lunedì 29 novembre 2010

La manifestazione per la difesa dell'ospedale: chiusi i negozi, i laboratori artigianali, le scuole... e un coro unanime: "L'ospedale non si tocca!"

Chiusi i negozi, i laboratori artigianali, le scuole, gli studi professionali, in permesso molti dipendenti del settore pubblico e privati. Inizia così la giornata di Corleone e del Corleonese in occasione della manifestazione di protesta contro il depotenziamento dell’Ospedale dei Bianchi di Corleone. A sfilare per le vie del paese più di cinquemila persone, appartenenti a tutti le forze politiche ed alle varie organizzazioni sindacali e di categoria che, in maniera composta ma determinata, hanno gridato per le vie del paese lo slogan “L’ospedale non si tocca!!!”. Ad aprire il corteo, i gonfaloni dei Comuni del Corleonese con in testa i sindaci, i presidenti dei Consigli comunali, i componenti delle Giunte comunali ed i consiglieri.
Fra la gente, anche i rappresentanti del clero, gli scout, un gruppo di donne in gravidanza utenti del reparto di ostetricia e ginecologia, uno di quelli che sarebbe più duramente colpito dal depotenziamento dell'ospedale previsto dall'assessorato regionale della Salute.
Il corteo si è concluso in prossimità del nosocomio corleonese dove sono intervenuti i rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni aderenti al comitato civico per la difesa dell’ospedale.
Unanimi i tenori degli interventi succedutisi sul palco che hanno stigmatizzato l’operato dell’assessore regionale della Salute Massimo Russo e del Direttore generale dell’ASP Salvatore Cirignotta.
“Questa riforma è sbagliata – hanno dichiarato i rappresenti sindacali e di categoria - perché penalizza i cittadini delle zone montane e non incide sui veri sprechi della sanità siciliana”.
“Non vogliamo essere trattati, dal duo Russo-Cirignotta, come soggetti di serie B – hanno dichiarato gli amministratori del territorio –. L’assessore ed il direttore generale devono cambiare atteggiamento nei nostri confronti. Non fanno più i magistrati e non possono sentenziare la morte di questo comprensorio”.
Duro l’intervento di chiusura del sindaco di Corleone, Nino Iannazzo: “Condanniamo questo scempio che depotenzia la sanità pubblica a vantaggio della sanità privata. Ci aspettiamo che il governatore Lombardo apra un tavolo di confronto sulle problematiche oggi prospettate, perché i corleonesi non soffiano sul fuoco e non si intimoriscono di fronte alle minacce. Rivendichiamo una sanità funzionante. Se non verremo ascoltati adotteremo altre forme di protesta più incisive per far capire le ragioni di questo territorio”.
Gli unici che non hanno avuto la possibilità di parlare sono stati i politici, invitati dal palco “ad agire nelle rispettive sedi se vogliono effettivamente difendere questo territorio”.
Oggi stesso è partita un’altra richiesta di convocazione da parte del comitato.
Comunicato stampa del comune di Corleone
29/11/2010

La lotta per i diritti, da Nord a Sud, a Corleone

di DINO PATERNOSTRO
A Narni (Terni) con i dirigenti dell'Arci
Abbiamo trascorso un fine settimana molto intenso, tra il viaggio a Narni (Terni) per un corso di formazione dell’Arci (venerdì), la manifestazione nazionale della Cgil a Roma per i diritti e il futuro (sabato), e l’iniziativa a sostegno di Telejato e Pino maniaci a Partinico (domenica). E domani (lunedì) si ricomincia con la manifestazione per il rilancio dell’ospedale. Stanco? Assolutamente, no. Impegnarsi per le cose in cui si crede è la più grande soddisfazione per ciascuno di noi. E noi crediamo che l’Italia tutta intera debba combattere le mafie, sostenere le persone oneste, costruire lavoro e sviluppo nella legalità. Per questo abbiamo accettato di svolgere una relazione al corso di formazione per volontari, organizzato dall’Arci di Narni-Amelia-Terni, a sostegno del progetto “Liberarci dalle spine”. E abbiamo scoperto (insieme alla temperatura di 3 gradi di Narni, brrrr…) che anche in Umbria vi sono beni confiscati alle associazioni criminali e realtà associative come Arci e Libera che cercano di sensibilizzare i cittadini, spiegando loro che le mafie non risparmiano nessun angolo del Paese.

A Roma con la Cgil
Sabato mattina a Roma (quanti eravamo? Tanti, tantissimi…) Susanna Camusso, al suo debutto alla guida della Cgil, ha mandato una “lettera aperta” al governo Berlusconi e agli imprenditori: “O date risposte concrete ai lavoratori, ai pensionati e ai giovani disoccupati e precari, oppure sarà sciopero generale!”. E i lavoratori, i pensionati e i giovani (anche tanti giovani migranti) hanno manifestato con tanta grande serena determinazione, per dire che l’Italia è e dev’essere sempre più e meglio “una repubblica fondata sul lavoro”.


A Partinico con Telejato e Pino Maniaci
Domenica mattina, invece, insieme a tante associazioni (alcune provenienti dal Continente), abbiamo manifestato a Partinico a fianco della piccola-grande Telejato e al suo direttore Pino Maniaci, continuamente oggetto di minacce da parte della mafia. Anche questa una manifestazione molto combattiva, per dire che alla fine vinceremo noi società civile e non il (come dice maniaci) P.d.M. (Pezzi di Merda).

Ci prepariamo, infine, alla manifestazione per fermare il depotenziamento dell’ospedale dio Corleone, che si svolgerà domani mattina. Ad organizzarla un cartello di amministratori locali, sindacati e associazioni davvero vasto ed articolato, senza differenziazioni di natura politico-partitica. La novità sta nell’adesione della segreteria provinciale del Pd alla manifestazione. Non era scontata, dato il sostegno dei democratici al governo Lombardo. Il fatto che sia venuta va a merito del nuovo segretario, Enzo Di Girolamo, che ha scelto di privilegiare il merito dei problemi (la necessità, cioè, di non privare un territorio come il nostro di servizio sanitari indispensabili), piuttosto che le logiche di schieramento. È questo il Pd che ci piace. Adesso, però, dopo la partecipazione popolare (che speriamo domani sia massiccia) alla manifestazione, bisogna aprire subito un confronto serio, sereno e concreto con l’Assessore regionale alla Salute e il Direttore generale dell’Asp di Palermo. Senza strumentalizzazioni politiche, che non interessano i cittadini. E chiediamo a Enzo Di Girolamo e al Pd di darci una mano. All’assessore Russo e al direttore Cirignotta di ascoltarci. (d.p.)

domenica 28 novembre 2010

Manifestazione Cgil, l'Italia del futuro in piazza. Susanna Camusso: «Risposte alla crisi o sarà sciopero generale!»

