lunedì 31 agosto 2009

Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri annuncia: "Tranquilli, farò altri 5 Montalbano"

Camilleri rassicura i lettori: "Sono alle prese con il mio commissario estivo e ne ho ancora 4 da pubblicare. A 84 anni rimango ottimista, ma ho il rimpianto di essere stato abbandonato dalla poesia e il dispiacere di vedere questa Italia che non reagisce"
ROMA - I fan del commissario Montalbano possono stare tranquilli, il padre del poliziotto amante delle nuotate e degli arancini, Andrea Camilleri, sta scrivendo al fresco di Santa Fiora (Grosseto) quello che lui stesso definisce "il mio Montalbano estivo". E lo scrittore siciliano, in un'intervista all'Ansa, rassicura poi i suoi ammiratori che non sarà il solo ancora inedito. "La mia casa editrice Sellerio ne ha ancora quattro da pubblicare". Lo scrittore parla in occasione del Premio Cesare Pavese 2009 che riceverà domani sera a Santo Stefano Belbo (Cn) per il suo libro "La danza del gabbiano" (Sellerio): "Sto per fare 84 anni e non mi manca certo l'ottimismo". Unico rimpianto quello di essere stato abbandonato dalla poesia: "Ho un solo dispiacere. Giovanissimo ero un poeta anche molto apprezzato, mi pubblicava Giuseppe Ungaretti, ma a un certo punto la poesia mi ha fatto 'ciao', se n'è andata. Forse ero gelosa perché mi ero messo a fare teatro". Ma Camilleri è anche un uomo profondamente critico, che definisce l'Italia di oggi come "una spugna”. “Il mio stupore – dice - è che assorbe tutto. E' priva di reazione e il fatto che non reagisca è un grosso rischio". Sulla sicilianità che sarà anche in qualche modo protagonista del film di apertura della 66esima edizione del Festival di Venezia 'Baaria' di Giuseppe Tornatore dice: "Il fatto stesso che la Sicilia sia un'isola non è cosa da poco. Noi, come gli irlandesi e i sardi, siamo sempre un po' diversi dalla gente del continente. Ovvero abbiamo esaltati tutti i pregi, i difetti, le virtù di una popolazione che vive dentro un calderone con pochi contatti all'esterno. Ma noi siciliani siamo anche dei bastardi, con tredici dominazioni diverse bisogna credere che le nostre nonne si siano date da fare...". Proprio Tornatore ha esaltato la bellezza del dialetto. "Come sosteneva Bruno Miglorini - aggiunge Camilleri - la lingua è come un albero e i dialetti la sua linfa. Questo non vuol dire, come sostengono alcuni, che si deve imporre, perché il dialetto tolto dalla cornice dell'italiano non ha più senso. Queste differenze insomma sono fatte per riunire non per dividere".
29/08/2009

domenica 30 agosto 2009

Diario dai campi di lavoro. La visita a Portella delle Ginestre, teatro della strage del '47

Stamani è stato Claudino a dare la sveglia in Via Crispi: erano le 7, con qualche minuto di ritardo rispetto agli altri giorni dopo la faticosa vendemmia di ieri. Quando siamo arrivati sui campi il sole già batteva forte, ma il lavoro da fare era un po’ meno del solito e il tempo è passato velocemente. Dopo aver riempito le 100 casse un gruppo di noi é andato a trovare Totò nella sua fattoria. Là ci è stato offerto un po’ di latte appena munto e abbiamo parlato un po’ con la sua famiglia. Siamo poi andati al magazzino e dopo un avventuroso viaggio in trattore ci siamo fermati all’excelsior bar dove abbiamo mangiato arancini e gelato. Una mattinata particolare, in cui abbiamo assaporato un po’ della vita di campagna. Se la mattinata è stata bella, il pomeriggio é stato ancora più emozionante. Arrivati a Portella della Ginestra ci aspettavano Francesco Petrotta, Mario Nicosia e Giacomo Schirò. Francesco ci ha introdotto alla storia della strage raccontandoci di come questa sia avvenuta (in modo anche discorde rispetto alle voci e ai giornali che vorrebbero legarla ad un intervento americano) e spiegandoci il ruolo del bandito Giuliano nella vicenda. Mario e Giacomo invece hanno raccontato in prima persona i loro ricordi di quel 1 maggio 1947. Loro erano lì quel giorno ed entrambi conservano nitido nella memoria quello evento. Avvenne in un contesto di estrema miseria e povertà, infatti i latifondisti preferivano lasciare terre incolte o sotto il controllo della mafia piuttosto che permettere ai contadini di lavorare dignitosamente. Alcune immagini ci sono rimaste particolarmente impresse: quella dei pastori chini sulle mangiatoie dei maiali, costretti dalla fame ad accettare di umiliarsi per un po’ di pasta. Ma anche il nitrire straziante del cavallo ucciso durante la strage, colpito dagli spari provenienti dai monti. A colpirci molto è stata anche la volontà di Mario e Giacomo di comunicarci tutto il loro impegno e l’importanza della lotta, la lotta per la sopravvivenza, per la dignità. In particolare, una delle cinque conquiste per le quali secondo loro (ma anche secondo noi) non dobbiamo mai smettere di lottare è proprio il diritto allo studio.Le altre sono la nostra Repubblica, la Costituzione, la Libertà e il diritto al voto anche per le donne! Essere lì, tra le rocce che videro la strage, con delle persone che riuscirono a sfuggire agli spari, è stato suggestivo e ci ha permesso di riflettere sulla nostra responsabilità di cittadini e sul valore della memoria.
Elisabetta, Giulia, Martina
29 agosto 2009

“(..) Ricordati di Margherita
Vincenzina Castrense
Filippo Francesco
Giorgio Giovanni Giuseppe
Serafino Vito
Che confusero il loro sangue
Con le ginestre
Che sbocciavano
Nel mattino di maggio (..)”


(Da ”Ricordati di ricordare” di Umberto Santino)

Diario dai campi di lavoro antimafia. A Canicattì e poi a Corleone per parlare del movimento contadino con Dino Paternostro

Nel giorno del signore 28 agosto 2009 come al solito Corleone ha visto la sveglia di un gruppo di pazzi che si è messo sotto la “direzione” della “lavoro e non solo”. Diversamente dal solito la sveglia-drittone è stata alle ore cinque, per poter giungere alla agognata ma mai raggiunta vendemmia canicattinese in tempo utile per non bollire tra i filari. Dopo un viaggio di circa due ore farcito di discussioni interessanti che andavano dalla nona russata di Beethoven al concerto in vocalizzi e violoncello di Mozart siamo giunti a Canicattì verso le ore otto e trenta. I volontari si sono gettati sui filari avendo in mente la vaga promessa di Salvatore: “ Se siete veloci forse verso mezzogiorno cenne aniniemo” incuranti del fatto che i filari erano circa trenta e noi ne completavamo uno ogni mezz’ora. Dopo il primo entusiasmo e dopo aver capito che l’uva non era affatto una passeggiata c’è stato un po’ scoramento ripreso con forza da Salvatore che ne ha approfittato per mortificare un gruppo di povere innocenti.
Verso mezzogiorno l’acqua era terminata e si iniziavano a presagire i primi sintomi di svenimento nella truppa quando ai bordi dei filari una luce si alzò e una voce squillante annunciò: “ il pranzo è arrivato.” Dopo un pranzo luculliano ci siamo diretti con il morale e le braccia a terra verso “le filagna” che sono state completate verso le quattro. Dopo una breve capatina alla cantina sociale dove abbiamo prelevato centocinquanta casse di vino per il timore di non averne abbastanza per la serata J, siamo ritornati alla terra natia dove dopo la cena abbiamo avuto un incontro con Dino Paternostro, scrittore, storico e segretario della camera del lavoro di Corleone. Dino ci ha offerto una lunga e illuminante disquisizione sulla realtà sociale e mafiosa all’interno della Sicilia dai fasci siciliani ai giorni nostri utilizzando come spunto l’impegno delle donne siciliane di nascita e di adozione nella lotta alla mafia. Dopo il suo intervento ci siamo messi in contatto skype con la festa dell’unità di Sesto Fiorentino con una certa difficoltà ma la grande gioia di risentire il mitico accento toscano.
A sorpresa per la diretta interessata c’è stata la festa della volontaria Angela con una torta che a sol vederla aiutava la mente a compiere un viaggio onirico verso l’aldilà. Dopodichè i volontari sono passati direttamente dal fasullo viaggio onirico al vero riposo dell’anima e del corpo (speriamo non eterno).
Damiano Censi
28 agosto 2009

Diario dai campi di lavoro antimafia. Una giornata a Canicattì, ricordando Tom

Mi trovo in nave. Ritorno in Toscana dopo 40 giorni. Ieri è stata una bella giornata. Abbiamo vendemmiato il vigneto di chardonnay presente a Canicattì. Una vigna particolare che mi ricorda un atto d'intimidazione avvenuto 5 anni fa. Lì fu "strangolato" un cane e sbarbate 100 barbatelle del nuovo vigneto. Allora fu la Camera del Lavoro di Firenze che dono' 200 barbatelle di chardonnay! Ieri quell'uva era il simbolo di una società civile promossa da tanti, tra cui l'Arci e la Cgil, che promuovono un reale cambiamento. Tanti ragazzi, ben 35 volontari, molti di loro non avevano mai vendemmiato; tanto caldo, immensa fatica, partenza da Corleone alle ore 6, colazione alle ore 5,30, 127 km all'andata e così al ritorno, i sorrisi non mancano! Poi il saluto di Pina Ancona, Presidente dell'Arci Agrigento e di Alfio Foti, Fondatore della Carovana Antimafie e Segretario di Rita Borsellino. Un brevissimo pranzo e poi avanti fino alla fine! Ieri quella vigna, con le nostre bandiere, il nostro striscione Liberarci dalle Spine, i volontari con le varie magliette ricche di messaggi, era di fatto una reale "pratica di impegno sociale!" che si fa carico di una eredità complessa spesso oggetto di repressione e sofferenze : il movemento contadino siciliano! Di ritorno, molto stanchi e esteticamente non riconoscibili ci fermiamo ad un distributore per una granita al limone con the! Osservo le due ragazze e il ragazzo con me e cerco di leggere nelle loro facce il loro entusiasmo dopo 17 ore di attività: stanchi ma felici! C'è un Italia che ancora resiste, che si impegna, che sa trasformare le sue fatiche in impegno sociale e in energie positive e solidali, la meglio gioventù! Si, proprio loro al fianco di una piccola cooperativa sociale formata da 12 soci lavoratori che gestisce 143 ettari di terreni sottratti alla mafia e ben 3 edifici confiscati. Ce la possiamo ancora fare a costruire una nuova Italia! La mattonella murata sul capannone del 2005 ci ricorda l'impegno e il messaggio di Tom Benettollo, il Presidente dell'Arci. A lui è dedicata la vendemmia di ieri. Ciao Tom!
Maurizio Pascucci
Esecutivo Arci Toscana
Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine
28 agosto 2009

