giovedì 26 giugno 2008

ECCO AL TAPPONE. Lui può

di Marco Travaglio
Si era pure messo un Panama bianco, modello Al Capone, sul capino bitumato, per impressionare il vescovo e farsi dare la comunione anche se è un massone divorziato. «Fate in fretta a cambiare queste regola», gli ha intimato, non bastandogli quelle che cambia ogni giorno lui per salvarsi dai processi. Ma il vescovo di Tempio-Ampurias, Sebastiano Sanguinetti, che in confessionale ne ha visti sfilare di peggiori, non s’è lasciato intimidire: «Per queste deroghe, lei che può, si rivolga a chi è più in alto di me». Non si sa se alludesse solo al Papa, che Al Tappone considera un suo pari grado, o direttamente al Padreterno, col quale potrebbero sorgere alcune incomprensioni. Soprattutto a proposito di certe usanze dell’illustre Padre della Chiesa di scuola arcoriana: tipo allungare mazzette per comprare politici (Craxi) o giudici (Mondadori), accumulare fondi neri in paradisi fiscali, magnificare l’evasione fiscale alle feste della Finanza, frequentare mafiosi travestiti da stallieri. Usanze non compatibili col VII comandamento, «Non rubare», che pare non sia ancora depenalizzato. Ieri, su Repubblica, Berselli suggeriva all’aspirante comunicando di chiedere, «prima della comunione, la confessione». Ma non vorremmo essere nei panni del confessore (a parte il superlavoro che gli capiterebbe tra capo e collo, nel giro di due minuti diventerebbe una «tonaca rossa», sarebbe accusato di fare un «uso politico della confessione» e poi ricusato a vantaggio di qualche collega di Brescia). Immediata- mente le tv e i giornali al seguito han cominciato a interpellare altri divorziati e peccatori famosi, ma anche qualche confessore di vip, per lanciare una gara di solidarietà in favore del Cavaliere in astinenza da ostie. Il pover’uomo soffre tanto che bisogna far qualcosa, profittando delle norme ora in discussione in Parlamento. Si potrebbe sospendere per un anno il divieto di partecipare all’eucarestia a tutti i battezzati nel 1939, sotto il metro e 60 e col cranio asfaltato, che abbiano divorziato nel 1985, risposandosi nel 1990 con donne chiamate Veronica nel corso di cerimonie civili officiate da Paolo Pillitteri, avendo come testimoni Bettino e Anna Craxi, Confalonieri e Letta. Così si darebbe il tempo al Parlamento e al Vaticano di concordare un Lodo Schifani-Bagnasco che modifichi contemporaneamente la Costituzione Italiana e il Codice di Diritto Canonico, con una deroga all’indissolubilità del matrimonio per tutte le alte cariche dello Stato e della Chiesa, divorziate e non, che consenta loro di accostarsi alla santa comunione per tutta la durata del mandato. Si badi bene, non significa una licenza di divorziare sine die: il divieto ricomparirebbe alla scadenza dell’incarico, in ossequio al principio di eguaglianza. Del resto, già nella legge sulle intercettazioni è previsto qualcosa di simile: per arrestare o indagare un sacerdote, il magistrato è tenuto ad avvertire il suo vescovo; per indagare o arrestare un vescovo, deve avvisare il Segretario di Stato vaticano. Il che lascia supporre che, per indagare eventualmente sul Segretario di Stato, si debba chiedere il permesso al Papa; e per indagare - Dio non voglia - sul Papa, rivolgersi direttamente al Padreterno. Ecco, basterebbe estendere il Lodo a preti, vescovi, segretario di Stato e Papa per risparmiare fatica. Si dirà: ma il Segretario di Stato, il Papa e la stragrande maggioranza dei preti e dei vescovi non commettono reati. Embè? Nemmeno i presidenti delle Camere, della Repubblica e della Consulta hanno processi. Ma li si immunizza lo stesso, perché non si noti troppo che l’unico autoimmune è Al Tappone. Altrimenti, come per la legge bloccaprocessi, lo si costringe al triplo salvo mortale carpiato con avvitamento: farsi le leggi per sé e poi a dichiarare che chiederà di non beneficiarne (ben sapendo, peraltro, che le leggi valgono per tutti, anche per lui). E dire che negli anni 80, liquidata la prima moglie, il Cainano aveva accarezzato una soluzione che tagliava la testa al toro: come rivela il suo confessore, don Antonio Zuliani, aveva pensato di «chiedere l’abolizione delle prime nozze alla Sacra Rota. Ma poi non ha voluto». Si sa com’è questa Sacra Rota: infestata di toghe rosse. Peccato, perché all’epoca era ancora in piena attività l’avvocato Previti, che per vincere le cause perse aveva un sistema infallibile. Senza bisogno di cambiare le leggi.
da l'Unità

SILENZIO STAMPA. Nuova intimidazione al cronista sotto scorta

di Salvo Palazzolo
Un mese fa, due giovani su uno scooter chiedevano con insistenza dove abitasse il giornalista dell´Ansa Lirio Abbate. I poliziotti che scortano il cronista sono riusciti a segnare il numero di targa, così la squadra mobile è risalita al nome di un pregiudicato. Interrogato sull´amico che l´accompagnava ha messo a verbale: «Gli avevo appena dato un passaggio, non so chi sia». Alla domanda, «Perché siete fuggiti via con tanta fretta», il pregiudicato non ha battuto ciglio: «Solo perché eravamo senza casco». È l´ultimo stranissimo episodio che si verifica attorno a Lirio Abbate, autore con Peter Gomez del libro "I complici". La settimana scorsa, il comitato provinciale per l´ordine e la sicurezza ha rinnovato il meccanismo di tutela attorno al giornalista che da circa un anno è ormai nel mirino di minacce e intimidazioni. Tutti gli episodi sono all´attenzione di un fascicolo aperto dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. A occuparsi del caso è il sostituto procuratore Roberto Buzzolani: il magistrato ha incaricato la polizia giudiziaria di approfondire anche le parole pronunciate il 4 ottobre scorso dal capomafia Leoluca Bagarella, nel corso di un´udienza pubblica. In quell´occasione, il boss smentì alcune notizie sul suo conto, citando l´Ansa. Particolare inquietante, posto che un detenuto al carcere duro non potrebbe conoscere cosa scorre sui terminali delle agenzie di stampa.
«Appare sempre più allarmante la pressione che da ambienti criminali, e per un oscuro disegno eversivo, viene esercitata sull´informazione in Sicilia», dice il presidente dell´Ordine dei giornalisti di Sicilia, Franco Nicastro: «I nuovi segnali intimidatori nei confronti di Lirio Abbate richiedono un intervento forte e deciso della magistratura e degli apparati investigativi». La segreteria provinciale dell´Assostampa ribadisce: «In un momento in cui la libertà di stampa è fortemente compromessa dalle iniziative legislative del nuovo governo la mafia torna a farsi minacciosa. Non basta la sacrosanta solidarietà al collega, per respingere il tentativo di schiacciare in tutti i modi il diritto dei cittadini a essere informati occorre una sollevazione della categoria con il sostegno della società civile».
Una dichiarazione di solidarietà ad Abbate arriva anche dal senatore di Forza Italia Carlo Vizzini: «Se qualcuno avesse avuto ancora dubbi, oggi abbiamo la certezza che la libertà di informazione è uno dei mali che i mafiosi non riescono a sopportare. Forse la mafia - aggiunge Vizzini - farebbe meglio a convincersi che accanto ai giornalisti coraggiosi c´è anche una politica che non si arrende».
Dice Lirio Abbate: «Purtroppo, oggi, le minacce alla libertà di informazione non giungono soltanto dalla mafia. Ma anche dal potere politico, che con le nuove norme in cantiere vuole mettere per sempre un bavaglio alla cronaca giudiziaria. Bisogna mobilitarsi. Palermo deve mobilitarsi, prima che cada ancora una volta nell´indifferenza».
da la Repubblica

martedì 24 giugno 2008

In alto a Sinistra

Care compagne, cari compagni,
tra due giorni ci ritroveremo a Chianciano per la nostra prima assemblea nazionale. Mi muove una certezza: non sarà una liturgia. Aver scelto di non definire “congresso” questo nostro appuntamento non è un vezzo ma una scelta di senso e di percorso politico. Chianciano sarà l’atto fondativo di un progetto che non riguarda solo noi ma ha bisogno di allargarsi, di includere, di ripensare le forme della partecipazione e della elaborazione. Sarà l’inizio di una ricerca, non la celebrazione di un’identità. E sarà un primo, concreto contributo per aprire un cantiere a sinistra. Cantiere è luogo di costruzione, è fatica e lavoro comune: che noi vogliamo condividere con altri affluenti della sinistra. Ma su un patto di reciproca verità, e dunque partendo da un’analisi onesta su ciò che è accaduto il 14 aprile e nel tempo che ha preceduto quel voto.
E’ di noi che siamo chiamati a parlare a Chianciano. Di una sinistra smarrita ma non rassegnata. Siamo chiamati a ragionare non sulle colpe altrui che hanno aggravato la disfatta elettorale ma sulle nostre colpe, sulle ragioni profonde e antiche che l’hanno resa inevitabile. Da qui dobbiamo ripartire. Capire la sconfitta, capire il mutamento profondo di società che l’ha resa inevitabile, capire la ritualità delle risposte che abbiamo offerto al paese e a noi stessi.

In questa ricerca vedo la cifra profonda di una Costituente di sinistra. Che immagino come una sinistra autonoma, forte, rigorosa, plurale. Una sinistra che non si organizzi per quote millesimali, che non sia somma delle storie di ciascuno di noi ma che sappia conservare la cifra di quelle storie per essere altro e per essere di più. Quali saranno forme e contenitori per la nostra Costituente? Lo decideremo insieme a chi condividerà l’urgenza di questa sfida. Con l’accortezza di non considerare la nostra storia il terreno su cui vogliamo che siano gli altri a venirci a trovare.
Ma Chianciano sarà anche l’occasione per tornare a costruire politica e per formulare un’agenda dell’opposizione che non sia octroyé dal governo di centrodestra. Dobbiamo rimettere in campo il nostro punto di vista, la nostra proposta sulle priorità politiche, la nostra capacità di mobilitazione. Occorre un’opposizione che contenga in sé un progetto di società, un’idea di paese, le coordinate di un tempo che va ritrovato e ricostruito in fretta. I tre workshop in cui si articolerà la discussione di sabato a Chianciano, la qualità dei contributi che riceveremo, le indicazioni che sapremo raccoglierne dovranno essere restituite al paese dal giorno successivo. Provando a costruire un primo forte appuntamento a sinistra che
non rinvii all’autunno ciò che dev’essere detto e fatto adesso.
Sinistra Democratica è qui per questo. Non per restare ma per diventare. In alto a sinistra è una premonizione, un viaggio dovuto. Perché questa è la ragione prima e profonda del nostro movimento: mettersi alla ricerca, tracciare una rotta, restituire alla politica e alla sinistra il senso della sfida. Cominceremo da Chianciano.
24.06.2008