La manifestazione della Cgil
Roma, 27 nov. (Adnkronos) - Senza risposte dal governo su come sostenere il Paese dopo la crisi economica la Cgil proclamerà uno sciopero generale. E' il leader del sindacato, Susanna Camusso, in piazza a Roma, per la manifestazione organizzata dalla confederazione di corso Italia, a profilarlo. "Dopo questa manifestazione credo che il governo dovrà dare le risposte che gli abbiamo chiesto e soprattutto cominciare ad avere delle politiche di contrasto alla crisi che finora non ha avuto", spiega. Sciopero generale, dunque, chiedono i giornalisti: "Lo decideremo sulla base dei risultati di questa manifestazione", risponde. Sono migliaia le persone arrivate a Roma da tutta Italia per partecipare alla manifestazione nazionale della Cgil 'Il futuro è dei giovani e del lavoro'. I cortei, partiti da piazzale dei Partigiani e da piazza della Repubblica, hanno raggiunto piazza San Giovanni in Laterano dove si è svolto il comizio finale con l'intervento del segretario generale. Tra i manifestanti anche il presidente del Pd Rosy Bindi e il segretario Pierluigi Bersani, l presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e alcuni esponenti dell'Idv.
"Diremo e continueremo a dire no alle deroghe al contratto, con tutta la nostra forza. Il contratto è un diritto universale", ha ribadito Camusso dal palco. E a Confindustria dice: "Le deroghe sono un danno ai lavoratori ma anche alle imprese. Tra appalti al massimo ribasso e le deroghe non c'è differenza, sono la stessa cosa: concorrenza sleale non certo sviluppo".
La lotta all'evasione fiscale "perché legalità è libertà", è un altro passaggio del discorso del leader della Cgil che ritorna così su uno degli obiettivi più importanti. Non solo. Il sindacato ribadisce anche la richiesta di tassare le rendite finanziarie perché "libererebbe risorse per diminuire le tasse ai lavoratori".
"Ci stupisce che il ministro Gelmini ci dica che le fa un certo effetto vedere gli studenti con la Cgil. Ma il ministro forse non sa come è fatto questo paese. Non sa che dietro agli studenti ci sono famiglie e un paese che li difende", ha così risposto alle perplessità del ministro dell'Istruzione Gelmini sulla presenza di studenti alla manifestazione del sindacato. E chiede al governo di ritirare la riforma dell'Università: "Il ministro Gelmini la smetta di fare appelli su Youtube, vada in Parlamento, dica che ritira il ddl e apra un tavolo di confronto. Solo così si costruisce una vera riforma dell'università". Poi rivolge un nuovo attacco al ministro: "Aver tolto pubblica dal nome del suo ministero non la autorizza a privatizzare la scuola e a finanziare quella privata".
Prima del suo intervento, Camusso ha più volte attaccato il governo. "Il presidente del Consiglio deve sapere che non si può tenere sotto allarme un paese. Se ha delle cose concrete le dica, se no smetta di far finta di essere la vittima del mondo", ha detto ancora la Camusso, accolta dagli applausi dei manifestanti che vedendola hanno urlato 'Susanna sei tutti noi', commentando le parole del premier secondo il quale la vicenda Finmeccanica profila, più in generale, la volontà di attacco all'Italia.
"Io credo che se anche riceverà la fiducia questa maggioranza politica è in crisi", sottolinea il segretario del sindacato di corso Italia. In ogni caso, "questo paese non si merita questa classe politica, questo degrado e questa esibizione di machismo e virilita', questo governo dei potenti", ha affermato Camusso durante il comizio.
E al ministro dell'Interno Roberto Maroni sulla vicenda dei falsi permessi di soggiorno: "Non si dica che questo è un paese di clandestini perché sono le leggi che rendono clandestini gli immigrati negandogli i diritti". "Dopo aver ignorato per giorni la richiesta di regolarizzazione dei migranti, anzi preferendo l'intervento della polizia per sgomberarli, con una grande faccia tosca il ministro ha detto che c'è una legge secondo la quale se i lavoratori irregolari denunciano il proprio datore di lavoro possono ottenere il permesso di soggiorno. Questo non è possibile perché nel momento in cui lo fanno diventano clandestini", dice.
Quanto a Fiat e il nuovo piano del Lingotto per Mirafiori "abbiamo apprezzato che ci siano dei modelli per quello stabilimento ma continua a non esserci il quadro per Fabbrica Italia; l'azienda continua a non dirci quale sia il piano complessivo". "Continueremo perciò a chiedere che sia noto il destino di tutti gli stabilimenti", aggiunge. Su Alitalia "da tempo avevamo detto che quel progetto di riorganizzazione doveva concludersi rapidamente per il rilancio della compagnia", ha commentato così le indiscrezioni di oggi su possibili nuovi licenziamenti nella compagnia di bandiera.
"Abbiamo scioperato e continueremo a scioperare", ha detto ancora Camusso chiudendo il comizio a piazza San Giovanni e rispondendo alle richieste di sciopero generale arrivate in questi giorni dalla Fiom e dalla minoranza del sindacato. Una richiesta ribadita da un maxi striscione che campeggiava giusto sotto il palco, tenuto in alto da alcuni lavoratori, e che diceva: 'Lavoro, salario, contratti, diritti: sciopero generale di 8 ore'. "Il futuro è dei giovani e del lavoro. E' questo il nostro impegno: studio e lavoro sono parole che uniscono le piazze, le torri e le gru del paese vero. E' il nostro progetto", ha detto spiegando il senso della manifestazione.
Il ddl lavoro "è una legge crudele e ingiusta", ha poi aggiunto riferendosi il provvedimento sul lavoro approvato nei giorni scorsi dal Parlamento e che rivede anche i termini per l'impugnazione del contratto da parte dei lavoratori precari. "Dobbiamo dire a tutti che hanno 57 giorni per impugnare un contratto irregolare, illegale, a progetto senza progetto oppure chiedere giustizia. Sappiamo che è una scelta difficile tra la speranza di un lavoro, seppure precario, e la volontà di giustizia. E qualunque legge costringa qualcuno a decidere in solitudine è una legge che limita i diritti. Per questo diciamo che il ddl lavoro è una legge crudele e ingiusta", aggiunge. Il sindacato, invece "è pronto ad ascoltarli e a dare risposte". A rispondere soprattutto a chi "pensava che bastasse una legge per cancellare il futuro dei precari". E la Cgil ribadisce: "Noi sì che non lasceremo solo nessuno perché il futuro si costruisce così; il futuro non è fuggire ed avere paura; un futuro senza giovani è peggio per tutti", conclude Camusso.

giovedì 25 novembre 2010

Contessa Entellina. Scoperto un dai Carabinieri un vasto giro di sfruttamento della prostituzione


Paolo Rumore

Gioacchino Graffagnino
di Cosmo Di Carlo
Scoperto dai carabinieri un vasto giro di prostituzione nei comuni di Contessa Entellina, Giuliana, Bisacquino, Menfi e Sambuca di Sicilia. Tre gli arrestati per sfruttamento della prostituzione, incastrati dalle intercettazioni, ambientali e telefoniche. Le manette dei militari dell’arma del Gruppo di Monreale e della Compagnia di Corleone sono scattate ai polsi di tre uomini, a conclusione di una complessa e delicata attività investigativa, iniziata 9 mesi fa dalla stazione carabinieri di Contessa Entellina e dal NORM (Nucleo Operativo Radio Mobile) di Corleone. A gestire il lucroso affare, secondo i carabinieri, sarebbe stato un operaio forestale di Contessa Entellina, Michele Martorana di 45 anni. L’uomo è stato arrestato nella notte dai Carabinieri insieme ad altri due complici su ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Termini Imerese. Insieme al Martorana è stato arrestato Gioacchino Graffagnino, 66 anni di Giuliana, quest'ultimo è stato ristretto ai domiciliari. Per un quarto uomo, L.S., è scattata la denuncia a piede libero, e l’obbligo della firma. Tutti gli arrestati sono accusati di aver sfruttato e favorito la prostituzione di due donne, una romena di 31anni ed una 25enne della zona. Il costo di una singola prestazione variava da 30 a 50 euro, ma dalle intercettazioni è emerso che qualcuno pagava talvolta “in natura” con prodotti agro alimentari (vino, olio, verdure).

Michele Martorana

Tra i clienti professionisti, commercianti, artigiani che “consumavano” in macchina o in villette nella disponibilità degli stessi clienti. A capo dell’ organizzazione, secondo i carabinieri, vi era proprio Michele Martorana, che gestiva in pieno l’attività di prostituzione delle due donne, procacciando loro i clienti, organizzando gli appuntamenti, dando istruzioni alle donne sul comportamento da tenere, accompagnandole agli incontri. I proventi venivano incassati sempre dall’arrestato, che se ne appropriava all’80%. Poco restava, quindi, alle ragazze, mentre il reddito “esentasse” del Martorana si aggirava da 2000 a 3000 euro mensili. Graffagnino e Rumore avrebbero fatto invece i referenti del Martorana per i centri di Giuliana e Menfi.

Il loro compito era quello di contattare i clienti e concordare modalità degli incontri e costo delle prestazioni. L’attività d’indagine dei carabinieri è durata circa 9 mesi, sono state essenziali le intercettazioni telefoniche e ambientali, arricchite da numerosi riscontri effettuati. Quanto è emerso ha delineato uno squallido scenario. Martorana riusciva ad organizzare anche 6 o 7 incontri al giorno. Dalle intercettazioni è emerso che le ragazze erano costrette a “lavorare” in precarie condizioni di salute ed anche con clienti a loro non graditi. Ultimate le formalità di rito, Michele Martorana è stato tradotto presso la casa circondariale “Cavallacci” di Termini Imerese, mentre Rumore e Graffagnino sono stati sottoposti agli arresti domiciliari, presso le loro abitazioni di Giuliana e Menfi.

mercoledì 24 novembre 2010

GLI ARTIGIANI DI CORLEONE: L'OSPEDALE NON SI TOCCA!

L’ART. 32 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA NEL SANCIRE LA TUTELA DELLA SALUTE COME “ DIRITTO FONDAMENTALE DELL’INDIVIDUO E INTERESSE DELLA COLLETTIVITA’ “DI FATTO OBBLIGA LO STATO A PROMUOVERE OGNI OPPORTUNA INIZIATIVA E AD ADOTTARE PRECISI COMPORTAMENTI FINALIZZATI ALLA MIGLIORE TUTELA POSSIBILE DELLA SALUTE IN TERMINI DI GENERALITA’ E DI GLOBALITA’ ATTESO CHE IL MANTENIMENTO DI UNO STATO DI COMPLETO BENESSERE PSCO-FISICO E SOCIALE COSTITUISCE, OLTRE CHE DIRITTO FONDAMENTALE PER L’UOMO, PER I VALORI DI CUI LO STESSO E’ PORTATORE COME PERSONA, ANCHE PREMINENTE INTERESSE DELLA COLLETTIVITA’ PER L’IMPEGNO ED IL RUOLO CHE L’UOMO STESSO E’ CHIAMATO AD ASSOLVERE NEL SOCIALE PER LO SVILUPPO E LA CRESCITA DELLA SOCIETA’ CIVILE.

DEPOTENZIARE IL LABORATORIO ANALISI, CHIUDERE IL SERVIZIO DI CARDIOLOGIA, DEPOTENZIARE LA CHIRURGIA, DEPOTENZIARE IL SERVIZIO DI OSTRETRICIA E GINECOLOGIA, ASSEGARE IL MODULO DI MEDICINA FISICA E RIABILITITATIVA ALL’OSPEDALE DI PARTINICO, TAGLIARE IL PERSONALE, RISCHIA DI FARE CHIUDERE L’OSPEDALE VENENDO MENO AL DIRITTO ALLA SALUTE CHE L’ART. 32 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA GARANTISCE A TUTTI I CITTADINI.
DOPO TANTI TENTATIVI E DOPO TANTI INCOTRI FINITI NELLA QUASI TIOTALITA’ CON UN NULLA DI FATTO  LA C.N.A. PROMUOVE ED ADERISCE CON CONVINZIONE ALLA MANIFESTAZIONE DI LUNEDI’ 29 NOVEMBRE 2010 ED INVITA, OLTRE I PROPRI ISCRITTI, TUTTI I COMMERCIANTI E ARTIGIANI ALLA CHIUSURA DELLE PROPRIE ATTIVITA’ LUNEDI’ MATTINA E PARTECIPARE ALLA MANIFESTAZIONE PER RIVENDICARE IL DIRITTO ALLA SALUTE.
E’ INDISPENSABILE LA VOSTRA PRESENZA PERCHE’ LE BATTAGLIE UNITARIE SONO LA BASE PER OTTENERE I RISULTATI AUSPICATI.
IL RAGGRUPPAMENTO SARA’ ALLE ORE 9.00 IN PIAZZA MUNICIPIO A CORLEONE.
IL PRESIDENTE Billitti Cosimo
IL SEGRETARIO
Salvatore Schillaci