Niscemi. Cosa Nostra aveva progettato di uccidere i figli dei pentiti

NISCEMI (Caltanissetta) - Per indurre due uomini di Cosa Nostra di Niscemi a rinunciare al loro proposito di diventare collaboratori di giustizia, stavano pianificando sequestri e, se necessario, anche l'uccisione di due bambini di 7 e 11 anni e di un ragazzo appena maggiorenne, figli e parenti dei pentiti in pectore. Ma la squadra mobile della questura di Caltanissetta e gli uomini del commissariato di Niscemi e di Vittoria li hanno intercettati, pedinati e fermati, nel corso della notte, su ordine del pubblico ministero Fabio Scavone, della Dda di Catania. In manette sono finiti i pregiudicati Rosario Lombardo, 48 anni, soprannominato "Saru Cavaddu", già agli arresti domiciliari; Giuseppe Lodato, di 54, detto "Peppi Vureddu"; Alessandro Ficicchia, 42 anni, tutti di Niscemi; Alessandro Aparo, 27 anni, di Vittoria (RG). Per tutti l'accusa è di associazione mafiosa. Gli arrestati disponevano di notevoli quantità di armi e di uomini. Uno dei due pentiti delle cosche di Nisceni, che ha già cominciato a fare importanti rivelazioni, aveva subito, l'11 luglio scorso, l'incendio di due auto e ricevuto intimidazioni telefoniche anonime pervenute alla sua convivente. La madre, inoltre, aveva ricevuto una "visita" nella propria abitazione. Proprio la madre del collaboratore di giustizia è apparsa la più determinata nel denunciare tutto alla polizia e così sono scattate le indagini che hanno portato all'operazione di stanotte, denominata "Crazy Horse". I magistrati titolari dell'inchiesta chiederanno domani la convalida dei tre fermi eseguiti dalla polizia al Gip del Tribunale di Caltagirone. Il provvedimento, si sottolinea in ambienti giudiziari, è stato disposto per associazione mafiosa ma fa seguito a un'intercettazione telefonica in cui si ascolta l'avvio del piano di uccidere i figli di un 'pentito': i promotori dell'agguato affermavano di essersi già procurate le armi e di avere eseguito sopralluoghi nella casa di campagna dei loro obiettivi. Le intercettazioni ambientali avevano già evidenziato una 'saldatura' dei nuovi uomini dei clan di Niscemi e Vittoria, come avvenuto all'inizio degli anni Novanta, con l'intento di potenziare Cosa nostra anche a Gela.
La Sicilia, 30 agosto 2009

Le convulse giornate della perdonanza

di EUGENIO SCALFARI
Venerdì scorso il Tg1 diretto dall'ineffabile Minzolini, incurante del fatto che le notizie del giorno fossero l'attacco del "Giornale" contro il direttore dell'"Avvenire", lo scontro tra la Cei e la Santa Sede da un lato e il presidente del Consiglio dall'altro e infine la querela di Berlusconi a Repubblica per le 10 domande a lui dirette e rimaste da giugno senza risposta; incurante di queste addirittura ovvie priorità, ha aperto la trasmissione delle ore 20 con l'intervento del ministro Giulio Tremonti al meeting di Comunione e Liberazione.
Farò altrettanto anch'io. Quell'intervento infatti è rivelatore d'un metodo che caratterizza tutta l'azione di questo governo, mirata a sostituire un'onesta analisi dei fatti con una raffigurazione completamente artefatta e calata come una cappa sulla pubblica opinione curando col maggiore scrupolo che essa non percepisca alcun'altra voce alternativa. Cito il caso Tremonti perché esso ha particolare rilievo: la verità del ministro dell'Economia si scontra infatti con dati ed elementi di fatto che emergono dagli stessi documenti sfornati dal suo ministero, sicché l'improntitudine tocca il culmine: si offre al pubblico una tesi che fa a pugni con i documenti ufficiali puntando sul fatto che il pubblico scorda le cifre o addirittura non le legge rimanendo invece colpito dalle tesi fantasiose che la quasi totalità dei "media" si guardano bene dal commentare. Dunque Tremonti venerdì a Rimini al meeting di Cl. Si dice che fosse rimasto indispettito per il successo riscosso in quello stesso luogo due giorni prima di lui dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, con il quale ha da tempo pessimi rapporti. Non volendo entrare in diretta polemica con lui si è scagliato contro gli economisti e i banchieri.
Nei confronti dei primi l'accusa è di cretinismo: non si avvidero in tempo utile che stava arrivando una crisi di dimensioni planetarie. Quando se ne avvidero - a crisi ormai esplosa - non chiesero scusa alla pubblica opinione e sdottorarono sulle terapie da applicare mentre avrebbero dovuto tacere almeno per due anni prima di riprendere la parola. Nei confronti dei banchieri la polemica tremontiana è stata ancor più pesante; non li ha tacciati di cretinismo ma di malafede. Nel momento in cui avrebbero dovuto allentare i cordoni della borsa e aiutare imprese e consumatori a superare la stretta, hanno invece bloccato le erogazioni. "Il governo" ha detto il ministro "ha deciso di non aiutare i banchieri ma di stare vicino alle imprese e ai consumatori". Così Tremonti, il quale si è spesso auto-lodato di aver avvistato per primo ed unico al mondo l'arrivo della "tempesta perfetta" che avrebbe devastato il mondo intero. Ho più volte scritto che la primazia vantata da Tremonti non è esistita, ma ammettiamo che le sue capacità previsionali si siano manifestate. Tanto più grave, anzi gravissimo è il fatto che la politica economica da lui impostata fin dal giugno 2008 sia stata l'opposto di quanto la tempesta perfetta in arrivo avrebbe richiesto. Sarebbe stato infatti necessario accumulare tutte le risorse disponibili per fronteggiare l'emergenza, per sostenere la domanda interna, per finanziare le imprese e i redditi da lavoro. Tremonti fece l'esatto contrario. Abolì l'Ici sulle prime case dei proprietari abbienti (sui proprietari meno abbienti l'abolizione di quell'imposta l'aveva già effettuata il governo Prodi). Si accollò l'onere della liquidazione di Alitalia. Versò per ragioni politico-clientelari fondi importanti ad alcuni Comuni e Province che rischiavano di fallire. Dilapidò risorse consistenti per "aiutini" a pioggia. In cifre: le prime tre operazioni costarono oltre 10 miliardi di euro; la pioggia degli aiutini ebbe come effetto un aumento del 5 per cento della spesa corrente ordinaria per un totale di 35 miliardi. Ho chiesto più volte che il ministro elencasse la destinazione di questo sperpero ma questo governo non risponde alle domande scomode; resta comunque il fatto. Ne deduco che il ministro preveggente fece una politica opposta a quello che la preveggenza avrebbe dovuto suggerirgli. Se gli economisti sono cretini che dire di chi, avendo diagnosticato correttamente, applicò una terapia sciagurata? Quanto ai banchieri: il governo Berlusconi-Tremonti si è più volte vantato di avere ottenuto, nei primissimi incontri parigini avvenuti dopo lo scoppio della crisi, interventi di garanzia a sostegno di eventuali "default" bancari. In Italia tali interventi non furono necessari (altrove in Europa ci furono in misura massiccia) perché le nostre banche erano più solide che altrove, situazione riconosciuta ed elogiata dallo stesso ministro quando ancora i suoi rapporti con Draghi erano passabili. Se ci fu un blocco nei crediti interbancari, questo fu dovuto ai dissesti bancari internazionali. Se c'è tuttora scarsa erogazione creditizia ciò si deve al fatto che i banchieri guardano attentamente al merito del credito e debbono farlo. Tremonti sostiene che i soldi delle banche riguardano le banche mentre quelli del Tesoro riguardano i contribuenti. Ma su un punto sbaglia di grosso: il credito elargito dalle banche è di proprietà dei depositanti che sono quantitativamente addirittura maggiori dei contribuenti. Concludo dicendo che il nostro ministro dell'Economia ha detto al meeting di Cl un cumulo di sciocchezze assumendo per l'occasione un "look" da profeta biblico che francamente non gli si addice. Ha riscosso molti applausi, ma il pubblico del meeting di Cl applaude convintamente tutti: Tremonti e Draghi, Tony Blair e Bersani, Passera e Tronchetti Provera, il diavolo e l'acqua santa e naturalmente Andreotti. Chi varca quei cancelli si "include" e questo è più che sufficiente per batter le mani. Ecco una questione sulla quale bisognerà ritornare.
* * *
Torniamo ai fatti rilevanti di questi giorni: l'aggressione del "Giornale" all'"Avvenire", il rapporto tra il premier e le gerarchie ecclesiastiche, la querela di Berlusconi contro le domande di Repubblica. Sul nostro giornale sono già intervenuti in molti, da Ezio Mauro a D'Avanzo, a Sofri, a Mancuso, al documento firmato da Cordero, Rodotà e Zagrebelsky sul quale si sta riversando un plebiscito di consensi che mentre scrivo hanno già superato le cinquantamila firme. Poiché concordo con quanto già stato scritto in proposito mi restano poche osservazioni da aggiungere. Che Vittorio Feltri sia un giornalista dedito a quello che i francesi chiamano "chantage" o killeraggio che dir si voglia lo sappiamo da un pezzo. Quella è la sua specialità, l'ha praticata in tutti i giornali che ha diretto. Proprio per questa sua caratteristica fui molto sorpreso quando appresi tre anni fa che la pseudofondazione che gestisce un premio intitolato al nome di Mario Pannunzio lo avesse insignito di quella medaglia che in nulla poteva ricordare la personalità del fondatore del "Il Mondo". I telegiornali e buona parte dei giornali hanno parlato in questi giorni del "giornale di Feltri" omettendo una notizia non secondaria e non sempre presente alla mente dei lettori: il "giornale di Feltri" è il "Giornale" che fu fondato da Indro Montanelli, per molti anni di proprietà di Silvio Berlusconi e poi da lui trasferito prudentemente al suo fratello. Lo stesso Feltri ha scritto che dopo aver ricevuto la nomina da Paolo Berlusconi si è recato a Palazzo Chigi dove ha avuto un colloquio di un'ora con il presidente del Consiglio. Una visita di cortesia? Di solito un direttore di un giornale appena nominato non va in visita di cortesia dal presidente del Consiglio. Semmai, se proprio sente il bisogno di un atto di riguardo verso le istituzioni, va a presentarsi al Capo dello Stato. E poi un'ora di cortesie è francamente un po' lunga. Lo stesso Feltri non ha fatto misteri che il colloquio ha toccato molti argomenti e del resto la sua nomina, che ha avuto esecuzione immediata, si inquadra nella strategia che i "berluscones", con l'avvocato Ghedini in testa, hanno battezzato la controffensiva d'autunno. Cominciata con Minzolini al Tg1 è continuata con l'arrivo di Feltri al "Giornale" e si dovrebbe concludere tra pochi giorni con la normalizzazione di Rete Tre e l'espianto di Fazio, Littizzetto, Gabanelli e Dandini. La parola espianto è appropriata a questo tipo di strategia: si vuole infatti fare terra bruciata per ogni voce di dissenso. Non solo: si vogliono mettere alla guida del sistema mediatico persone di provata aggressività senza se e senza ma quando la proprietà del mezzo risale direttamente al "compound" berlusconiano, oppure di amichevole neutralità se la proprietà sia di terzi anch'essi amichevolmente neutrali. Berlusconi avrà certamente illustrato a Feltri la strategia della controffensiva e i bersagli da colpire. Aveva letto l'attacco contro il direttore dell'"Avvenire" prima della sua pubblicazione? Sapeva che sarebbe uscito venerdì? Lo escludo. Feltri è molto geloso della sua autonomia operativa e non è uomo da far leggere i suoi articoli al suo editore. Ma che il direttore di "Avvenire" fosse nel mirino è sicuro. Berlusconi si è dissociato e Feltri ieri ha chiosato che aveva fatto benissimo a dissociarsi da lui. "Glielo avrei suggerito se mi avesse chiesto un parere". Si dice che la gerarchia vaticana avrebbe sollecitato il suo licenziamento, ma Berlusconi, se anche lo volesse, non lo farà. L'ha fatto con Mentana, ma Mentana non è un giornalista killer. Farlo con Feltri sarebbe assai pericoloso. Una parola sulle dichiarazioni di dissenso da Feltri fatte ieri da tutti i colonnelli del centrodestra, da Lupi a Gasparri, a Quagliariello, a Rotondi. Berlusconi si è dissociato? I colonnelli si allineano. E' sempre stato così nella casa del Popolo della Libertà. Tremonti, pudicamente, ha parlato d'altro. E la Perdonanza? * * * Come si sa la Perdonanza fu istituita da Celestino V, il solo papa che si sia dimesso nella millenaria storia della Chiesa, come una sorta di pre-Giubileo che fu poi istituzionalizzato dal suo successore Bonifacio VIII. I potenti dell'epoca avevano molti modi e molti mezzi per farsi perdonare i peccati, ma i poveri ne avevano pochi e le pene erano molto pesanti. La Perdonanza fu una sorta di indulgenza di massa che aveva come condizione la pubblica confessione dei peccati gravi, tra i quali l'omicidio, la bestemmia, l'adulterio, la violazione dei sacramenti. Confessione pubblica e perdono. Una volta l'anno. Di qui partirono poi le indulgenze ed il loro traffico che tre secoli dopo aveva generato una sistematica simonia da cui nacque la scissione di Martin Lutero. E' difficile immaginare in che modo si sarebbe svolta l'altro ieri la festa della Perdonanza con la presenza del Segretario di Stato vaticano inviato dal Papa in sua vece e con accanto il presidente del Consiglio a cena e nella processione dei "perdonati". Diciamo la verità: il killeraggio di Feltri contro Boffo ha risparmiato al cardinal Bertone una situazione che definire imbarazzante è dir poco anche perché era stata da lui stesso negoziata e voluta. Dopo l'attacco di Feltri quella situazione era diventata impossibile, ma non facciamoci illusioni: la Chiesa vuole includere tutto ciò che può portar beneficio alle anime dei fedeli e al corpo della Chiesa. Se Berlusconi si pentisse davvero, confessasse i suoi peccati pubblicamente, si ravvedesse, la Chiesa sarebbe contenta. Ma se lo facesse sarebbe come aver risposto alle 10 domande di Repubblica. Quindi non lo farà. Nessun beneficio per l'anima sua, ma resta il tema dei benefici per il corpo della Chiesa. Lì c'è molto grasso da dare e il premier è prontissimo a darlo. In realtà il prezzo sarà pagato dalla democrazia italiana, dalla laicità dello Stato e dai cittadini se il paese non trarrà da tutto quanto è accaduto di vergognoso ed infimo un soprassalto di dignità.
(La Repubblica, 30 agosto 2009)