TRA STORIA E LEGGENDA. QUANDO SANTA ROSALIA ERA SOLO UNA DONNA

Il romanzo di Roberto Tagliavia sulla storia della patrona. L´autore immagina la crisi che portò la ragazza alla scelta dell´eremitaggio: le molestie subite e la morte di un´amica dopo l´aborto.
«Quella parte della storia che i dotti non hanno scritto, ma che il popolo ha lasciato nei suoi costumi, nelle sue usanze, nelle sue credenze, nei suoi riti». Così, Giuseppe Pitré, indiscusso padre della scienza demologica in Italia, definiva quella sfera, per secoli considerata minore, eppure sempre viva e perpetrata attraverso le tradizioni. Parlare di riti e di credenze, a Palermo, significa parlare di Santa Rosalia. Sulla sua vita, sulla morte, sul ritrovamento dei suoi presunti resti, sui suoi miracoli, leggenda e realtà si rincorrono, aggiungendo al culto, ancora molto forte nei palermitani, un´aura di mistero, perfetta nella terra dove la fantasia e la cronaca hanno spesso labili confini.
Il forte bisogno di credere, allora come oggi, fu persino più tenace della realtà: la fine dell´epidemia di peste, tradizionalmente legata al culto della santa, in realtà non finì al momento del ritrovamento delle reliquie, bensì, così come testimoniato dagli archivi comunali, oltre due anni dopo. Eppure, a dispetto della realtà, la città volle dotarsi del suo miracolo, e tanto bastò allora e tanto basta oggi a quanti le si rivolgono con il cuore colmo di dolore e speranza.
Ed il culto della Santuzza, nei secoli, si è arricchito di riti, tradizioni, formule, divenuti strumenti per dominare gli eventi, sottolineando quell´intreccio di pagano e di cristiano che c´è in un ex voto, forte momento contrattuale, dove si offre un oggetto o un sacrificio per una grazia da chiedere o già ottenuta. Così come ripercorre gli antichi rituali precristiani l´odierna "acchianata", la salita al santuario di Monte Pellegrino, con tutta la simbologia che l´accompagna, dai ceri alla montagna sacra, dalla grotta al dormire all´addiaccio.
E quanto, sin da subito, questa santa sia entrata nel cuore dei palermitani, è testimoniato da come sia divenuta Patrona della città, sbaragliando in un colpo solo, le quattro sante che si dividevano il ruolo e resistendo agli attacchi di San Benedetto il Moro.
E proprio le poche ed incerte notizie biografiche sulla romita hanno contribuito alla nascita di storie, racconti o romanzi come questo di Roberto Tagliavia, recentemente pubblicato. "Rosalia da Palermo" (Ispe Editrice, pagine 365, 15 euro), caratterizzato da una scrittura elegante anche se, a tratti, turbata da un ritmo eccessivamente lento soprattutto nelle descrizioni, è un libro che si muove su due piani. Quello seicentesco, che vede una Palermo messa in ginocchio da un´epidemia di peste particolarmente virulenta, che vide cadere vittima del contagio, nel 1624, anche lo stesso vicerè Emanuele Filiberto, e quello del Millecento, epoca di splendore economico e culturale per il Regno di Sicilia, ma anche segnata da rivolte come quelle dei baroni in aperto contrasto con il potere centrale.
Tagliavia, appartenente ad una famiglia le cui attività marittime sono una tradizione cittadina, ha legato il suo nome ad una militanza politica che l´ha visto per anni impegnato nell´allora partito comunista, militanza che non gli ha impedito di avere una posizione di credente "laico". Una profonda crisi personale, che lui stesso racconta con coraggio e commozione, l´ha portato alle soglie di una decisione estrema e definitiva, dalla quale, l´incontro con una strana e misteriosa donna, l´ha fatto desistere. Un miracolo della santa? La risposta di Tagliavia è questo libro, come lui stesso spiega. «Pensai che potesse essere una vicenda da raccontare in modo nuovo, anche se, non essendo uno scrittore e sapendone poco, mi stupivo che una tale urgenza potesse incalzarmi dentro in modo tanto esigente. Scoprii così che la leggenda della Santa era cominciata da un cacciatore sull´orlo del suicidio, fermato da una fanciulla. Rimasi di stucco. Un filo svolazzante, quasi un ricciolo barocco, aveva liberamente percorso i secoli, i quartieri della città, storie e vite differenti, legando tra loro cose inaccostabili ed arrivando fino a me».
La ricerca di Tagliavia prende le mosse da una sorta di fastidio provocato in lui dal Festino, definito «la barbarie pagana» e da quei fenomeni di passione collettiva generati da una «santa inesistente». Cerca, soprattutto, una spiegazione sul perché una ragazzina di nobile stirpe normanna, ospitata alla corte del re, se ne allontani per una scelta così assoluta e insostenibile come quella dell´eremitaggio. E la risposta che Tagliavia si immagina, è legata ad una storia che vede la madre di Rosalia coinvolta in una relazione con il capo di una rivolta contro il re Guglielmo il Malo con la conseguente reazione paterna e la sua scia di sangue. Ma è determinata anche dal vedere la sua migliore amica morire dissanguata per un aborto al quale viene costretta dalla madre; dalle molestie subite dalla stessa Rosalia da parte del Siniscalco al quale era stata affidata dalla famiglia e dal vedere lo zio vescovo impugnare la spada e uccidere come un qualsiasi soldato senza Dio. E l´amarezza per un mondo pervaso di violenza ed ipocrisia portano la giovane figlia di Sinibaldi a rifiutare anche l´ipotesi di chiudersi in convento: «Dio l´ho incontrato nella vita; nei conventi non ho incontrato nulla di diverso o particolare, ma la stessa fatica a capire Dio, a trovare il filo del suo messaggio, ed anche tante brutture come nella vita di tutti».
Elementi molto forti, dunque, alla base di una scelta così radicale, che, tuttavia, nella revisione storica, già nel 1625 per volontà del cardinale Giannettino Doria, furono depurati da qualsiasi possibile riferimento a vicende di contrasti familiari o prese di distanza dalle autorità religiose dell´epoca.
ANTONELLA SCANDONE
La Repubblica Palermo, giovedì 19 giugno 2008

venerdì 20 giugno 2008

PD, ESPUGNARE IL QUARTIER GENERALE

di Agostino Spataro
Dalla Sicilia è venuto un nuovo, allarmante segnale per il Pd e per quanto ancora resta della sinistra complessivamente intesa e in generale per la tenuta democratica del Paese. Certo, questo nuovo disastro elettorale riguarda, e richiama, in primo luogo, le responsabilità dei circoli dirigenti siciliani,
ma non esime gli stati maggiori nazionali a guardare in faccia la realtà e a provvedere. Sarebbe, infatti, una magra consolazione pensare che sia una faccenda solo siciliana, una delle tante, giacché così non è. Senza dimenticare che - come spesso è accaduto- quel che succede nell’Isola prima o poi andrà a verificarsi nel resto dell’Italia. La situazione è dunque molto grave e i tempi molto stretti per correre ai ripari. Eppure, non pare che il segnale sia stato colto da chi di dovere e abbia innescato una reazione politica corrispondente alla drammaticità della situazione. Della sinistra non si hanno notizie, mentre nel Pd alcuni cominciano a parlare, non per svolgere un’analisi seria, impietosa dei risultati e dello stato del partito, quanto per allontanare da loro ogni responsabilità e scaricarla su qualcun altro che trama nell’ombra o comunque lontano dall’Isola. La gran parte degli esponenti, anche di primissimo piano, tacciono. Muti e sbadati, guardano altrove. Com’ è costume di chi sembra aver scelto il silenzio come arma più efficace per continuare a galleggiare sopra un mare di relitti che fluttuano alla deriva. A nessuno di questi dirigenti e deputati viene in mente che, innanzitutto, il problema sono loro medesimi in quanto responsabili di scelte spartitorie ed auto-referenziali, di strategie e comportamenti politici incomprensibili, contraddittori che hanno incrinato il rapporto di fiducia con iscritti ed elettori e portato al disastro il Pd siciliano.
Oggi si pagano le conseguenze di una concezione retrodatata della politica- affermatasi negli ultimi lustri soprattutto all’Ars e in tanti enti locali- scaduta in una sequela di comportamenti rinunciatari, pavidi, accomodanti quando non apertamente in combutta col potente avversario che s’avrebbe il dovere di combattere. Un tempo lungo, opaco nel quale gli esponenti delle diverse sigle post-comuniste hanno vissuto alla giornata, dilapidando la rendita residua ereditata da un passato certo glorioso ma forse irripetibile. L’entità dello scacco subito è tale da richiamare un vasto arco di responsabilità avvicendatesi lungo un percorso temporale che va ben oltre il tortuoso (e incompleto) processo di costituzione del Pd. Perciò, non basta la richiesta di dimissioni del segretario e del vicesegretario regionali. Sarebbe la solita operazione illusionistica, trasformistica che si limiterebbe a tagliare le cime appassite di un albero ormai infiacchito il cui male s’annida alle radici.
on tutto il rispetto per i due titolati esponenti non credo che, da soli e in così poco tempo,
abbiano potuto determinare un danno così grande. Il risultato siciliano, deludente quanto uniforme, è davvero allarmante, inquietante direi, per il ruolo attuale e per le sorti future delle forze progressiste isolane e non solo. Spero di sbagliarmi, ma ho l’impressione che tutto un patrimonio d’idee e di forze, anche nuove, stia rotolando verso l’abisso della dissoluzione. Il problema, dunque, non è l’ambizione frustrata di questo o di quello, ma la sopravvivenza e il rilancio di una prospettiva politica ispirata al progressismo democratico, solidaristico e pacifista. Insomma, qui sono in ballo valori e questioni portanti: il futuro della Sicilia e dell’Italia nei loro rapporti con l’Europa e il Mediterraneo. Perciò non si può pensare di affrontare una sfida così ardua con qualche manovra diversiva, furbesca e nemmeno invocare la rifondazione di un partito che è stato appena fondato, anche se malamente. D’altra parte, questa sconfitta è l’ultima di una lunga successione che conferma una pericolosa tendenza al declino elettorale e politico. Perciò, ritengo che in Sicilia il Pd e quanto resta della sinistra siano andati oltre la sconfitta, verso la disfatta, precipitando in un vuoto tenebroso che prelude alla fine. Una sconfitta può capitare a tutti, in politica come nell’arte militare. Purché non segua la rotta delle schiere vinte, per poterle riannodare e preparare la rivincita. Insomma, dopo una sconfitta si può sempre sperare in una reazione, in uno scatto d’orgoglio che riaprano i giochi e quindi l’esito finale dello scontro.
Nel nostro caso la sensazione è quella dello scoramento, dello sbandamento, della disillusione confermata dall’alto indice di astensioni attribuite agli elettori del centro-sinistra.
Che fare? A fronte di un interrogativo così altamente drammatico non è facile, per nessuno, offrire risposte rassicuranti. Tuttavia, qualcosa bisognerà pur fare per bloccare la tendenza in atto. In primo luogo, occorrerà obbligare un po’ tutti a pensare, a reinventare la democrazia e le forme della partecipazione popolare, a progettare il futuro guardando in avanti, oltre l’inizio cupo di questo XXI secolo. A tale sforzo colossale, innovativo, propositivo si dovrà rapportare la capacità dei nuovi gruppi dirigenti che non dovranno più essere cooptati e/o lottizzati, ma eletti democraticamente come migliore espressione, culturale e politica, di un processo reale. I risultati ci dicono che, complessivamente, gli attuali gruppi dirigenti dei partiti del centro-sinistra non sono all’altezza di tali compiti e sfide. Alcuni vi hanno deliberatamente rinunciato. Perciò, persistendo nella metafora militaresca, forse è il caso d’andare a vedere cosa, e chi, non sta funzionando all’interno della catena di comando. Senza girarci intorno, per favore, con girotondi e cose del genere o illudendosi che qualcuno lasci spontaneamente la postazione. Anche in politica vi possono essere passaggi difficili, cruciali nei quali si rende necessario espugnare il fortino dello stato maggiore per mettere fino allo sbandamento. Oggi più che mai, appare necessario ed urgente costruire, in Sicilia e altrove, una linea di resistenza estrema che raccolga gli sbandati, i delusi, i volenterosi in buona fede, ecc. E da qui ripartire.
Agostino Spataro