Canzoneri, Cna. “Gli artigiani? I ciabattini sono diventati imprenditori. E’ crisi, ma la malattia si chiama burocrazia”

Sebastiano Canzoneri
Sebastiano Canzoneri ha attraversato tutti i luoghi della metamorfosi, li ha accompagnati per mano da dirigente del Cna a Palermo. Ed ora si misura con il cambiamento, i nuovi bisogni, una realtà assai diversa dal giorno in cui ha cominciato. Lasua storia ricorda quei sindacalisti che dall’oggi al domani nelle aree industriali siciliane dovettero assistere gli operai chimici dopo avere lavorato a fianco dei braccianti. Come quei sindacalisti, Sebastiano Canzoneri, segretario provinciale del Cna a Palermo, si è riciclato senza traumi, mantenendo tuttavia un certo aplomb del tempo andato, quasi che volesse ricordarci che lui i barbieri, i calzolai e i falegnami di trenta-quaranta anni fa continua a tenerli in gran conto. L’atteggiamento pensoso, il gesto misurato indossa uno spezzato elegante di foggia antica, una cravatta sobria, bene intonata, e parla con voce appena percettibile. Ha un vecchio telefonino, cui dice di essere molto affezionato, e usa il mouchoir invece che i fazzoletti di carta. Per quanti sforzi faccia, dunque, la sensazione di stare parlando con il rappresentante degli artigiani di un tempo e non con gli imprenditori di oggi, è forte. Ma è solo una sensazione. Sebastiano Canzoneri affronta i problemi dell’industria e dell’imprenditoria siciliani. E’ come ascoltare un dirigente di Confindustria, non il sindacalista dei calzolai. Sotto i suoi occhi è cambiato il mondo, e lui se n’è accorto eccome. La Confederazione nazionale dell’artigianato e delle piccole e medie imprese è una realtà importante nel panorama delle forze sociali e produttive del Paese.
Di che cosa vi occupate, signor Canzoneri?
“Assistenza, cioè servizi fiscali, credito, ambiente, attraverso le nostre società. Siamo strutturati come la Lega delle cooperative, noi stessi finanziamo le cooperative”.

Finanziate le imprese, dunque?
“Piccole e medie imprese che meritano fiducia. Abbiamo delle regole da rispettare ma non ci fermiamo ad una vigilanza tipicamente bancaria. La fiducia non si basa unicamente sulla solidità, guardiamo al progetto, alla capacità. Se ci sono idee buone, il progetto è originale, la gente è seria, li aiutiamo. Ci siamo per questa ragione, non altro”.

Che tipo di finanziamento concedete?
“Dal cinquanta all’80 per cento dell’investimento. Talvolta superiamo questi tetti, ma con la necessaria cautela. Seguiamo i nostri imprenditori in tutto e per tutto. Bisogna fare valutazioni tecniche con accuratezza, ci sono rischi collaterali, costi sociali, che gli artigiani devono affrontare e sapere prevenire. Abbiamo costanti rapporti con le Camere di Commercio e, naturalmente, con le banche”.

Siete la Confindustria dell’artigianato, dunque.
“Non c’è uno spartiacque netto fra noi e la Confindustria. Forse noi abbiamo grande cura alle piccole cose, non affrontiamo solo i grandi problemi. La nostra rete è fatta di piccoli imprenditori, ma fra loro ci sono eccellenze, investitori importanti che stanno bene sul mercato. Sparite le vecchie figure dell’artigiano, operiamo in un ambiente variegato. Ci sono imprese nostre che lavorano per le multinazionali. E’ una realtà forse poco conosciuta, la cui immagine è rimasta quella di mezzo secolo fa. Non siamo più nell’800 e sembra che pochi se ne siano accorti quando pensano agli artigiani. Faccio un esempio, quando qualcuno dice che qualcosa è fatta in modo artigianale, può significare una cosa o il suo contrario...”.

In che senso?
“Può volere dire che l’oggetto è fatto in modo dilettantesco, grezzo, non curato, ma anche il suo contrario, che è “lavorato” in ogni dettaglio con la stessa cura di un tempo, grazie al lavoro manuale dell’artigiano. C’è una certa ambiguità, convivono le due considerazioni, ma prevale l’aspetto positivo, bisogna dirlo. L’artigianato conserva la fiducia”

Gli artigiani, diventati imprenditori, devono meritarsi questa fiducia antica. I barbieri di una volta erano personaggi centrali della vita sociale di un tempo, colti e, spesso, rivoluzionari, affabulatori…
”Nei golpe sudamericani, i barbieri venivano subito prelevati e incarcerati perché i più pericolosi. Gli artigiani di oggi se la meritano la fiducia, anche se non c’è niente che ricordi il passato. L’artigianato è un imprenditore. Opera nell’elettronica, nella metalmeccanica, nel settore alimentare. Si serve dell’informatica, delle innovazioni tecnologiche, sta al passo con i tempi. Finocchiaro, il più famoso pasticciere siciliano, era un artigiano e conserva quelle caratteristiche, nonostante venda in tutto il mondo i prodotti che realizza a Castelbuono. Assistiamo imprese come la Rimat che fa meccanica di alta precisione e lavora per la Selenia”.

La vostra è un’oasi felice.
“Nemmeno per idea, viviamo i problemi dell’impresa. I servizi che non ci sono, il fisco, il sottosviluppo del Mezzogiorno, l’instabilità dei governi, ma soprattutto la burocrazia. Negli ultimi tempi abbiamo registrato una cancellazione massiccia dai nostri albi. C’è chi abbassa la saracinesca perché non ce la fa più. Dobbiamo misurarci con questa realtà difficile. Con le furbizie di coloro che abbassano la saracinesca e continuano a lavorare a livello individuale per non pagare le tasse. Fanno concorrenza sleale e danneggiano il mercato. L’80 per cento sono fuori dalla legge. I problemi sono tanti, i controlli sono difficili”.

Quale problema si dovrebbe affrontare subito, senza indugio.
“Ci sono risorse pubbliche non spese, diritti negati, imprese in coma a causa della burocrazie che non funziona, che ha procedute complicate. Un gran numero di imprese attendono dalla Regione mediamente ventimila euro, il contributo a fondo perduto su conto interesse, contratti sui mutui, linee di credito attraverso i consorzi fidi. Decreti firmati, i soldi non arrivano alle casse artigiane. Soldi stanziati e dirottati ad altri capitoli di bilancio. Ricordo il bando dell’artigianato, 50 mila euro a fondo perduto. Su 3000 domande, ne sono state esitate solo 87 in sei mesi. Ci vorranno venti anni per completare l’esame di questo passo. Se si sbloccassero queste risorse, basterebbe solo questo, rispettare le leggi, dare a chi ha maturato il diritto, ciò che gli è dovuto, e si potrebbe avere una svolta positiva. Non abbiamo bisogno di nuove leggi, abbiamo bisogno che la pubblica amministrazione funzioni. Su questi temi abbiamo organizzato una manifestazione al San Paolo Hotel il giorno 24, alla quale abbiamo invitato anche le autorità regionali”-

Un bilancio del suo lavoro. L’ha mai fatto?
“La mia esperienza è unica, mi ha arricchito, sono stato costretto a stare al passo con le novità, ma ho assistito il ciabattino con la stessa solerzia con la quale oggi assisto l’’imprenditore di successo”.
SiciliaInformazioni, 22 novembre 2010 12:40

domenica 21 novembre 2010

La Sanità in Sicilia proprio non va!

La Sanità Siciliana attraversa un delicato momento per le ripercussioni delle scelte che si stanno assumendo e si sono compiute in ambito nazionale e regionale. L’approvazione della bozza di decreto sui costi standard in sanità e la tabella di marcia imposta alla fase attuativa della riforma sanitaria regionale stanno impattando fortemente in contraddizioni e ritardi che necessitano di una rivisitazione ordinata ed organica di tutti gli strumenti attivati dall’Assessorato Regionale della Salute. La prima contraddizione è data dal ridimensionamento della centralità degli ospedali non accompagnato dall’avvio della medicina territoriale con conseguenti disagi e arretramenti su qualità e appropriatezza delle prestazioni erogate, come testimoniato dall’allungamento dei tempi d’attesa, dallo stato dei pronto soccorsi, dal mancato rispetto dei livelli essenziali di assistenza. La seconda contraddizione è espressa dalle ultime decisioni in materia di atti aziendali e dotazioni organiche considerati in maniera disgiunta ovvero senza la visione d’insieme che i due strumenti devono necessariamente avere rispetto alla missione ed all’assetto istituzionale, alla struttura organizzativa ed alla dotazione organica delle 17 aziende sanitarie siciliane. La terza contraddizione è intrinseca al Piano Sanitario Regionale che nel suo essere strumento per la programmazione triennale rischia di fermarsi al piano virtuale senza possibilità di reale attuazione. La Fp-Cgil regionale in sinergia con la Cgil Siciliana ha rappresentato il punto di vista dell’Organizzazione sul metodo relazionale da praticare nel confronto con le parti sociali e sul merito della pianificazione sanitaria sia per la valutazione degli effetti sulla qualità dei servizi sanitari che per la salvaguardia dei diritti dei lavoratori. Infatti il Piano, così come è stato concepito, evidenzia la grande contraddizione di una gestione che, da un lato, programma il sogno di una sanità efficiente e, dall’altro, taglia le risorse ed il personale necessario al funzionamento del sistema sanitario regionale tradendo, nei fatti, la speranza riposta nella fase iniziale del varo della riforma sia per quanto attiene i bisogni di salute dei cittadini siciliani che per quanto riguarda il trattamento del personale dipendente sia medico che del comparto, sia stabile che precario, sia interno che esterno.

