giovedì 30 giugno 2011

Libera Palermo: Lib(e)ri Liberi presenta “Antologia di un’epopea contadina”.

La copertina dell'Antologia
Venerdì 1 luglio, alle 18.30, presso la spiaggia Valdesi di Mondello ( nello spazio di LiberAmbiente), si svolgerà il IV appuntamento della rassegna Lib(e)ri Liberi. Nell’occasione sarà presentato il libro “Antologia di un’epopea contadina” (Quaderni del CEPES Editore), di Dino Paternostro. Con l’autore saranno presenti Vito Lo Monaco, presidente del Centro Pio la Torre e il senatore Nicola Cipolla, protagonista delle lotte contadine del secondo dopoguerra e Presidente CEPES Palermo. Dino Paternostro, segretario della Camera del Lavoro di Corleone, giornalista e scrittore. Diverse sono le sue pubblicazioni che riguardano la storia delle lotte contro le mafie e la realtà contadina siciliana del secondo dopoguerra: “Le Stelle in un pugno. Il sogno di Placido Rizzotto e dei contadini di Corleone”(La Zisa) , “Placido Rizzotto e le lotte contadine a Corleone” (Adarte Editori).
“Antologia di un’epopea contadina”, è un volume che raccoglie la storia dell’ ambiente contadino siciliano e le lotte per la libertà. Nato dalla volontà del presidente del CEPES, Nicola Cipolla, il libro racconta il lavoro di uomini e donne, condotto tra il 1944 e il 1950, per poter conquistare l' indipendenza e gettare le basi della democrazia sia in Sicilia che in tutta Italia, marciando accanto a Pio La Torre. L’opera presenta un excursus tra le realtà rurali che nella storia accademica non vengono ricordate e ormai sono perse nella memoria.
La rassegna Lib(e)ri Liberi, promossa da Libera Palermo, all’interno del progetto “Mondello Sostenibile” curato da LiberAmbiente, propone un nuovo appuntamento di crescita formativa e civile.

A Cinisi "scoppia" la pace: "Casa Memoria" e l'Associazione "Peppino Impastato" gestiranno insieme la casa confiscata a Badalamenti

Cinisi, la casa confiscata a Badalamenti 
L’Assemblea dei soci dell’Associazione Culturale onlus Peppino Impastato, riunita in data 24-06-2011 presso la sede sociale di Corso Umberto 220, all'unanimità ha dato incarico al Presidente prof. Vitale Salvatore di apporre la firma al contratto di Comodato d’uso proposto dal Comune di Cinisi con delibera n.91 del 15 giugno 2011, relativamente all’assegnazione del piano terra del bene immobile confiscato alla mafia sito in corso Umberto 183, congiuntamente all’Associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.


L’assegnazione della casa che fu del boss Gaetano Badalamenti costituisce la conclusione di un percorso iniziato nel giorno della morte di Peppino Impastato, allorchè i suoi compagni vennero inquisiti come amici di un terrorista e decisero di iniziare una propria indagine per inquadrare il tragico episodio nella sua giusta dimensione di legalità. Da allora, attraverso un percorso di 32 anni si è arrivati al sequestro dei beni del boss Badalamenti, alla sua condanna all’ergastolo, quale mandante dell’omicidio di Peppino e infine, su proposta del sindaco di Cinisi, al decreto 6 maggio 2010 dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di Reggio Calabria, con il quale una parte dell’immobile era destinato all’Associazione Culturale Peppino Impastato.

Nel giugno 2010, Giovanni Impastato, malgrado reiterati inviti all’unità, si è dimesso dall’Associazione, per dar vita a una nuova entità denominata “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” inoltrando richiesta di gestione o cogestione della casa del boss. Il sindaco di Cinisi ha ritenuto opportuno soddisfare tale richiesta nella prospettiva di una collaborazione tra le due associazioni nel portare avanti le iniziative antimafia..

Pertanto, onde evitare il rischio di ulteriori lacerazioni, riteniamo di associarci alla delibera della Giunta e avanzare ancora una volta la proposta di accordo e confronto con Casa Memoria per la realizzazione del nostro progetto, già comunicato al sindaco di Cinisi in data 9-01-2010; tale progetto offre un intenso rapporto col territorio, sull’esempio, comunque irripetibile, di quello che faceva Peppino. Continueremo peraltro il nostro lavoro con scuole, enti, associazioni, invitandole a Cinisi, per un confronto con culture diverse sulla base della valenza universale delle idee di Peppino, che ben conosciamo, avendo militato con lui.

Nel contesto di tale rapporto va riconosciuto un ruolo fondamentale al Forum Sociale Antimafia, che nell'ultimo decennio ha dato un prezioso contributo per lo sviluppo di una dimensione dell'antimafia in campo regionale e nazionale, soprattutto per quel che riguarda l'antimafia sociale e il collegamento tra la lotta alla mafia, la lotta di liberazione dei partigiani, e la difesa dei valori della costituzione italiana.

Pertanto, dopo esserci confrontati con le varie componenti del Forum, auspichiamo di portare avanti insieme all'Associazione “Casa Memoria” e a tutte le realtà che vorranno partecipare, un forte programma di iniziative che, nel nome di Peppino e con il suo stile di lotta, sappia rendere Cinisi, non solo per tre giorni l'anno ma in maniera costante ed operativa, la capitale dell'antimafia e il punto di coagulo delle varie associazioni presenti su tutto il territorio nazionale.

lunedì 27 giugno 2011

Verbumcaudo, il bene confiscato e la macchina del fango

Il feudo Verbuncaudo
di Chiara Pracchi
“La mafia non c’entra nulla”. L’importante è mettere subito le cose in chiaro, allontanare i fantasmi. E allora V.M, del Giornale di Sicilia, attacca così il suo pezzo sull’ultimo attentato subito da Vincenzo Liarda, il sindacalista di Polizzi Generosa che da tempo è impegnato a promuovere l’assegnazione di Verbumcaudo, il feudo confiscato nel 1987 a Michele Greco e mai utilizzato.
“La mafia non c’entra nulla – esordisce il giornalista – E non c’entrerebbe nemmeno la criminalità comune”. Resta da chiedersi chi, allora può aver messo la scatola, contenente una candela accesa, delle bottiglie di alcol, della carta e dei pezzi diavolina, nel cofano della macchina di Liarda. Il fatto che il giornalista non dia una risposta a questa domanda non è un bel segno per il sindacalista della Cgil. E in sottofondo pare già di sentir risuonare le note di Don Basilio, che nel Barbiere di Siviglia canta: “La calunnia è un venticello, un auretta assai gentile, che insensibile sottile, leggermente dolcemente, incomincia a sussurrar …”
Così, il giornale, che già in passato si era distinto quale campione regionale di negazionismo, si dilunga sulle “anomalie” dell’attentato: il fatto che il rogo si sia sviluppato in pieno giorno, nel centro di Petralia Sottana, pochi minuti dopo che l’auto era stata parcheggiata, invece che nella campagna appena fuori Polizzi, dove il giornalista erroneamente crede che Liarda viva, costituisce per l’estensore dell’articolo un fatto inspiegabile. Non una preoccupante prova di forza.
“Anche le modalità, secondo gli investigatori, sarebbero abbastanza singolari, almeno per un avvertimento mafioso – prosegue il redattore – Perché oltre al linguaggio, Cosa nostra usa sempre ‘protocolli’ e ‘rituali’ ben precisi, perfino quando si tratta di dar fuoco a un’auto”. Quali protocolli e rituali? “Questo dovrebbe spiegarlo lui a me – esordisce il Maggiore Carrozzo del Nucleo Investigativo di Termini Imerese – E’ vero che non si è trattato né del lancio di una molotov né di un incendio appiccato con del liquido infiammabile sparso sulla macchina, però da qui a dire che non rispecchi i protocolli rituali della mafia … Ciò che posso affermare con sicurezza è che si è trattato di un episodio sul quale occorre seriamente indagare”. Di più il Maggiore non si lascia sfuggire, se non un giudizio non proprio lusinghiero sulla sicumera mostrata dal giornale siciliano, nel momento in cui le indagini sono solo all’inizio.
In attesa di scoprire se il rogo dell’altro giorno può essere considerato l’avvertimento numero otto, può essere utile ripercorrere l’intera la vicenda.
“L’incontro” fra il feudo di Verbumcaudo e Vincenzo Liarda avviene nel 2003, quando Vincenzo è Vice Presidente del Consiglio Comunale di Polizzi Generosa. E’ svolgendo questo ruolo che viene a conoscenza del bene, posto quasi al confine con la provincia di Caltanisetta e confiscato a Michele Greco, dal giudice Istruttore Giovanni Falcone. Da quel momento inizia la sua opera per cercare di recuperarlo e assegnarlo, così come prevede la legge 109. La situazione, però, è complessa. L’ostacolo principale è costituito da un’ipoteca sottoscritta dallo stesso Michele Greco, che negli anni è arrivata a gravare per due milioni e mezzo di euro circa. Il pericolo di vendita all’asta per estinguere il passivo è reale. Per di più, nel marzo del 2008, il giudice civile di Termini Imerese decide di affidare il possedimento in comodato d’uso gratuito alla famiglia Battaglia. Ex mezzadri della tenuta, i Battaglia sono incensurati, ma per nulla desiderosi di restituire allo Stato il feudo, finalmente riunito nelle loro mani.
Il 26 aprile del 2010 Vincenzo riceve la prima lettera intimidatoria con il disegno di due proiettili: “Presidente, lei ha una bella famiglia se la goda il bene di Verbumcaudo lo lasci perdere ci ascolti è un consiglio anche i suoi amici la pensano così attento”.
“La prima volta sinceramente non l’avevo presa sul serio – racconta Vincenzo- perché da noi ricevere lettere di questo genere è normale. Sapevo che altri consiglieri ne avevano ricevute e non avevano neanche denunciato”. Chi invece la prende subito sul serio è il senatore Giuseppe Lumia, che partecipando al Consiglio Comunale di Polizzi fa i nomi delle famiglie mafiose presenti sul territorio delle Madonie: Maranto, David, Privitera, Madonia. Lo fa anche per distogliere l’attenzione da Liarda, senza riuscirci. Da quel momento i due vengono accomunati nelle minacce. Che non tardano ad arrivare.
Il 10 maggio la missiva porta polvere da sparo e il messaggio: “Allora non capisce ultimo avvertimento dato che della sua bella famiglia non ci interessa il contenuto lo divide con il suo amico Lumia bravi.” La punteggiatura, decisamente, non è il loro forte.
Passano solo pochi giorni e un “vero” amico si perita di metterlo in guardia dai pericoli che corre, con una lettera recapitata all’ufficio della Cgil di Polizzi: “Sono tuo amico vero, attento ti vogliono fare la festa. Lascia perdere Lumia e tutto il resto, ti stanno usando. Pensa alla tua famiglia, stai rischiando assai ascolta sanno tutto di te come ti muovi dove vai dove stai. Ripeto ti vogliono fare danno un tuo amico”
Vincenzo non si scoraggia neanche quando danneggiano l’auto di sua moglie e il 15 giugno del 2010, insieme al sindacato e a Susanna Camusso organizzano un’occupazione simbolica del feudo. (raccontata da Narcomafie nel numero di Giugno del 2010)
La lugubre monotonia delle minacce non cessa e ad agosto ha modo di raggiungere una delle sue vette creative. La composizione è poliedrica: i soliti due proiettili con la scritta “ questi sono veri e bastano per farvi stare zitti per sempre”; una foto di Lumia, con una croce disegnata sopra e l’epitaffio “Morte a Lumia e a Liarda”; infine un’immagine di Falcone e Borsellino accompagnata dalla dedica “Non siete così importanti ma solo mezze cannucce (sic) ma vi finirà peggio di loro”. Non fosse chiaro il messaggio, 5 giorni dopo gli tagliano 9 ulivi nella campagna che possiede appena fuori Polizzi. Meglio abbondare, come si suol dire.
E’ a questo punto che il ministro Maroni decide di assegnargli la scorta. La presenza di due carabinieri del luogo, 24 ore su 24, fa praticamente cessare le intimidazioni. L’ultima lettera è del 25 Novembre. Intanto, pur tra mille intoppi burocratici, nel marzo 2011 si raggiunge un accordo con Unicredit per l’estinzione dell’ipoteca, che grava sul feudo, a 440 mila euro. La vicenda viene considerata risolta. Il pericolo svanito. E dall’oggi al domani, con una breve comunicazione ufficiale, gli viene tolta quella scorta che, secondo V.M., gli era stata concessa “sull’onda dell’emotività”. Vincenzo non si lamenta. Forse vorrebbe, ma non può farlo. E’ un uomo delle istituzioni e “nella vicenda di Verbumcaudo – dice – lo Stato ha fatto tutto quello che doveva, scongiurando la vendita del bene”. Ma non appena viene revocata la misura protettiva, il 15 aprile, negli uffici del Senato viene recapitato a mano quello che è forse il messaggio più preoccupate: “Voi ci avete tolto la terra, noi vi toglieremo la vita. Non abbiamo premura, il tempo è nostro amico. Finirà questa attenzione e voi siete soli e morti pezzi di m… Viva la mafia”.
Questo il contesto in cui il Giornale di Sicilia invita a “leggere’ bene anche l’ultimo episodio … per capire cosa si nasconde dietro questa lunga scia di attentati. E se … c’è veramente la mano della mafia o qualcos’altro”. Don Basilio docet.
Narcomafie, giugno 2011