I siciliani rivogliono le case chiuse

Sondaggio Demopolis: alla faccia degli stereotipi, oltre la metà degli intervistati rivela grande apertura e si dichiara favorevole alla prostituzione legalizzata.
Siciliani favorevoli alla riapertura delle "case chiuse": oltre la metà degli intervistati si dichiara d'accordo alla riapertura delle cosiddette case di tolleranza, mandando in soffitta la Legge Merlin e un antico tabù. Sono questi i risultati di un sondaggio sondaggio online, riservato agli utenti del nostro sito, realizzato dall'Istituto di ricerche Demopolis su un campione di 506 intervistati.Il sondaggio rivela molta apertura, da parte dei siciliani, e maggiore consapevolezza rispetto al tema della prostituzione. Per il 71% degli internauti siciliani, la legge Merlin, che ha sigillato le case chiuse e negato una regolamentazione del fenomeno, viene considerata anacronistica e produttrice di molti effetti negativi.Le conseguenze sfavorevoli prodotte nel tempo, secondo il campione che ha partecipato al sondaggio, sono per lo più riconducibili al fatto che la prostituzione è diventata un business illegale e ha arricchito la malavita (lo sostiene il 75%) e che la presenza di lucciole in strada ha acuito i problemi di ordine pubblico nelle maggiori città italiane (26%).Negli ultimi mesi, fra l'altro, è stata discussa la revisione della Legge Merlin, e talune forze politiche hanno sostenuto l'opportunità di sottoporre la prostituzione a qualche forma di regolamentazione da parte dello Stato che potrebbe tassarla come qualsiasi altra attività legale. Su questo argomento, gli intervistati, senza distinzione di genere o di età, si sono mostrati molto favorevoli (78%).Tra le misure prese in considerazione per contrastare il fenomeno ed eliminare la presenza di prostitute e clienti nelle strade cittadine, l'apertura delle case di tolleranza trova d'accordo il 52% degli intervistati. Meno successo, invece, riscuotono le altre proposte, come utilizzare locali specifici e night club (21%) o allestire appositi quartieri a luci rosse (18%). Pochi gli intervistati che ritengono giusto lasciare la situazione immutata mantenendo la prostituzione un reato (9%).
20/06/2008

giovedì 19 giugno 2008

CGIL-CISL-UIL: "Basta morti bianche!"

Cgil, Cisl e Uil si mobilitano contro gli incidenti sul lavoro: il 26 sciopero-assemblea di un'ora nelle fabbriche e negli uffici regionali, il 27 la manifestazione regionale a Catania. "L'obiettivo prioritario - spiegano - è il potenziamento della rete di vigilanza e controllo: dagli ispettorati del lavoro alle Asl"

PALERMO - Le segreterie siciliane di Cgil, Cisl e Uil hanno definito le modalità della "mobilitazione no stop contro le morti bianche", che culminerà il 27 giugno, a Catania, con una manifestazione regionale, la prima a essere celebrata nell'isola "sull'unico tema della sicurezza e della legalità nei luoghi di lavoro".Il 27 giugno a tirare le fila delle iniziative e a dare forza alle proposte che saranno lanciate, arriveranno nella città etnea, il leader della Cgil Guglielmo Epifani, che tirerà le conclusioni, e i vertici confederali nazionali di Cisl e Uil. Fino a venerdì prossimo il pacchetto con al centro il "piano straordinario per la sicurezza" chiesto dai sindacati al governatore Raffaele Lombardo "sarà sotto i riflettori in ogni luogo di lavoro".Cgil Cisl e Uil hanno stabilito che il 26 giugno si terrà, in fabbriche e uffici della regione, un'ora di "sciopero-assemblea" da centrare proprio sui nodi della sicurezza. Nel corso della settimana saranno organizzati pure presidi e sit-in davanti alle nove prefetture affinchè, scrivono i confederali, emergano dal territorio le "sollecitazioni ai governi regionale e nazionale per l'applicazione del testo unico" recentemente varato dalle Camere.Le segreterie siciliane hanno deciso inoltre di aprire il confronto sulla questione della sicurezza e della legalità, con le associazioni imprenditoriali, sia nella province che al livello regionale. "E di marcare stretto - si legge in una nota sindacale - il presidente della Regione perchè tenga fede agli impegni assunti con le organizzazioni del lavoro nel primo faccia a faccia dopo i fatti di Mineo, a Catania"."Obiettivo prioritario - conclude la nota - dovrà essere il potenziamento della rete regionale della vigilanza e del controllo: dagli ispettorati del lavoro alle Asl all'Inail al comitato per il coordinamento degli enti interessati".

La Sicilia, 19/06/2008


_______________________________________________
Regione, impegno su prevenzione e informazione

PALERMO - Il coordinamento unico per le attività di prevenzione e informazione sui temi della sicurezza nei luoghi di lavoro; il potenziamento del numero di ispettori del lavoro, con 200 nuove unità, e l'attuazione dei profili professionali per individuare le figure di ispettore del lavoro e di ispettore sanitario. Sono alcune delle decisioni adottate stamattina dagli assessori regionali al Lavoro Carmelo Incardona, alla Sanità Massimo Russo e ai Lavori pubblici Luigi Gentile.È previsto inoltre il rafforzamento delle attività di informazione e formazione, anche nei cantieri, sui temi della sicurezza, destinate agli imprenditori e ai lavoratori, utilizzando i fondi del programma operativo per il Fondo sociale europeo. All'incontro, nella sede dell'assessorato al Lavoro, erano presenti anche i dirigenti generali dei dipartimenti dei tre assessorati."La prima necessità - dice l'assessore al Lavoro, Carmelo Incardona - è quella di coordinare tutti gli interventi per renderli più capillari e efficaci e dare risposte concrete alle richieste di sicurezza dei lavoratori. Da parte nostra, rafforzeremo gli organici degli ispettorati con le 200 unità che stanno concludendo la fase di formazione e aggiornamento".Per l'assessore Russo "nella riunione sono emerse molteplici competenze in materia di prevenzione degli incidenti nei luoghi di lavoro, c'è l'esigenza di razionalizzare tutta l'attività per ricondurla ad un unico soggetto, peraltro individuato nel Comitato regionale di coordinamento. Uno strumento che necessita di qualche aggiustamento per rendere efficaci formazione, prevenzione e repressione". Da qui, la necessità, condivisa dagli assessori, di una rivisitazione del decreto del presidente della Regione n. 151/2007.Secondo l'assessore Gentile, "è più che mai necessario accrescere la cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro, un obiettivo da raggiungere operando in sinergia con tutti i soggetti che si occupano e si preoccupano di prevenzione nei luoghi di lavoro"."Ognuno di noi - dice Gentile - dovrà fare la propria parte. I miei uffici stanno predisponendo degli sportelli presso il Genio civile di ogni provincia. Ma, come è stato sottolineato nel corso dell'incontro, è necessario che tutti gli sportelli informativi trovino un momento di raccordo per essere tempestivi e esaustivi con i lavoratori e gli imprenditori che chiedono informazione e formazione".


19/06/2008

Sicilia. Dopo-voto, processo al Pd

di ANTONELLA ROMANO

PER spiegare il definitivo tracollo del Pd, confermato con il voto di domenica, Franco Piro, il candidato alla Provincia del centrosinistra sonoramente sconfitto da Giovanni Avanti, se la prende ancora con le scelte «calate dall´alto». «C´è chi è stato paracadutato in Sicilia per essere eletto e ha promesso che avrebbe portato la voce dei siciliani in Parlamento. Ma sarà ancora in viaggio, perché nessuno lo ha più visto». A Piro, che ha accettato di fare il candidato di tutta la coalizione, ottenendo anche un punto e mezzo in più rispetto ai voti di lista, brucia ancora l´esclusione dalla lista alla Camera (per fare posto a Piero Martino, portavoce di Enrico Franceschini, ndr) e il dirottamento in un posto non utile per il seggio al Senato. Tutti sintomi di un malessere che dal 14 aprile, per le nazionali e le regionali, a oggi, terza replica della sconfitta, rimbomba ormai come un de profundis. Piro, il primo che nel dopo voto ha sollecitato il ricambio dei vertici del partito siciliano, individua alcuni motivi del declino del Pd: la più bassa affluenza alle urne mai registrata, una coalizione nazionale «fantasma» e un totale disimpegno del centrosinistra a livello regionale. «Siamo stati mandati a mani nude contro i carri armati - dice Piro - Non ci hanno dato neanche un fucile ad acqua per difenderci. E così siamo stati travolti: anzi abbiamo fatto il meglio che si poteva. È innegabile che ci sia stato un collasso del Pd non solo a Palermo ma in tutta la Sicilia». Oggi più che mai Piro, «senza voler colpevolizzare gli unici due dirigenti regionali del Pd», chiede la realizzazione di un congresso regionale straordinario della coalizione. «Dobbiamo arrivarci con una dirigenza dimissionaria, per capire gli errori e riconquistare la fiducia degli elettori. Il 29 per cento dei votanti è la percentuale più bassa mai registrata a Palermo e in questo ci vedo un chiaro segnale di protesta e di sfiducia».
Quella del Pd in Sicilia è stata una débâcle. Questo per tutti è il dato di fatto. «Abbiamo perso migliaia, migliaia e migliaia di elettori. Alle nazionali il Pd ha prosciugato l´area del cetrosinistra, prima occupata dall´Ulivo - dichiara il capogruppo del Pd all´Ars Antonello Cracolici - Di fronte a una situazione straordinaria non si può mettere la testa sotto la sabbia o rinviare in autunno». Operazione, quella varata con la nascita del Pd, che dà già troppi segni di crisi. «La spinta e l´innovazione introdotte con le primarie nella pratica si sono già perse. Il Pd oggi non parla all´anima delle persone, la gente lo avverte come il partito di un ceto politico - aggiunge Cracolici - E se perdiamo di vista l´anima del partito, che è il popolo, rischiamo di avere un partito liquido, anzi aeriforme, che non funziona». Per Cracolici quando si perde così, non è detto che basti cambiare l´allenatore per rivitalizzare la squadra: «Sicuramente dobbiamo evitare la ridda di tutti contro tutti. Abbiamo problemi politici di fondo su cui ragionare». Chiede senza mezzi termini il ricambio della classe dirigente, a partire dalle risorse dell´isola più radicate, il deputato del Pd Davide Faraone. «Nessun bagno di sangue ma per avere un profondo cambiamento è necessario che i vertici del partito facciano un passo indietro e favoriscano la creazione di una nuova proposta politica che sia figlia di nuovi interpreti - dice Faraone - Il nuovo Pd siciliano deve avere una forte componente autonomista e le scelte devono essere affrontate con il nazionale nell´ambito del dialogo e non subite supinamente». Pronto a rimettere in moto i circoli cittadini del Pd, mai attivati del tutto, è il segretario provinciale Ninni Terminelli: «Basta con le sfide intestine tra ex Ds e ex Margherita. Il Pd non è una spa e per costruirlo dalla base occorre che i circoli vengano tenuti in considerazione. Per questo li ho convocati. A ciascuno affiderò un tempo preciso per eleggere i loro coordinatori e presentare le prime proposte».
La Repubblica, 19 giugno 2008

mercoledì 18 giugno 2008

Boss e massoneria, 8 arresti

Da un'indagine avviata nel 2006 in tutta la Sicilia, sarebbero stati accertati strani movimenti per ritardare i processi e agevolare le cosche di Trapani e Agrigento. In manette anche una poliziotta, un ginecologo e un impiegato del ministero della Giustizia. Avviso di garanzia a un sacerdote gesuita

PALERMO - I carabinieri hanno arrestato otto persone, in diverse città, accusate di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d'ufficio. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo, Roberto Conti, su richiesta del procuratore Francesco Messineo, dell'aggiunto Roberto Scarpinato e del sostituto della Dda, Paolo Guido.