La Fp Cgil Sicilia e la Cgil Regionale hanno rivendicato e continuano a chiedere quell’eccellente normalità tanto propagandata dall’Assessore ed ancora lontana dalla sua realizzazione. Dopo la mobilitazione proclamata lo scorso 15 settembre con l’elaborazione di una specifica piattaforma, poi sospesa in conseguenza degli esiti del tavolo di raffreddamento del 28 settembre, si è determinata una particolare condizione di “attesa” con pochissime aperture da parte assessoriale stante la volontà esplicitata di non volere modificare le scelte sin qui attuate. Ciò pone l’esigenza di discutere degli ulteriori passi da compiere per consentire che le scelte assessoriali non contrastino con le esigenze di cittadini e lavoratori.
Caterina Tusa
Michele Palazzottodella F.P.-CGIL di Palermo

sabato 20 novembre 2010

‘Ndrangheta, radici al nord. Allarme della Dia

Roberto Maroni
La ‘Ndrangheta nel nord Italia vive e prospera, intriga con la politica, condiziona l’economia. Una ”costante e progressiva evoluzione” che “radicata da tempo su quei territori interagisce con gli ambienti imprenditoriali lombardi”. A dirlo non è un oppositore del ministro Maroni, che in queste ore polemizza con Roberto Saviano, ma la Dia (Direzione Investigativa Antimafia) che ha appena consegnato al Parlamento una relazione relativa all’attività delle cosche nel primo semestre del 2010. La Dia agisce nell’ambito del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero degli Interni, e gode di totale autonomia sia gestionale che amministrativa. Al ministro degli Interni e al Parlamento consegna ogni sei mesi una relazione sull’attività investigativa e sui risultati conseguiti.
Ebbene, i risultati di questo semestre sono allarmanti. La “consolidata presenza” in alcune aree lombarde di “sodali di storiche famiglie di ‘Ndrangheta ha influenzato la vita economica, sociale e politica di quei luoghi”, si legge nella relazione, che sottolinea il “coinvolgimento di alcuni amministratori pubblici locali e tecnici del settore”. Il condizionamento sulla vita politica ed economica lombarda è forte, le infiltrazioni sono soprattutto nel “sistema degli appalti pubblici, nel combinato settore del movimento terra e, in alcuni segmenti dell’edilizia privata” come il “multiforme compartimento che provvede alle cosiddette ‘opere di urbanizzazione’.”
La presenza del crimine organizzato in nord Italia è talmente radicata da non avere più bisogno dell’intimidazione quale meccanismo di coercizione. Anzi, il sistema è così permeato che, come sottolinea la Dia, la ‘Ndrangheta oggi si serve di “nuove e sfuggenti tecniche di infiltrazione, che hanno sostituito le capacità di intimidazione con due nuovi fattori condizionanti: il ricorso al ‘massimo ribasso’ nelle gare d’appalto e la decisiva importanza contrattuale attribuita ai fattori temporali molto ristretti per la conclusione delle opere”. Insomma, una volta radicatasi sul territorio, la ‘Ndrangheta ha imparato a giocare con le regole del posto utilizzando leggi e bandi a proprio vantaggio.
La Lombardia è poi la più ghiotta delle prede, l’Expo previsto per il 2015 è già un intrico di corruttele e infiltrazioni: ricordando infatti l’arresto di amministratori pubblici e imprenditori che hanno collaborato con la ‘Ndrangheta, la Dia lancia il suo monito: “Si rischia che l’associazione criminale s’infiltri con successo negli appalti per l’Expo 2015″. Per evitarlo, si legge nella relazione, occorre un “razionale programma di prevenzione”. Non solo Lombardia, però. La ‘Ndrangheta ha ramificazioni in Piemonte al Veneto, passando per la Liguria, l’Emilia Romagna e anche la Toscana: in questi territori – come ricorda Sos Impresa – interessati da grandi appalti e opere infrastrutturali, ci sono enormi possibilità di riciclaggio e di occultamento nell’economia legale. Sos Impresa ricorda il caso di Rocco Lo Presti che, morto il 23 gennaio 2009, arrivato a Bardonecchia nel lontano 1963, riesce nel giro di pochi anni a prendere il controllo del piccolo comune piemontese facendone un paradiso del cemento facile, del riciclaggio di denaro, della corruzione politica in collaborazione con la ‘ndrina dei Mazzaferro, clan che ha la sua “capitale” in quella Marina di Gioiosa Jonica che a Lo Presti diede i natali. A rischio anche il Lazio: “La Capitale – si legge nel rapporto della Dia – come altre grandi aree metropolitane costituisce un favorevole luogo per il rifugio di latitanti. Nel primo semestre 2010 sono infatti stati tratti in arresto alcuni esponenti di rilievo delle cosche reggine, sfuggiti alla cattura in precedenti azioni di polizia”, ricorda ancora la Dia. A Roma “gli interessi economici delle cosche si sono via via evoluti concentrandosi nel multiforme e diffuso settore commerciale della ristorazione”. E “le ‘ndrine dei Gallace e Novella sarebbero orientate verso il settore degli appalti pubblici”.
Narcomafie, novembre 2010

Saviano, Maroni e l’antimafia d’autore


Roberto Saviano

di Fabio Anibaldi
Barbara Spinelli: «i misteri di un’opera sono nell’opera, non nell’autore» (“la Repubblica”, 17 novembre). Spinelli si riferiva al berlusconismo, difficile da valutare se ci limitiamo a zoomare sul personaggio e non invece sulla «forza, la stoffa, gli ingredienti» del suo potere.
Ma le parole di Spinelli aiutano anche a collocare nel giusto sfondo la polemica tra Roberto Saviano e Roberto Maroni: Saviano che denuncia in tv la diffusione della ‘ndrangheta in Lombardia e il suo “interloquire” con la Lega, Maroni che chiede indignato il diritto di replica ad accuse che giudica infamanti per poi proporre allo scrittore, nel giorno dell’arresto del boss Iovine, di “deporre le armi”.
Non è qui in questione il valore delle persone. Saviano ha avuto il merito di scrivere un libro eccezionale, che ha venduto in tutto il mondo perché ha saputo fondere i codici dell’inchiesta con quelli della letteratura, costruendo sulle mafie un racconto convincente e nuovo, lontano sia dalle pedanterie accademiche che dalle riduzioni di folclore. Maroni è un ministro degli Interni che sul fronte della repressione mafiosa ha ottenuto risultati innegabili, peraltro riconosciuti dallo stesso Saviano.
È in questione l’idea stessa di mafia che sottostà a questa polemica e più generalmente al dibattito pubblico, un’idea che riconduce il fatto mafioso quasi interamente alla dimensione criminale. La lotta alla mafia la si fa con le operazioni di polizia, gli arresti, i processi. La si fa ripristinando la legalità, bonificando la politica e l’economia inquinate. Convinzioni sacrosante, ma che riducono fortemente l’ambito della lotta alle mafie perché non illuminano il legame tra repressione e prevenzione sociale del crimine, la convivenza delle organizzazioni criminali con un’illegalità diffusa ma non “mafiosa”, con la dilagante corruzione, con l’individualismo insofferente alle regole, con un mercato che assume a volte modi e metodi da gangster. In una parola, l’inquietante prossimità delle mafie a un mondo che non possiamo più pacificamente definire “nostro”, muovendosi in un modello culturale al cui estremo le mafie diventano un’esasperata, ma non illogica conseguenza.
Si tratta, a ben vedere, di una rimozione che ricorre ogni volta che un problema sociale viene elevato alla categoria metafisica di “male assoluto”, appannaggio di crociate e condottieri d’eccezione. Fu la stessa logica a caratterizzare, ad esempio, il dibattito pubblico sulla droga negli anni ottanta. Anche allora la questione fu ridotta alla diatriba sulle comunità terapeutiche, sui loro metodi, sulle personalità controverse che le guidavano; anche in quel caso la polemica finì per sviare lo sguardo dalle cause sociali e culturali del problema, permettendo una diffusione degli stupefacenti che oggi non trova argini, stretta com’è tra la mentalità della “normalizzazione” (e del “controllo”) e quella, non meno inefficace e ipocrita, della repressione che non distingue tra trafficante, piccolo spacciatore e consumatore. Lo stesso rischia di accadere con la lotta alla mafia, laddove si continuerà a sorvolare sul vero punto della questione: le mafie non saranno sconfitte finché non cambieranno le condizioni sociali del nostro paese, cambiamento che non può essere scaricato sulle spalle, per quanto robuste, di singoli e di simboli, ma assunto da ogni cittadino. È giusto allora ricordare Falcone, Borsellino e gli altri eroi della lotta alla mafia, ma se quella memoria non diventa impegno politico e sociale (cioè scuole, beni confiscati alle mafie, lavoro, ricerca) rischia di esaurirsi in mantra consolatorio, esorcismo di un male straordinario alla portata solo di uomini straordinari.
Quello che dice Barbara Spinelli – il “berlusconismo”, con il suo portato di degrado politico, economico, culturale, non sparirà con l’uscita di scena del suo ispiratore – vale allora anche per le mafie. Che si sconfiggono certo anche scrivendo un “Gomorra” e catturando boss come Antonio Iovine, ma prima ancora arrestando le disuguaglianze che ci fanno abitare mondi diversi se non separati in fatto di diritti, opportunità e risorse, alla faccia di quanto affermato nella nostra Costituzione, il più formidabile di tutti i testi antimafia.
Narcomafie, novembre 2010

martedì 16 novembre 2010

I valori di sinistra e destra di scena a "Vieni via con me" con Pierluigi Bersani e Gianfranco Fini