Deputati ma anche sindaci: così l'Ars sfida la Consulta

L'Assemblea regionale siciliana
di EMANUELE LAURIA
L'Ars dei doppi incarichi. Sei deputati ricoprono anche la carica di sindaco o assessore nei Comuni con più di 20 mila abitanti. La Corte Costituzionale ha sancito l'incompatibilità ma, in attesa dell'esito dei ricorsi nei tribunali, i parlamentari interessati (Buzzanca, Federico, Nicotra, Dina, Caputo e Caronia) restano in carica. L'Assemblea non ha battuto ciglio, anche se ora potrebbe sancire la decadenza di chi non esercita l'opzione
La bocciatura, solenne, l'ha già decretata la Corte Costituzionale. Ma è stata come un fendente nel vuoto, per l'Ars dei doppi incarichi. Il parlamento siciliano è rimasto insensibile nei confronti di una sentenza che, da 14 mesi, bolla come "incompatibili" sei deputati regionali che rivestono anche ruoli di vertice in grandi amministrazioni locali: Giuseppe Buzzanca (sindaco di Messina), Raffaele Nicotra (sindaco di Acicatena), Giuseppe Federico (presidente della Provincia di Caltanissetta), Marianna Caronia (vicesindaco di Palermo), Salvino Caputo e Nino Dina (rispettivamente vicesindaco e assessore di Monreale).
Secondo i giudici della Consulta questi parlamentari hanno l'obbligo di optare per una sola delle due cariche ricoperte, perché è illegittima la legge regionale che "non prevede l'incompatibilità fra l'ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco o assessore di un Comune con più di 20 mila abitanti". Ma tutti sono rimasti al loro posto, ciascuno aggrappato all'uno e all'altro seggio. Mantengono lo stipendio da parlamentare (non meno di 19 mila euro lordi al mese) e i benefit legati alla carica di amministratore di un ente locale (autoblù, uffici di segreteria, rimborsi).
Insomma, dentro Palazzo dei Nomanni fieramente resiste un fronte trasversale (Nicotra è dell'Udc, Federico dell'Mpa, gli altri del centrodestra) che gode di privilegi esistenti esclusivamente in Sicilia: soltanto nell'Isola, infatti, c'è una norma che prevede la compatibilità fra i due ruoli. E solo a Sud dello Stretto l'obbligo di un'opzione scatta dopo una sentenza di terzo grado, in virtù di una "leggina" varata nel marzo del 2009 e finita anch'essa al vaglio della Corte Costituzionale. Nel frattempo i tribunali hanno cominciato a pronunciarsi: quello di Messina il 17 novembre del 2010 ha esaminato il caso di Buzzanca, dichiarando l'incompatibilità del sindaco-onorevole.
I "re" dei doppi incarichi non mollano. Potrebbe detronizzarli la commissione verifica poteri dell'Ars che però ha deciso di attendere l'iter dei ricorsi giudiziari nei tribunali civili. E l'avvocato Antonio Catalioto rivela quello che per molti è un segreto di Pulcinella: "I deputati con il doppio incarico promuovono, attraverso qualche prestanome, ricorsi contro la loro stessa elezione all'Ars, per impedire alla commissione di pronunciarsi". L'Avvocatura dello Stato, di recente, ha espresso qualche dubbio sul comportamento della commissione. Che, infatti, si appresta a chiedere un altro parere per stabilire se muoversi autonomamente, a prescindere dall'esito dei ricorsi. L'organismo potrebbe esprimersi in primo luogo sull'incompatibilità di Buzzanca. Poi la parola tornerebbe all'Aula.
Una svolta che scuote il Parlamento dei todos caballeros, dove quasi due terzi dei deputati hanno un incarico aggiuntivo dentro il Palazzo e non ne disdegnano altri fuori. Legittimi o meno. Perché ci sono parlamentari che guidano Comuni più piccoli: Cateno De Luca di Sicilia Vera (primo cittadino di Fiumedinisi), Giovanni Panepinto del Pd (sindaco di Bivona), e il neo-onorevole Giuseppe Sulsenti dell'Mpa (Pozzallo). E ci sono colleghi che fanno "solo" i consiglieri ma in Comuni grandi come Palermo: Alberto Campagna (Pdl), Davide Faraone (Pd), Giovanni Greco (misto). In questo caso non c'è una legge che sancisce l'incompatibilità. Ma il dibattito sull'opportunità del doppio incarico è aperto anche per loro.
La Repubblica-Palermo, 25.6.2011

sabato 25 giugno 2011

CI SCRIVONO. Buon compleanno al circolo Arci "20 Gennaio" di Caltavuturo

Antonino Musca
di Antonino Musca*
Un anno è appena trascorso dalla fondazione del Circolo Arci “20 Gennaio”. Dopo tante ostacoli e mille difficoltà siamo riusciti a spegnere la nostra prima candelina. Un anno intenso, ricco di avventure ed esperienze. Un anno in cui abbiamo seminato tanto, ci siamo spesi per la nostra comunità, cercando di lavorare con tenacia e passione, ma avendo sempre presenti i nostri ideali e i punti di riferimento.

Tanto abbiamo fatto, soprattutto dal punto di vista sociale e culturale. Ma la strada è ancora lunga e il percorso è tortuoso. Il nostro impegno continuerà sempre in questa direzione, cercando di contrastare l’indifferenza generale, il parassitismo e la rassegnazione giovanile trasmettendo valori ed entusiasmo per cui vale la pena spendersi. In questi mesi abbiamo cercato di radicarci nella società caltavuturese e nell’opaco contesto associativo. Certamente nel corso di quest’anno abbiamo commesso degli errori su cui abbiamo già rimediato o stiamo cercando di rimediare, errori frutto dell’inesperienza e della nostra giovane età. Ci siamo posti l’obiettivo di essere un posto ricreativo, un centro culturale, d’incontro e di discussione, ma sotto questo punto di vista scontiamo ancora pregiudizi ideologici che ancora molti hanno sulla nostra associazione. Durante il nostro percorso abbiamo incontrato tanta gente che si è avvicinata al nostro circolo perché incuriosita dalle nostre attività o stimolata dalla bellezza dell’impegno sociale, ma abbiamo avuto anche delle perdite di compagni di viaggio che hanno deciso di allontanarsi e scegliere altri percorsi.
In questo lungo anno tante sono state le iniziative che il circolo ha organizzato. Dalla festa di presentazione dell’associazione, alla mostra su Pio La Torre nei locali del Museo Civico, alla creazione del presidio di Libera intitolandolo a Epifanio Li Puma, alle tante iniziative contro la privatizzazione dell’acqua, per sostenere il referendum, e ai sit-in di informazione contro il nucleare, all’iniziativa sui migranti, ricordando in quell’occasione la figura dell’attivista Vittorio Arrigoni, ai tanti banchetti di raccolta firme per sostenere la campagna di Libera contro la corruzione, all’annuale raccolta di giocattoli e vestiti in favore della comunità di Biagio Conte a Palermo, alla vendita delle uova di pasqua dell’AIL, ai tornei di scacchi e x box, e per finire ai tanti numeri del nostro giornalino. Tante iniziative che abbiamo elaborato in questo anno, ma sicuramente uno degli obiettivi che abbiamo maggiormente raggiunto è stato quello di riaccendere i riflettori sui fatti della strage del 20 gennaio, ai quali martiri avevamo intestato il nome del nostro circolo. Il 20 gennaio scorso il nostro circolo, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, con l’ANPI e LIBERA, si è fatto carico di organizzare un intera giornata di riabilitazione di quella data, facendola ritornare così nel calendario di tutti i Caltavuturesi.
Questo è stato il nostro Circolo Arci. Siamo tanto fieri ed orgogliosi di aver dato vita a questa realtà, che con il passare del tempo, è riconosciuta anche a livello provinciale e regionale, ricevendo attestasti di stima da molte associazioni ed enti per il nostro lavoro. Sappiamo benissimo che la strada sarà ancora lunga e il percorso tortuoso, ma continueremo a lavorare con serietà e costanza, come abbiamo sempre fatto in questo anno, sempre più convinti e determinati per la nostra strada.
* Presidente Circolo Arci "20 Gennaio" Caltavuturo

mercoledì 22 giugno 2011

"Sulla strada per Corleone": intervista alla giornalista tedesca Petra Reski

La mafia esiste ormai da decenni ormai anche nel Nord d’Italia, lo racconta Giulio Cavalli in “Nomi, cognomi e infami”, ma non è di certo il punto più a nord dove scovarne le tracce. La mafia esiste anche in Germania, lo dice ormai da anni nei suoi libri Petra Reski, giornalista tedesca ormai di stanza a Venezia, che per questo motivo è stata più volte minacciata. Con il suo “Sulla strada per Corleone” ci narra il suo viaggio da Kamen fino in Sicilia, a vent’anni di distanza dalla prima volta. L’abbiamo intervistata per farci dire qualcosa in più sul suo libro.
Ciao Petra. Ti aspettavi una traduzione italiana del libro?
Visto che esistono già tanti buoni libri italiani sulla mafia, lo considero come un grande onore per me che sono tedesca. Ne sono particolarmente felice, anche perché così non devo più spiegare ai miei amici italiani di cosa tratta “Sulla strada per Corleone”. Lo possono leggere e questo è formidabile!