Il Video di Roberto Saviano a Cinisi

Saviano a Cinisi – prima parte


Saviano a Cinisi - seconda parte

Saviano, la memoria per battere le mafie

di Francesco La Licata
Roberto Saviano ieri a Cinisi davanti alla tomba di Peppino Impastato. Lo scrittore simbolo della resistenza alla camorra sulla tomba di Impastato, ucciso da Cosa nostra.

Cinisi (PA). Immobile, in piedi davanti alle tombe di Peppino Impastato e della sua straordinaria madre, Felicia, Roberto Saviano guarda fisso la foto del «militante comunista» ucciso dalla mafia (per la verità le parole esatte scolpite sul marmo recitano: «mafia democristiana»). Guarda anche il sorriso di Felicia Bartolotta, morta a 88 anni, gran parte dei quali spesi a cercare la condanna per don Tano Badalamenti, il boss dei Centi passi. Tanta era la distanza che separava le abitazioni dei due grandi nemici: Peppino, appunto, e don Tano.Sembra davvero conquistato, lo scrittore. Posa lo sguardo sui bigliettini lasciati dalle centinaia di giovani che ancora oggi, a più di trent’anni dall’assassinio, vengono a Cinisi e, prima di qualunque divagazione turistica, si fermano al cimitero per lasciare un pensiero dedicato al ragazzo che rifiutò, fino al sacrificio finale, la cultura mafiosa del padre. Avversato dall’intero paese, ma non dalla sua «madre coraggio» che lo protesse finché potè e, quando glielo strapparono con una bomba, non finì di battersi a fronte alta. Fino a quando, quattro anni fa, chiuse gli occhi appagata per aver sentito la Corte d’Assise pronunciare la formula di condanna per Badalamenti.Si guarda intorno, Roberto Saviano. Nota che il cancelletto della «gentilizia» di famiglia è senza lucchetto e si rivolge a Giovanni, fratello di Peppino: «Sta sempre aperto, questo luogo?». «Sempre», è la risposta di Giovanni, «come “Casa Memoria” in paese, la casa dei Cento passi che Felicia ha voluto fosse trasformata in un luogo aperto a tutti. In una difesa perpetua del ricordo di Peppino, che avevano cercato di far passare per terrorista uccidendolo con una bomba». E Saviano: «È un messaggio importantissimo, perché oltre all’esercizio della memoria - che la mafia, tutte le mafie vorrebbero cancellare - si trasmette il senso del coraggio della verità. Chi combatte per una causa giusta può guardare dritto negli occhi gli avversari, non ha bisogno di celarsi dietro lucchetti e chiavistelli; sono loro, i mafiosi, a cercare il buio e il silenzio omertoso. E questo vale per la Sicilia come per la Campania e per tutto il nostro martoriato Sud».È una presenza significativa, quella di Saviano a Cinisi. Lo scrittore che con il suo bestseller Gomorra è divenuto il simbolo della resistenza alla camorra campana ha accettato di venire a presentare il libro scritto da Giovanni Impastato con Franco Vassia (Resistere a Mafiopoli, ed. Stampa Alternativa). Ha accettato l’invito anche il Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, felicissimo di contribuire a quella difesa della memoria, ormai patrimonio collettivo della resistenza alla mafia.Sulla tutela dell’«onore» dei caduti nella lotta alle mafie Saviano non si è risparmiato. Lo ha fatto di recente, insorgendo in difesa della onorabilità di don Peppe Diana, che l’avv. Gaetano Pecorella - parlamentare presidente della commissione Ecomafie - stentava a riconoscere come vittima della camorra. «Quella della diffamazione delle vittime - chiarisce Saviano - è una delle peggiori ingiustizie che si possano subire. Più ancora della privazione della vita. La distruzione del ricordo di un uomo onesto serve a giustificare l’omicidio, a convincere i cittadini-spettatori che la mafia uccide solo “chi se lo merita”. È un messaggio culturalmente devastante, un metodo che ha contribuito al radicamento del vivere mafioso in gran parte del Sud Italia».Si accalora, Saviano, quando tocca questi temi. Tanto da suscitare il sospetto di un coinvolgimento personale. Ancora la vicenda Pecorella? «Non ci penso più: le scuse fatte pervenire ai familiari di don Peppe mi rasserenano sul fatto che quella polemica andava sollevata, soprattutto in difesa di una “verità” che non è vero fosse ancora aperta, come sosteneva il parlamentare, ma era già codificata in più d’una sentenza».Lo scrittore si concede una pausa, poi riprende: «No, non difendo una mia personale presa di posizione, sento semmai l’esigenza di non indietreggiare di fronte all’aggressione e al furto della memoria. Bisogna far sentire la propria presenza, devono sapere che noi ci siamo e restiamo vigili ad arginare i “venticelli” di una certa Italia e i giochi sporchi di politici, sedicenti cronisti e pseudo opinione pubblica, tutti pronti alla facile calunnia». E perché oggi a Cinisi? «Ho letto il libro di Giovanni, ho conosciuto la tenacia di Felicia: un esempio di dignità e di difesa dell’onore dei propri caduti. Sì, proprio onore: una parola che appartiene alla gente perbene e che, invece, è stata scippata e stravolta da questi maestri dell’inganno».«Anche stamattina - prosegue - a Casa Memoria ho respirato l’aria buona di chi non si è arreso: i libri di Peppino, i testi di Pasolini, le foto, l’amore e il garbo con cui questi brandelli di memoria vengono conservati... Sono contento di essere stato qui». Ma non è che Saviano abbia già sentito attorno a sé lo spiffero di qualche “venticello”? «Non mancano le accuse di protagonismo, a Napoli mi gridano contro “ti sei fatto i soldi”, oppure “la scorta te la paghiamo noi, sai?”, o anche “perché non vai in tv a infangarci ancora?”». Ancora ironia sulla sovraesposizione mediatica. Ma a rasserenare Saviano ci pensa Giovanni Impastato: «Robbè, futtitinni che ti dicono che sei mediatico. Vai in tv, tieni alta la luce su di te».
La Stampa, 28 agosto 2009