Gianfranco Fini e Pierluigi Bersani
Ospiti di Fabio Fazio e Roberto Saviano 1, il presidente della Camera Gianfranco Fini e il segretario del Pd Pierluigi Bersani hanno elencato in tre minuti i valori delle loro parti politiche. Ve li riproponiamo.
PIERLUIGI BERSANI:
"La sinistra è l'idea che se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli puoi fare davvero un mondo migliore per tutti. Abbiamo la più bella Costituzione del mondo. La si difende ogni giorno e il 25 aprile si fa festa". Inoltre "nessuno può stare bene da solo. Stai bene se anche gli altri stanno un po' bene. Se pochi hanno troppo e troppi hanno poco l'economia non gira perché l'ingiustizia fa male all'economia. Ci vuole un mercato che funzioni, senza monopoli, corporazioni e posizioni di dominio. Ma ci sono beni che non si possono affidare al mercato: la salute, l'istruzione, la sicurezza. Il lavoro non è tutto, ma questo può dirlo solo chi il lavoro ce l'ha. Il lavoro è la dignità di una persona. Sempre. E soprattutto quando hai trent'anni e hai paura di passare la vita in panchina. Ma chiamare flessibilità una vita precaria è un insulto. E allora un'ora di lavoro precario non può costare meno di un'ora di lavoro stabile".
"Chi non paga le tasse mette le mani nelle tasche di chi è più povero di lui. E se 100 euro di un operaio, di un pensionato o di un artigiano pagano di più dei 100 euro di uno speculatore, vuole dire che il mondo è capovolto. Davanti a un problema serio di salute non ci può essere né povero né ricco, né calabrese né lombardo né marocchino. L'insegnante che insegue un ragazzo per tenerlo a scuola è l'eroe dei nostri tempi. Indebolire la scuola pubblica vuol dire rubare il futuro ai più deboli". E ancora: "La condizione della donna è la misura della civiltà di un Paese. Calpestarne la vita è l'umiliazione di un Paese".
"Dobbiamo lasciare il pianeta meglio di come l'abbiamo trovato perché non abbiamo il diritto di distruggere quello che non è nostro. E l'energia va risparmiata e rinnovata sgombrando la testa da fanta-piani nucleari. Il bambino figlio di immigrati che è nato oggi non è né immigrato né italiano. Dobbiamo dirgli chi è. Lui è un italiano. Se devo morire attaccato per mesi a mille tubi, non può deciderlo il Parlamento. Perché un uomo resta un uomo con la sua dignità anche nel momento della sofferenza e del distacco. C'è un modo per difendere la fede di ciascuno, per garantire le convinzioni di ciascuno, per riconoscere la condizione di ciascuno. Questo modo irrinunciabile si chiama laicità. Per guidare un'automobile, che è un fatto pubblico, ci vuole la patente, che è un fatto privato. Per governare, che è un fatto pubblico, bisogna essere persone perbene, che è un fatto privato".
"Infine chi si ritiene di sinistra, chi si ritiene progressista deve tenere vivo il sogno di un mondo in pace, senza odio e violenza, e deve combattere contro la pena di morte, la tortura e ogni altra sopraffazione fisica o morale. Alla fine, essere progressisti significa combattere l'aggressività che ci abita dentro; quella del più forte sul più debole, dell'uomo sulla donna, di chi ha potere su chi non ne ha. E' prendere la parte di chi ha meno forza e meno voce".

GIANFRANCO FINI:
"Per la destra è bello, nonostante tutto, essere italiani perché è un piccolo privilegio, a Milano come a Palermo la nostra patria ha un patrimonio paesaggistico e culturale che il mondo ci invidia. Anche per questo, anche nel 2010, essere di destra vuol dire innanzi tutto amare l'Italia, avere fiducia negli italiani, nella loro capacità di sacrificarsi, di lavorare onestamente e pensare senza egoismi al futuro dei propri figli, di essere solidali e generosi, perché per la destra sono generosi innanzi tutto i nostri militari che in Afghanistan ci difendono dal terrorismo, come lo sono le centinaia di migliaia di nostri connazionali che ogni giorno e gratis fanno volontariato per aiutare gli anziani, gli ammalati, i più deboli".
La destra ritiene "solidali e quindi meritevoli di apprezzamento le imprese e le famiglie che danno lavoro agli immigrati onesti, i cui figli domani saranno anch'essi cittadini italiani perché la patria non è più solo terra dei padri. Ma oggi nel 2010, per crescere insieme unito, il nostro popolo non può confidare solo sulla sua proverbiale e generosa laboriosità, gli italiani hanno bisogno di istituzioni politiche autorevoli, rispettate, giuste. Per questo destra vuol dire senso dello Stato e dell'etica pubblica, cultura dei doveri. Per la destra lo Stato deve essere efficiente ma non invadente, spendere bene il denaro pubblico senza alimentare burocrazie e clientele, per la destra solo lo Stato deve garantire che legge è uguale per tutti, che deve combattere gli abusi e il malcostume, deve valorizzare l'esempio degli italiani migliori. Per questo bisognerebbe insegnare fin dalla scuola che due magistrati come Falcone e Borsellino sono davvero eroi e che sarà grazie al loro sacrificio che un giorno la nostra Italia sarà più pulita, più libera, più bella, più responsabile, attenta al bene comune, più consapevole della necessità di garantire che chi sbaglia paga e chi fa il suo dovere viene premiato".  "La destra sa che senza autorevolezza e buon senso delle istituzioni, senza autorità della legge, senza democrazia trasparente ed equilibrata nei suoi poteri non c'è libertà ma anarchia, prevalenza dell'arroganza e furbizia a discapito dell'uguaglianza dei cittadini. Per la destra l'uguaglianza tra i cittadini va garantita nel punto di partenza, al Nord come al Sud, a uomini e donne, ai figli degli imprenditori, degli impiegati e degli operai. Da questa vera uguaglianza delle opportunità la destra vuol costruire una società in cui merito e capacità siano i soli criteri per selezionare una classe dirigente. La destra vuole un paese in cui chi lavora di più, e meglio, viene pagato di più, un paese in cui chi studia va avanti, in cui chi merita ottiene maggiori riconoscimenti".
(15 novembre 2010)

lunedì 15 novembre 2010

Giovanni Impastato scrive a Einaudi: "L'amicizia per Roberto Saviano non pregiudica la richiesta che venga ristabilita la verità dei fatti"

Giovanni Impastato
Io sottoscritto Giovanni Impastato dichiaro quanto segue:

E’ vero, come da Voi scritto, che “anche in occasioni pubbliche, ho mostrato la mia vicinanza all’Autore” del libro in questione.
Voglio però precisare che l’amicizia per una persona non pregiudica la richiesta che venga ristabilita la verità dei fatti, richiesta che non mi risulta abbia avuto, come da Voi affermato, “intenti diffamatori”.
Non vedo come possano essere considerate “ingiustificate, gravi e diffamatorie” le affermazioni contenute nella lettera del 26 ottobre 2010, secondo cui due pagine di un libro a larghissima diffusione e destinato ad avere diverse ristampe cancellano di fatto 24 anni (tanti decorrono dalla morte di mio fratello alle condanne dei mandanti del suo assassinio) di impegno di mia madre, mio e di mia moglie, del Centro (di cui, tengo a dirlo, facciamo anche noi parte) e dei compagni rimasti, per avere giustizia per Peppino. A tali considerazioni, ampiamente motivate, non poteva non seguire la richiesta di una rettifica.
A tal proposito affermo che:
1. Non risponde a verità il fatto che “la memoria di Impastato” fosse “conservata solo da pochi amici, dal fratello e dalla mamma”.
Comincio con il sottolineare che il Centro siciliano di documentazione (che era stato fondato nel 1977) non era formato da amici di Impastato e non è stato, nell’80, a lui dedicato per amicizia ma perché mio fratello è stato riconosciuto come una figura unica nella lunga storia delle lotte alla mafia, avendo iniziato con la rottura con la nostra famiglia mafiosa.
Noi come famiglia, i compagni di Peppino rimasti e il Centro Impastato, non ci siamo limitati a conservarne la memoria, ma, come già scritto nella diffida, fin dal primo giorno dopo il funerale ci siamo attivati per denunciare il depistaggio e dare alla magistratura tutte le notizie sull’attività di Peppino che indicavano chiaramente la matrice mafiosa dell’assassinio. In particolare l’11 maggio 1978 il Centro siciliano di documentazione presentò un esposto alla Procura e il 16 maggio mia madre, Felicia Bartolotta Impastato, chiese la costituzione di parte civile, atto allora possibile già in fase di istruttoria. Una scelta che prima era stata fatta soltanto da Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale ucciso nel 1955.
In seguito noi familiari e il Centro abbiamo organizzato, assieme ad alcuni compagni di militanza, ogni anno numerose iniziative nel nome di Peppino (a cominciare dalla manifestazione nazionale contro la mafia del 9 maggio 1979 a Cinisi, la prima della storia d’Italia).
E ogni volta che è stata chiusa l’inchiesta abbiamo cercato di dare alla magistratura altri elementi per farla riaprire: nel 1984, in seguito all’ordinanza-sentenza del maggio dello stesso anno, predisposta dal consigliere Chinnici, assassinato il 29 luglio 1983, e completata dal suo successore Antonino Caponnetto, in cui si affermava la matrice mafiosa del delitto attribuendolo a ignoti, abbiamo presentato il dossier Notissimi Ignoti (redatto da mia moglie Felicia Vitale, che firma con me questa lettera, e da Salvo Vitale e pubblicato dal Centro) e il libro La mafia in casa mia, con la storia di vita di mia madre, che ha fatto riaprire ancora una volta le indagini. In seguito all’archiviazione disposta dal sostituto procuratore De Francisci (febbraio 1992) abbiamo ribadito la responsabilità di Badalamenti e nel 1994 abbiamo chiesto che venisse ascoltato il collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, della famiglia mafiosa di Badalamenti.
La richiesta è stata accolta e nel febbraio del 1996 le indagini sono state riaperte. Si arriva così alla richiesta di rinvio a giudizio di Badalamenti e del suo vice Vito Palazzolo e ai processi con le condanne di entrambi come mandanti dell’omicidio. Torno a sottolineare le date: quello con rito abbreviato contro Vito Palazzolo, è cominciato nel marzo del 1999 e si è concluso nel marzo del 2001 con la condanna a trent’anni di reclusione; l’altro, quello contro Gaetano Badalamenti, in rito ordinario e in videoconferenza si è aperto nel gennaio del 2000 e si è concluso nell’aprile del 2002 con la condanna all’ergastolo. Il film è stato presentato a Venezia nel settembre del 2000 e nelle sale è uscito qualche mese dopo.
2. Pertanto non risponde a verità l’affermazione contenuta a pagina 7 del libro La parola contro la camorra, secondo cui “dopo più di venti anni, nasce un film, che non solo recupera la memoria di Giuseppe Impastato […] ma arriva a far riaprire un processo […] Un film riapre un processo”, perché, come già ampiamente dimostrato, date alla mano, i processi (due, non uno) contro i responsabili dell’omicidio erano aperti già da tempo e la Commissione parlamentare antimafia aveva costituito il Comitato Impastato, per indagare sul depistaggio delle indagini, già nel 1998. Le affermazioni del libro non sono veritiere e oscurano il nostro impegno, in primo luogo quello di mia madre, e poi il mio, di mia moglie e del Centro (in particolare nelle persone del suo presidente Umberto Santino e di Anna Puglisi).
3. Mi è chiaro che l’obbiettivo del testo fosse (come da Voi scritto nella lettera del 4 ottobre 2010) quello di “sottolineare il ruolo rilevante che può avere un film e, in generale ogni forma di media, rispetto al compito di riportare alla memoria dell’opinione pubblica episodi di cronaca di primo piano”.
Voglio, però, in primo luogo farVi presente, che la vicenda di mio fratello non è un episodio di cronaca, ma un fatto gravissimo che colpisce una delle figure più significative della lotta alla mafia negli ultimi decenni.
Non posso che ribadirlo ancora una volta, l’affermazione “un film arriva a far riaprire un processo”, non risponde a verità. In ogni caso si tratta di un esempio sbagliato.
Quindi, al contrario di quanto si legge nella Vostra lettera, le affermazioni di Saviano sono in contrasto con la verità storica.
Il film ha avuto certamente un ruolo importante nel fare conoscere la figura di mio fratello, più di quanto abbiamo potuto fare noi e il Centro Impastato, per la limitatezza delle nostre risorse, ma non ha avuto nessuna influenza dal punto di vista giudiziario.
E voglio sottolineare che il film non è nato per caso e non ci sarebbe stato senza il nostro impegno incessante.
4. Voglio infine far presente che, durante un dibattito, con la partecipazione di Roberto Saviano, tenutosi nell’agosto 2009, a Villagrazia di Carini presso la mia pizzeria, in occasione della presentazione del mio libro, con Franco Vassia, Resistere a Mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato, con la prefazione di Umberto Santino, in cui vengono ricostruite tutte le vicende riguardanti mio fratello, comprese quelle giudiziarie, il giornalista Francesco La Licata aveva sottolineato il ruolo dei familiari e del Centro Impastato per l’accertamento della verità. Purtroppo non abbiamo potuto registrare tale iniziativa (come invece è sempre successo qualunque siano stati i relatori) perché c’è stato detto che c’era l’esclusiva di una rete televisiva.
Malgrado sia stato informato, Saviano ha ritenuto di pubblicare il libro ancora con quelle affermazioni. Dopo il lancio su Repubblica il 25 marzo 2010, è stata inviata al giornale dal presidente del Centro, e firmata anche da me, una lettera di precisazioni, pubblicata soltanto dopo nostra insistenza e malamente tagliata, il 3 aprile.
Faccio mia, pertanto, la richiesta di rettifica di quanto riportato nel libro in questione.
Distinti saluti
Giovanni Impastato
Firma con me la richiesta mia moglie Felicia Vitale.
Giovanni Impastato, corso Umberto 220, 90045 Cinisi (Palermo)

domenica 14 novembre 2010

Umberto Santino, due poesie a Fufo...

A Fufo

Con gli occhi aperti
a guardare la morte
forse per dirle
che almeno per poco
non sfiori il tuo volto
e consenta alle mani
di segnare sulle pareti
il tuo ultimo
saluto alla vita

Scrivevi
O si è felici
o si è complici
Fate la corte
alla gioia
e in un mondo
in cui anche la felicità
può essere
una forma di complicità
e la gioia
troppe volte
è lontana
come un fantasma
inafferrabile
sei stato fino alla fine
fedele a te stesso
innocente
spudorato
tenero
implacabile
lucido
incantato
provocatore
contestatore
fratello
di progetti
e di sogni
di Placido Rizzotto
e Peppino Impastato
anche quando nessuno
aveva più niente
da contestare
e niente da sognare
scarnificato
come un santo martire
orgoglioso
della tua diversità
come si può esserlo
in questa terra
tra Corleone
e Palermo

Hai scritto
C’è
Chi
Per dire
Grazie
Ri-crea
Il
Mondo
e a tuo modo
hai detto
grazie alla vita
e ri-creato
il mondo

Noi possiamo
soltanto
dirti
grazie
per i tuoi anni
vissuti con noi
come una continua
invenzione
un poema in progress
e parlare
al tuo silenzio
sapendo
com’è difficile
vivere
e quanto costa
morire
8 settembre 1995

***
Lettera a Fufo, a 10 anni dalla morte

Le tue parole e le nostre
giocano a rincorrersi
in un teatro-fantasma
che fa da scenario
alle nostre abortite speranze,
ombre di ombre
come nella caverna di Platone.

Siamo qui, in un tempo
usurpato da poteri a delinquere
e da opportunisti senza pudore
(il tardo mafioso impero
si innesta in fantasie
di new economy),
in una città che si è rassegnata
a venerare rovine
e coltivare rifiuti
(le luci cancellano
ragnatele di muri
e immagini oscene
violentano gli occhi,
la devozione falsifica la storia
di una peste che non è mai finita).

Non sei più con noi
e vorremo poterci parlare
ancora una volta
riprendere quel respiro
ininterrotto
che fu la tua ars poetica
e chiederti com’è finita
la tua corte alla gioia
più ostinata del contrasto
di Ciullo d’Alcamo.

Non siamo né felici né complici.
Né peccatori né innocenti.
Il nostro unico peccato
fu la rivoluzione del quotidiano
l’ansia scandalosa di vivere
in un mondo infettato di morte.

E anche se hai saputo
vivere la morte
come un Cristo in croce
che non crede nella resurrezione
ma si affida alla sua fragilità
di uomo
i tuoi occhi sono spenti
la tua bocca silenziosa.

Ci resta la lucidità
delle tue provocazioni
il fiato delle tue bestemmie
più dolci di una preghiera,
un dono prezioso
per mani che affondano le dita
in un paesaggio di ruderi
e scavano un volto
tra frantumi di menzogne.
10 settembre 2005

Nino Gennaro. Le lettere di protesta, di rammarico e di proposta...

Per quanto riguarda Nino mi viene di ricordare il suo senso di libertà e di ironia (che aveva il compito di frenare facili entusiasmi da campagne promotrici), la sua creatività e la sua fantasia, la sua attenzione alla politica accompagnata dal rispetto per lo spazio individuale, il suo amore per la parola (che voleva disegnare con attenzione) e la sua povertà (era capace di vivere con niente). Che poi Fufo fosse fuori del coro è perché sentiva di fare il solista e un coro può essere accompagnato anche da solisti, e un solista può cantare anche senza un coro! Io questo centro lo avrei intitolato a Nino Gennaro, drammaturgo... di strada!
Cosimo Scordato
sacerdote
****
Per quanto riguarda la mancata intitolazione del centro multimediale a Nino Gennaro, questi episodi ci dimostrano che le persone non la pensano tutte come noi, anche se stanno zitte. Dobbiamo esporre con forza le nostre idee, ma consapevoli che siamo (ancora?) una minoranza, per quanto agguerrita. Il senso comune cambia molto lentamente. Molti passi avanti sono stati fatti (anche per l'arte e, direi, la "grazia" del carissimo Nino), ma certo ci sono kilometri da fare - se guardiamo in profondità. Ti abbraccio e mi congratulo (anche se la parola non è adatta) per il tuo (il vostro) appassionato impegno per civilizzare la nostra comunità siciliana ...
Simona Mafai

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Dopo il "no" del consiglio comunale, si potrebbe organizzare un evento pubblico per parlare di Nino, ma anche per raccontare, con la stampa, le cose, con nome e cognomi. No? Rosario Giuè
Che tristezza. Ho votato il sondaggio. Almeno un piccola cosa ho potuto farla. E sono disponibile per qualsiasi iniziativa voi riteniate utile.
Un abbraccio

Titti De Simone
(ex presidente nazionale
di Arci-lesbica
ed ex parlamentare)

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Anche alla luce del fatto che a Corleone il Consiglio comunale ha rifiutato di dedicare un luogo a Nino Gennaro, poeta attore autore teatrale di Corleone, inventore del Teatro Madre, per il prossimo cartellone al Teatro del Baglio di Villafrati si potrebbe inserire uno degli spettacoli messi in scena da Massimo Verdastro da testi gennariani. Che ne dite? santo.lombino@libero.it
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Ho apprezzato molto la nostra rassegna passata proprio perché legata a temi di forte impatto sociale e civile. Non posso che condividere l'idea. onofrio.tripo@alice.it