“Sulla strada per Corleone” è un’inchiesta ma allo stesso tempo un reportage di viaggio. Da Kamen, Germania, a Corleone, in Sicilia, per un totale di 2448 chilometri, vent’anni dopo lo stesso identico viaggio. Perché?
Ho fatto questo viaggio per la prima volta a vent’anni su una vecchia Renault 4 solo perché avevo letto “Il Padrino”. Era il mio primo viaggio in Italia, con un forte impulso folcloristico. Dell’Italia mi interessava solo la mafia, o meglio quello che io ritenevo fosse la mafia. Ero partita da Kamen, la cittadina della Ruhr dove sono cresciuta, con il mio fidanzato - che non era molto entusiasta di andare con me dritto fino a Corleone. Adesso, dopo quasi vent’anni che ho scritto sulla mafia per la stampa tedesca, ho ritenuto opportuno di fare questo viaggio di nuovo per far capire ai tedeschi che la mafia non si trova solo nel cosiddetto arretrato sud dell’Italia, ma anche nella prosperosa Germania, dove vive da quarant’anni. E poi mi piaceva l’idea di descrivere la mafia in un racconto di viaggio, attraversando i due paesi su una spider.

La mafia esiste anche in Germania, ma il fenomeno, da quello che racconti nel libro, pare molto sottovalutato dalle istituzioni tedesche. Perché?
La mafia non è sottovalutata dalle istituzioni tedesche, ma soprattutto dalla politica tedesca. Anzi, i poliziotti e i magistrati sono frustrati perché non hanno leggi adeguate a disposizione per indagare con efficienza e criticano la politica per questo. E poi la mafia viene sottovalutata anche dai mass-media tedeschi. Quando si parla di mafia, si parla sempre dell’Italia, ma quasi mai delle attività di essa in Germania. Vista la mancata informazione, i cittadini tedeschi non si rendono conto della presenza dei mafiosi italiani in Germania e di conseguenza i politici non sentono la necessità di impegnarsi in questo senso. A parte la strage di Duisburg, che viene considerata dagli stessi mafiosi un incidente di percorso, non ci sono morti. E quando non ci sono morti si tende a pensare che la mafia non esiste, così come in Italia.

Nel tuo libro dici che la Germania rappresenta un autentico Eldorado per la mafia. Ci spieghi il perché?
E’ vietato intercettare sia nelle case private che nei luoghi pubblici. Il riciclaggio è un gioco da bambini, perché la polizia deve dimostrare che i soldi investiti sono di origini mafiosa - e non l’investore. Anzi, se lui dice: “questi soldi sono stati un regalo del mio zio in Calabria”, l’indagine per riciclaggio è finita. L’associazione mafiosa, come viene interpretata nel codice penale italiano nel 416 bis, non esiste in Germania, esiste solo associazione a delinquere, con una pena massima di cinque anni. La confisca dei beni è possibile solo se c’è una sentenza definitiva per associazione mafiosa in Italia. Visto che i mafiosi attivi in Germania ci vivono spesso da decenni, non hanno precedenti in Italia, almeno non per associazione mafiosa. E’ un circolo vizioso.

Dopo la strage di Duisburg è cambiato qualcosa in Germania?
Purtroppo non è cambiato niente. Nessuna legge, nessun provvedimento, neanche un minimo di interesse da parte di un politico di rilievo. Come diceva il magistrato Nicola Gratteri: “Mi aspettavo che scoppiasse la terza guerra mondiale, invece niente”. Superato il primo duro colpo, ovvero di scoprire la mafia a casa in Germania, i tedeschi cominciavano a prendere le distanze - parlavano di “cittadini italiani che avevano ammazzato altri cittadini italiani”. Il solito processo di rimozione. La mafia sono sempre gli altri. Oggi, la strage di Duisburg viene considerata dai tedeschi come un delitto risolto. I killer sono stati arrestati, e con questi arresti la mafia in Germania sarebbe finita.

E invece vent’anni dopo la Sicilia mafiosa dove sei tornata com’è cambiata? In cosa è cambiata la mafia negli ultimi 30 anni?
E’ diventata in parte più invisibile, almeno dopo le stragi, ma per il resto è trionfante come prima. Tra l’altro, trovo incredibile che ancora oggi i retroscena delle stragi non siano stati chiariti del tutto. Negli ultimi vent’anni, la mafia ha recuperato alla grande tutto ciò che aveva perso, soprattutto il consenso politico e sociale. Questo è drammatico. Non solo per la Sicilia, ma per l’Italia. Anzi direi per l’Europa. Perché finché non c’è una volontà politica comune nel Vecchio Continente per combattere la mafia, l’Italia non ce la può fare da sola.

Tu non hai scritto solo di mafia. Credi che il modo estremamente narrativo in cui sono realizzate le tue inchieste può far sì che anche lettori che non leggerebbero mai di mafia si possano avvicinare a questo argomento?
Sono giornalista e scrittrice e per questo ho mantenuto il mio stile narrativo anche nei miei libri di inchiesta sulla mafia. In Germania sono sempre felice di scoprire che ci sono lettori che mi seguono con grande fedeltà ovunque. Leggono i miei libri sulla mafia, come hanno letto i miei libri sulla mia famiglia o sulla vita in Italia. Vorrei far capire cos’è la mafia a tutti lettori, non solo agli addetti di lavoro. Deve essere anche un piacere di lettura. Ci vuole anche l’ironia.

martedì 21 giugno 2011

Corleone, i campi di lavoro antimafia già in piena attività. In visita a Telejato e alla Casa Memoria di Cinisi

Nella sede di Telejato a Partinico
Stamattina come sempre due di noi sono rimasti in sede per prendersi cura delle pulizie di casa,mentre gli altri sono tornati nei campi di vite. Questa volta però avevano un compito differente dalle precedenti volte e cioè quello di misurare con minuziosa precisione il terreno per poter impiantare i paletti. 
Subito dopo pranzo siamo partiti convinti di andare a visitare la casa di Peppino Impastato,ed invece...SORPRESA!ci siamo ritrovati catapultati nello studio di TELEJATO!!! Dopo una particolare accoglienza dataci da Pino Maniaci siamo diventati i protagonisti del Tg: daltronde uno degli scopi del progetto di cui facciamo parte è proprio quello di essere noi i veri protagonisti della storia!!!Dopo che ognuno di noi aveva annunciato una notizia davanti a tre telecamere e macchinette fotografiche puntateci addosso,storditi ma curiosi e soddisfatti ci siamo posti in una dimensione di ascolto. Infatti Maniaci ha iniziato a raccontarci la sua storia,a presentarci la sua vita molto difficile,piena di vittorie e speranza per un mondo migliore. Ci ha fatto vedere alcuni servizi fatti da suo figlio e un trailer del film che vogliono fare proprio su Telejato. Ha cercato di spronarci dicendoci di aprire gli occhi,di stare attenti,di osservare e cercare di portare avanti i nostri ideali.
Nella Casa Memoria "Felicia e Peppino Impastato"
Dopodiché hanno intervistato tre di noi per approfondire gli sviluppi del campo lasciandoci liberi di esprimere le nostre impressioni generali. Maniaci ci ha fatto capire quanto la sua vita sia drasticamente mutata attraverso i suoi racconti che noi abbiamo ascoltato con grande interesse e partecipazione e anche con la sola notizia che la scorta lo stava attendendo nella strada per tornare a casa. E' un uomo forte,che intende portare avanti ciò che pensa,lo fa senza ombra di paura perchè crede nella giustizia,nella democrazia e nella libertà di pensiero,pur essendo stato minacciato più volte e aver subito anche un'aggressione,continua imperterrito nella sua attività con suo figlio e sua moglie accanto:una "gestione familiare"come dice lui.
Dopo questa emozionante esperienza ci siamo finalmente diretti verso la casa di Impastato dove ci ha accolto il fratello Giovanni. La casa si presenta in modo curioso,il muro all'ingresso è tappezzato da quadri che ricostruiscono la storia di Peppino.L'abitazione è aperta a chi desidera visitarla proprio per far toccare con mano ciò che Impastato credeva e sosteneva. Durante la sua testimonianza, il fratello ha fatto intuire la difficoltà con cui cercava di trasmettere a noi i nobili ideali a cui Peppino auspicava:era un uomo che credeva realmente in ciò che diceva,nonostante le varie difficoltà a cui è dovuto andare incontro come lo zio Cesare Manzella,grande boss mafioso,portava avanti i suoi ideali grazie anche a radio aut con cui è riuscito ad entrare nelle case delle persone con grande facilità.Ha però pagato caro le sue scelte,vista la sua crudele morte.
In seguito lungo la strada di ritorno ci siamo fermati a Cala Rossa,per poter riflettere sulle parole ascoltate nel primo pomeriggio,goderci ed ammirare il panorama:15 metri a picco sull'immensità del mare! Dopo cena siamo usciti per le vie di Corleone in una visita guidata presso i luoghi più simbolici per quanto concerne la mafia. Dopo aver percorso passo passo le tappe della vita di Placido Rizzotto siamo tornati nella nostra umile dimora,stanchi ma felici.è stata una giornata davvero piena di nozioni che ancora dobbiamo bene assimilare ma che sono state davvero utili ed interessanti. Esperienze uniche in luoghi quasi irreali! Baci baci e alla prossima puntata!
nicco e chià G

lunedì 20 giugno 2011

Rassegna libri-liberi: il programma

Da oggi a Palermo il Sicilia Queer filmfest, il primo festival cinematografico internazionale di cinema d'autore a tematica GLBT