venerdì 28 agosto 2009

Corleone. Diario dai campi di lavoro antimafia. Tutti a Cinisi per Roberto Saviano

Oggi ci siamo svegliati pensando: è un giorno come un altro…e invece… A noi volontari, con gli occhi ancora un po’ cisposi, danno il buongiorno i filari infiniti e i secchi da riempire. Anche stamani ci siamo divisi in due gruppi: il sole, il caldo e l’attesa del camion del rivenditore! Trafelati ritorniamo alla cooperativa, dove ci aspetta il solito pranzo ristoratore preparato a regola d’arte. Il programma pomeridiano è decisamente intenso: Rita Borsellino dovrebbe venire a trovarci alle sei (e non vi anticipiamo la serata!). L’eccitazione per l’imminente incontro permea il nostro tempo libero. Purtroppo all’ultimo Rita Borsellino ci annuncia che un contrattempo le impedisce di raggiungerci. Nel giro di pochi minuti siamo già sui pulmini per recarci a Cinisi: alla pizzeria di Giovanni Impastato, fratello di Peppino ci sarà la presentazione del suo libro “Resistere a Mafiopoli” a cui parteciperanno in via eccezionale Pietro Grasso e Roberto Saviano… pensate che dopo la vicenda di Gomorra, quest’ultimo non era ancora stato in Sicilia. La sua presenza è davvero un onore per Cinisi, tanto che per l’occasione gli viene conferita la cittadinanza onoraria. La gente è tantissima, qualcuno arriva anche da lontano e quando gli ospiti prendono la parola la sala si riempie di emozione. Il libro di Giovanni è un’intervista condotta da Franco Vassia, in cui il fratello difende la memoria di Peppino che più volte dalle Istituzioni inadempienti e dai media è stata calpestata. Di grande contributo è stato l’intervento di Pietro Grasso, Procuratore Nazionale Antimafia e giudice del maxi processo che tuttora lotta per difendere chi, come i presenti, racconta verità scomode. Questa è proprio la storia vissuta negli ultimi anni da Saviano. “La libertà della parola non fa prigionieri. Io so, ho le prove e quindi racconto” (Gomorra) . Dalle sue parole emerge la volontà di andare avanti nonostante le conseguenze estreme per la vita privata che la sua attività gli ha comportato. Sentire tutto ciò, vedere i loro volti pieni di coraggio - che non significa essere sprezzanti nei confronti della vita ma sapere che c’è qualcosa di più importante della paura - ci sprona a continuare la strada appena intrapresa. L’onore, un concetto che la mafia ci ha rubato, è in realtà ciò che dobbiamo difendere quotidianamente…fare la cosa giusta anche solo perché è il nostro dovere, senza cedere davanti alle conseguenze. La serata si conclude con una visita del gruppo volontari alla casa-museo di Peppino e con l’immancabile conteggio dei cento passi.
Giulia, Antonino e Pietro

giovedì 20 agosto 2009

Ficuzza (Corleone). L'Arma dei Carabinieri ha ricordato il tenente colonnello Giuseppe Russo, assassinato dalla mafia il 20 agosto 1977

di Cosmo Di Carlo
FICUZZA - Tre corone d’alloro, una dell’Arma dei Carabinieri, una del Comune di Corleone e la terza della Provincia Regionale di Palermo, sono state deposte davanti al cippo che ricorda il colonnello Giuseppe Russo,
nella piazza che, dal 20 agosto del 2001, l’allora sindaco di Corleone Pippo Cipriani volle fosse intitolata all’ufficiale dei carabinieri, assassinato con l’insegnante Filippo Costa, 32 anni fa. Alla cerimonia era presente Francesca Russo, figlia del tenente colonnello, e la vedova dell’appuntato Domenico Intravaia, morto nella strage di Nassiriya. Era presente anche una folta delegazione di giovani, provenienti da tutta Italia, che stanno partecipando a Corleone ai campi di lavoro “Liberarci dalle spine”, organizzati dall’Arci e dalla cooperativa sociale “Lavoro e non solo”, che gestisce circa 150 ettari di terra confiscata alla mafia. Questi ragazzi, provenienti da Firenze e da altre città della Toscana, della Lombardia e del Veneto, si sono stretti attorno ai familiari ed agli ufficiali dell’arma. Per una mattina hanno interrotto il lavoro nei campi confiscati ai boss “corleonesi” per essere presenti qui a Ficuzza.
In questa Piazza emblema del sacrificio e della lotta alla mafia, quella sera del 20 agosto 1977 tra i primi cronisti ad accorrere vi fu Mario Francese, che firmò un pezzo da antologia apparso sul Giornale di Sicilia dell’indomani. Sarebbe stato ucciso anche lui dalla mafia il 26 gennaio del 1979. Tra i mandanti e gli esecutori del delitto, Totò Riina, Leoluca Bagarella ed altri affiliati alla cosca che di li a poco avrebbe insanguinato Palermo. Nei portici della Piazza di Ficuzza, che allora era intitolata ai “ Fratelli Lupo”, echeggiò il 20 agosto del 1982 la voce del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. «Vigliacchi - disse rivolto ai mafiosi – Vigliacchi! Avete sparato alle spalle di un uomo coraggioso, che vi aveva sempre affrontato a viso aperto». Poi, da quel palco, chiese i poteri speciali che non arrivavano, neanche dopo la sua intervista a Giorgio Bocca di qualche giorno prima. Il piombo della mafia lo avrebbe fermato in Via Isidoro Carini il 3 settembre del 1982. Nell’agosto 1991 anche il giudice Giovanni Falcone, insieme a Giuseppe Ayala, partecipò alla commemorazione del colonnello Giuseppe Russo. «Per rendere omaggio - disse allora in un’intervista a - Città Nuove ad un uomo che aveva individuato per tempo la pericolosità dei “corleonesi”». Il tenente colonnello Giuseppe Russo, infatti, in un famoso rapporto del Nucleo Investigativo dell’Arma, aveva individuato per tempo uomini ed imprese mafiose legati a politici collusi, che lucravano sugli appalti pubblici nella provincia di Palermo, dove era in costruzione la diga “Garcia”, che fece 34 vittime tra omicidi e lupare bianche. «Oggi la presenza di questi giovani accorsi da ogni parte d’Italia a ricordare il Colonnello Russo – ha detto nel suo intervento il comandante della Legione Carabinieri Sicilia, generale Vincenzo Coppola – ci incoraggia a proseguire nell’impegno quotidiano per sconfiggere tutte le forme di mafia e di criminalità organizzata».
20 agosto 2009

Foto (Di Carlo). Da sinistra: il Colonnello Pietro Salsano, comandante Gruppo CC Monreale; Matilde Ceseri; Margherita Budini; Francesco Gengaroli; Maria Cristina La Porta; Antonio Zaccariello; Bianca Bartoloni; Stefano Orofino; il Generale Comandante della Legione Carabinieri Sicilia Vincenzo Coppola; Elisa Luccioli; il presidente della coop "Lavoro e non solo" Calogero Parisi; il dirigente dell'Arci Toscana e coordinatore del progetto "Liberarci dalle spine" Maurizio Pascucci; il Comandante Provinciale Carabinieri Palermo Colonnello Teo Luzi; Francesco Ferrara; Matteo Becattini; Attilio Mazzetto; Niccolò Lupo; Dino Rossi; Chiara Carniani.

mercoledì 19 agosto 2009

Sanità, la Regione ha nominato i 17 manager

di Massimo Lorello
La sopresa dello spoils system è Salvatore Cirignotta che va a dirigere l’Azienda sanitaria provinciale di Palermo