L'inchiesta, che vede coinvolti professionisti, medici, imprenditori, boss e alcuni iscritti a logge massoniche, è stata condotta dai carabinieri dei comandi provinciali di Trapani e Agrigento. L'operazione, per la quale sono in corso decine di perquisizioni, è stata denominata "Hiram" e vede impegnati anche i carabinieri, non solo di Agrigento e Trapani, ma anche quelli di Palermo, Roma e Terni.

Dall'inchiesta emerge che boss mafiosi, grazie all'aiuto di persone appartenenti a logge massoniche, avrebbero ottenuto di ritardare l'iter giudiziario di alcuni processi in cui erano imputati affiliati a cosche di Trapani e Agrigento.

Le indagini che hanno portato alla scoperta dei presunti intrecci fra boss e massoni diretti a ritardare i processi di alcuni affiliati alle cosche mafiose, sono state avviate dai carabinieri nel 2006. 'Hiram', coordinata dalla procura di Palermo, è stata coperta dal massimo riserbo, e ha preso il via da accertamenti svolti sulle famiglie mafiose di Mazara del Vallo e Castelvetrano, in provincia di Trapani.

L'inchiesta ha messo in luce un gruppo di persone, alcune legate dall'appartenenza a logge massoniche, che per l'accusa avrebbero dunque ritardato, dietro pagamento di tangenti, l'iter processuale di alcuni affiliati a Cosa nostra. Oltre alle perquisizioni, che sono ancora in corso, controlli vengono svolti anche su conti correnti bancari intestati agli indagati.

Fra le persone arrestate stamani dai carabinieri, su ordine del gip, vi sono un'agente della polizia, un ginecologo di Palermo, imprenditori di Agrigento e Trapani, un impiegato del ministero della Giustizia in servizio ad una cancelleria della Cassazione e un faccendiere originario di Orvieto. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d'ufficio.

I pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo hanno inviato un avviso di garanzia anche a un sacerdote, gesuita, con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L'avviso è stato notificato stamani dai carabinieri al religioso che vive a Roma. La sua abitazione, e gli uffici che si trovano nel centro della Capitale, sono stati perquisiti.

Il sacerdote è padre Ferruccio Romanin. Al gesuita, al quale è stato notificato un avviso di garanzia, secondo l'accusa sarebbero state fatte scrivere lettere dal faccendiere, Rodolfo Grancini, "previo agamento da parte di Michele Accomando", per "raccomandare alcuni imputati di mafia". Il peso e l'autorevolezza del sacerdote che apponeva la sua firma alle lettere inviate ai magistrati, per l'accusa avrebbero influito sull'esito dei ricorsi giurisdizionali proposti a diverse autorità giudiziarie. Padre Romanin avrebbe anche scritto una lettera a un giudice che doveva decidere sugli arresti domiciliari chiesti da Epifanio Agate, figlio del capomafia di Trapani, Mariano e per Dario Gancitano, genero di Accomando, imputati entrambi davanti ai giudici del tribunale di Reggio Calabria.
17/06/2008

Chi sono i fermati

PALERMO - Questo l'elenco delle persone arrestate dai carabinieri del comando provinciale di Trapani e Agrigento, nell'ambito dell'operazione Hiram, su provvedimento del gip di Palermo Roberto Conti.

Michele Accomando, 60 anni, di Mazara del Vallo, imprenditore, finito in carcere nel 2007 per un'inchiesta su appalti pubblici pilotati, è stato in seguito condannato per mafia a nove anni e quattro mesi; Renato Gioacchino Giovanni De Gregorio, 59 anni, ginecologo a Palermo, condannato anche in appello per violenza sessuale su una minorenne, dal 2005 pende in Cassazione il suo ricorso; Rodolfo Grancini, 68 anni, originario di Orvieto, è indicato dagli investigatori come un faccendiere, in contatto con diversi senatori e deputati, considerato dagli inquirenti "una personalità poliedrica inserita in un giro di amicizie altolocate", attorno alla quale ruota l'intera indagine.

Grancini, avvalendosi di persone "prezzolate", alcune già note agli investigatori, altre ancora ignote, all'interno della Cassazione, secondo l'accusa era riuscito a congegnare un "sistema" che gli consentiva di acquisire notizie riservate sullo stato dei procedimenti e di pilotare la trattazione dei ricorsi proposti alla suprema Corte dai suoi "clienti".

Calogero Licata, 57 anni, imprenditore agrigentino, accusato di aver tentato di insabbiare in Cassazione alcuni procedimenti penali che riguardavano boss mafiosi di Agrigento e Trapani. Guido Peparaio, 55 anni, impiegato del ministero della Giustizia, addetto alla cancelleria della seconda sezione della Corte di Cassazione con la qualifica di ausiliario.

Calogero Russello, 68 anni, imprenditore agrigentino che era già stato imputato di mafia. Nicolò Sorrentino, 64 anni, originario di Marsala. Francesca Surdo, 35 anni, originaria di Palermo, agente della polizia di Stato in servizio alla Direzione anticrimine di Roma.


17/06/2008

martedì 17 giugno 2008

Altro crollo del Centrosinistra. Provinciali: 8-0 per il Pdl

Il centrodestra (Pdl-Mpa-Udc) è in testa nelle elezioni provinciali siciliane: stando ai primi dati, il centrodestra conquisterebbe tutte le 8 province dove si votava: Catania, Siracusa, Palermo, Enna, Trapani, Caltanissetta, Messina, Agrigento. Il centrodestra espugnerebbe anche le ultime roccaforti del centrosinistra a Enna, Siracusa e Caltanissetta.

ROMA - In Sicilia perde seccamente la politica che registra un'ulteriore fuga dalle urne con un'affluenza intorno al 50 per cento, quasi il dieci per cento in meno rispetto a due mesi fa. E perde nettamente il centrosinistra che molto probabilmente consegnerà al Pdl anche Enna e Caltanisetta, le uniche due province presidio del Pd. Non che il partito di Veltroni e quelli dell'area radicale nutrissero qualche speranza su questa tornata elettorale - rinnovo di otto province e 147 comuni siciliani - ad appena due mesi dal voto politico. Anzi, tutti gli analisti avevano immaginato che ieri e oggi i quattro milioni di siciliani chiamati alle urne avrebbero completato l'opera iniziata il 14 aprile. E così in effetti è stato. Leggendo i dati di una ancora limitata percentuale di sezioni scrutinate la vittoria del Pdl è schiacciante.

Enna e Caltanissetta al Pdl. Significative sono soprattutto le due provincie finora in mano al centrosinistra. A Caltanissetta (65 sezioni scrutinate su 290) il candidato del centrodestra Giuseppe Federico (Pdl-Udc-Mpa-La Destra-Dc-Pli-Sicilia forte e libera) è al 64,47% dei voti mentre Salvatore Messana (Pd-Idv-Insieme per la Provincia) è al 29,20%. Va benino il candidato del partito socialista Piero Lo Nigro (3,680%) mentre supera il 4 per cento Rifondazione comunista (Angelo Marotta). Una forbice che supera il 40 per cento, ben più ampia di quella registrata alle politiche di due mesi fa quando il distacco finale tra Pdl e Pd è stato di circa il 22 per cento e che sembra quasi impossibile restringere.

La valanga azzurra avvolge anche Enna, la seconda provincia siciliana che era in mano al centrosinistra. Il candidato del Pd Antonio Muratore (con Idv e Ps) sembra fermo al 36.85%, distaccato di oltre venti lunghezze da Giuseppe Monaco (Pdl/Udc/Mpa/ La Destra) che viaggia al 57.49%. Giuseppe Giunta (Pci/Prc/Verdi) al 4.88% mentre sono sotto lo 0,50 Giuseppe Camerino (Partito comunista dei lavoratori) e Gaetano Valle (Rifondazione cristiana). Sono ancora dati molto parziali (Enna solo 17 sezioni su 226).

Percentuali bulgare in tutte le altre province. Una volta il termine "percentuali bulgare" era riservato al Pci nelle regioni in cui la sinistra lasciava solo poveri resti alle altre forze politiche. In Sicilia - del resto non da oggi - le percentuali bulgare sono appannaggio del centrodestra. Nelle otto province chiamate al voto i dati finora disponibili - tra il 5 e il 10 per cento - bloccano il Pd a percentuali che quasi superano il venti per cento. A Palermo, ad esempio, Francesco Piro (Pd-Idv-Rc-Uniti per la sicilia) è fermo al 21,73 per cento e Giovanni Avanti (Pdl più una sfilza di sigle locali) è al 78,27 per cento.

(La Repubblica, 16 giugno 2008)

domenica 15 giugno 2008

LA PARRUCCA DEL RE SOLE CHE GOVERNA IL BEL PAESE

EUGENIO SCALFARI

«Berlusconi vuole dimostrare che per governare la crisi italiana è costretto per necessità a separare lo Stato dal diritto. Come se il Paese attraversasse una terra di nessuno. Il soldato come questurino, il giudice come chierico, il giornalista come laudatore: sono le tre figure di una scena politica che minaccia di trasformare il senso della nostra forma costituzionale. Sono i fantasmi di un tempo sospeso dove il governo avrà più potere e il cittadino meno diritti, meno sicurezza, meno garanzie». Così ha scritto ieri Giuseppe D´Avanzo su questo giornale.
Purtroppo questo suo giudizio fotografa esattamente la realtà. Non sarà fascismo, ma certamente è un allarmante "incipit" verso una dittatura che si fa strada in tutti i settori sensibili della vita democratica, complici la debolezza dei contropoteri, la passività dell´opinione pubblica e la sonnolenta fragilità delle opposizioni.
Questa sempre più evidente deriva democratica, che si è profilata fin dai primi giorni della nuova legislatura ed è ormai completamente dispiegata davanti ai nostri occhi, ha trovato finora il solo argine del capo dello Stato. Giorgio Napolitano sta impersonando al meglio il suo ruolo di custode della Costituzione. L´ha fatto con saggezza e fermezza, dando il suo consenso alle iniziative del governo quando sono state dettate da necessità reali come nella crisi dei rifiuti a Napoli, ma lo ha negato nei casi in cui le emergenze erano fittizie e potevano insidiare la correttezza dei meccanismi costituzionali. Sarebbe tuttavia sbagliato addossare al presidente della Repubblica il peso esclusivo di arginare quella deriva: se la dialettica si riducesse soltanto al rapporto tra il Quirinale e Palazzo Chigi la partita non avrebbe più storia e si chiuderebbe in brevissimo tempo. Bisognerà dunque che altre forze e altri poteri entrino in campo.


