket del «pizzo», subappalti e tradizionali traffici illeciti, il business della grande distribuzione commerciale – gestito da prestanomi che, colpiti da «insolita fortuna», finiscono per essere comunque assorbiti dall'organizzazione mafiosa – con i suoi bilanci milionari di soldi «puliti» non a caso è appannaggio esclusivo dei vertici di Cosa Nostra. Di personaggi come Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro, Salvatore Lo Piccolo, Vito Roberto Palazzolo «l'africano» e Giuseppe Falsone, questi ultimi due ancora latitanti. Agli altri, gregari o picciotti che siano, come in ogni storia che si rispetti, non restano che le briciole.
La Sicilia, 7 dic. 2008

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