La giunta regionale di Raffaele Lombardo nomina i 17 manager che andranno a guidare le nuove aziende sanitarie siciliane. Passa la linea di Massimo Russo: l’assessore aveva chiesto espressamente che non venissero confermati i direttori generali delle vecchie aziende. E’ stato accontentato con l’unica eccezione del policlinico di Messina dov’è rimasto in sella Giuseppe Pecoraro il quale però era già lì solo nelle vesti di commissario. Alla fine il governatore Raffaele Lombardo, com’era nelle previsioni, l’ha fatta da padrone, lasciando alle diverse anime del Pdl solo qualche poltrona ottenuta peraltro dopo estenuanti trattative. L’Azienda sanitaria provinciale di Palermo, che prende il posto dell’Ausl 6, sarà diretta da Salvatore Cirignotta. E’ lui la vera sorpresa dello spoils system sanitario. Proprio come Russo, Cirignotta è un magistrato, ha lavorato a Vittoria ed ha fatto parte del Dipartimento amministrazione penitenziaria. L’assessore lo ha indicato per porre fine allo scontro fra il Pdl e l’Mpa. Cirignotta è comunque gradito al ministro della giustizia Angelino Alfano. All’ex Ausl 6 sarebbe dovuto andare Francesco Poli, consulente dell’assessore Russo, in passato direttore generale all’A usl di Messina. A Poli invece è stata assegnata la guida del Cannizzaro di Catania.All’ospedale Civico di Palermo andrà Dario Allegra, attuale presidente dell’Amap (l’azienda comunale dell’acquedotto) che rappresenta la corrente ex forzista di Gianfranco Miccichè. Le altre anime berlusconiane piazzano le loro bandiere al Policlinico di Palermo. Il direttore generale è infatti Mario La Rocca, capo della segreteria tecnica dell’assessore alla Cooperazione Antonino Beninati, indicato dal presidente dell’Ars Francesco Cascio e gradito al presidente del Senato, Renato Schifani, e al ministro Alfano. Il nuovo polo ospedaliero Cervello-Villa Sofia sarà invece amministrato da Salvatore Di Rosa, burocrate già in servizio proprio a Villa Sofia. Di Rosa è considerato da Lombardo un professionista di area Udc e questo il governatore spera possa essere inteso come un segnale di apertura allo Scudocrociato.
A Catania, come da previsioni della vigilia, Lombardo ha fatto la parte del leone. L’azienda provinciale sarà guidata da Giuseppe Calaciura ex direttore sanitario del Garibaldi e dell’Ausl di Enna: un burocrate inequivocabilmente vicino all’Mpa. Proprio al Garibaldi andrà Angelo Pellicanò attuale direttore sanitario del Cannizzaro, mentre al Policlinico etneo è stato designato Ignazio Tozzo, finora capo del dipartimento personale della Regione. È di area Mpa pure Salvatore Giuffrida, nuovo manager dell’azienda provinciale di Messina. Restando nella città dello Stretto, il nuovo direttore generale del Papardo-Piemonte sarà Armando Caruso, suggerito da Giuseppe Scalia ex coordinatore regionale di An. Al Policlinico messinese, come detto, resta Giuseppe Pecoraro che finora ha guidato la struttura universitaria da commissario.L’Asp di Caltanissetta sarà amministrata da Paolo Cantaro, burocrate gradito al Partito democratico, che finora è stato direttore sanitario del Vittorio Emanuele di Catania. Alla guida dell’Asp di Agrigento andrà Salvatore Olivieri, manager già in servizio all’Ausl di Caltanissetta politicamente vicino prima ad Alessandro Pagano (Pdl) e poi a Lombardo. A Trapani è stato scelto un dirigente legato all’assessore all’Agricoltura, Michele Cimino. È Fabrizio De Nicola, già capo della segreteria tecnica del politico agrigentino. Fedelissimo di Giambattista Bufardeci è, invece, Franco Maniscalco che guiderà l’Asp di Siracusa. All’a zienda di Ragusa andrà Ettore Gilotta, altro uomo dell’Mpa che ha lavorato al fianco dell’ex rettore catanese Ferdinando Latteri. A Enna, infine, l’Asp sarà amministrata da un ex parlamentare regionale di Forza Italia: Nicola Baldari, indicato dal guardasigilli Alfano.
(La Repubblica, 19 agosto 2009)

domenica 16 agosto 2009

Corleone. Diario dal campo di lavoro antimafia. L'incontro con Dino Paternostro

Questa mattina si replica il lavoro di espianto della vigna, ma stavolta ci rechiamo a Pietralunga. In poco tempo, sotto il sole cocente, abbiamo tolto tutti i pali del vigneto, e dopo aver formato un’efficiente “catena di passaggio”, li abbiamo accatastati in attesa di un futuro utilizzo. Dopo il pranzo, ricco e abbondante come ormai siamo felicemente abituati, il sonno si fa sentire e ci ritiriamo nelle nostre meravigliose stanze. In attesa dell’arrivo dell’ospite del giorno, il segretario della Camera del Lavoro Dino Paternostro, alcuni di noi si sono dedicati alla realizzazione dello striscione per la Cantina KAGGIO (vicino a Corleone), che sarà assegnata dal Consorzio Sviluppo e Legalità alle Cooperative del territorio impegnate nella gestione dei terreni confiscati alle mafie. Venerdì 21 ci sarà infatti l’inaugurazione ufficiale dei lavori di ristrutturazione, che tra qualche anno permetteranno di attivare la produzione del vino delle cooperative direttamente sul territorio. Altri, invece, si sono dedicati allo shopping comprando alcuni pacchi di pasta dal più antico pastificio di Corleone: pastificio Colletti. Altri ancora, dopo aver accompagnato Franco al vicino paese di Marineo per alcune commissioni, hanno approfittato per fare un giro turistico dei paesini limitrofi, tra i quali Ficuzza, sul luogo in cui Garibaldi disse a Bixio: “Nino, domani a Palermo!”. Arriviamo infine al momento clou della giornata: l’intervento di Dino Paternostro, che dall’alto della sua lunga esperienza giornalistica ci ha riassunto le tappe principali della storia dell’antimafia in Sicilia. Contrariamente a quanto spesso si pensa, infatti, siamo in una terra in cui da almeno un secolo parti della società civile hanno tentato di contrastare la mafia, a partire dai contadini dei Fasci siciliani, cominciato a fine ‘800, passando per il sindacalismo della CGIL per arrivare al pool antimafia dei nostri giorni. Tra i protagonisti di questa lotta Paternostro ci ha tenuto a sottolineare il ruolo delle donne, prime fra tutte Maria Giudice e Maria Domina, le donne a cui sono dedicati i campi di quest’anno. Usando la metafora calcistica, Dino ci ha spiegato che è necessario scendere direttamente in campo contro la mafia, e non basta fare da spettatori che tifano dagli spalti. Questo è un ulteriore incoraggiamento per tutti noi, partecipanti al campo, a metterci in gioco con i nostri compagni di viaggio. Dino ha sottolineato che la mafia, in maniera più o meno celata, è presente ovunque, non solo in Sicilia, e quindi anche noi che abitiamo lontano da qui non possiamo permetterci di abbassare la guardia.Terminato l’incontro, ci siamo tuffati in un magnifico sformatino di spinaci con spezzatino al pepe nero. Stanchi ma felici, la serata continua con un pensiero speciale a Marta, che è dovuta tornare temporaneamente a casa in compagnia di… un brutto mal di gola!
14 agosto 2009

venerdì 14 agosto 2009

Quanti amici ha Totò Riina. E scoppia la polemica con l'Arma

di Giorgio Bocca
I carabinieri, specie quelli che arrivano da altre provincie, sanno che in Sicilia un colpo di lupara può raggiungerli in ogni vicolo, in ogni tratturo. È naturale, allora, che si creino delle tacite regole di coesistenza
L'opinione di Giorgio Bocca di questa settimana ha scatenato una reazione compatta a difesa dell'Arma sia da parte della maggioranza che dall'opposizione. L'articolo è risultato particolarmente indigesto al comandante dei carabinieri, il generale Leonardo Gallitelli, che ha ricevuto la solidarietà del ministro dell'Interno Roberto Maroni. Indignato anche il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che ha parlato di "accuse farneticanti da parte di chi, come Giorgio Bocca, non ha esitazioni ad infangare una delle principali, se non la principale, eccellenza italiana riconosciuta come tale nel mondo". Il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, promette un'azione legale contro il giornalista per le "deliranti accuse di collusione in Sicilia tra Carabinieri e mafia". Ed è insorta anche l'opposizione. "Si può - ha osservato Marco Minniti responsabile Sicurezza del Pd - discutere di tutto. Si continui come si sta facendo ad indagare su periodi tra i più dolorosi ed oscuri della storia repubblicana, ma la consapevolezza che l'Arma dei Carabinieri costituisca e abbia costituito nel passato un pilastro fondamentale nell'azione di contrasto contro le mafie non può essere messa in discussione". Infine il leader del'Udc, Pier Ferdinando Casini, ha invitato "tutto il Paese in ogni sua componente, maggioranza ed opposizione, a stringersi intorno all'Arma dei Carabinieri nel ricordo dell'alto prezzo pagato per combattere la mafia e la criminalità e nella consapevolezza di ciò che rappresenta per il presente e per il futuro. L'articolo di Giorgio Bocca è infame e ogni altro commento è superfluo'