Bisogna denunciare e fermare la militarizzazione della vita pubblica italiana della quale l´esempio più clamoroso si è avuto con i provvedimenti decisi dal Consiglio dei ministri di venerdì sulla sicurezza e sulle intercettazioni: due supposte emergenze gonfiate artificiosamente per distrarre l´attenzione dalle urgenze vere che angustiano gran parte delle famiglie italiane.
E´ la prima volta che l´Esercito viene impegnato con funzioni di pubblica sicurezza. Quando fu assassinato Falcone e poi, a breve distanza di tempo, Borsellino, contingenti militari furono inviati in Sicilia per presidiare edifici pubblici alleviando da quelle mansioni la Polizia e i Carabinieri affinché potessero dedicarsi interamente alla lotta contro una mafia scatenata.
Ma ora il ruolo che si vuole attribuire alle Forze Armate è del tutto diverso: pattugliamento delle città con compiti di pubblica sicurezza e quindi con poteri di repressione, arresto, contrasti a fuoco con la delinquenza.
Che senso ha un provvedimento di questo genere? Quale utilità ne può derivare alle azioni di contrasto contro la malavita? La Polizia conta ben oltre centomila effettivi, altrettanti ne conta l´Arma dei carabinieri e altrettanti ancora la Guardia di finanza. Affiancare a queste forze imponenti un contingente di 2.500 soldati è privo di qualunque utilità.
Se il governo si è indotto ad una mossa tanto inutile quanto clamorosa ciò è avvenuto appunto per il clamore che avrebbe suscitato. Tanto grave è l´insicurezza delle nostre città da render necessario il coinvolgimento dell´Esercito: questo è il messaggio lanciato dal governo. E insieme ad esso l´eccezionalità fatta regola: si adotta con una legge ordinaria una misura che presupporrebbe la dichiarazione di una sorta di stato d´assedio, di pericolo nazionale.
Un provvedimento analogo fu preso dal governo Badoglio nei tre giorni successivi al 25 luglio del ´43 e un´altra volta nel ´47 subito dopo l´attentato a Togliatti. Da allora non era più avvenuto nulla di simile: la Pubblica sicurezza nelle strade, le Forze Armate nelle caserme, questa è la normalità democratica che si vuole modificare con intenti assai più vasti d´un semplice quanto inutile supporto alla Pubblica sicurezza.
* * *
Il disegno di legge sulle intercettazioni parte dalla ragionevole intenzione di tutelare con maggiore efficacia la privatezza delle persone senza però diminuire la capacità investigativa della magistratura inquirente.
Analoghe intenzioni avevano ispirato il ministro della Giustizia Flick e dopo di lui il ministro Clemente Mastella, senza però che quei provvedimenti riuscissero a diventare leggi per la fine anticipata delle rispettive legislature.
Adesso presumibilmente ci si riuscirà ma anche in questo caso, come per la sicurezza, il senso politico è un altro rispetto alla «ragionevole intenzione» cui abbiamo prima accennato. Il senso politico, anche qui, è un´altra militarizzazione, delle Procure e dei giornalisti.
Le Procure. Anzitutto un elenco dei reati perseguibili con intercettazioni. Solo quelli, non altri. E´ già stato scritto che lo scandalo di Calciopoli non sarebbe mai venuto a galla senza le intercettazioni. Così pure le scalate bancarie dei "furbetti". Ma moltissimi altri. Per chiudere sul peggiore di tutti: la clinica milanese di Santa Rita, giustamente ribattezzata la clinica degli orrori.
Le intercettazioni poi non possono durare più di tre mesi. Non c´è scritto se rinnovabili e dunque se ne deduce che rinnovabili non saranno. Cosa Nostra, tanto per fare un esempio, è stata intercettata per anni e forse lo è ancora. Tre mesi passano in un "fiat", lo sappiamo tutti.
I giornalisti e i giornali. C´è divieto assoluto alla pubblicazione di notizie fin all´inizio del dibattimento. Il deposito degli atti in cancelleria non attenua il divieto. Perché? Se le parti in causa o alcune di esse vogliono pubblicizzare gli atti in loro possesso ne sono impedite. Perché? Non si invochi la presunzione di innocenza poiché se questa fosse la motivazione del divieto bisognerebbe aspettare la sentenza definitiva della Cassazione. Dunque il motivo della secretazione è un altro, ma quale?
In realtà il divieto non è soltanto contro giornali e giornalisti ma contro il formarsi della pubblica opinione, cioè contro un elemento basilare della democrazia. Il caso del Santa Rita ha acceso un dibattito sull´organizzazione della Sanità, sul ruolo delle cliniche convenzionate rispetto al Servizio sanitario nazionale. Dibattito di grande rilievo che potrebbe aver luogo soltanto all´inizio del dibattimento e cioè con il rinvio a giudizio degli imputati. L´eventuale archiviazione dell´istruttoria resterebbe ignota e così mancherebbe ogni controllo di opinione sul motivo dell´archiviazione e su una possibile critica della medesima. Così pure su possibili differenze di opinione tra i magistrati inquirenti e l´ufficio del Procuratore capo, sulle avocazioni della Procura generale, su mutamenti dei sostituti assegnatari dell´inchiesta. Su tutti questi passaggi fondamentali la pubblica opinione non potrebbe dire nulla perché sarebbe tenuta all´oscuro di tutto.
Sarà bene ricordare che il maxi-processo contro "Cosa Nostra" fu confermato in Cassazione perché fu cambiato il criterio di assegnazione dei processi su iniziativa del ministro della Giustizia dell´epoca, Claudio Martelli, allertato dalla pressione dei giornali in allarme per le pronunce reiterate dell´allora presidente di sezione, Carnevale. Tutte queste vicende avvennero sotto il costante controllo della stampa e della pubblica opinione allertata fin dalla fase inquirente. Falcone e Borsellino non erano giudici giudicanti ma magistrati inquirenti. Mi domando se avrebbero potuto operare con l´efficacia con cui operarono senza il sostegno di una pubblica opinione esaurientemente informata.
Le gravi penalità previste da questa legge nei confronti degli editori costituiscono un gravame del quale si dovrebbero attentamente valutare gli effetti sulla libertà di stampa. Esso infatti conferisce all´editore un potere enorme sul direttore del giornale: in vista di sanzioni così gravose l´editore chiederà a giusto titolo di essere preventivamente informato delle decisioni che il direttore prenderà in ordine ai processi. Di fatto si tratta di una vera e propria confisca dei poteri del direttore perché la responsabilità si sposta in testa al proprietario del giornale.
Si militarizza dunque il giudice, il giornalista ed anche la pubblica opinione.
* * *
Ha ragione il collega D´Avanzo nel dire che questi provvedimenti stravolgono la Costituzione. Identificano di fatto lo Stato con il governo e il governo con il "premier". Se poi si aggiunge ad essi il famigerato lodo Schifani, cioè il congelamento di tutti i processi nei confronti delle alte cariche dello Stato, l´identificazione diventa totale.
Qui il nostro discorso arriva ad un punto particolarmente delicato e cioè al tema dell´opposizione parlamentare.
Parlo di tutte le opposizioni politiche. Ma in particolare parlo del Partito democratico.
Negli ultimi giorni il Pd e Veltroni quale leader di quel partito hanno assunto su alcune questioni di merito atteggiamenti di energica critica nei confronti del governo. La luna di miele di Berlusconi è ancora in pieno corso con l´opinione pubblica e con la maggior parte dei giornali ma è già svanita in larga misura con il Partito democratico. Salvo un punto fondamentale, più volte ribadito da Veltroni: il dialogo deve invece continuare sulle riforme istituzionali e costituzionali.
E´ evidente che questa "riserva di dialogo" condiziona inevitabilmente il tono complessivo dell´opposizione. Le riforme istituzionali e costituzionali sono di tale importanza da trasformare in "minimalia" i contrasti di merito su singoli provvedimenti. Tanto più che Tremonti chiede all´opposizione di procedere «sottobraccio» per quanto attiene alla strategia economica; ecco dunque un´ulteriore "riserva di dialogo". Sembrerebbe, questa, una novità a tutto vantaggio dell´opposizione ma non è così. La politica economica italiana dovrà svolgersi nei prossimi anni sotto l´occhio vigile delle Autorità europee. Che ci piaccia o no, noi siamo di fatto commissariati da Bruxelles.
Tremonti dovrà assumere responsabilità impopolari. Necessarie, ma impopolari e vuole condividere con l´opposizione quell´impopolarità.
Intanto, nel merito delle riforme, Berlusconi procede come si è detto e visto, alla militarizzazione del sistema. "L´Etat c´est moi" diceva il Re Sole e continuarono a dire i suoi successori fin quando scoppiò la rivoluzione dell´Ottantanove.
Voglio qui ricordare che uno dei modi, anzi il più rilevante, con il quale l´identificazione dello Stato con la persona fisica del Re si realizzò fu l´asservimento dei Parlamenti al volere della Corona. Gli editti del Re per entrare in vigore avevano bisogno della registrazione dei Parlamenti e soprattutto di quello di Parigi. Questa era all´epoca la sola separazione di poteri concepita e concepibile. Ma il re aveva uno strumento a sua disposizione: poteva ordinare ai Parlamenti la registrazione dell´editto. Di fronte all´ordine scritto del Sovrano il Parlamento registrava "con riserva" e l´editto entrava in funzione. Di solito quest´ordine veniva dato molto di rado ma col Re Sole e con i suoi successori diventò abituale. Quando i Parlamenti si ribellarono ostinandosi a non obbedire il Re li sciolse. Il corpo del Re prevalse sulla labile democrazia del Gran Secolo.
Il Re Sole. Ma qui il sole non c´è. C´è fanghiglia, cupidigia, avventatezza, viltà morale. Corteggiamento dell´opposizione. Montaggio di paure e di pulsioni. Picconamento quotidiano della Costituzione.
Quale dialogo si può fare nel momento in cui viene militarizzato il Paese nei settori più sensibili della democrazia? Il Partito democratico ha un solo strumento per impedire questa deriva: decidere che non c´è più possibilità di dialogo sulle riforme per mancanza dell´oggetto. Se lo Stato viene smantellato giorno per giorno e identificato con il corpo del Re, su che cosa deve dialogare il Pd? E´ qui ed ora che il dialogo va fatto, la militarizzazione va bloccata. Le urgenze e le emergenze vanno trasferite sui problemi della società e dell´economia.
«In questo nuovo buon clima si può fare molto e molto bene» declama la Confindustria di Emma Marcegaglia. Qual è il buon clima, gentile Emma? Quello dei pattuglioni dei granatieri che arrestano gli scippatori e possono sparare sullo zingaro di turno? Quello dell´editore promosso a direttore responsabile? Quello del magistrato isolato da ogni realtà sociale e privato di «libero giudizio»? Quello dei contratti di lavoro individuali? E´ questo il buon clima?
Ricordo che quando furono pubblicati "on line" gli elenchi dei contribuenti ne nacque un putiferio. Il direttore dell´Agenzia delle Entrate, autore di tanto misfatto, fu incriminato e si dimise. Ma ora il ministro Brunetta pubblica i contratti di tutti i dirigenti pubblici e le retribuzioni di tutti i consulenti e viene intensamente applaudito e incoraggiato. Anch´io lo applaudo e lo incoraggio come ho applaudito allora Visco e Romano. Ma perché invece due pesi e due misure? La risposta è semplice: per i pubblici impiegati si può.
E´ questo il buon clima? Attenti al risveglio, può essere durissimo. Può essere il risveglio d´un paese senza democrazia. Dominato dall´antipolitica. Dall´anti-Europa. Dall´anarchia degli indifferenti e dalla dittatura dei furboni.
Io trovo che sia un pessimo clima.
La Repubblica, 15 giugno 2008

Elezioni Sicilia, Cracolici querela giornalista di ‘Repubblica’

Antonello Cracolici, presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico all’Assemblea Regionale Siciliana, ha dato mandato ai suoi legali di presentare querela nei confronti del quotidiano “la Repubblica”e del giornalista Antonello Caporale, autore dell’articolo pubblicato oggi, domenica 15 giugno a pagina 13 dal titolo “Sicilia al voto, c’è il candidato duble-face”.