Il trailer di Roberta Torre
Prende il via a Palermo, lunedì 20 giugno 2011 il Sicilia Queer filmfest, il primo festival cinematografico internazionale di cinema d'autore a tematica GLBT (gay, lesbica, bisex e transgender) realizzato al sud d’Italia.
Da lunedì 20 a domenica 26 giugno, il festival presenterà un ricco programma di anteprime cinematografiche nazionali e internazionali, opere prime, documentari, cortometraggi, autori, registi, produttori cinematografici, star del cinema, direttori di festival. Un mondo queer. E queer è la parola chiave, un vocabolo controverso mutuato dall’inglese, poco conosciuto ai più, e usato in passato per bollare dispregiativamente gli omosessuali. Ma che negli anni è andato incontro a una trasformazione semantica: da insulto a sinonimo di ricchezza della diversità e di complessità di sguardo. Qualcuno lo ha definito, in modo originale, suggestivo ed efficace, un termine “insaturo”. Per noi questo termine è applicabile anche in ambito cinematografico, a sottolineare una scelta di campo stilistica e poetica e la volontà di sperimentare nuovi linguaggi e nuovi generi, con occhi diversi. Ed è questo, appunto, il sottotitolo del festival: con occhi diversi, la dedica che esprime il filo conduttore del programma ideato da Alessandro Rais, critico cinematografico e direttore artistico. Al suo fianco una squadra di professionisti del cinema e della cultura: a partire da Titti De Simone, presidente del festival, a Silvia Scerrino, direttrice organizzativa; da Silvia Antosa, studiosa del pensiero queer, a Giovanni Lo Monaco, curatore della sezione pedagogica; e ancora Frine Marchese ed Emanuela Di Patti con l’associazione Kleis, l’associazione culturale ‘Nzocché, l’Exit drinks di Gaetano Marchese, e una costellazione di altre associazioni e di volontari che anche attraverso il mezzo audiovisivo si propongono di promuovere il contrasto alla discriminazione sociale, di diffondere la cultura della diversità (di orientamento sessuale, di pensiero, di modi di vivere, etc.) e una maggiore presa di coscienza dell´apporto positivo legato alle differenze.
Il Goethe-Institut Palermo, il Centre Culturel Français de Palerme et de Sicilie, e l’Istituto Cervantes hanno assicurato al festival la loro collaborazione anche progettuale, tanto più preziosa in assenza di qualunque altro sostegno da parte delle Istituzioni pubbliche: il festival conta esclusivamente sul lavoro volontario dei professionisti che hanno deciso di aderirvi.
La prima edizione del SICILIA QUEER filmfest, comprende una sezione competitiva (Concorso internazionale di cortometraggi) con 20 opere in gara provenienti da Italia, Francia, Belgio, Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada, Brasile, Puerto Rico e Singapore.
A questa si aggiunge un fitto programma di film d'autore (vedi allegato), che proporrà, ogni giorno, dalle 16.00 alle 24.00 al Cinema Rouge et noir (Piazza Verdi) e l’ultimo giorno al Cinema Edison (Piazza Colajanni all’Albergheria), anteprime nazionali e internazionali di opere non esclusivamente riconducibili all’immaginario GLBT.
La serata inaugurale, lunedì 20 alle 21.00, sarà presentata e diretta da Filippo Luna così come la serata di premiazione del concorso, sabato 25, vedrà la partecipazione straordinaria di Maria Grazia Cucinotta in veste di madrina.
Tra gli ospiti d’eccezione del Sicilia Queer filmfest, anche Luca Guadagnino (mercoledì 22), regista di Io sono l’amore, unico film italiano ad avere ottenuto una nomination agli Oscar 2010, Vincent Dieutre, regista francese di culto che si appresta a girare in Sicilia il suo nuovo film. Ma anche Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, registi e sceneggiatori del cortometraggio italiano più premiato nel 2010, Rita, presentato a Cannes alla “Semaine de la Critique” già vincitore tra gli altri del Bratislava International Film Festival, del Festival Internazionale di Las Palmas in Gran Canaria, del Festival d’Angers Premiers Plans e del Premio alla regia all’Aspen Shortfest. E ancora Giovanni Minerba, fondatore del più longevo tra i festival italiani a tematica GLBT, quello di Torino.
La sigla-trailer del festival è firmata da Roberta Torre, che la sta girando in questi giorni a Palermo anche con attori non professionisti. La Torre sarà tra i membri della Giuria internazionale composta anche da Kéja Ho Kramer (regista), Giulio Spatola (filmaker), Giovanni Pellegrini (videomaker , studente del CSC di Palermo) e presieduta da Wieland Speck (direttore della sezione Panorama del Festival internazionale del cinema di Berlino).
A Speck il Sicilia Queer filmfest consegnerà, giovedì 24, il Premio Nino Gennaro istituito in memoria del poeta, autore, attore, regista corleonese scomparso, che mise la sua omosessualità al centro del suo attivismo politico e della sua raffinata produzione intellettuale.
Nel corso della settimana tre appuntamenti con “Letterature Queer”, a cura di Silvia Antosa e Titti De Simone, dedicati all’approfondimento del concetto di queer attraverso l’analisi di alcuni dei principali testi teorici di riferimento.
E per concludere, due mostre fotografiche: Under my skin di Emanuela Di Patti, a partire dall’11 giugno a L’isola Galleria in via della Ventriera, e Una Historia Verdadera di David Trullo, in collaborazione con il Cervantes, nella Chiesa di Sant’Eulalia dei Catalani alla Vucciria. Quest’ultima mostra fa parte del ricco programma di iniziative promosse e realizzate dal Sicilia Queer filmfest, da novembre 2010 a maggio 2011, che hanno segnato un intenso percorso di avvicinamento alla sua realizzazione.
Queer Party finale al Rise Up (sabato 25, a partire dalla mezzanotte ) a cura di Gaetano Marchese dell’Exit Drinks, Guest Dj: Nunzio Da Vinci.
Abbonamenti e ingressi ridotti per i possessori della Queer Card.
http://www.siciliaqueerfilmfest.it
LEGGI TUTTO IL PROGRAMMA
Ufficio stampa Giovannella Brancato m 340 8334979 giobrancato@tiscali.it
Ufficio stampa TV e Radio Giulia Noera m 320 2693719 gn_fidelio@yahoo.it

Trapani, liceo "Fardella", 18 maggio 2011: "La storia siamo noi..."

L'intervento di uno studente
di Francesca Naso
La Sicilia dei coraggiosi e degli onesti nelle parole e nella persona di Dino Paternostro: un incontro particolare in una scuola particolare

La Sicilia … una terra martoriata da uomini vigliacchi che nel guardarsi allo specchio vedono riflessi degli esseri privi di qualsiasi valore e che cercano di conquistarli “cu coppuli e lupari” ma anche isola il cui lustro si deve a uomini coraggiosi, onesti, con valori veri, autentici, che hanno urlato forte il loro disgusto per la criminalità organizzata. Uomini che hanno amato la bellezza effimera del profumo di zagara, il rumore delle onde spumeggianti che si infrangono contro le insenature frastagliate, il gusto della granita appena fatta, di un pugno di sabbia bianchissima che scivola via dalle mani. Hanno amato. Non si sono soffermati ad osservare gli sbagli, i difetti della Trinacria facendo loro il motto di Paolo Borsellino “ il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”. Loro hanno cambiato ciò che non andava bene, non gli è stata data la possibilità di terminare la loro opera ma il seme che hanno sparso ha scosso le menti anestetizzate di chi credeva che la mafia non si può combattere e quindi vincere, hanno fatto si che molti gridassero con forza che la mafia fa schifo! Di solito si ricordano solo i nomi dei grandi, di chi accompagnato dal lustro del proprio cognome si è battuto in prima linea contro la mafia e non di chi come Bernardino Verro, semplice ed umile contadino ha compattato la gente della sua generazione per “costruire l’antimafia", per dire no alle angherie, alla sottomissione, a nascondere la testa sotto la sabbia. Guardando al presente possiamo invece osservare che gli uomini che hanno coraggio, sono onesti non mancano. Un nome fra tanti è Dino Paternostro, giornalista e sindacalista di Corleone che con il giornalismo, nonostante numerose intimidazioni vuol completare l’opera iniziata un po’ di anni fa ed assistere alla sconfitta definitiva della mafia. Non è semplice abbattere la mafia soprattutto perché la mentalità mafiosa è radicata così tanto che checché se ne dica aleggia in tutti gli ambienti che frequentiamo. Ciò che a noi siciliani spesso manca è l’audacia di rischiare, di lasciare il certo per l’incerto, di avere il coraggio delle nostre azioni e così preferiamo scappare, come se lasciare la terra natia possa cambiare le cose o addirittura cancellare il nostro senso di colpa. Oggi io da quindicenne siciliana ho capito che odiare la mia terra sognando l’evasione è inutile perché anche grazie a me, al mio contributo, all’audacia e alla spensieratezza di adolescente posso contribuire alla gioia di vedere sorridere la mia isola, sentire il suo cuore battere all’unisono col mio, di sentir dire in qualsiasi parte del mondo che i siciliani non sono mafiosi … ecco quello che ho appreso in quel particolare incontro con Dino Paternostro. Così un giorno sorrideremo e saremo i padroni del mondo!
Questi miei pensieri trasferiti su "carta" sono un modo per dirle grazie per tutto quello che è riuscito a donarci in poco più di due ore in termini di valori ed umanità.
Arrivederci
Francesca Naso

PD-SICILIA: DOV’E’ LA VITTORIA?