Ecco l'opinione della discordia: leggete e commentate

L'ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, il capo siciliano della mafia Totò Riina, lo scrittore della sicilitudine Leonardo Sciascia, il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dalla mafia perché la conosceva bene, Massimo Ciancimino il figlio del sindaco mafioso di Palermo don Vito e altri esperti della onorata società hanno spiegato invano agli italiani che il problema numero uno della nazione non è il conflitto fra il legale e l'illegale, fra guardie e ladri, fra capi bastone e le loro vittime inermi, ma il loro indissolubile patto di coesistenza. L'essere la mafia la mazza ferrata, la violenza che regola economia e rapporti sociali in province dove la legge è priva di forza o di consenso. Eppure la maggioranza degli italiani non se ne vuol convincere, si rifiuta di crederlo e quando il capo della mafia Totò Riina fa sapere che l'assassinio del giudice Paolo Borsellino è stato voluto o vi hanno partecipato i tutori dell'ordine, ufficiali dei carabinieri o servizi speciali, il buon italiano si dice: è l'ultima scellerataggine di Riina, mette male nel nostro virtuoso sistema sociale. Se ci sono due scrittori italiani e siciliani che hanno larga e meritata popolarità nel paese essi sono Giuseppe Tomasi di Lampedusa autore del 'Gattopardo' e Andrea Camilleri i cui libri sono in testa alle vendite, salvo il libro migliore, uno dei primi edito da Sellerio in cui spiegava per filo e per segno i compromessi fra mafia e Stato su cui si fonda l'unità d'Italia. Senza alcuna presunzione di avvicinarmi a questi maestri, vorrei umilmente ricordare ai miei connazionali le ragioni per cui il capo delle mafie Totò Riina ha potuto scrivere il famoso 'papello' al capo del governo italiano per chiedergli, come ora ci fa sapere Massimo Ciancimino custode del documento, se, viste le buone relazioni correnti, il capo del governo non poteva mettere a disposizione del capo della mafia una rete della televisione. Proprio come chiesero e ottennero la Terza rete i comunisti quando condizionavano il mercato del lavoro.Massimo Ciancimino, il figlio del sindaco mafioso di Palermo, ha detto o lasciato capire che i carabinieri 'nei secoli fedeli' si attennero nelle operazioni di mafia ad attenzioni speciali, clamorosa quanto rimasta senza spiegazioni credibili la mancata perquisizione nella villetta in cui Riina aveva abitato e guidato per anni la 'onorata società'.
Del pari sono rimaste senza spiegazioni le accuse e le richieste di chiarezza mosse, quando era sindaco a Palermo, da Leoluca Orlando. Eppure una ragione del 'comportamento speciale' della più efficiente polizia italiana verso la mafia c'è ed è evidente: i carabinieri, come la mafia, non sono qualcosa di estraneo e di ostile alla società siciliana, fanno parte e parte fondamentale del patto di coesistenza sul territorio, di controllo del territorio condiviso con la Chiesa e con la mafia. In ogni paese siciliano accanto alla Chiesa e al parroco c'è una caserma dei carabinieri e una cosca mafiosa. Spiega Camilleri nel suo aureo libretto: i parroci sono persone oneste, ma sanno che a mettersi apertamente contro la mafia restano isolati, senza sussidi, senza ragazzi negli oratori. E i carabinieri? I carabinieri, specie quelli che arrivano da altre provincie, sanno che la loro vita è appesa a un filo che un colpo di lupara può raggiungerli in ogni vicolo, in ogni tratturo. Non è naturale, obbligatorio che si creino delle tacite regole di coesistenza o di competenza?
(L'Espresso, 12 agosto 2009)

martedì 11 agosto 2009

Corleone. Il campo di lavoro antimafia. Dall'incontro con Pino Maniaci al brindisi degli sposi corleonesi a "casa Caponnetto"

Oltre al lavoro nei terreni confiscati effettuato nella mattinata, ieri vi sono stati due momenti molto importanti. L'incontro con Pino Maniaci di Telejato. In questi anni spesso è venuto a trovarci, a fare riprese e interviste sul nostro impegno. Ogni volta che andavo a visionare i suoi servizi televisivi notavo una forte condivisione: insomma era evidente che era uno di noi. Così, in occasione della presenza del Giudice Pristipino, io e Salvatore gli abbiamo chiesto una sua disponibilità a far parte del nostro programma in ogni campo di lavoro, venendo a raccontare la sua storia e il suo impegno. Ho notato disponibilità ma anche compiacimento; nel nostro piccolo vogliamo contribuire alla promozione di Telejato e alla difesa sociale di un’informazione libera e di antimafia sociale. Pino ha da un po’ di tempo una scorta dei carabinieri che lo seguono nella sua attività di giornalista. A me ha fatto impressione vedere un giornalista, un cameramen con due carabinieri in divisa a fianco!
Nel frattempo è arrivata in Via Crispi Giusy con Alessandro; hanno deciso di venire a brindare per il loro matrimonio lì, in quel luogo insieme ai soci della cooperativa e ai volontari. Giusy è una ragazza del servizio civile, ha collaborato con l'architetto Donella Garfagnini di Piombino per i primi interventi di ristrutturazione e di cura estetica della Casa Caponnetto. Ha fatto molto piacere la sua visita! Ma io mi permetto di dire che questo è un importante segno di cambiamento! Lì nel passato si veniva ad incontrare la mafia, a chiederle favori, raccomandazioni, si perdeva la propria dignità e si ricevevano indicazioni di un voto elettorale non libero! Una ragazza corleonese, non dell'Arci e nemmeno della Camera del Lavoro, che effettua per dodici mesi il servizio civile in un bene confiscato e che decide di venire a brindare per il suo matrimonio vestita da sposa in Casa Caponnetto è un fatto significativo e di grande valore! E' il segno che il Progetto Liberarci dalle Spine sta contribuendo ad un cambiamento in corso nella comunità corleonese frutto di impegno, passione e tanti sacrifici!! Da ieri pomeriggio quel bene confiscato ad una famiglia mafiosa intitolato al giudice Antonino Caponnetto, sede della Cooperativa Lavoro e Non Solo, base logistica del Progetto Liberarci dalle Spine, nuovo Circolo Arci , ha una legittimazione anche da parte di due giovani corleonesi che sono venuti a brindare per il loro matrimonio!! Tanti auguri a Giusy e Alessandro!
Maurizio Pascucci
Esecutivo Arci Toscana
Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine

Salta l'accordo tra Ato Idrico Pa1, Amap ed Aps, che minaccia: "Sospendiamo la presa in carico dei comuni"

Maria Modica
L'accordo fra Ato idrico Palermo 1, Amap e Aps salta e quest'ultima decide di passare al contrattacco. «Il Consiglio di amministrazione di Acque Potabili Siciliane – si legge in una nota – gestore del servizio idrico integrato in provincia di Palermo,
recependo le indicazioni del socio di maggioranza Società Acque Potabili di Torino e considerato l'inaccettabile ritardo nella stipula del contratto di servizio tra l'Ato1 Palermo, l'Amap ed Aps, ritiene necessari, per contenere gli effetti negativi di tale situazione, la sospensione della presa in carico dei Comuni, il contenimento dei costi, inclusi quelli relativi al personale, e l'adozione di adeguate azioni legali a tutela dei propri interessi». Secondo l'Aps, nei due anni trascorsi dall'aggiudicazione della gara, nel 2007, la società avrebbe maturato una perdita di 5 milioni di euro. Lo stallo della situazione, determinato dalla mancata stipula del contratto di servizio con l'Ato, la morosità dei comuni e le difficoltà di trasferimento delle competenze, avrebbe causato un danno economico di cui l'Aps chiederà il risarcimento. «Nel maggio scorso – fanno sapere ancora dalla società – Amap, Comune di Palermo e Aps avevano raggiunto un accordo che prevedeva, fra l'altro, la gestione della città all'Amap fino al 2021 e la cessione dei suoi mutui, pari a tre milioni di euro l'anno, ad Aps. Il Consiglio comunale non volle approvare l'accordo e, oggi, la Provincia si rifiuta di convocare l'assemblea dei sindaci per la sua ratifica. Di fronte alle ingenti perdite economiche i soci di Aps hanno deciso di non continuare a tergiversare di fronte ai tempi della politica e passare alle vie di fatto sospendendo il trasferimento del personale e la presa in carico di altri comuni».Per migliorare i rapporti con gli enti locali, il Cda ha approvato un nuovo assetto del governo societario che risulta così organizzato: Armando Quazzo, amministratore delegato per il personale, approvvigionamenti, organizzazione, sistemi informativi; Lorenzo Serra, amministratore delegato per sicurezza, ambiente e qualità del servizio; Nicola Valerio Lamanna, amministratore delegato per sviluppo investimenti; Flavio Grozio, procuratore per le aree amministrazione, finanza, controllo e gestione clienti; Gaetano Rotolo, procuratore area tecnico–operativa; Angelo Schiavone, procuratore per area gestionale, verifica e contenimento dei costi operativi.«Con la nuova squadra – ha spiegato Nicola Piazza, presidente di Aps – la Società sarà in grado di coinvolgere maggiormente gli enti interessati per superare l'attuale fase di stallo e migliorare i risultati tecnico-economici del servizio».
La Sicilia, 11.08.2009

lunedì 10 agosto 2009

Corleone. E' iniziato il nuovo campo di lavoro antimafia "Liberarci dalle spine"

8 Agosto
Il campo dall’8 al 17 agosto in realtà si è avviato il 7, con una riunione dei primi arrivati, giunti a Corleone con un giorno di anticipo. In casa Caponnetto c’è anche un gruppo di ragazzi francesidel Servizio civile internazionale, che resterà qui fino al mese di ottobre condividendo con noi le attività del campo.
Dopo un veloce giro di presentazioni, abbiamo scoperto di essere stati tuttitrascinati qui da qualcun altro: ognuno conosceva altre persone che avevano già fatto il campo, oppure che faranno questo insieme a noi. Abbiamo conosciuto il gruppo dello Spi di Pistoia, che si è presentato nel migliore dei modi con una cena che ce li ha fatti subito entrare in confidenza. La prima serata è proseguita con un primo giro per Corleone, comprensivo di degustazione tipica. Stamattina ci ha svegliato il canto del gallo, che solo Giulia ha avuto la fortuna di non sentire. Era solo l’inizio: non sapevamo cosa ci aspettava nei campi! Di buon mattino siamo andati a Pietralunga, dove Bernardo e Franco ci hanno spiegato che avremmo dovuto spiantare una vigna, pali compresi. Intanto a casa ci si dava da fare con moci e scope, spugne e guanti, tra una chiacchiera e l’altra con i nostri dirimpettai. Tornati dalle fatiche in campagna, siamo stati accolti da un gruppo di scout di Milano, venuti a conoscere la realtà della cooperativa; stavano ascoltando così attentamente Dino Paternostro che alcuni di noi si sono fermati insieme a loro. Mentre i milanesi hanno accettato di buon grado l’invito a pranzo, abbiamo faticato per convincere il buon Dino. Tra oggi e domani il gruppo del campo sarà finalmente al completo, intanto nel pomeriggio avremo la presentazione delle attività e del programma del campo e approfondiremo le motivazioni e le aspettative che ciascuno di noi ha su questo campo.