In tale articolo si fa riferimento ad un comizio tenuto nei giorni scorsi nel comune di Polizzi Generosa (PA) e si riportano notizie false e gravemente lesive nei confronti dell’immagine dell’on. Cracolici che non ha mai sostenuto, come invece riportato nell’articolo, candidati o liste appartenenti al centrodestra.

Elezioni in Sicilia: alle 12 affluenza in calo

Al voto oltre 4.400.000 elettori. Seggi aperti fino alle 22 e domani dalle 7 alle 15. Si rinnovano 8 consigli provinciali e 147 comunali

PALERMO - In Sicilia l'affluenza alle urne per le elezioni provinciali, rilevata alle 12, è stata del 7,85%, contro il 9,29% delle precedenti consultazioni (-1,44%). Ancora incompleti i dati sull'affluenza alle comunali: le città interessate all'elezione dei sindaci sono 147. Alle 12 l'affluenza alle urne registrata per le elezioni comunali a Catania è stata del 12,08% (-2,9% rispetto alle elezioni precedenti). A Messina la percentuale è stata del 14,14%, in calo del 2,6% rispetto alle passate consultazioni. A Siracusa 12,88%, dove non è stato fornito il raffronto con le precedenti comunali. Mentre non c'è ancora il dato per gli altri 144 Comuni.

Al voto oltre 4 milioni e 400 mila elettori. I seggi si chiuderanno stasera alle 22 per riaprire domani dalle 7 alle 15. Finora non sono state segnalate irregolarità nelle operazioni di voto nei 5.105 seggi dell'Isola.

A Caltanissetta la percentuale si è attestata al 6,33% (-2,07% rispetto alle precedenti consultazioni); a Palermo 5,36 (-1,52); a Siracusa 9,87 (-0,88); a Catania 9,61 (-1,1); a Enna 7,82 (-1,24); a Trapani 7,17 (-2,17); ad Agrigento 6,75 (-2,09); a Messina 10,48 (-0,95). Ragusa è l'unica provincia nella quale non si vota.

L'attenzione è puntata soprattutto su Catania e Messina. Nella città dello Stretto sono due ex sindaci a contendersi la poltrona di palazzo Zanca: Giuseppe Buzzanca del Pdl e Francantonio Genovese del Pd. A Catania il candidato del Pdl Raffaele Stancanelli sfida l'europarlamentare de La Destra, Nello Musumeci, mentre il Pd punta sul deputato nazionale Giovanni Burtone.


Alle provinciali le uniche sfide che vedono contrapposti due soli candidati sono a Palermo, dove il centrosinistra sostiene Franco Piro del Pd, che dovrà vedersela con il candidato del centrodestra, Giovanni Avanti (Udc); e a Siracusa, con Giuseppe Zappulla del Pd che sfida Nicola Bono del Pdl.

(La Repubblica, 15 giugno 2008)

Sicilia al voto, candidati double-face. Pd in Provincia, Pdl in Comune

Ci sono anche politici che tifano contro il proprio partito. Cracolici, capogruppo del Pd in Regione, ha fatto un comizio a favore della Cdl

di ANTONELLO CAPORALE

PALERMO - Il campo di calcio ha una linea orizzontale che lo taglia al centro. Netta, chiara. Anche la politica avrebbe una linea di centrocampo: di qua la destra, di là la sinistra. In Sicilia, e per adesso fermiamoci all'isola, questa benedetta linea non c'è, e se c'è sembra sia a zig zag. Quindi accade quel che non dovrebbe essere possibile... Ecco le nuove figure che compaiono in campo: i politici transgender. Mezzo corpo di destra e mezzo di sinistra.

Partinico è un paesone purtroppo conosciuto per fatti di mafia. Ha trentamila abitanti, dista poche decine di chilometri da Palermo. Oggi si va a votare come nel resto della Regione (quattro milioni alle urne per una importante tornata amministrativa). A Partinico 382 cittadini hanno accettato di candidarsi. Non sembra più attuale riferire il tasso di incompatibilità (siamo comunque sul cinque per cento) di coloro che non dovrebbero per carichi penali pendenti o altri accidenti, eppure lo fanno.

Tra i tanti corre anche un militante e sindacalista della Cgil, Salvatore, detto Totò, Bono. Totò ha 35 anni, cura le faccende del patronato, pensioni, invalidità e infortuni, e ha una sincera fede politica. È di sinistra. Ambientalista e di sinistra. Infatti è candidato alle elezioni provinciali con i Verdi, in alleanza con il Partito democratico.

Bono è uno dei tanti che raddoppia la candidatura: prova anche nel consiglio comunale della sua città di farsi valere. Ma qui è il bello: a Partinico il candidato verde indossa la casacca degli avversari. In poche parole: si è mobilitato, vota e fa votare contro il centrosinistra. "Dottore carissimo, la questione è chiara. Sono consigliere comunale uscente e col mio voto, dico anche col mio, ho contribuito a mandare a casa il sindaco del Partito democratico. Degnissima persona, un vero galantuomo, ma politicamente incapace. Tardo, lento, impacciato. Insomma: improponibile".

Avendolo mandato a casa, Bono non riesce a capacitarsi su come avrebbe potuto resistere nella compagine d'origine. Anche il fatto che il candidato sindaco del Pd sia diverso da quello defenestrato non gli solletica nessuna riflessione: "Intendiamoci: il nuovo candidato è un altro amabilissimo combattente. Un vero democratico e una persona di grande moralità. Però non mi sembra il caso di stare dalla sua parte dopo tutto quel che ho combinato".

Infatti Bono, candidato multicolore, è l'uno e il suo opposto: giura fedeltà al Pd di Palermo ma tifa e corre con l'uomo che l'Udc candida alla poltrona di sindaco nel suo paese contro il Pd. L'Udc nella realtà siciliana fa parte della maggioranza di centrodestra. E allora? "A Partinico mi candido per far vincere chi ha nel suo programma il tema del lavoro. Anche nel mio c'è il lavoro. E il lavoro non è di destra né di sinistra. A Palermo è un'altra storia".

Destra, sinistra. Tutto si assomiglia. E se tutto si assomiglia, allora l'impossibile diviene certo. Otto giugno, piazza principale di Polizzi Generosa, provincia di Palermo. Raggiunge il palco il deputato regionale del Pd Antonello Cracolici. Raggiunge quale palco? Dove va Cracolici? In una imperdibile relazione-denuncia inviata in queste ore a Walter Veltroni si riferisce "l'increscioso e inqualificabile comportamento. Cracolici ha tenuto un comizio a sostegno del candidato del centrodestra, in contrapposizione alla lista ufficiale del Partito democratico". La denuncia ha toni drammatici. Fa rilevare che, nientemeno, il candidato a sindaco spernacchiato dal deputato del Pd è il presidente dell'assemblea provinciale del Pd. E dunque l'appello conclusivo, con la richiesta della difesa "dei supremi valori cui deve essere improntato l'impegno politico inteso come missione civica".

In un grandissimo qui pro quo è incappato persino Raffaele Lombardo. Un suo caro amico e fervente sostenitore, candidato a sindaco di Altavilla Milicia, roccaforte poco distante dal bastione dove re Lombardo opera e guida, gli chiede, per il tramite di un militante di grado superiore, un aiutino. Il presidente, molto sensibile, accetta e puntuale giunge sul palco. Sale e inizia però a stupirsi delle tante bandiere del Pd che lo circondano.

Tutto è possibile, la Sicilia è la terra del Gattopardo, certo. E però... Quando inizia a parlare voci di popolo lo interrompono. Militanti di Forza Italia e Alleanza nazionale protestano e insistentemente rumoreggiano. Gli ricordano che hanno votato per lui e lui adesso parteggia con quegli altri. Quegli altri chi? "Ma dove mi avete portato?", chiede il frastornato presidente. Scopre che il suo candidato è sostenuto da una lista civica, chiamata Primavera altavillese, e già il nome è un programma. Pd-Rifondazione, l'accoppiata a sostegno del candidato amico di Lombardo. Il lucido conducator siciliano momentaneamente confuso ma non rassegnato con una improvvisa giravolta (che comunque denota vitalità fisica e prontezza di riflessi) si libera dai suoi amici - pro tempore avversari - e lascia il podio. Balzato in strada riconosce e stringe a sé il candidato avversario a sindaco, in realtà suo amico politico, e lo prende al braccio. L'incidente si chiude con una crudele sciabolata che Lombardo infligge al suo staff. E amen.

Ma la Sicilia è isola nata per stupire. Ad Avola, provincia di Siracusa, si è pensato di non dare scandalo e fare un po' e un po'. Superlativa l'ipotesi messa in campo e poi realmente praticata dal Partito democratico. La prima squadra, chiamiamola Pd-uno, sta in giunta e piuttosto bene, confortando con la sua presenza l'attività del sindaco eletto, naturalmente di Forza Italia, in una vasta coalizione che raggiunge l'Udeur e l'Udc. Il Pd-due invece è sistemato in panchina, insieme ad An, che solo poche settimane fa montava i gazebo insieme a Forza Italia. Avete capito bene e siete confusi più di prima?

