sabato 13 novembre 2010

41 Bis. Così è crollato il muro dell'omertà: ora lo Stato ammette un cedimento

di ATTILIO BOLZONI
Giovanni Conso
Dalle parole del Guardasigilli e di Amato squarci di verità sulla trattativa. L'allora ministro ha ammesso di non aver rinnovato il carcere duro per i 40 boss detenuti. La Procura indaga sull'ex direttore delle carceri che poi difese esponenti di Cosa Nostra
È LA prima volta che un uomo di governo dell'epoca confessa un cedimento, un gesto di resa verso la mafia siciliana. È la prima volta, dopo una sconcertante omertà di Stato, che qualcuno ammette di avere cercato una tregua con Cosa Nostra. In tempi di guerra volevano fare la pace con i boss "per evitare altre stragi". La deposizione in Commissione Antimafia dell'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso apre un varco intorno a quella trattativa cominciata con l'uccisione di Falcone e mai finita.
C'era nel 1992 fra gli attentati di Capaci e di via D'Amelio con la stesura del famoso papello custodito da Vito Ciancimino, c'era fra la misteriosa cattura di Totò Riina e le bombe di Firenze, c'era ancora nella seconda metà degli Anni Novanta quando Bernardo Provenzano girava indisturbato per Palermo e quando i capi più rappresentativi dell'organizzazione lanciavano l'offerta di una dissociazione di massa. E, assumendo anno dopo anno forme diverse, quella trattativa si è trascinata fino a questi ultimi mesi con le enigmatiche mosse dei fratelli Graviano di Brancaccio, ergastolani che hanno fatto intendere di voler negoziare lanciando messaggi "a chi non ha mantenuto gli impegni". Destinatario finale: Silvio Berlusconi.
Per seguire i fili di questa trama oggi però è decisivo ripartire dal clamoroso annuncio dell'ex Guardasigilli sul mancato rinnovo del carcere duro - il 41 bis - per 140 detenuti dell'Ucciardone, una svolta per una ricostruzione più convincente dei fatti e per le eventuali conseguenze nelle inchieste giudiziarie di Palermo e di Caltanissetta e di Firenze.
Se da una parte l'ex ministro giura di avere agito in solitudine, dall'altra svela un dettaglio che in quel 1993 nessuno sapeva al di fuori dei boss o di coloro che con i boss trattavano: e cioè la presenza sulla scena di Provenzano, diventato il mafioso che reggeva le sorti di Cosa Nostra. Come faceva il ministro Conso a conoscere il "peso" di quel latitante se anche gli addetti ai lavori più qualificati, gli investigatori di prima linea, sospettavano addirittura che Provenzano fosse morto? All'inizio di quel 1993 fu nientemeno che Balduccio Di Maggio, quello che si prese il "merito" di aver fatto arrestare Totò Riina, a rivelare che "probabilmente" Bernardo Provenzano era passato a miglior vita. Ufficialmente era un fantasma per tutti. Tranne per chi gli stava vicino.
Ma quella è solo una delle incoerenze che affiorano nella deposizione del Guardasigilli. Giovanni Conso non è stato l'unico a indietreggiare, a ritirarsi nel 1993 davanti alle bombe di Cosa Nostra. Il disvelamento di un documento rimasto fino ad ora sepolto smentisce - sbugiarda - tutti coloro che hanno sempre garantito di "essere all'oscuro" di qualsiasi patto. Sono carte ufficiali che come dinamite potrebbero far crollare muri di segretezza.
Nel marzo del 1993 - otto mesi prima della revoca del 41 bis decisa da Conso - il direttore generale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Nicolò Amato aveva inviato al ministero della Giustizia (che era sempre Conso) una relazione nella quale sosteneva "l'opportunità di rinunciare a questi decreti emergenziali". Il documento scopre anche che altri uomini delle istituzioni erano coinvolti in quel "dibattito" sul 41 bis - di sicuro il capo della polizia Vincenzo Parisi e il ministro degli Interni Nicola Mancino - che secondo Amato avrebbero manifestato "riserve sull'eccessiva durezza di siffatto regime penitenziario" ed esercitato anche "pressanti insistenze" per cancellare il carcere duro. Perché nessuno ha mai voluto parlare di quei misteri? Perché tanti ostinati silenzi?
Un ultimo particolare, non sfuggito ai procuratori di Palermo, riguarda la singolare posizione di Nicolò Amato. Direttore delle carceri fino al 1993, poi difensore di alcuni boss dell'ala "moderata" di Cosa Nostra come Giuseppe Madonia di Caltanissetta, poi ancora (e a sorpresa) avvocato di Vito Ciancimino. Proprio lui, quello del papello, il primo protagonista degli accordi fra Stato e mafia.
La Repubblica, 13.11.2010

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