(Teatro del Baglio Villafrati)

sabato 13 novembre 2010

Giuliana. La minoranza chiede le dimissioni del sindaco per incapacità amministrativa e politica

Pietro Quartararo
"Dopo 2 anni e mezzo di amministrazione campisi assistiamo all’imbarazzante immobilismo politico, amministrativo e burocratico, il paese è paralizzato si naviga al buio nell’approssimanzione, nell’incertezza e nella costante lentezza burocratica". Questo è quanto afferma il capogruppo di minoranza Pietro Quartararo (PD) soprattutto nel campo dei lavori pubblici, infatti in questi due anni e mezzo l’amministrazione ha appaltato solamente piccoli lavori, peraltro di ordinarissima amministrazione, l’unica “piccola operetta pubblica” per un importo di € 60.000,0, peraltro attingendo ad un mutuo della cassa depositi e prestiti, e’ stato la messa in sicurezza del campo sportivo in c/da San Marco che ancora oggi è incompiuta e per cui dopo anni di lavori non vi sono tempi certi per la riapertura. In particolare - aggiunge quartararo - non si hanno notizie di alcune opere pubbliche discusse da tempo in Consiglio Comunale, quali l’avvio dei lavori per la scuola media di cui vi è un progetto di circa € 900.000,00 cofinanziato con il ministero dell’istruzione, oppure la messa in sicurezza della Ex discarica in C.da San Marco, per cui l’agenzia dei rifiuti nel lontano novembre 2008 ha chiesto la trasmissione del progetto esecutivo per accedere al finanziamento, e ancora oggi dopo 2 anni, ed un’interrogazione consiliare del gruppo di minoranza risalente a luglio 2010, l’amministrazione non ha affidato nemmeno l’incarico al progettista col rischio di perdere un finanziamento di circa € 300.000,00. Poi ci sono grandi opere che riguardano la messa in sicurezza dell’ex casa municipale in piazza del popolo, per cui sono stati stanziati i fondi per l’affidamento dell’incarico di progettazione e l’ex casa del lavoratore in piazza Pompei, che è stata già inserita nella graduatoria regionale per il finanziamento. Da non dimenticare il problema della Chiesa Madre, ancora oggi in stato di abbandono, che tutto il gruppo di minoranza ha già sollevato con un’interrogazione consiliare che verrà discussa al prossimo consiglio.
Tutto ciò è inaccettabile, non è possibile che una giunta monocolore ( P.I.D.) non sia in grado di dare slancio all’avvio di opere pubbliche che possano dare respiro al problema occupazionale. Queste opere potrebbero innescare un volano economico che possa permettere alla nostra amata comunità di spiccare il volo e di usufruire di nuove strutture da destinare al bene comune e alle associazioni locali e ad uffici pubblici più centrali per avvantaggiare le persone anziane.
“Le gravi responsabilità - conclude Quartararo, a nome di tutto il gruppo di minoranza - sono da attribuire al Sindaco Campisi e alla sua giunta nella sua interezza, del quale tutti i consiglieri di minoranza, Orlando, Russo, Altamore, Vento, nonché lo stesso capogruppo, hanno chiesto le dimissioni per incapacità amministrativa e politica.

Trattativa Stato-Mafia, stop al 41 bis: spunta il suggeritore di Conso

Il carcere dell'Ucciardone di Palermo
di SALVO PALAZZOLO
Palermo, documento del '93 firmato dal direttore del Dap. Nuova intimidazione a Ciancimino Jr. La vedova dell'ex sindaco del capoluogo siciliano conferma ai pm gli incontri a Milano con Berlusconi
PALERMO - Sette mesi dopo la strage Borsellino, alcuni vertici delle istituzioni avevano fretta di revocare il carcere duro ai mafiosi. La questione fu affrontata addirittura durante un comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza. Fino ad oggi, mai nessuno l'ha ammesso. Anzi, tutti i politici interrogati dai magistrati e della commissione antimafia continuano a ribadire che in quei mesi ci fu solo la linea della fermezza contro i boss.
Adesso, un documento li smentisce. È un "appunto" del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria: "numero 115077 del 6 marzo 1993", indirizzato al capo di gabinetto del ministro della Giustizia Giovanni Conso. La firma è dell'allora direttore Nicolò Amato. A leggere l'oggetto, in quei 75 fogli c'è solo routine: "Organizzazione e rapporti di lavoro". E invece, a pagina 59, Amato apre un capitolo cruciale: "Revisione dei decreti ministeriali emanati a partire dal luglio '92, sulla base dell'articolo 41 bis". È il cuore del documento, rimasto per 17 anni negli archivi del ministero della Giustizia. Oggi Repubblica lo mostra per la prima volta.
È un documento destinato a riscrivere la storia di quei mesi ancora oscuri. L'indagine sulla trattativa, condotta dai magistrati di Palermo, non si presenta affatto facile: ieri pomeriggio, Massimo Ciancimino, il principale testimone dei pm Di Matteo e Ingroia, ha ricevuto l'ennesima minaccia. Una calibro 9 carica è stata trovata nell'androne della sua abitazione, in centro città, dentro al vano contatori. Poche ore prima, la madre aveva deposto in Procura.
Silvia Epifania Scardino ha confermato quanto il figlio aveva raccontato a "L'Infedele", la trasmissione di Gad Lerner: è testimone di due incontri fra il marito e Silvio Berlusconi. Uno si tenne in un ristorante della zona di piazzale Diaz, nella Milano inizio Anni 70. Si discusse di investimenti da un miliardo e mezzo di lire a Milano 2. Sarebbe seguito un altro incontro.
L'inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia fra le stragi del '92-'93 è adesso di fronte a un'altra inaspettata novità: il documento di Amato. In quell'appunto c'è un'indicazione precisa al Guardasigilli: "Appare giusto ed opportuno rinunciare ora all'uso di questi decreti". Due sono le strade suggerite: "Lasciarli in vigore fino alla scadenza senza rinnovarli, ovvero revocarli subito in blocco. Mi permetterei di esprimere una preferenza per la seconda soluzione". Amato spiega perché: "L'emanazione dei 41 bis era giustificata dalla necessità di dare alla criminalità mafiosa una risposta. Ma non vi è dubbio che la legge configura il ricorso a questi decreti come uno strumento eccezionale e temporaneo".
Dietro queste parole non c'è solo un'iniziativa del Dap. È Amato a scriverlo. "In sede di Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza, nella seduta del 12 febbraio, sono state espresse, particolarmente da parte del capo della polizia, riserve sulla eccessiva durezza di siffatto regime penitenziario. Ed anche recentemente - prosegue il direttore - da parte del ministero dell'Interno sono venute pressanti insistenze per la revoca dei decreti applicati agli istituti di Poggioreale e di Secondigliano".
Perché il capo della polizia Parisi e il Viminale allora retto da Mancino esprimevano quelle "riserve"? Due giorni fa, in Antimafia, Conso ha svelato che nel novembre '93 fu tolto il carcere duro a 140 mafiosi. Amato non era più al Dap da giugno. "Fu una mia scelta, non ci fu alcuna trattativa", ha ribadito Conso. "Bisogna ascoltare al più presto i ministri e i vertici delle forze dell'ordine che parteciparono al comitato in cui si discusse di revocare il 41 bis", dice il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente dell'Antimafia. "Perché fu messo in discussione il carcere duro?". Era proprio quello che avevano chiesto i capimafia nel papello. Dice Lumia: "Tutti i vertici delle istituzioni devono aiutarci di più per capire cosa sia accaduto veramente e individuare le responsabilità".
La Repubblica, 13.11.2010