(La Repubblica, 15 giugno 2008)

venerdì 13 giugno 2008

BRUXELLES NEL CUORE. E NELLA STORIA

di Nando dalla Chiesa

Bellissimo, giuro che è stato bellissimo vivere in diretta i giorni di Bruxelles: la nascita di Flare nel parlamento europeo, le centinaia di ragazzi e ragazze che parlano di traffico di minori, di droga, di mafia, di diritti umani e al tempo stesso rovesciano la loro gioia contagiosa sugli adulti che gli stanno intorno. E’ inutile che vi dica in questo post quel che ho provato; tra qualche ora lo leggerete qui accanto visto che non ho resistito alla tentazione di raccontarlo ai lettori dell’Unità. Ma vi assicuro che in quarant’anni di impegno politico non ho mai visto una cosa del genere. Forse una combinazione gioia-impegno di livello simile l’ho vissuta in una lontana estate solo a Prizzi, cuore della Sicilia, occasione di una scuola di formazione della Rete. Credo di avere ancora le foto delle danze sotto le stelle scattate alle due di notte dopo una giornata zeppa di confronti e relazioni. E aggiungo che io, nemico giurato del fantozziano “trenino”, mi sono intenerito nel vedere i ragazzi di Bruxelles (che vuol dire: provenienti da trenta paesi europei) praticarlo su
uno stupendo campo di calcio trasformato inopinatamente in pista da ballo. Logisticamente è stato meglio di Follonica. Almeno, stavolta, nessuno mi aveva abbagliato con scenari di favola. Spartani e basta, e lo si sapeva prima; anche se quell’acqua calda colore del caffè era meglio se non scendeva dal rubinetto per più di quindici minuti di fila. In ogni caso si è riso davvero tanto. Tanto che, tra l’ironia sulle nostre follie e sulle nostre manie, e la constatazione divertita delle bizzarrie mentali degli antimafiosi, si è fatto strada con sempre più forza la legge di dalla
Chiesa: l’antimafia si fa con quello che c’è.
Infine: grazie agli europarlamentari italiani che hanno consentito con il loro aiuto finanziario che un’impresa così fantastica prendesse il via da Bruxelles. Grazie dunque a Vittorio Agnoletto (che lì qualcuno voleva “degradare” a biologo e ora il mio computer a Agnolotto) e poi a Monica
Frassoni, dall’inglese scalpitante e dalle fogge eretiche. E agli altri presenti: Luisa Morgantini (una scoperta, stette a Palermo tutta l’estate del ’92 con le “donne del digiuno”), Chiesa, Musacchio, Patrizia Toia, Catania, Susta e Prodi (Vittorio), scusandomi per le dimenticanze. Mi
dispiace, mi dispiace davvero per chi non c’era. Ma sono certo che da qualche parte si troverà il filmato. Perché a Bruxelles, seppiatelo, è nato un pezzo di storia.
www.nandodallachiesa.it

in Wednesday 11 June 2008

I giovani toscani scendono in 'campo' per la legalità

di Mauro Banchini

450 i giovani toscani fra i 16 e i 30 anni che stanno per partire verso Sicilia, Calabria e Puglia per l'edizione 2008 dei campi di lavoro contro le mafie. Appartengono a gruppi vari (parrocchie e Arci, scout e Libera, Legambiente e Caritas). 290 andranno in Sicilia (Corleone, Monreale, Canicattì), altri 115 in Calabria (Polistena, Gioia Tauro, Rosarno, Oppido Mamertina, Varapodio, Melito Porto Salvo, Stilo, Bassano, Bosco Bovalino) e altri 45 in Puglia (Mesagne e Torchiarolo). Saranno ospitati nei beni confiscati alle organizzazioni mafiose (in Sicilia qualcuno di loro abiterà la "roba" di Riina e Provenzano). Presteranno attività lavorativa in terre confiscate e adesso condotte da cooperative.

23, in tutto, i campi: il primo inizia fra pochi giorni, il 20 giugno, e l'ultimo si concluderà il 28 ottobre. Tre le fasi nei programmi di ciascun campo: la mattina è dedicata al lavoro vero! e proprio con trebbiatura del grano, sistemazione dei vigneti! (spietr atura terreni, recinzioni, costruzioni muretti), raccolta di pomodori, lenticchie, ceci, mandorle, peperoni, melanzane, cipolle, basilico. Oltre al lavoro agricolo, ogni pomeriggio è previsto un programma di studio e formazione ("Il territorio, la memoria, l'impegno"): laboratori e incontri di educazione alla legalità anche in ricordo di persone morte violentemente per mano delle mafie. Le serate saranno infine dedicate a iniziative di animazione e di socialità.

"Un'esperienza partita con la Toscana – sottolinea il vicepresidente regionale Federico Gelli – che sta riscuotendo notevole interesse in molte altre Regioni e che è diventata progetto nazionale. Il nostro obiettivo è diffondere una cultura fondata su legalità e senso civico capace di opporsi in modo efficace all'altra cultura, quella della violenza, del privilegio, del ricatto". L'edizione 2008 dei campi ! antimafie è stata presentata a Firenze, nella sede di Regione Toscana, in una conferenza stampa cui – insieme a una delegazione di ragazzi in partenza - sono intervenute anche le associazioni più direttamente impegnate nell'organizzazione dei campi (Libera e Arci, Caritas e Cieli Aperti). Coinvolte anche altre associazioni operative sui temi della legalità: Avviso Pubblico, Fondazione Caponnetto, Associazione Vittime Via Georgofili. Hanno preso parte alla conferenza stampa anche Elisabetta Caponnetto, vedova del giudice, e Piero Luigi Vigna, Procuratore onorario alla Corte di Cassazione. Anche in Toscana – ha precisato Federico Gelli – esistono beni confiscati alla mafia. In tutto sono 23 e si tratta prevalentemente di piccoli immobili (garage, appartamenti) con qualche eccezione importante: una casa colonica nel comune pistoiese di Massa e Cozzale (un podere nascosto in un bosco che il clan Nuvoletta usava come raffineria di droga e che oggi ospita una comunità di recupero per to ssicodipendenti), l'hotel Gran Paradiso a Montecatini Terme (una grande struttura su cui aveva messo gli occhi il Clan della Magliana e su cui si sta ipotizzando una nuova destinazione), la fattoria di Suvignano nel comune di Monteroni D'Arbia, per la cui possibile utilizzazione è in realizzazione un progetto con Comune e Provincia di Siena.
(Agenzia per l'informazione della Giunta Regionale)

Clicca qui per vedere il video
11.06.2008

Le mani dei boss sui Despar

Secondo il pentito Franzese, i grandi centri commerciali erano gestiti direttamente da Provenzano e poi dai Lo Piccolo: "I supermercati non pagavano il pizzo, ma davano lavoro agli affiliati di Cosa nostra" PALERMO - Gli interessi dei boss mafiosi Matteo Messina Denaro e Bernardo Provenzano per i grandi centri commerciali Despar in Sicilia, emergono dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Franzese. Le dichiarazioni del pentito sono state depositate nel processo all'imprenditore Sebastiano Scuto, indicato come il re dei supermercati, che si svolge davanti ai giudici della Corte d'appello di Catania.
Franzese, che era uomo di fiducia dei boss Sandro e Salvatore Lo Piccolo, racconta i contatti fra i mafiosi palermitani e quelli catanesi. "Il Centro Olimpo (a Palermo ndr) è un grande centro commerciale che io conosco bene perchè sorge nella mia zona, e cioè a Partanna. Al riguardo devo dire che detto centro non figurava 'nelle entrate della zona' in mio possesso, l'altra copia era in possesso dei Lo Piccolo, i quali avevano la carta delle entrate che arrivavano a loro direttamente".
Il pentito spiega il motivo per il quale il centro commerciale non pagava il pizzo. "Decisi di far fare la telefonata per fare 'mettere a posto' l'impresa - racconta Franzese - ma l'interlocutore che noi avevamo individuato in Vincenzo Milazzo e Alfonso Milazzo, padre e figlio, come i veri responsabili del Centro commerciale, si mostrarono molto sicuri, ma niente affatto disposti a pagare". "Pochi giorni dopo venni chiamato da Sandro Lo Piccolo, il quale mi disse che per il Centro Olimpo non dovevo fare nulla in quanto la cosa la gestiva lui con i catanesi e questi ultimi si erano lamentati per il fatto che era stata fatta la telefonata ed i Milazzo temevano di essere stati intercettati".
Franzese racconta poi nei dettagli quelli che erano gli interessi dei boss Lo Piccolo e Provenzano nei confronti della catena di supermercati: "I Lo Piccolo mi dissero che i centri Despar non dovevano essere toccati in quanto interessavano alla famiglia, mentre cosa diversa era per i singoli negozi affiliati che molte volte erano solo piccole attività con insegne Despar". "I Despar - aggiunge - interessavano direttamente anche a Matteo Messina Denaro". Quest'ultimo particolare emerge anche dall'inchiesta che nei mesi scorsi ha portato all'arresto dell'imprenditore Salvatore Grigoli che gestisce gran parte dei Centri Despar in Sicilia ed è accusato di essere un prestanome di Messina Denaro. "I Lo Piccolo - spiega il pentito - si rivolgevano ai catanesi perchè facessero avere lavoro a nostri affiliati tramite i Milazzo nei centri commerciali Despar di Palermo. Mi risulta che anche Provenzano aveva interessi diretti nella gestione dei grandi supermercati Despar, e cioè che i centri commerciali a insegna Despar non si dovevano toccare, mentre gli affiliati, in genere piccoli negozi, potevano essere oggetto di estorsioni".
12/06/2008

mercoledì 11 giugno 2008

L’onorevole Angelino

di MARCO TRAVAGLIO
Dice il ministro della giustizia: «Secondo un mio calcolo empirico e non scientifico, è probabilmente intercettata una grandissima parte del nostro Paese». Ma sono bugie. Gli intercettati arrivano a circa 80 mila l’anno, pari non a «tutti gli italiani» o alla «grandissima parte», ma allo 0,2% della popolazione. Contando anche i diversi interlocutori dall’altro capo del filo, si arriva all’incirca all’1%. Non si capisce come possano il Pd e l’Anm «dialogare» con un ministro così, solo perché è «pacato». Spara cazzate, ma pacate.


Un uomo dotato di un minimo di dignità, al posto di Angelino Alfano, dopo che tutti i suoi dati sulle intercettazioni sono stati sbugiardati da Luigi Ferrarella e Carlo Bonini sulle prime pagine del Corriere e di Repubblica (oltreché su l’Unità), avrebbe già scavato un buco in terra e vi sarebbe sprofondato, rosso di vergogna. E in un altro paese un ministro come Alfano sarebbe già stato dimissionato dal suo governo. Perché delle due l’una: o Alfano è un incompetente, e allora se ne deve andare; o mente, e allora se ne deve andare a maggior ragione.