Palazzo dei Normanni
di Agostino Spataro
Siamo alle solite. Anche i risultati della recente, modesta tornata elettorale amministrativa diventano oggetto di un’assurda pretesa secondo cui tutti hanno vinto e nessuno ha perduto. Addirittura, taluni fanno discendere da questi “trionfi” i destini politici della Sicilia e dell’Italia. Riproponendo, cioè, l’idea logora del “laboratorio politico siciliano” che, quando ha funzionato, ha provocato solo guasti e deteriori trasformismi. Analisi affrettate, enfatiche che non vedono quel che c’è dietro la vittoria di taluni sindaci: solo il trionfo delle ammucchiate e dei cambi di casacca last-minute.
Dov’è la vittoria? Viene da chiedersi, mutuando l’interrogativo fatale dell’inno di Mameli.
Chi vince e che cosa? per se stessi o per il progresso delle città e delle popolazioni?
La situazione è davvero eccezionale. I centri storici crollano, i servizi erogati sono i più costosi d’Italia e della peggiore qualità, il clientelismo dilaga e soffoca l’amministrazione.
Per un sindaco che “vince”vi sono migliaia di giovani, e non solo, che perdono persino la speranza di trovare un’occupazione degna e scappano dai nostri paesi e città perché non ci sono lavoro, servizi efficienti, equità di diritti e di doveri.
La Sicilia- come ha detto nei giorni scorsi Vincenzo Consolo- è sotto sequestro, ostaggio delle congreghe del suo sistema di potere politico e malavitoso.
Perciò, qui la vera sfida non è sconfiggere l’avversario di turno, ma questo sistema di potere opprimente, la disperazione, i problemi drammatici che la gente vive.
Nessuno vince, per davvero, se l’Isola continua a perdere opportunità, credibilità, finanziamenti, a precipitare nel fondo di tutte le statistiche sociali ed economiche.
Questo è il punto politico, e anche morale, da cui partire per valutare il risultato elettorale e l’esperienza degli ultimi anni alla regione, per re-impostare un progetto di riforme vere (non soltanto sbandierate, come quelle di Lombardo) e favorire l’affermazione di una nuova classe dirigente.
Ma vediamo di esaminare i quesiti posti sulla base dei risultati disponibili e relativi alle liste dei consiglieri nei centri superiori ai diecimila abitanti che, a differenza del voto per i sindaci, rendono di più il grado di consenso ai partiti.
Come previsto, dal voto non è emersa una linea divisoria netta fra il fronte che sostiene Lombardo e suoi oppositori. Nemmeno per i sindaci. In diversi casi (Favara, Porto Empedocle, Ragusa, ecc) gli schieramenti si sono talmente mischiati, centrifugati da risultare irriconoscibili.
L’unica cosa certa è che i berlusconiani siciliani (ormai ridottisi ad una grossa corrente guidata dal duo Alfano- Schifano) non hanno avuto la maggioranza dei sindaci.
Da notare, a proposito delle teorie sul terzo polo, che a Favara hanno vinto solo grazie al sostegno del MpA.
Per il resto, non è più un’impresa ardua battere questo PdL in evidente affanno, diviso, incerto e segnato da fughe anche clamorose. Come quella in atto dell’on. Miccichè il quale è disposto, contraddicendo i suoi ripetuti giuramenti, a realizzare accordi anche col diavolo ossia col PD. In qualche comune operativi, da anni.
Certo, il “terzo polo” siciliano (così inquieto, erratico e indefinito) esce rafforzato dalle elezioni. A danno di chi? Secondo i dati, a danno del PdL e, molto di più, del PD come si nota in diversi centri importanti, anche a forte insediamento elettorale di sinistra, dove il crollo del PD è drammatico.
In alcuni, addirittura, ha rischiato di sparire dai consigli comunali o si è ritrovato con percentuali a una sola cifra.
Dov’è, dunque, la vittoria?
Per averne un’idea, basta guardare le percentuali delle liste PD nel 2011 confrontate con quelle delle regionali del 2008 che sono il dato più vicino. Il confronto è improprio, ma è un po’ obbligato giacché nelle precedenti comunali il Pd non esisteva. In ogni caso, da il senso di una caduta davvero preoccupante.
Ecco alcuni esempi: Canicattì: 8,7% nel 2011 (contro il 19% 2008); Porto Empedocle: 6,4% (16,6%); Favara: 8,3% (18,8%); Capo D’Orlando: 6,1% ( 27%); Lentini: 13% ( 28,7%): Campobello di Mazara: 12,8% ( 48,4%).
Nella decantata vittoria di Bagheria le due liste (già questa divisione non è indice di buona salute) del PD ottengono insieme l’11,7% (contro il 21,4% ). E via di questo passo.
(fonte: Assessorato alla famiglia, Regione siciliana)
Se questa è una vittoria, meglio starne alla larga per evitare la caduta massi.
Chi ha a cuore le sorti del PD, del centro sinistra non può essere medico pietoso, ma ha il dovere di parlare chiaro e denunciare l’allarmante tendenza e provvedere di conseguenza.
Da tempo, si attende un chiarimento di fondo, la verifica delle “alleanze” alla regione e in tanti enti locali.
La fine dell’appoggio del PD a Lombardo può aiutare a sanare il contrasto interno e a recuperare una linea politica autonoma del partito, per aggregare uno schieramento ampio e vincente alla regione.
Tutto ciò a prescindere dalla questione giudiziaria che pende sul governatore che è solo aggiuntiva, come abbiamo sempre scritto.
Agostino Spataro
* pubblicato, con altro titolo, in “La Repubblica” del 18 giugno 2011.

RIFLESSIONI SU MAFIA E FASCISMO

Cesare Mori, il "prefetto di ferro"
di ANGELO DONATELLI

Cosa nostra è un sistema economico-criminale organizzato sul territorio con una struttura gerarchico-militare che fa della violenza, della capacità di intimidazione soltanto uno strumento per accumulare ricchezze e incrementare il proprio potere. A questo scopo elabora strategie verso l’esterno, stringendo alleanze con pezzi della società ove agisce, intessendo una rete di relazioni, fino a connettersi con ambienti e soggetti del potere legale. È proprio questo modo di essere che distingue la mafia dalle altre organizzazioni criminali e che le ha garantito l’impunità e ha favorito, nel tempo, il ricambio dei suoi quadri.
La struttura gerarchico-militare di Cosa Nostra ha subìto duri colpi, tuttavia essa non è vinta perché la mafia è molto più della sua struttura gerarchico-militare. Per combatterla ci si deve sforzare anche di conoscerla, di scoprire dietro il boss catturato, la rete di relazioni, scambi e complicità di cui ha goduto e su cui ha costruito la sua forza.
In tal senso si colloca il processo di osmosi tra organizzazione criminale e potere legale che trova il suo anello di congiunzione nella società civile ma anche nelle sue strutture istituzionali come politici, professionisti, funzionari pubblici.
Combattere la struttura della mafia attraverso la cattura dei suoi componenti tralasciando le relazioni che Cosa nostra ha col potere legale è un grave sbaglio.
Il primo esempio di lotta in tal senso si ha nel periodo fascista, con tutti i caratteri peculiari che una lotta fascio-mafiosa può avere.
L’INIZIO
Il fascismo iniziò una campagna contro i mafiosi siciliani subìto dopo la prima visita di Mussolini in Sicilia nel maggio del 1924. Il 2 giugno dello stesso anno venne inviato in Sicilia Cesare Mori, prima come prefetto di Trapani, poi a Palermo dall’ottobre 1925, soprannominato il Prefetto di ferro, con l'incarico di sradicare la mafia con qualsiasi mezzo.
L'azione del Mori fu dura ed efficace. Centinaia e centinaia furono gli uomini arrestati e finalmente condannati. Celebre è l'assedio di Gangi in cui Mori assediò per quattro mesi il centro cittadino, in quanto esso era considerato una delle roccaforti mafiose. Durante l'assedio, i metodi attuati furono particolarmente duri e Mori non esitò ad usare donne e bambini come ostaggi per costringere i malavitosi ad arrendersi. In questa operazione venne arrestato il boss Vito Cascio Ferro.
Dopo alcuni arresti eclatanti di capimafia, anche i vertici di Cosa nostra non si sentivano più al sicuro e scelsero due vie per salvarsi: una parte emigrò negli USA, andando ad ingrossare le fila di Cosa nostra americana, mentre un'altra restò in disparte.
La propaganda fascista dichiara orgogliosa che la mafia è stata sconfitta: tuttavia l'attività di Mori e del procuratore generale Giampietro aveva avuto drastici effetti soltanto su figure di secondo piano, lasciando in parte intatta la cosiddetta "cupola" (composta da notabili, latifondisti e politici).
LA SVOLTA
Il "prefetto di ferro aveva svolto un importante attacco alla struttura gerarchico-militare a Cosa nostra ma capì molto presto che le indagini dovevano essere svolte anche tra gli ambienti a prima vista estranei, come potevano essere gli ambienti politici di quel tempo. Scoprì così collegamenti mafiosi con personalità di spicco del fascismo come Alfredo Cucco, che fu espulso dal PNF, e Antonino Di Giorgio. Tuttavia l’accusa di mafia in entrambi i casi venne avanzata, si scoprirà più tardi, solo per compiere vendette e colpire individui che nulla c'entravano con la mafia; mafia che invece da questo apparente indebolimento, ne trasse beneficio riuscendo, dopo l’espulsione di Cucco dal PNF, a insediare in quest’ultimo dei latifondisti dell'Isola che erano vere personalità colluse e contigue alla mafia.
I veri mafiosi che erano anche membri del PNF avevano infatti il favore di Benito Mussolini. Tra i mafiosi protetti dal regime fascista c'erano: il principe Lanza di Scalea, Epifanio Gristina, il barone Vincenzo Ferrara, i baroni Li Destri e Sgadari. Questi ultimi furono processati, ma vennero assolti essendo amici del duce Benito Mussolini. Il principe Lanza di Scalea fu uno dei candidati nelle liste del PNF per le amministrative di Palermo mentre a Gangi il barone Li Destri, pure candidato del PNF, era protettore e capo di banditi e delinquenti.
L’AZIONE DI MORI
I cardini principali dell'azione di Mori, forte della carta bianca che gli era stata attribuita da Mussolini in persona, e assistito da uomini quali il nuovo Procuratore Generale di Palermo da lui nominato, Luigi Giampietro, e il delegato calabrese Francesco Spanò - furono:
• Cogliere un primo importante successo con un'operazione in grande stile per riaffermare l'Autorità dello Stato e dare un segnale forte (l'occupazione di Gangi).
• Riottenere l'appoggio della popolazione impegnandola direttamente nella lotta alla mafia.
• Creare un ambiente culturalmente ostile alla mafia, combattendo l'omertà e curando l'educazione dei giovani e stimolando la ribellione contro la mafia
• Combattere la mafia nella consistenza patrimoniale e nella rete di interessi economici.
• Ripristinare il normale funzionamento e sviluppo delle attività produttive della Sicilia
• Condannare con pene severe e implacabili i criminali sconfiggendo il clima di impunità.
L'azione di Mori si rivelò in tutta la sua clamorosa efficacia sin dal primo anno: nella sola provincia di Palermo gli omicidi scesero da 268 nel 1925 a 77 nel 1926, le rapine da 298 a 46, e anche altri crimini diminuirono drasticamente.
Pentiti mafiosi dell’epoca hanno riconosciuto il grave stato di difficoltà nella mafia sia durante che dopo quegli anni: questo perché Mori non si occupò solo degli strati più bassi della mafia, ma anche delle sue connessioni con la politica - portando lo stesso Mussolini a sciogliere il Fascio di Palermo ed espellere Cucco, che pure era membro del Gran Consiglio del Fascismo.
Dopo il suo congedo, i vertici della mafia che avevano piegato il capo sotto la repressione del suo operato, colsero l'occasione dello sbarco degli Alleati in Sicilia per rialzare la testa, con gli Statunitensi che spesso li misero ai vertici delle amministrazioni locali siciliane, come sicuri antifascisti.