9 agosto
Dopo una sveglia più clemente e forse fin troppo rilassata, e in seguito ad un’abbondante colazione partiamo in furgone alla volta di Palermo. Pensavamo sarebbe stata una giornata rilassante, invece … si comincia a rompere la prima maniglia del portellone.
Il viaggio verso Palermo è una prosecuzione del sonno interrotto talvolta da lezioni di dizione fiorentina e siciliana; la prima tappa è piazza Magione, dove Marta ci fa da cicerone raccontandoci le vicende del quartiere dove sono nati e cresciuti “zio” Paolo Borsellino e Giovanni Falcone ma anche alcuni ragazzi che sarebbero diventati poi capimafia. L’immagine che ci è rimasta impressa è quella di un degrado evidente e di un abbandono desolante, nonostante i tentativi di riqualificazione del quartiere avvenuti negli anni passati: cani randagi, resti delle macerie dei bombardamenti, immondizia … Poco lontano da lì, in Via Vetriera, abbiamo sostato davanti alla casa natale di Paolo, ristrutturata di recente e in netto contrasto con le altre case della strada abbandonate a se stesse. La mattinata prosegue con il primo incontro di approfondimento del campo con Antonella Monastra, consigliere comunale di Palermo che da ginecologa ha vissuto gli anni delle avanguardie femministe aprendo i primi consultori nell’arretrato entrotrerra siciliano dei primi anni ’80. Facendo tesoro di quest’esperienza vissuta in prima persona ed entrando in contatto con realtà sociali problematiche, Antonella ha avvertito la necessità di proporsi come punto di riferimento tra questi cittadini invisibili e le istituzioni pubbliche: in questo modo l’impegno sociale e quello politico sfumano l’uno nell’altro nella sua vita quotidiana. Abbiamo provato una sincera ammirazione per l’impegno, la determinazione e la responsabilità civica con cui Antonella persegue l’obiettivo di creare un rinnovato senso della collettività ed una maggiore consapevolezza dei diritti da rivendicare sempre nella trasparenza della legalità, anche se a volte sembra essere la via più difficile. La mattinata si è conclusa con un breve ma significativo passaggio in Via D’Amelio, luogo della strage in cui persero la vita il giudice Paolo e i suoi ragazzi, dove anche a distanza di tanti anni rimangono i segni tangibili dell’affetto e della memoria nei loro confronti. Dopo aver gustato a Villa Giulia le arancine più grandi di Palermo, seguite da cannoli e gelati vari, torniamo a Corleone: qui dapprima noi perdiamo per strada la seconda maniglia del portellone, immediatamente dopo è il furgone a lasciare per strada una decina di noi. In Via Crispi ci aspetta Calogero per iniziare il sopralluogo nei terreni in gestione alla cooperativa, luoghi in cui lavoreremo nei prossimi giorni. Siamo stati a Malvello e a Torre dei Fiori, terreni dei quali ci ha spiegato la provenienza e il tipo d’intervento effettuato dalla cooperativa; siamo poi andati a vedere il laboratorio di trasformazione dei legumi, che sarà operativo nei prossimi mesi e che permetterà alla cooperativa di non inviarli più per la lavorazione in Umbria. Tornati a casa accogliamo il gruppo scout di Cittadella, che condividerà con noi l’esperienza del campo, e alloggerà in casa Provenzano. Stanchi ma felici … la serata continua!
FOTO. Dall'alto: sotto l'ulivo di via D'Amelio a Palermo; davanti la casa dov'è nato Paolo Borsellino; con Antonella Monastra.

domenica 9 agosto 2009

Corleone. La Polizia sventa un'estorsione contro un bracciante agricolo di 53 anni

Cosmo Di Carlo
CORLEONE - Dopo la brillante operazione della settimana scorsa, culminata con la scoperta della piantagione di Marijuana nelle serre di Contrada Malvello, che ha portato alla distruzione di seimila piante di cannabis per oltre 30 tonnellate di droga essiccata, ed all’arresto del custode tunisino della piantagione,
la squadra investigativa del commissariato di Polizia di Stato di Corleone ha denunciato per tentata estorsione una venticinquenne prostituta rumena. La Polizia, ha sventato l’estorsione e recuperato un’autovettura rubata. Vittima della rapina è I.A, corleonese di cinquantatre anni non nuovo ad avventure del genere. La rumena è stata fermata in Piazza Giulio Cesare a Palermo, nei pressi della stazione centrale, mentre trattava con il malcapitato la restituzione dell’auto. In cambio aveva chiesto ottocento euro. Tutto è iniziato, secondo la ricostruzione dei fatti raccontata da I.A. ai poliziotti, con un appuntamento “galante”. L’uomo, qualche giorno fa, si era appartato in auto con due giovani prostitute romene in un luogo, che mon ha saputo precisare, di Palermo. Quando, d’improvviso sono comparsi due individui, complici delle donne, che sotto la minaccia di una pistola, lo hanno costretto a consegnare quanto aveva in tasca: circa duecentocinquanta euro. Al termine della rapina, lo hanno percosso e sono scomparsi portandosi via la macchina, Con loro sono sparite anche le due donne. Dopo essersi fatto medicare al pronto soccorso dell’Ospedale Civico, l’uomo. ha sporto denuncia, nella notte presso una stazione dei carabinieri. Quindi ha fatto ritorno a Corleone con un autobus di linea. Ma appena arrivato, veniva raggiunto da una telefonata nella quale una voce femminile con accento straniero gli chiedeva ottocento euro per la restituzione della sua macchina: una Fiat Panda. A questo punto si recava presso il Commissariato di Polizia, di Corleone per raccontare gli ultimi eventi e sporgere un’altra denuncia questa volta per estorsione. I funzionari di Polizia in considerazione del precario stato emotivo, cercavano di dissuadere l’uomo dal recarsi, da solo e con il denaro, all’incontro con la donna che gli aveva dato appuntamento alla stazione centrale. Nonostante l’invito degli agenti, I.A. è risalito su una corriera per ritornare a Palermo all’appuntamento con i suoi estortori. Alcuni agenti lo seguivano discretamente sul pullman, altri con auto civetta, mentre veniva allertata la Squadra Mobile del capoluogo. Una volante della Polizia in servizio di perlustrazione rinveniva l’auto rubata in Via Sacco e Vanzetti nel quartiere Zen del capoluogo. Alla stazione centrale, appena sceso dall’autobus I.A., veniva avvicinato da una giovane donna. I.F, 25 anni prostituta di nazionalità romena. I due discutevano animatamente camminando tra le viuzze intorno alla stazione centrale. Trascorreva un’ora quando i poliziotti, preoccupati per l’incolumità dell’uomo, decidevano di intervenire. Fermavano la giovane rumena. L’uomo, confermava ai poliziotti che la donna era la stessa che gli aveva fatto le telefonate estorsive e che lui non gli aveva dato nessuna somma di denaro poichè la rumena non si era presentata con la macchina rubata. I.F. veniva denunciata per tentata estorsione, mentre l’auto ritrovata veniva consegnata al legittimo proprietario. Le indagini della polizia continuano per approfondire la posizione della prostituta che potrebbe avere avuto un ruolo nella rapina ed in altri episodi criminali in danno dello stesso individuo. I poliziotti della squadra investigativa del commissariato di Polizia di Corleone hanno operato con l’ausilio della sezione della squadra mobile di Palermo, coordinata dal vice questore Carmine Mosca.

I DUE MORI

di Agostino Spataro
Nella lista dei servitori dello Stato che, in epoche diverse, sono stati impegnati nella lotta alla mafia, spiccano due personalità le quali, ciascuna a suo modo, hanno esercitato il mandato ricevuto fra polemiche e grandi clamori: il prefetto Cesare Mori e il colonnello Mario Mori, già vice-comandante dei Ros.
A ben vedere, si tratta solo di una casualità, di un’illustre omonimia. I due funzionari, per altro, hanno operato in contesti politici e storici molto diversi, a distanza di 70 anni l’uno dall’altro. Solo il caso, dunque, ha fatto “incontrare” i due Mori in Sicilia sul terreno impervio del contrasto alla criminalità organizzata. Oggi, le cronache si occupano spesso del secondo Mori per vicende complesse, e poco chiare, a proposito di “papello”, “trattativa”, nelle quali non desideriamo addentrarci. Saranno le inchieste e i processi a illuminare le verità connesse. Vorrei, soltanto, cogliere quest'omonimia che, certo, è casuale ma molto suggestiva. Soprattutto, per quanti, in forza dell’età o dei ricordi, possono valutare la differenza di ruolo dei due alti funzionari in rapporto al tipo di Stato che li ha comandati. Poiché, più che la personalità dei singoli funzionari conta, in questo caso, il mandato conferito dai governi committenti.

Due Stati due Mori
Insomma, due Stati due Mori, si potrebbe dire. Su questo bisogna cominciare a riflettere, specie alla luce delle recenti dichiarazioni rese dall’on. Luciano Violante ai magistrati di Palermo secondo le quali il vice comandante dei Ros per ben tre volte gli prospettò un incontro riservato con Vito Ciancimino, al di fuori dei canali istituzionali. Abbiamo atteso da parte del generale Mori una chiara smentita di tali affermazioni, ma ancora non c’è stata. Perciò, nascono, spontanee, tante domande cui si spera vengano date risposte esaurienti. A che cosa doveva servire quell’incontro? Forse a sondare, a saggiare la posizione di una personalità istituzionale di rilievo, e della forza politica d’appartenenza, su qualcosa di anomalo? Forse il diniego di Violante ha bloccato sul nascere un disegno maldestro? La faccenda è di enorme rilevanza processuale, ma soprattutto politica giacché, se attivazione c’è stata, Mori non ha agito, certo, per ragioni personali, ma in esecuzione di un ordine impartito dall’alto. Quanto alto? Anche l’altezza del livello dovrà essere accertata in sede processuale. Tuttavia, a rigor di logica e dell’esperienza, l’eventuale comando, chiunque l’avesse dato, non poteva essere ignorato dai più alti livelli dello Stato e quindi dalle forze politiche che lo Stato dirigevano in quel momento storico. Altrimenti, si aprirebbe uno scenario molto più inquietante di quello, oggi, immaginato.