Invece Angelino è Angelino, il Cainano è il Cainano e l’Italia è l’Italia. Dunque il Guardasigilli ad personam resterà al suo posto e verrà premiato: le sue bugie sono servite a mettere in circolo una carrettata di balle e a trasformare un efficacissimo strumento d’indagine in un’emergenza nazionale che ora allarma anche mezza opposizione e persino il capo dello Stato. Tg e giornali della ditta fanno il resto, rilanciando le panzane come se fossero vere (memorabile la prima pagina del Giornale: «Tutti gli italiani sono intercettati»). La truffa funziona perché sembra basarsi su dati statistici, ma per capire che sono manipolati basterebbe ascoltare l’esordio del ministro (non di un passante) nell’audizione dell’altroieri alla commissione Giustizia della Camera (non al bar o a Porta a Porta): «Secondo un mio calcolo empirico e non scientifico, è probabilmente intercettata una grandissima parte del nostro Paese». Capito? Lui fa i calcoli empirici. E conclude: 1) «Oltre 100 mila persone l’anno sono intercettate in Italia», 2) «mentre negli Usa sono 1.700, in Svizzera 1.300, in Gran Bretagna, 5.500, in Francia 20 mila»; 3) «Le 100 mila persone intercettate fanno o ricevono mediamente 30 telefonate al giorno. Così si arriva a 3 milioni di intercettazioni». 4) «La spesa sulle intercettazioni è in continua crescita: è aumentata del 50% dal 2003 al 2006» e occupa «il 33% delle spese per la Giustizia». Difficile concentrare una tale densità di balle, per quanto «empiriche», in così poche parole. Vediamo. 1) I decreti di autorizzazione dei gip alle intercettazioni sono stati nel 2007 appena 45.122 (più 34.844 di convalida, cioè di proroga quindicinale sulle stesse utenze); ma anche prendendo per buono il dato del ministro, 124.845 provvedimenti complessivi, la cifra non indica il numero dei soggetti intercettati: ogni decreto corrisponde a un’utenza, cioè a un numero telefonico (e spesso viene reiterato anche 3-4 volte, visto che ogni 15-20 giorni bisogna rinnovare il provvedimento). E quando s’intercetta un indagato si controllano i suoi cellulari, numeri di abitazione, mare, montagna, ufficio, auto, senza contare che il tizio cambia spesso scheda per sfuggire ai controlli. Il che significa che, a dir tanto, gli intercettati arrivano a 80 mila l’anno (su 3 milioni di processi). Pari non a «tutti gli italiani» o alla «grandissima parte», ma allo 0,2% della popolazione. 2) Contando anche i diversi interlocutori dall’altro capo del filo, si arriva all’incirca all’1%. 3) Paragonare il dato italiano con quello degli altri paesi è come raffrontare le mele con le patate, visto che negli altri paesi il grosso delle intercettazioni le fanno, senza controlli né statistiche, i servizi segreti, le polizie, i pompieri, gli enti locali, le autorità di borsa ecc. Il nostro, come ha appurato nel 2006 la commissione Giustizia del Senato, è il sistema più garantista d’Europa. E l’80% degli ascolti riguarda la criminalità organizzata, cioè le mafie, sconosciute negli altri paesi europei. 4) La spesa per intercettazioni non è in aumento, ma in calo: nel 2005 era di 286 milioni, nel 2006 è scesa a 246, nel 2007 a 224 (40 in meno ogni anno). E 224 milioni non sono «il 33% delle spese per la Giustizia» (7,7 miliardi nel bilancio 2007), ma il 2,9%. Ecco, la spesa reale è un decimo di quella sparata dall’ empirico ministro. Ma potrebbe avvicinarsi allo zero se lo Stato facesse lo Stato: obbligando le compagnie telefoniche, concessionarie pubbliche, ad applicare tariffe scontate o gratuite per le intercettazioni (che ora costano allo Stato 1,6 euro al giorno per i telefoni fissi, 2 per i cellulari, 12 per i satellitari); acquistando le attrezzature usate dagli agenti per intercettare, anziché affittarle a prezzi da favola da ditte private; recuperando le spese di giustizia dai condannati, che devono pagare i costi sostenuti dallo Stato per processarli (oggi si recupera il 3-7%). Resta da capire come possano il Pd e l’Anm «dialogare» con un ministro così, solo perché è «pacato». Spara cazzate, ma pacate.

L'Unità, 11.06.08

NELLA FOTO, il ministro Angelino Alfano

L'ex ragazzo di via Gluck: «Adriano, torna!»

Visita a quella «casa fuori città» al numero 14, oggi fatiscente. Pierluigi Chiaregato, detto Gigetto: «Con Celentano eravamo amici. Siamo stati noi a dargli l'idea per quella canzone



Una sola musica, quella del traffico. Oltre l’angolo, nel grigio di viale Lunigiana, sobbalzano monotone centinaia di automobili. Qualcuna riposa in doppia fila, altre si agitano, e vanno su e giù, secondo il ritmo dei semafori. La via è una semplice traversa laterale: primo incrocio a destra, dopo il tunnel della stazione. Qui, un tempo, c’era il «Polverone», la vecchia balera dei ferrovieri. E poi, il bar Trabacchi, con i suoi tavolini verdi, e le stecche da biliardo: dove chiunque, per poche lire, poteva improvvisarsi campione. Un po’ più in su, l’antico Dazio, ed è lì che iniziavano i prati.



Milano, via Cristoforo Gluck. La strada, un tempo, assomigliava ad un piccolo paese: col suo vinaio, il suo panettiere, e il suo lattaio. La vetraia era una signora grande, grossa, e dai modi spicci, una vera «milanesona». Al suo posto, oggi, c’è un Internet point, gestito da egiziani. E’ qui, seduto sul bordo dei marciapiedi, che Adriano Celentano strimpellò le sue prime canzoni. «Da allora, purtroppo, sono cambiate moltissime cose», sorride Franco Catalano, il barbiere. «Quasi tutti se ne sono andati. Al loro posto, hanno fatto comparsa gli extracomunitari: cinesi, arabi, sudamericani. E anche loro restano per poco, poi traslocano di nuovo. Ormai, è così: non ci si conosce più».

Eppure capita, a volte, che gli ultimi superstiti decidano di darsi appuntamento. Lo fanno nella sua bottega, oppure alla gelateria, che esisteva già ai tempi, ma poi ha cambiato gestione. Hanno 70 anni, i vecchi gluckiani, ed è così che si sono ribattezzati: capelli bianchi, schiena curva, passo lento. Sono quelli che hanno deciso di rimanere «a piedi nudi, a giocare nei prati», godendosi gli ultimi anni spensierati, prima dell’avanzata fatale della metropoli.

Solitaria, appesa sul muro, sopravvive qualche sbiadita fotografia in bianco e nero: gruppi di amici in canottiera, sorrisi ingenui. E, in mezzo, sempre lui, il più assente tra gli assenti: un Celentano ventenne, che da questa via spiccò il volo, giovanissimo, verso i più alti lidi dello star system canoro. «E’ tanto, che non torna – sospira Franco, mentre, ramazza in pungo, sgombera le piastrelle dalle chiome levantine dell’ultimo cliente -. Da quando è morta la sorella, credo, molti anni fa: Rosa, si chiamava. Era la sua seconda mamma».



Ma c’è chi ancora non si è dato per vinto. Come Pierluigi Chiaregato, «Gigetto», classe 1938, che ogni tanto, testardamente, riprova a contattare il suo vecchio amico. «Per adesso, non ci sono riuscito», racconta. «E’ un peccato, però, perché mi farebbe piacere incontrarlo». Era lui, ai tempi delle scuole, il vero capobanda: «Praticamente, siamo cresciuti assieme, e assieme facevamo un sacco di stupidate. Io gridavo: "Voglio un gruppo di fegatosi, bisogna provocare il nemico". Il nemico erano i ragazzi di via Ponteseveso: Adriano si offriva volontario, e poi si partiva. Ci picchiavamo tutti i giorni, come ossessi».

Tempi lontani: quando l’asfalto appariva un miraggio, e la città qualcosa di lontano e indefinito, quasi un altro mondo. «Mio padre, per passatempo, faceva il musicista. Aveva un sacco di dischi, e noialtri trascorrevamo le ore attaccati al suo grammofono. C’erano i Platters, le prime cose di Elvis, e poi, il nostro preferito, Louis Amstrong. Lo chiamavamo "il Luigino": ne andavamo pazzi».

Adriano Celentano nacque al piano terra del civico 14, in una fatiscente casa di ringhiera: l’unica, fino ad ora, a non aver conosciuto ristrutturazioni. Ci visse fino ai 13 anni. Poi, nel 1951, si trasferì altrove, a «respirare il cemento». Il padre si chiamava Leontino, e di lavoro faceva il sarto. Del suo laboratorio, oggi, non resta che una saracinesca grigia, colma di ruggine, e apparentemente sigillata. «Abitavano qui», sorride Gigetto. «E io, nel palazzo di fronte. Tra me e Adriano, c’erano solo quattro mesi di differenza. Io sono nato a maggio, lui il 6 gennaio. Dicevano: "Sembra un regalo della Befana". E forse avevano ragione. Ma il vero dono, alla fine, ce lo ha fatto lui. Erano gli anni Sessanta, già cantava, e già riscuoteva i primi successi. Un giorno passò a trovarci, e gli dicemmo: "Fai tante canzoni, ma già ti sei dimenticato della tua strada?" Così nacque "Il ragazzo della via Gluck". Trascorse qualche mese, poi Adriano tornò, e ce la suonò in anteprima. Lui, con la chitarra in braccio, ritto sul tavolaccio dell’osteria, e noi amici, tutti attorno, come tanti bimbi estasiati».

Sono passati più di quattro decenni. Il portone, al 14 di via Gluck, è sempre di legno, come si usava una volta. Pochi metri di androne, e poi il cortile, coi panni sventolanti, e le antenne paraboliche, in bilico, all’ombra delle tegole. I nomi, sulla cassetta della posta, sono quasi tutti stranieri: arabi, perlopiù, e indiani. A terra, qualche vetro rotto, ruote di biciclette, e vecchi calcinacci. Avverte un cartello: «E’ vietato posteggiare le moto». In pochi, però, sembrano farci caso. In fondo, sulla sinistra, c’è persino il vecchio gabinetto: quello «giù nel cortile». Un lavabo, e i resti di una turca: il tutto, seppellito sotto una colorata montagna di rifiuti.

«Celentano? Certo che so chi è», gesticola Anwar, 25 anni, egiziano, uno dei tanti nuovi inquilini del celebre palazzo. «In tanti vengono a chiedere di lui. E’ bello, mi piace vivere qui. Un giorno, gli amici mi hanno detto: "Lo sai, Anwar? Nella via Gluck c’è una casa libera". E io subito ho pensato: "Caspita, proprio nella strada di Adriano"». Meno entusiasti, sono i superstiti di nazionalità italiana. Rari, rarissimi: una signora, al secondo piano, la vecchia portinaia, e qualche giovane coppia coi figli. Molti, addirittura, preferiscono non parlare.

«Colpa» del Molleggiato, della sua fama, e di ciò che con gli anni ha trascinato con sé: interminabili orde di fotografi, cameraman, e cronisti d’assalto. Tutti ugualmente affamati di curiosità, e senza alcuno scrupolo verso la privacy altrui. Un vero e proprio caso di sovraesposizione mediatica, che ben pochi altri luoghi, in Italia, sono riusciti ad eguagliare. «La cosa più triste – spiega Marco, ex studente e gluckiano d’importazione dal 2002 - è che l’edificio, nonostante tutto, continua ad andare a rotoli. La fama resiste, ma non porta nulla: né soldi, né vantaggi, né migliorie. Per questo, vorrei rivolgermi direttamente a Celentano: Adriano, so che non lo fai da tempo, ma credo sia giunta l’ora di tornare nel luogo dove sei nato. Troppe cose non vanno bene. Ti chiediamo solo d’aiutarci: con una Fondazione, una Onlus, come vuoi tu. Perché questa casa, in fondo si merita di meglio: forse, qualcosa in più che una semplice canzone».

Maria Elena Scandaliato e Andrea Sceresini

11 giugno 2008

FOTO. Il barbiere conserva le foto del giovane Celentano. Pierluigi Chiaregato, detto Gigetto, l'amico d'infanzia. I panni stesi nella casa di via Gluck 14: Celentano nacque al piano terra il 6 gennaio 1938