mercoledì 15 giugno 2011

Partono i campi di lavoro antimafia anche in Calabria

Il sopralluogo dello Spi e dell'Arci
Ieri è stata la giornata del sopralluogo in Calabria insieme allo Spi Cgil Nazionale . Abbiamo iniziato con un incontro molto serrato alla Camera del Lavoro di Reggio Calabria insieme alla sua Segretaria Generale e ad un buon gruppo di dirigenti dello Spi Cgil del territorio. Qui con il Segretario dell'Arci di Reggio Calabria abbiamo definito gli obiettivi e le finalità oltre a ripercorrere insieme gli aspetti programmatici e organizzativi sia di Melito Porto Salvo che di Riace. Quindi insieme all' istancabile compagno dello Spi Cgil Valdimiro ci siamo diretti a Melito Porto Salvo per un sopralluogo sui terreni confiscati e alla villa del mafioso Iamonte. Erano tre anni che non tornavo in quel territorio e come spesso mi capita ho visto cose trasformate, luoghi modificati: segno evidente e concreto che pur nelle tante difficoltà le Cooperative che operano sui terreni confiscati sono riuscite ad andare avanti; a segnare concretamente la svolta. La presenza di un agrumeto in produzione e dei locali della villa Planica alla loro ristrutturazione definitiva mi hanno riempito di gioia e di una profonda speranza nutrita dal tanto impegno di tanti giovani calabresi che in questi anni non si sono arresi.
Qui arriveranno 56 volontari dalla Toscana, la Lombardia e dall'Emilia Romagna oltre allo Spi Cgil di Piacenza. Il numero dei volontari è giunto al tetto massimo! Anche questo è segno del cambiamento: con Domenico, David e Beppe commentavamo, nella nuova sede dell'Arci (un locale del Capostazione di una Stazione Ferroviaria di Reggio Calabria) che negli anni precedenti avevamo avuto difficoltà a trovare volontari adesso abbiamo la lista di attesa! Non avevamo l'apporto dello Spi Cgil oggi abbiamo la presenza dello Spi Cgil dell'Emilia Romagna e quello dei compagni della Camera del lavoro di Reggio Calabria. A loro è richiesto il ruolo di "maestri" per i nostri volontari; lo faranno raccontando e narrando la loro vita di capi lega , di sindacalisti , di cittadini onesti della Calabria che ogni giorno hanno dovuto fronteggiare il potere illecito e lecito della 'Ndrangheta! Si i nostri ragazzi , data di nascita prevalente 1994,1995 e 1996 hanno necessità di conoscere e assimilare storie "vere" e anche apprezzare il valore dell'impegno sociale e dell'emancipazione. Oltre a trovare il momento per guardare in modo collettivo le stelle, si perchè oltre al modo web infausto di tante notizie, spot e messaggi vi è la necessità di apprezzare il valore della natura trovando la forza per prefigurare un mondo libero dalle mafie. I nostri 56 volontari troveranno anche questo a Pentedattilo e sicuramente lo sapranno apprezzare!!
Maurizio Pascucci
Coordinatore Campi Antimafie Arci

martedì 14 giugno 2011

Il flauto magico spezzato

di EZIO MAURO 
IL FLAUTO magico si è spezzato, gli italiani dopo vent'anni rifiutano di seguire la musica di Berlusconi. Quattro leggi volute dal premier - una addirittura costruita con le sue mani per procurarsi uno scudo che lo riparasse dai processi in corso - sono state bocciate da una valanga di "sì" nei referendum abrogativi che hanno portato quasi 27 milioni di italiani alle urne. E la partecipazione è il vero risultato politico di questo voto. Berlusconi, come Craxi, aveva invitato gli italiani a non votare, andando al mare, e gli italiani gli hanno risposto con una giornata di disobbedienza nazionale scegliendo in massa le urne, dopo quindici anni in cui i referendum non avevano mai raggiunto il quorum. Una ribellione diffusa e consapevole, che dopo la sconfitta della destra nelle grandi città accelera la fine del berlusconismo, ormai arenato e svuotato di ogni energia politica, e soprattutto cambia la forma della politica nel nostro Paese.
L'uomo che evocava il popolo contro le istituzioni, contro gli organismi di garanzia, contro la magistratura, è stato bocciato dal popolo nella forma più evidente e clamorosa, dopo aver provato a mandare a vuoto proprio la pronuncia popolare degli elettori, di cui aveva paura, cercando di far saltare il quorum fissato dalla legge.

Così facendo il premier non si è reso conto di denunciare tutta la sua angoscia per le libere scelte dei cittadini e la sua incapacità ogni giorno più evidente di indirizzare queste scelte politicamente, orientandole verso il "sì" o il "no". Legittimo formalmente, l'invito a non votare è in questa fase del berlusconismo una conferma di debolezza, quasi una dichiarazione di resa, soprattutto una prova politica d'impotenza, senza futuro.

Temeva le emozioni, il presidente del Consiglio, dopo il disastro di Fukushima: come se le emozioni non facessero parte semplicemente della vita, e come se lui stesso non fosse anche in politica un imprenditore di emozioni oltre che di risentimenti. Ma i risultati dimostrano che gli italiani non hanno votato per paura, bensì per una libera scelta, con serenità e coscienza, perfettamente consapevoli del merito dei singoli quesiti referendari - con l'abrogazione del legittimo impedimento che ha avuto praticamente gli stessi voti dei no al nucleare o alla privatizzazione dell'acqua - ma anche della portata politica generale di questo appuntamento elettorale.

Dunque la sconfitta è doppia, per il capo del governo. Nel merito di leggi che ha voluto e ha varato, e che (il nucleare) ha anche cercato di manipolare per ingannare gli elettori, scavallare il referendum e tornare a proporre le centrali subito dopo. Nel significato politico, perché il voto è anche contro il governo, contro Berlusconi e contro il proseguimento di un'avventura ormai completamente esaurita e rifiutata dagli italiani. E qui c'è la sconfitta più grande: il plebiscito dei cittadini che vanno a votare (anche quelli che scelgono il no) con percentuali sconosciute da decenni, nonostante il governo abbia deportato il referendum nel weekend più estivo possibile, lontanissimo dalle normali stagioni elettorali. È Berlusconi che non sa più parlare agli italiani, così come non li sa ascoltare, perché non li capisce più. E gli italiani gli hanno voltato le spalle.

Qui conviene fermarsi a riflettere, perché dove finisce Berlusconi comincia una nuova politica. Anzi, Berlusconi finisce proprio perché è nata una domanda di nuova politica, che sta cercandosi le risposte da sola, e in parte le ha già trovate.

Se mettiamo in sequenza i tre voti ravvicinati del primo turno amministrativo, del ballottaggio e del referendum, troviamo una chiarissima affermazione di autonomia dei cittadini. Questo è il dato più importante. Il voto al referendum e il voto nelle città sono infatti prima di tutto disobbedienza al pensiero dominante. Di più: sono il rifiuto di una concezione verticale della politica, con il leader indiscusso ed eterno che parla al Paese indicando l'avvenire mentre il partito e il popolo possono solo seguire il carisma, che soffia dove il Capo vuole.

Vince una politica reticolare, a movimento, incentrata sui cittadini più che sulla adulazione del popolo. Cittadini consapevoli che aggirano l'invasione mediatica del Cavaliere sulle televisioni di Stato, mandano a vuoto l'informazione addomesticata dei telegiornali, si organizzano sulla rete, prendono dai giornali i contenuti che servono di volta in volta, fanno viaggiare in rete Benigni, Altan e l'Economist a una velocità e un'intensità che le veline del potere non riescono a raggiungere. Cittadini giovani, che fanno naturalmente rete e movimento, e in un sovvertimento generazionale e di abitudini diventano opinion leader nelle loro famiglie, portando genitori e amici a votare, chiarendo i quesiti, parlando dell'acqua e del nucleare, spiegando come il "legittimo" impedimento aggiri l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Dentro questo movimento orizzontale la leadership a bassa intensità (ma a forte convinzione) del Pd galleggia sorprendentemente meglio del Pdl, una specie di fortezza Bastiani che vede nemici dovunque, dipinge il Paese con colori cupi, nell'egotismo autosufficiente e chiuso in sé del suo leader è incapace di strategie, alleanze o anche soltanto di un normale scambio di relazioni politiche: che Bersani intesse invece ogni giorno alla luce del sole, con Vendola e di Pietro ma anche con Casini e Fini.

Questo spiega in buona parte perché i cittadini decidono oggi di indirizzare a sinistra la nuova domanda di autonomia politica: perché qui i partiti stanno imparando a stare dentro il movimento, giocando di volta in volta la parte della guida o della struttura di sostegno, al servizio di un obiettivo più grande. Ma c'è qualcosa di più. È la fine di un'egemonia culturale, perché come dice Giuseppe De Rita a Ida Dominijanni del Manifesto un ciclo finisce quando esplode la stanchezza per i suoi valori portanti: oggi si comincia a percepire "che la solitudine e l'individualismo non sono un'avventura di potenza ma di depressione e la sregolatezza personale è un prodotto dell'egocentrismo, in una fase in cui i riconoscimenti sociali scarseggiano, perché non fai più carriera, non riesci a fare impresa, non ti puoi gratificare con una vacanza". È il ciclo della "soggettività" che si spezza, anche per l'inconcludenza della politica che lo sostiene e ne ha beneficiato per anni. Torna, come ci avverte Ilvo Diamanti, il bisogno di aggregazione, di solidarietà, di regole, di normalità.

È un cambio di linguaggio, dopo vent'anni. Le manifestazioni delle donne, i post-it contro la legge bavaglio, il boom per Fazio e Saviano, l'allegria della piazza di Pisapia e Vecchioni a Milano contrapposta alla paura e alla cupezza stanno cambiando la cultura quotidiana dell'Italia, il modo di comunicare, l'immaginario che nasce finalmente fuori dalla televisione, la domanda stessa della politica. Davanti a questo cambio, le miserie dei burocrati spaventati che reggono la Rai per conto di Berlusconi sembrano ormai tardive e inutili: chiudono la stalla di viale Mazzini con l'unica preoccupazione di lasciar fuori Saviano e Santoro, per autolesionismo bulgaro, e non si accorgono che gli spettatori sono intanto scappati altrove.

Faceva impressione, ieri pomeriggio, vedere tanti politici e giornalisti pronti a celebrare il funerale politico di Berlusconi dopo che per anni si erano rifiutati di diagnosticare la malattia di questa destra, la sua anomalia. Stesso strabismo dei "nextisti" che invitano a preparare il domani pur di saltare il giudizio sull'oggi, il giudizio ineludibile - proprio per evitare opacità e confusione - sulla natura del berlusconismo. Questo spiega lo stupore italiano davanti ai giornali europei di establishment, che rivelano quella natura e denunciano quelle anomalie - come Repubblica fa da anni - giudicandole semplicemente estranee ad un normale canone europeo e occidentale. Ci voleva molto? Bisognava aspettare l'Economist? L'Italia della cultura, dei giornali, dell'establishment si è rifiutata di vedere e di capire, finché gli italiani non hanno visto e capito anche per lei. A quel punto, come sempre, si è adeguata in gran fretta.