41 Bis. Così è crollato il muro dell'omertà: ora lo Stato ammette un cedimento

di ATTILIO BOLZONI
Giovanni Conso
Dalle parole del Guardasigilli e di Amato squarci di verità sulla trattativa. L'allora ministro ha ammesso di non aver rinnovato il carcere duro per i 40 boss detenuti. La Procura indaga sull'ex direttore delle carceri che poi difese esponenti di Cosa Nostra
È LA prima volta che un uomo di governo dell'epoca confessa un cedimento, un gesto di resa verso la mafia siciliana. È la prima volta, dopo una sconcertante omertà di Stato, che qualcuno ammette di avere cercato una tregua con Cosa Nostra. In tempi di guerra volevano fare la pace con i boss "per evitare altre stragi". La deposizione in Commissione Antimafia dell'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso apre un varco intorno a quella trattativa cominciata con l'uccisione di Falcone e mai finita.
C'era nel 1992 fra gli attentati di Capaci e di via D'Amelio con la stesura del famoso papello custodito da Vito Ciancimino, c'era fra la misteriosa cattura di Totò Riina e le bombe di Firenze, c'era ancora nella seconda metà degli Anni Novanta quando Bernardo Provenzano girava indisturbato per Palermo e quando i capi più rappresentativi dell'organizzazione lanciavano l'offerta di una dissociazione di massa. E, assumendo anno dopo anno forme diverse, quella trattativa si è trascinata fino a questi ultimi mesi con le enigmatiche mosse dei fratelli Graviano di Brancaccio, ergastolani che hanno fatto intendere di voler negoziare lanciando messaggi "a chi non ha mantenuto gli impegni". Destinatario finale: Silvio Berlusconi.
Per seguire i fili di questa trama oggi però è decisivo ripartire dal clamoroso annuncio dell'ex Guardasigilli sul mancato rinnovo del carcere duro - il 41 bis - per 140 detenuti dell'Ucciardone, una svolta per una ricostruzione più convincente dei fatti e per le eventuali conseguenze nelle inchieste giudiziarie di Palermo e di Caltanissetta e di Firenze.
Se da una parte l'ex ministro giura di avere agito in solitudine, dall'altra svela un dettaglio che in quel 1993 nessuno sapeva al di fuori dei boss o di coloro che con i boss trattavano: e cioè la presenza sulla scena di Provenzano, diventato il mafioso che reggeva le sorti di Cosa Nostra. Come faceva il ministro Conso a conoscere il "peso" di quel latitante se anche gli addetti ai lavori più qualificati, gli investigatori di prima linea, sospettavano addirittura che Provenzano fosse morto? All'inizio di quel 1993 fu nientemeno che Balduccio Di Maggio, quello che si prese il "merito" di aver fatto arrestare Totò Riina, a rivelare che "probabilmente" Bernardo Provenzano era passato a miglior vita. Ufficialmente era un fantasma per tutti. Tranne per chi gli stava vicino.
Ma quella è solo una delle incoerenze che affiorano nella deposizione del Guardasigilli. Giovanni Conso non è stato l'unico a indietreggiare, a ritirarsi nel 1993 davanti alle bombe di Cosa Nostra. Il disvelamento di un documento rimasto fino ad ora sepolto smentisce - sbugiarda - tutti coloro che hanno sempre garantito di "essere all'oscuro" di qualsiasi patto. Sono carte ufficiali che come dinamite potrebbero far crollare muri di segretezza.
Nel marzo del 1993 - otto mesi prima della revoca del 41 bis decisa da Conso - il direttore generale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Nicolò Amato aveva inviato al ministero della Giustizia (che era sempre Conso) una relazione nella quale sosteneva "l'opportunità di rinunciare a questi decreti emergenziali". Il documento scopre anche che altri uomini delle istituzioni erano coinvolti in quel "dibattito" sul 41 bis - di sicuro il capo della polizia Vincenzo Parisi e il ministro degli Interni Nicola Mancino - che secondo Amato avrebbero manifestato "riserve sull'eccessiva durezza di siffatto regime penitenziario" ed esercitato anche "pressanti insistenze" per cancellare il carcere duro. Perché nessuno ha mai voluto parlare di quei misteri? Perché tanti ostinati silenzi?
Un ultimo particolare, non sfuggito ai procuratori di Palermo, riguarda la singolare posizione di Nicolò Amato. Direttore delle carceri fino al 1993, poi difensore di alcuni boss dell'ala "moderata" di Cosa Nostra come Giuseppe Madonia di Caltanissetta, poi ancora (e a sorpresa) avvocato di Vito Ciancimino. Proprio lui, quello del papello, il primo protagonista degli accordi fra Stato e mafia.
La Repubblica, 13.11.2010

giovedì 11 novembre 2010

Qualcosa sui "lati oscuri" di Nino Gennaro...


Nino Gennaro
 di MARIA DI CARLO
Grazie, Giuseppe, intanto per le tue parole di oggi. Grazie ai ragazzi di Dialogos e a Città nuove che hanno fatto la proposta di dedicare il centro multimediale (un contenitore bello e da anni vuoto, ma riempibile di contenuti!) a Nino Gennaro, e presenziato agli svariati consigli comunali in cui si sarebbe dovuto trattare dell'argomento. Grazie, ovvio, a Dino per aver formulato la proposta in consiglio comunale. Intanto da parte mia qualche appunto sui "lati oscuri" di Nino Gennaro.
a) Nessuno si è posto la domanda che Nino, dal momento che io e lui siamo stati assieme come coppia e per anni, fosse non un omosessuale ma un bisessuale? Capisco che, agli occhi di molti, questa connotazione aggiunga fango al fango, ma per amore di verità voglio dire le cose come stanno, senza infingimenti. Nino era un bisessuale. Io non sono omosessuale (si dice “lesbica” al femminile, e non è un insulto) ma sono stata assieme a lui e al gruppo con cui allora facevamo teatro, 30 anni fa, a Giarre, dove due ragazzi (maschi) si erano suicidati lasciando scritto che lo facevano per l’impossibilità di vivere il loro amore liberamente. Sono stata con lui e con altri a fare volantinaggio ai semafori e performances teatrali, 30 anni fa, a proposito di un transessuale morto ammazzato a Palermo. Sono stata al Gay Pride lo scorso luglio (patrocinato dal Comune di Palermo, con amministrazione di centro-destra, toh!) assieme a mio marito e mio figlio ragazzino, con addosso un cartello su cui era scritto “Io e mio marito litighiamo su tutto ma su una cosa siamo d’accordo: nostro figlio sarà libero di amare chi vuole”. Non eravamo pochi. C’erano migliaia (alla lettera, non tanto per dire) di persone, famiglie, persone, associazioni, da Amnesty International alla la Lega per la difesa degli animali. “Diritti di uno, diritti di tutti”.
Nino non c’era perché è morto da 15 anni ma le sue parole si, in un gremitissimo Teatro Montevergini, a dire che “Un uomo si uccide ogni giorno con le parole…”.
Abbiamo sentito le battaglie per i diritti delle persone omosessuali (come quelle dei senzacasa, come quelle per migliorare le condizioni di quartieri deprivati, come quelle dei bambini, delle donne, degli anziani, degli uomini che li abitano, come quelle dei minorenni entrati già in area penale, come quelle dei detenuti in semilibertà, come quelle dei nomadi, degli immigrati, come quelle di chi vuole migliorare la propria condizione di reietto) abbiamo sentito queste battaglie come nostre, anche se non riguardavano in prima persona noi stessi, la nostra condizione, e ci siamo adoperati, nel nostro piccolo, in questa direzione. Non si lotta solo per difendere i propri interessi ma gli interessi in generale propri di una società più libertaria, più umana, più solidale, più giusta.
b) Sempre per amore di verità, voglio precisare inoltre che Nino non si è MAI drogato, MAI MAI MAI, come volgarissimamente invece sostengono persone che non lo hanno nemmeno conosciuto. Avevamo amici che hanno fatto questo percorso (alcuni lo hanno anche compiuto tragicamente), ma Nino non ha mai usato neanche fare spinelli, come fanno ora pure i ragazzini. Mai neanche una sbronza, neanche una bottiglia di birra. Mai. La sua posizione (ma non è stato neanche uno dei leit motiv della sue battaglie politiche) riguardo alle droghe era sicuramente antiproibizionista, in quanto riteneva (in buona compagnia di tanti altri studiosi) che il proibizionismo foraggia le mafie, che la droga la vendono, e tagliata, causando morte a chi la consuma e lautissimi guadagni per se stesse. Come successe fin dai tempi del proibizionismo riguardante gli alcolici, che fecero la fortuna di Al Capone e compagni. Nino, addirittura, finì col non fumare neanche più le sigarette normali, cancerogene e vendutissime da sempre, e con in più l'imprimatur degli Stati.
c) La morte per aids. “La colpa di vivere” scriveva Nino. Una malattia da guardare con sospetto, legata a un immaginario (tutto da smontare, come dicono non da oggi gli studi sull’argomento) moooolto “particolare”. Neanche di questo si è fatto mistero. Forse anche esagerando, lo riconosco, sia Nino che io abbiamo fatto delle nostre vite delle bandiere: tutto ciò che vivevamo doveva essere vissuto alla luce del sole, senza doppie facce, e quindi doveva essere detto. Non dire coram populo una cosa di sé, cioè di noi, significava vergognarsene, negare il proprio diritto all’esistenza. Noi non ce ne vergognavamo, affermavamo il nostro diritto all’esistenza e quindi non celavamo alcun particolare delle nostre vite, davanti a chiunque. Tante volte anche mia madre, nel periodo più duro di scontro con mio padre, mi suggeriva (e non aveva torto) “Aspetta di andare all’università a Palermo, come fanno tutte. Là sarai più libera…”. Io non l’accettavo, e con un’ostinazione da kamikaze mi proiettavo nella mia battaglia personale contro l’Autorità. Non si voleva che incontrassi quell’essere perverso di Nino Gennaro? Ci camminavo sotto casa e sfrontatamente dicevo a chi me lo proibiva che non volevo vederlo “o campu sportivu”, che allora era fuori paese, in una zona non abitata. Pagandone il prezzo conseguente.
Le nostre vite sono proseguite così: le abbiamo sventolate come bandiere pro qualcosa e pro qualcuno, contro qualcos’altro o qualcun altro. Non abbiamo conosciuto le doppiezze proprie delle vite di tanti: oggi tutti family day, no alle coppie di fatto, tutti matrimoni (meglio se in chiesa), domani corna e quant’altro, ma ammucciuni. Non siamo stati così, ed essere com’eravamo ci è costato caro, a noi due e alle nostre famiglie, che hanno avuto la ventura di averci come figli, come fratello, come sorella.
La morte di Nino, la sua malattia, ha contribuito a “disonorarne” la memoria? Certo, non è stata la morte di tritolo (raccontabile, tramandabile, narrabile, cinematografabile) di Peppino Impastato. Quel tipo di morte che sola soddisfa i necrofili-necrofagi, che solo allora sono disposti a dare onore al merito di una persona. Magari, se non fosse stato ucciso dalla mafia, anche Peppino, chissà, sarebbe potuto morire di aids, pur continuando a vivere come viveva e lottare per le stesse cose per cui ha vissuto e lottato. E i necrofili-necrofagi non lo avrebbero calcolato, o lo avrebbero denigrato, considerato un cattivo esempio per i giovani, per il suo paese, un rovina-famiglie, pure quello.
d) Nino nella sua variegatissima vita ha fatto un percorso di ricerca spirituale profondo e autentico, attingendo alla religione cristiana come a quella buddista, induista ecc., restando sempre però profondamente LAICO. Percorso, credo, a maggior ragione apprezzabile tanto più perché effettuato da una persona che non ha vissuto battendosi il petto e recitando miserere, ma ha attraversato l'ampio mare della vita, ora mosso, ora agitato, ora calmo, ora trasparente, ora cupo, provando sempre a non aver paura di farsi bagnare dalle sue onde.
Grazie ancora a tutti voi, col cuore, veramente.
Maria Di Carlo