giovedì 11 novembre 2010

Qualcosa sui "lati oscuri" di Nino Gennaro...


Nino Gennaro
 di MARIA DI CARLO
Grazie, Giuseppe, intanto per le tue parole di oggi. Grazie ai ragazzi di Dialogos e a Città nuove che hanno fatto la proposta di dedicare il centro multimediale (un contenitore bello e da anni vuoto, ma riempibile di contenuti!) a Nino Gennaro, e presenziato agli svariati consigli comunali in cui si sarebbe dovuto trattare dell'argomento. Grazie, ovvio, a Dino per aver formulato la proposta in consiglio comunale. Intanto da parte mia qualche appunto sui "lati oscuri" di Nino Gennaro.
a) Nessuno si è posto la domanda che Nino, dal momento che io e lui siamo stati assieme come coppia e per anni, fosse non un omosessuale ma un bisessuale? Capisco che, agli occhi di molti, questa connotazione aggiunga fango al fango, ma per amore di verità voglio dire le cose come stanno, senza infingimenti. Nino era un bisessuale. Io non sono omosessuale (si dice “lesbica” al femminile, e non è un insulto) ma sono stata assieme a lui e al gruppo con cui allora facevamo teatro, 30 anni fa, a Giarre, dove due ragazzi (maschi) si erano suicidati lasciando scritto che lo facevano per l’impossibilità di vivere il loro amore liberamente. Sono stata con lui e con altri a fare volantinaggio ai semafori e performances teatrali, 30 anni fa, a proposito di un transessuale morto ammazzato a Palermo. Sono stata al Gay Pride lo scorso luglio (patrocinato dal Comune di Palermo, con amministrazione di centro-destra, toh!) assieme a mio marito e mio figlio ragazzino, con addosso un cartello su cui era scritto “Io e mio marito litighiamo su tutto ma su una cosa siamo d’accordo: nostro figlio sarà libero di amare chi vuole”. Non eravamo pochi. C’erano migliaia (alla lettera, non tanto per dire) di persone, famiglie, persone, associazioni, da Amnesty International alla la Lega per la difesa degli animali. “Diritti di uno, diritti di tutti”.
Nino non c’era perché è morto da 15 anni ma le sue parole si, in un gremitissimo Teatro Montevergini, a dire che “Un uomo si uccide ogni giorno con le parole…”.
Abbiamo sentito le battaglie per i diritti delle persone omosessuali (come quelle dei senzacasa, come quelle per migliorare le condizioni di quartieri deprivati, come quelle dei bambini, delle donne, degli anziani, degli uomini che li abitano, come quelle dei minorenni entrati già in area penale, come quelle dei detenuti in semilibertà, come quelle dei nomadi, degli immigrati, come quelle di chi vuole migliorare la propria condizione di reietto) abbiamo sentito queste battaglie come nostre, anche se non riguardavano in prima persona noi stessi, la nostra condizione, e ci siamo adoperati, nel nostro piccolo, in questa direzione. Non si lotta solo per difendere i propri interessi ma gli interessi in generale propri di una società più libertaria, più umana, più solidale, più giusta.
b) Sempre per amore di verità, voglio precisare inoltre che Nino non si è MAI drogato, MAI MAI MAI, come volgarissimamente invece sostengono persone che non lo hanno nemmeno conosciuto. Avevamo amici che hanno fatto questo percorso (alcuni lo hanno anche compiuto tragicamente), ma Nino non ha mai usato neanche fare spinelli, come fanno ora pure i ragazzini. Mai neanche una sbronza, neanche una bottiglia di birra. Mai. La sua posizione (ma non è stato neanche uno dei leit motiv della sue battaglie politiche) riguardo alle droghe era sicuramente antiproibizionista, in quanto riteneva (in buona compagnia di tanti altri studiosi) che il proibizionismo foraggia le mafie, che la droga la vendono, e tagliata, causando morte a chi la consuma e lautissimi guadagni per se stesse. Come successe fin dai tempi del proibizionismo riguardante gli alcolici, che fecero la fortuna di Al Capone e compagni. Nino, addirittura, finì col non fumare neanche più le sigarette normali, cancerogene e vendutissime da sempre, e con in più l'imprimatur degli Stati.
c) La morte per aids. “La colpa di vivere” scriveva Nino. Una malattia da guardare con sospetto, legata a un immaginario (tutto da smontare, come dicono non da oggi gli studi sull’argomento) moooolto “particolare”. Neanche di questo si è fatto mistero. Forse anche esagerando, lo riconosco, sia Nino che io abbiamo fatto delle nostre vite delle bandiere: tutto ciò che vivevamo doveva essere vissuto alla luce del sole, senza doppie facce, e quindi doveva essere detto. Non dire coram populo una cosa di sé, cioè di noi, significava vergognarsene, negare il proprio diritto all’esistenza. Noi non ce ne vergognavamo, affermavamo il nostro diritto all’esistenza e quindi non celavamo alcun particolare delle nostre vite, davanti a chiunque. Tante volte anche mia madre, nel periodo più duro di scontro con mio padre, mi suggeriva (e non aveva torto) “Aspetta di andare all’università a Palermo, come fanno tutte. Là sarai più libera…”. Io non l’accettavo, e con un’ostinazione da kamikaze mi proiettavo nella mia battaglia personale contro l’Autorità. Non si voleva che incontrassi quell’essere perverso di Nino Gennaro? Ci camminavo sotto casa e sfrontatamente dicevo a chi me lo proibiva che non volevo vederlo “o campu sportivu”, che allora era fuori paese, in una zona non abitata. Pagandone il prezzo conseguente.
Le nostre vite sono proseguite così: le abbiamo sventolate come bandiere pro qualcosa e pro qualcuno, contro qualcos’altro o qualcun altro. Non abbiamo conosciuto le doppiezze proprie delle vite di tanti: oggi tutti family day, no alle coppie di fatto, tutti matrimoni (meglio se in chiesa), domani corna e quant’altro, ma ammucciuni. Non siamo stati così, ed essere com’eravamo ci è costato caro, a noi due e alle nostre famiglie, che hanno avuto la ventura di averci come figli, come fratello, come sorella.
La morte di Nino, la sua malattia, ha contribuito a “disonorarne” la memoria? Certo, non è stata la morte di tritolo (raccontabile, tramandabile, narrabile, cinematografabile) di Peppino Impastato. Quel tipo di morte che sola soddisfa i necrofili-necrofagi, che solo allora sono disposti a dare onore al merito di una persona. Magari, se non fosse stato ucciso dalla mafia, anche Peppino, chissà, sarebbe potuto morire di aids, pur continuando a vivere come viveva e lottare per le stesse cose per cui ha vissuto e lottato. E i necrofili-necrofagi non lo avrebbero calcolato, o lo avrebbero denigrato, considerato un cattivo esempio per i giovani, per il suo paese, un rovina-famiglie, pure quello.
d) Nino nella sua variegatissima vita ha fatto un percorso di ricerca spirituale profondo e autentico, attingendo alla religione cristiana come a quella buddista, induista ecc., restando sempre però profondamente LAICO. Percorso, credo, a maggior ragione apprezzabile tanto più perché effettuato da una persona che non ha vissuto battendosi il petto e recitando miserere, ma ha attraversato l'ampio mare della vita, ora mosso, ora agitato, ora calmo, ora trasparente, ora cupo, provando sempre a non aver paura di farsi bagnare dalle sue onde.
Grazie ancora a tutti voi, col cuore, veramente.
Maria Di Carlo

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