Adesso, Berlusconi proseguirà con gli esorcismi e le sedute spiritiche cui lo consigliano i suoi fedeli, incapaci di imboccare la strada di un tea party italiano che ricrei un movimento anche a destra, riprenda la leggenda della "rivoluzione" conservatrice delle origini e spari su un quartier generale arroccato e spaventato, preoccupato solo di difendere rendite di posizione in conflitto tra loro. Sullo sfondo, Bossi continua a ballare da solo sulla musica di Berlusconi che il Paese non ascolta più, e intanto perde contatto con la sua gente, scopre che il Nord è autonomo anche dalla Lega, decide per sé e va a votare con percentuali dal 91 al 96 per cento, disubbidendo dalla Liguria al Trentino. Ancora una volta, come nel '94, la sovrapposizione con Berlusconi soffoca la Lega: che alla fine staccherà la spina, portando anche il Parlamento - in ritardo - a sanzionare quel cambio di stagione che ieri hanno deciso i cittadini.
La Repubblica, 14 giugno 2011

I DUE POLI DEL FUTURO SICILIANO: PORTAEREI E HUB ENERGETICO

di Agostino Spataro Sommario:
l’Isola diventa portaerei della Nato; la Sicilia, l’Italia e la guerra in Libia;
due ministri siciliani che fecero l’impresa…libica; un pericoloso conflitto a trecento miglia dalla Sicilia; l’Isola sede di trattative fra le parti; gli incerti scenari del post conflitto;
ritorna il fantasma della guerra; portaerei e Hub energetico: i due poli del futuro siciliano; un Hub al servizio dell’economia del centro-nord; treni-lumaca e tecnologie militari avanzate; ai siciliani bisogna dare una nuova chance.

L’ISOLA DIVENTA PORTAEREI DELLA NATO
Quello che si temeva sta accadendo o è già accaduto: il mutamento del ruolo militare e della prospettiva generale della Sicilia nei suoi rapporti con l’area mediterranea.
Da ponte di cooperazione pacifica e vantaggiosa con i paesi rivieraschi a “ portaerei della Nato nel Mediterraneo” come l’ha ribattezzata l’eclettico ministro della difesa, il siciliano Ignazio La Russa, che, già agli inizi dei bombardamenti sulla Libia, l’ha messa a disposizione della triade interventista: Sarkozy, Cameron e Obama. (1)
Si può obiettare che quelle del ministro sono parole al vento, di circostanza.
Tuttavia, è pur sempre il titolare di un dicastero delicato e nessuno le ha smentite o contestate.
Parole che meritano, pertanto,di essere valutate attentamente poiché acquistano un significato sinistro, pericoloso, specie dopo la decisione d’inviare gli aerei italiani a bombardare la Libia.
D’altra parte, la svolta era nell’aria, anche se non percepita come imminente. La partecipazione italiana alla guerra in Libia l’ha solo accentuata, accelerata.
La strategia Nato di “difesa avanzata” aveva assegnato all’Isola la funzione di “piattaforma” militare attrezzata per respingere improbabili aggressioni al fianco sud.
Oggi, il salto: il suo ruolo cambia da difensivo a offensivo. L’Isola diventa portaerei.
Un’idea che, per quanto metaforica, produce, anche psicologicamente, l’effetto di un sensibile mutamento esistenziale poiché la Sicilia viene proiettata in una dimensione mobile della guerra, liquida o aerea, comunque fuori dei confini nazionali e della Nato.

LA SICILIA, L’ITALIA E LA GUERRA IN LIBIA
Sicilia portaerei, dunque, col bollo di La Russa e con l’avallo silente di quasi tutte le forze politiche nazionali e senza alcuna protesta pacifista.
Ma che strano unanimismo, oggi in Italia! Ci si divide su tutto. Solo le guerre, i bombardamenti, le costose missioni militari all’estero e i rigonfi bilanci della difesa riescono a unire quasi tutti i partiti, governo e alte autorità dello Stato.
Anche nella vicenda libica il copione si è ripetuto. Con l’eccezione di IDV e della Lega nord che non si sono accodati.. Sorprendono le forze d’opposizione del centro-sinistra che, invece d’invocare una soluzione negoziata del conflitto di potere interno alla Libia (poiché di questo si tratta), hanno pressato Berlusconi per fargli abbandonare la sua iniziale ritrosia e allineare l’Italia alla gloriosa “triade”.
Seppure a denti stretti, dobbiamo rilevare la calcolata prudenza della Lega di Bossi che anche stavolta (dopo i Balcani) ha frenato gli ardori, distinguendosi dall’unanimismo guerresco del ceto politico italiano.
Comunque sia, il Cavaliere è intervenuto pesantemente, a “gioco in corso”, schierando l’Italia su una posizione avventurosa, unilaterale che la collocano fuori degli ambigui limiti della risoluzione dell’Onu.
Insomma, l’Italia si è cacciata in un brutto pasticcio che potrebbe degenerare in un lungo e sanguinoso conflitto, a un tiro di schioppo dalle coste siciliane.
C’è chi parla o minaccia un nuovo Vietnam. Difficile fare previsioni così impegnative. Tuttavia, ricordo che in Vietnam l’avventura degli Usa iniziò con i bombardamenti di supporto alle truppe del Sud e con l’invio di consiglieri militari che poi diventarono un esercito di mezzo milione di soldati.
Quella guerra durò quindici anni e la persero gli Stati Uniti e loro alleati fantocci. Da quella memorabile sconfitta taluni fanno iniziare l’attuale declino della potenza Usa.
Vietnam o meno, un conflitto internazionalizzato a circa trecento miglia dalle coste siciliane ( a 200 da Lampedusa) non è, certo, per la Sicilia e per l’Italia di buon auspicio.
Armare gli insorti, inviare i nostri bombardieri vuol dire schierarsi con una parte contro l’altra in questo conflitto fratricida per il controllo del potere interno libico.

DUE MINISTRI SICILIANI CHE FECERO L’IMPRESA…LIBICA
Tutto ciò è immorale oltre che controproducente.
Specie per l’Italia che non può, davvero, tornare a bombardare il suolo di un’ex colonia che ancora si lecca le terribili ferite degli eccidi perpetrati, anche l’uso dei gasi letali, dalle truppe italiane d’occupazione.
Una nuova guerra alla Libia, a cento anni esatti dalla prima (1911), in cui si riscontra una curiosa coincidenza, tutta siciliana, che vede cioè due catanesi, entrambi di originari di Paternò, a capo di ministeri-chiave.
Come dire: due paternesi che fecero l’impresa…libica. Si tratta del sen. Antonio Paterno Castello, marchese di San Giuliano, nato a Catania (nel 1852) ma discendente da una nobile famiglia originaria, come il cognome suggerisce, di Paternò.
Egli, da ministro degli esteri del governo Giolitti, inviò, in data 27 settembre 1911, al governo dell’impero ottomano una sorta di dichiarazione di guerra, pretestuosa e immotivata, che faceva dipendere l’occupazione militare italiana, praticamente, da motivi di ordine pubblico interno alla Libia. (2)
Oggi, un altro prode paternese, l’on. Ignazio La Russa, ministro della guerra, pardon della difesa, ha proclamato la Sicilia portaerei mettendola a disposizione dell’attacco contro la Libia.
Solo una singolare coincidenza o c’è qualcosa che ci sfugge?
A ben pensarci, tanta solerzia, forse, si potrebbe spiegare come rivendicazione di un legame antico, mitico fra la Sicilia e la Libia, risalente addirittura alla fondazione di Tripoli che- secondo Sallustio- sarebbe dovuta “ a coloni siciliani (evidentemente fenici) insieme ad africani”.

UN PERICOLOSO CONFLITTO A TRECENTO MIGLIA DALLA SICILIA
Per come si son messe le cose, appare sempre più insostenibile la bufala dell’intervento “umanitario”. In Libia le forze dei Paesi interventisti della Nato sono andate oltre i limiti della “no zone fly” imposti dalla risoluzione Onu.
Lo confermano i bombardamenti quotidiani “fuori zona”, in primis sulla città di Tripoli che stanno provocando vittime innocenti e la distruzione di strutture sanitarie e industriali civili. A proposito: quanto devono ancora durare questi bombardamenti?
La domanda l’ha posta a Berlusconi non un rappresentante dell’opposizione, ma il ministro dell’interno del suo governo, il leghista Maroni. (3) Anche noi, che leghisti non siamo, aspettiamo risposta.
Domanda più che legittima, poiché non si può continuare ad assistere, muti, a un conflitto, anomalo e asimmetrico, che sempre più assomiglia a una guerra di rapina.
Anche perché- a quanto pare- ci sarebbe molto da prendere dai forzieri libici: dai tanti giacimenti in produzione alle grandi riserve accertate d’idrocarburi, alle enormi riserve di acqua (sì, avete letto bene “acqua”!) che per uno scatolone di sabbia qual è la Libia è una risorsa più preziosa del petrolio.
Nelle regioni meridionali del Fezzan sono stati scoperti veri e propri laghi sotterranei che alimentano una rete di gigantesche condotte (lunghe anche 4.000 km) che riforniscono le città della costa per gli usi civili, agricoli e industriali.
Nessuno lo dice: in Libia il problema dell’acqua è stato risolto con successo, mentre in tante città e paesi siciliani l’acqua è un pio desiderio.
Si dice anche che la Banca centrale di Libia (che è dello Stato non della famiglia Gheddafi), oltre a controllare il sistema finanziario e monetario interno, ad avere effettuato importanti investimenti all’estero (in Italia ne sappiamo qualcosa), conservi nei suoi caveaux circa 140 tonnellate di oro.
Non siamo in grado di verificare la veridicità quest’ultima notizia, riportata da Ellen Brown (4). Tuttavia, qualcosa di vero potrebbe esserci, visto che i capi degli “insorti” (alti gerarchi gheddafiani della prima ora e conoscitori della realtà finanziaria del Paese) prima di formare il governo provvisorio si sono preoccupati d’istituire una Banca centrale.
Davvero, una stranezza per una rivoluzione!

L’ISOLA SEDE DI TRATTATIVE FRA LE PARTI
Perciò, preoccupano l’evoluzione del conflitto e la scelta di non voler favorire, nemmeno tentare, una soluzione politica, negoziata. Come quella che, per iniziativa dell’Unione africana, si sta cercando a Addis Abeba fra rappresentanti degli insorti della Cirenaica ed emissari del governo Gheddafi.
In assenza di una soluzione politica, si teme che il conflitto possa degenerare, prolungarsi oltre misura.
La Sicilia, invece che a portaerei, doveva candidarsi a sede per trattative fra le parti per assicurare alla Libia una transizione unitaria e democratica, senza Gheddafi.
Per altro, in questa crisi c’è, anche, un importante risvolto economico e commerciale che riguarda la Sicilia e l’Italia che, però, non sembra interessare i nostri apprendisti stregoni.
La Libia costituisce, infatti, una realtà molto speciale per l’economia italiana. Oltre a farsi carico dei gravosi e discutibili impegni sull’immigrazione, ci fornisce notevoli quantitativi d’idrocarburi, capitali preziosi per le nostre imprese e banche e si offre come fiorente mercato per le nostre aziende di servizi e manifatture.
Solo di petrolio, di ottima qualità e di facile trasporto, l’Italia ne importa circa il 23 % (in valore) del suo fabbisogno e di gas otto miliardi di metri cubi/annui tramite il metanodotto sottomarino che approda a Gela.
Materie prime strategiche che sono trasformate nell’Isola e da qui movimentate verso il mercato nazionale.
L’Eni si sta giocando parte del suo futuro in questa brutta guerra fratricida fomentata da potenze nostre concorrenti in campo energetico.
Che cosa potrebbe succedere, in Italia e in Sicilia, se dovessero venir meno questi contratti e forniture?
Con i bombardamenti, il governo tutela o danneggia gli interessi nazionali dell’Italia?

GLI INCERTI SCENARI DEL POST-CONFLITTO
Domande legittime alle quali, però, nessuno risponde.
Non sappiamo se e quali garanzie la triade abbia offerto a Berlusconi per smuoverlo dalla sua iniziale inerzia. Con il governo e il ceto politico che ci ritroviamo il dubbio è lecito. Anzi più d’uno. Perciò, oltre gli aspetti politici e (im)morali della guerra, bisognerebbe fare un po’ di conti anche dal lato della convenienza nazionale, visto che l’Italia è il primo partner commerciale della Libia.
Probabilmente, gli strateghi nostrani non avranno considerato la mutevolezza degli uomini e degli interessi in ballo, i possibili esiti del conflitto e gli scenari che si potranno determinare in Libia e nello scacchiere mediterraneo.
In particolare, due appaiono degni di nota: una vittoria dei “ribelli” o un accordo unitario nazionale fra le parti in conflitto.
Se dovessero vincere i “ribelli”difficilmente dimenticheranno i baciamano a Gheddafi e l’Eni dovrà andare a Parigi o a Washington per ri-contrattare gli importanti accordi sottoscritti con la Noc libica. E pagare dazio agli arroganti cartelli del petrolio.
Se, invece, dovesse vincere Gheddafi o si giungesse a un accordo nazionale fra le parti, sarà difficile far dimenticare al colonnello e ai suoi seguaci il voltafaccia dell’Italia, per altro a guerra in corso.
Insomma, in entrambi i casi, l’Italia avrà un bel da fare per recuperare quello che sta rischiando di perdere in questi giorni.

RITORNA IL FANTASMA DELLA GUERRA
Ma torniamo alla Sicilia dove gli annunci di La Russa e del premier Berlusconi hanno materializzato il fantasma della guerra che pensavamo si fosse allontanato con la vittoriosa lotta contro l’installazione dei missili nucleari a Comiso.
Vittoria memorabile alla quale, però, non seguì una lotta altrettanto tenace e unitaria per fare uscire l’Isola dal sottosviluppo.
Lo smantellamento dei missili avrebbe dovuto segnare una svolta per progettare una nuova idea dello sviluppo bidirezionale, orientato cioè verso l’Europa e il Mediterraneo e capace anche d’intercettare le opportunità derivate dai flussi commerciali e finanziari provenienti da Cina e India ossia dai nuovi colossi emergenti dell’economia mondiale.
L’idea di fondo, che da decenni coltiviamo, è quella di far corrispondere alla centralità mediterranea dell’Isola una centralità economica e culturale.
Purtroppo, negli ultimi due decenni, in Sicilia si è rafforzata la componente militare (vedi articolo di Antonio Mazzeo), mentre si è indebolita la capacità di attrazione e promozione d’investimenti mirati alla produzione di beni e servizi da destinare al mercato arabo e euro-mediterraneo.
Processi e tendenze pilotati dall’alto, all’interno di un disegno politico-strategico che ha visto crescere, di pari passo, militarizzazione, decadenza economica, crisi sociale e illegalità diffusa.
Si è, così, delineata una prospettiva arida, inquietante contro la quale si sono battuti Pio La Torre, fino al suo assassinio, e il grandioso movimento pacifista unitario, siciliano e internazionale.

PORTAEREI E HUB ENERGETICO: I DUE POLI DEL FUTURO SICILIANO
Il processo è in itinere, la situazione in parte ancora confusa. Non è facile capire i suoi termini specifici, identificare tutti gli interessi in campo.
Tuttavia, credo si possa dire che negli ultimi anni il Mediterraneo e le zone contigue del Medio Oriente siano divenuti terreno di aspro confronto fra vecchie e nuove superpotenze per il controllo dei traffici marittimi (25% del totale mondiale), di enormi risorse energetiche e finanziarie e dei nuovi, ricchi mercati dei Paesi arabi produttori d’idrocarburi.
Come ho già scritto, in quest' area di vitale importanza strategica si concentrano fattori e risorse (soprattutto energetiche e finanziarie) capaci di farne, in questo nuovo secolo, uno dei poli dello sviluppo mondiale.
Anche sotto questa luce e in questa chiave bisognerebbe leggere le rivolte arabe. Tutto dipenderà dagli equilibri fra le vecchie e nuove potenze e dagli assetti di potere conseguenti sul piano internazionali.
Se si dovesse andare a un' estremizzazione del confronto, non c’è dubbio che la Sicilia sarà chiamata a svolgere una funzione importante soprattutto sul piano militare.
L’impressione è che, in questi anni d’apparente non governo (fra Roma e Palermo), qualcuno abbia deciso di ridisegnare la funzione generale strategica dell’Isola, imperniandola su un asse bipolare: da un lato la portaerei o piazzaforte militare, dall’altro lato un grande hub energetico.

UN HUB AL SERVIZIO DELL’ECONOMIA DEL CENTRO-NORD
Stando alle scelte già programmate o in esecuzione, in Sicilia, in aggiunta alla sua già esorbitante capacità produttiva energetica, sarebbero previsti due mega -rigassificatori (Priolo e Porto Empedocle) e una centrale nucleare.
Un hub, dunque, al servizio dell’economia di altre regioni giacché l’energia prodotta andrà ben oltre le esigenze locali.
L’economia, la finanza, la politica, l’informazione, le infrastrutture, la stessa criminalità organizzata, ecc, dovranno adeguarsi, piegarsi alla realtà tracciata da quest’asse strategico che può, per altro, generare affari lucrosi, leciti e illeciti.
E pazienza se la Sicilia sarà ancor più gravata di compiti onerosi, pericolosi, in contrasto con la sua vocazione produttiva.
Una scelta dal sapore vagamente razzista che ha indotto il governo Berlusconi - Bossi a scaricare sull’Isola anche il gravoso problema della (mala) accoglienza di masse d’immigrati provenienti da vari continenti. Sembra che altro non sia permesso alla Sicilia.
Una condizione anomala, squilibrante che può ingenerare malumori e proteste.
A placarli ci penseranno la Regione e gli enti locali in mano a governi deboli, clientelari e consociativi pronti a barattare la loro acquiescenza con quote di spesa pubblica improduttiva destinata ad alimentare il blocco di potere dominante e a raccogliere il necessario consenso elettorale.

TRENI-LUMACA E TECNOLGIE MILITARI AVANZATE
Insomma, oggi nel mondo, è in atto una corsa avventurosa per ridefinire i nuovi assetti dei poteri che si stanno accorpando e ri -dislocando anche in Italia, in Europa e nel Mediterraneo.
Un contesto in evoluzione dentro il quale la Sicilia c’è tutta, ma con una funzione marginale, subalterna agli interessi forti, produttivi e di mercato, del centro-nord italiano.
Una subalternità evidente che non può essere esorcizzata con qualche strillo autonomistico, ma ribaltata con idee e riforme davvero innovative che solo una nuova classe dirigente, politica e imprenditoriale, può proporre e attuare.
In Sicilia, oggi, si stenta a difendere persino quel poco di tessuto industriale esistente.
La fine dello stabilimento di Termini Imerese ne è una riprova drammatica e eloquente: è l’unico che la Fiat sta chiudendo in Italia, senza grandi contrasti e- si teme- senza alternative certe.
Di questo passo, il futuro dell’Isola sarà sempre più condizionato, stretto nella morsa della militarizzazione e della concentrazione intensiva di attività energetiche.
Il rischio che essa corre è quello di essere trascinata in torbidi scenari di guerra, in vili mercimoni di armi e carne umana e di diventare deposito di armi (anche nucleari) e scorie di ogni tipo come quelle che cominciano ad affiorare dall’inchiesta sulla miniera “Pasquasia”.
Vivremo, in sostanza, la contraddizione fra uno sviluppo ritardato, frantumato e un’innovazione avanzata della dotazione militare installata e programmata.
Un solo esempio. Nella parte sud-orientale dell’Isola vedremo coesistere treni-lumaca, che per coprire una tratta di 200 chilometri (Agrigento - Siracusa) impiegano 9 ore e 15 minuti, e impianti e sistemi tecnologici militari sofisticatissimi come quelli già esistenti a Sigonella e a Niscemi dove gli Usa vorrebbero aggiungere uno dei terminali Muos, moderno sistema di telecomunicazioni satellitari delle loro forze armate.

AI SICILIANI BISOGNA DARE UNA NUOVA CHANCE
Si può invertire questa tendenza?
Più che un interrogativo, questo a me pare il punto centrale di uno sforzo corale di analisi e di dibattito, una nuova sfida per le forze sane siciliane che desiderano uno sviluppo moderno, di qualità.
Pertanto, l’obiettivo cui mirare dovrebbe essere: meno armi, meno impianti inquinanti e più infrastrutture e servizi per uno sviluppo auto centrato, ma non autarchico, che generi lavoro, anche qualificato, per le nuove generazioni siciliane costrette a emigrare.
Si può fare. Importante è ripartire, riavviare la collaborazione fra tutte le forze sane dell’Isola che resistono e attendono un segnale di autentica liberazione dal malgoverno e dal predominio mafioso.
Ma i siciliani desiderano il cambiamento? Talvolta parrebbe di no. In realtà, molti sono prigionieri della contraddizione esistente fra la depressione dello spirito pubblico e l’espressione di un distorto consenso elettorale, che genera sfiducia verso ogni seria istanza di cambiamento.
Forse è necessario uno sforzo collettivo di autocoscienza. Tutti devono riflettere su quest’opaco presente e sulle sorti non proprio rosee della Sicilia.
In primo luogo, dovranno meditare, e cambiare registro, tutti coloro che hanno abusato del potere loro conferito dalla legge e dagli elettori.
Insomma, ai siciliani bisogna offrire una nuova chance. La Sicilia ha bisogno di libertà e di progresso economico per tutti; di recuperare la sua identità culturale storica che, senza scadere in velleità indipendentiste per altro dolorosamente sperimentate, riaffidi ai siciliani la responsabilità di costruire un futuro di benessere condiviso, nella legalità.
Agostino Spataro
* Articolo pubblicato, con altro titolo e con testo ridotto, nel numero di maggio 2011 della rivista “I QUADERNI DE L’ORA”.
Note:

(1) Non potendo riportare, per ragioni di spazio, il mio punto di vista sul dittatore Gheddafi, sulla natura del conflitto in Libia, sulla genesi, sulle modalità e finalità di questa nuova “guerra umanitaria”, rimando ai miei articoli pubblicati in: www.infomedi.it

(2) in “La Stampa” del 30/9/1911

(3) on. Roberto Maroni, dichiarazione del 11 giugno 2011.

(4) Ellen Hodgson Brown, presidente del “Public Banking Institute” (Usa) autrice di “ The web of Debt”, in “El Corresponsal de Medio Oriente y Africa” di Buenos Aires.