Cesare Mori: il “lusso” della verità storica
Da questo cerchio non si esce. Anche se, ripeto, l’ultima parola spetta alle inchieste, alle sentenze della magistratura che spero, sinceramente, possano dimostrare l’inconsistenza di tale ipotesi. Diversamente, ne uscirebbero mortificate l’etica e la funzione dello Stato democratico che non tratta con i criminali, ma previene e reprime. L’ipotesi sarebbe, per altro, in forte contrasto con la missione affidata dal governo fascista di Mussolini, a metà degli anni ’20 del secolo scorso, al prefetto Cesare Mori di dirigere e coordinare una vasta e dura campagna di repressione contro le organizzazioni mafiose siciliane. Altri tempi, altri contesti, altri governi. Com’è noto, il “prefetto di ferro”, anche se con metodi piuttosto sbrigativi, conseguì un buon risultato contro la mafia di basso e di medio livello. Non riuscì a raggiungere il livello apicale perché, ad un certo punto, fu fermato da Mussolini e giubilato con uno scranno al Senato. Comunque sia, per un lungo periodo - raccontano i nostri vecchi contadini e le statistiche - l’Isola fu resa sgombra da questo terribile flagello. E questo è un fatto che - a distanza di tanto tempo - bisognerebbe riconoscere, senza imbarazzi, senza per ciò temere di passare per “revisionisti”. Siamo talmente vaccinati contro il fascismo, di ieri e di oggi, da poterci permettere il “lusso” della verità storica.

Lo Stato democratico più “forte” di qualunque dittatura
Taluni, anche eminenti studiosi, hanno osservato che ciò avvenne perché il fascismo, essendo uno stato forte e totalitario, non poteva ammettere l’esistenza, seppure in una parte del territorio italiano, di una sorta di anti-Stato o di Stato nello Stato. Anche questo è vero, anche se con tale assunto non si può liquidare un fatto cosi rilevante sul piano storico e politico. Visto il dramma in cui oggi si dibattono tre grandi regioni meridionali, l’osservazione potrebbe, di converso, indurre a pensare a una grave debolezza dello Stato democratico e antifascista, nella misura in cui tollera o addirittura tratta con la criminalità organizzata. Insomma, i regimi, i politici, i funzionari passano ma, per fortuna soprattutto dei più deboli, lo Stato resta e continua ad operare come principio regolatore e organizzatore della società. Perciò, uno Stato degno non può ammettere, tollerare, sullo stesso territorio, un’entità concorrente o parallela, per altro illegale e violenta. Ancor di più il nostro Stato democratico, nato dalle rovine del nazi-fascismo, che essendo basato sul libero consenso popolare, sul pluralismo è, o dovrebbe essere, più forte ed efficiente che qualunque dittatura.
Agostino Spataro

sabato 8 agosto 2009

Initiative against the Mafia. Cooperative Revives Land Formerly Belonging to Mafia

Pubblichiamo un articolo in inglese scritto da Natalie Trusso Cafarello sull'esperienza del Progetto "Liberarci dalle spine"
CORLEONE, Sicily — Anti-mafia organizations are transforming former land of those who were convicted of having mafia ties into business opportunities and an educational tool for Italy’s youth. The cooperative Lavoro e Non Solo has been reviving since 1999 confiscated land and enterprises in the terrain surrounding the town of Corleone, formerly belonging to Mafiosi such as Cosa Nostra top boss Salvatore Riina who was arrested in 1993. Headquartered in a home that belonged to the Riina family, jointly with the social organization ARCI Toscana, the cooperative coordinates a camp of fulltime workers and volunteers from Tuscany and universities, to develop sustainable farms and agriturismi. The products — olives, tomatoes, grapes etc. — distinguished by the label “Libera,” are sold at supermarkets Coop and Botteghe del Mondo. The effort is not just economic, but also social and an eye-opening educational experience for youth. The objective of the youth volunteer program aims to inform people that the Mafia is not confined to Sicily or Italy, but is a reality that affects everyone in other regions too. At the same time the program tears down stereotypes associated with the city of Corleone and Sicily. “The volunteers see that it is a different Sicily, that there is more than just the Mafia. At the same time they realize that the Mafia is real,” said Calogero Parisi, the president of Lavoro e Non Solo. Learning responsibility the young adults are given choices for the day’s activities. On a hot August day half of the volunteers chose to zappare (hoe) a vineyard found on a deserted agriturismo, while others harvested eggplants. Cleaning and cooking duties are rotated and shared. The cooperative also organizes insightful discussions about the past atrocities, the present initiatives and hopes for the future. Figures of other involved organizations may come to the camp or the camp may visit historical sites that have significant relevance in understanding the impact of the Mafia. “Sometimes the speakers talk about legality. The cooperative is indirectly combating the Mafia. It is restoring the area, producing something positive,” said 17-year-old Boy Scout Lorenzo Barsocchi. The youth worked all afternoon clearing weeds from the main entrance into the agriturismo. Singing while hacking into tall hay and stalks of wild finocchio, they are gradually contributing to the future of Sicily and Italy. “Our intentions are too re-open this agriturismo, and eventually hire locals to work at the restaurant,” said Salvatore Ferrara one of the 13 partners who manage the cooperative. His duties are to organize the work for the camp volunteers and permanent workers. The profits made from the land go back into the cooperative. Buying seeds, agricultural machinery to tend the land, restoring agriturismos, all the while creating something concrete that people can believe in — jobs. “When we first started we only had five paid workers, today we are employing 15.” In a catch-22 the people are forced to keep the mafia machine booming because they rely on it for labor and money. “It is a complicated and strong system. The Mafia has a lot of votes because they promise work.” A stabilized economy may be the key to ween the people off the dependency of Il Primo Stato (the principle government) as the Sicilians refer to it. Where the people lack confidence in the Italian government, the Mafia fills in the cracks by providing what the people ask for. But that comes at a price. “The Italian government does not ask you to repay, but with the Mafia, you must repay,” he said. Trying to motivate people to realize that together they can make a difference, while transferring their faith that things can change has come with hardships. Where productive land is essential for the survival of the cooperative and many inhabitants, someone ripped out newly planted grapevines and seedlings in 2006 and 2007. Born and raised in Corleone, Ferrara has lost some friendships over the cooperative. When they first started some of his friends would avoid him or were afraid to stop to say “hi.” But the volunteers have not been subject to that negativity or unfriendliness. The Corleonese stop them on the street to greet them or to learn where they are from, leaving an impression on those who visit. “I like the climate, the partners of the cooperative,” said Sara Terracciano from Grosseto. “It’s magic.” Article 416 bis of the “Antimafia law,” proposed by politician Pio La Torre and enacted after his assassination in 1982, relinquishes possessions of convicted Mafiosi to the Italian government. For further information on the associations promoting the anti-Mafia movement visit www.libera.it and http://www.lavoroenonsolo.it/. After this article was written, ANSA, the Italian news service, reported on July 18, 2009 that Calogero Parisi’s car was damaged in a believed act of intimidation. The tires his Puegot 206 were slashed. The car was parked among other vehicles in front Lavoro e Non Solo headquaters, however only Parisi’s was tampered with. Anna Bucca, the president of ARCI Sicily, commented that it is a “pessima segnale (bad sign” compared to the associations work regarding legality and education.
by Natalie Trusso Cafarello

Appello di Rita Borsellino a favore dei giornalisti de "I Siciliani", che rischiano il pignoramento delle loro case

Ha il sapore della beffa la vicenda che riguarda i giornalisti de "I Siciliani", il giornale fondato da Pippo Fava, voce libera e autorevole in cui trovava spazio tutta quella informazione, fastidiosa per qualcuno, pericolosa per qualcun altro, che altrove non era pubblicabile. Oggi, a distanza di 25 anni, quei giornalisti che continuarono il lavoro intrapreso da Pippo Fava (Graziella Proto, Elena Brancati, Claudio Fava, Rosario Lanza e Lillo Venezia, tutti membri del consiglio d´amministrazione della cooperativa che gestiva il giornale), rischiano il pignoramento delle loro case "per il puntiglio di una sentenza di fallimento del tribunale fallimentare".Già, perché dopo che la mafia uccise il loro direttore, quei giornalisti decisero coraggiosamente di non chiudere il giornale, di non accettare compromessi professionali e di continuare a lavorare per un´informazione libera e autonoma in un periodo in cui la mafia trovava poco spazio sulle colonne dei quotidiani. Tutto questo nell´assoluta indifferenza da parte delle istituzioni e del mondo imprenditoriale: la redazione de "I Siciliani" andò avanti, senza ottenere per cinque anni una lira di pubblicità, senza poter pagare stipendi e accumulando inevitabilmente debiti. Non troppi, in realtà, circa 38 mila, lievitati negli anni a 72 mila euro. Ora, il tribunale ha avviato le pratiche per riscuotere il debito. Come ha ben detto Francesco Merlo su Repubblica, "questa legittimità formale di un assurdo reale, nella terra dello scontro fra Stato e Antistato, rischia di diventare lo scudo stellare della compiacenza mafiosa, un (involontario) devastante ammiccamento ai picciotti: una festa di mafia". Tanto più che fra i creditori c´è la Regione Siciliana, alla quale, come suggerisce lo stesso Merlo, "spetterebbe il gesto di civiltà: una leggina, come si dice in slang, che annulli il credito regionale e copra il resto del debito".Sarebbe un modo corretto di onorare la memoria di un eroe della lotta alla mafia come Pippo Fava. E anche un premio dovuto al coraggio di quei giornalisti che hanno mantenuto in vita un quotidiano che ha permesso di mettere in luce le metastasi mafiose nel tessuto produttivo e politico siciliano. Nella speranza che ciò avvenga, io non posso fare altro che esprimere a Graziella, Elena, Claudio, Rosario e Lillo la mia solidarietà, oltre che dare il mio personale contributo a sanare il debito, con l´augurio che questa imbarazzante situazione si chiuda in tempi brevi. A chi leggerà questa lettera, lancio l´invito a fare lo stesso. Soprattutto ai giornalisti siciliani e a tutta la stampa, sia essa locale o nazionale, rinnovo l´appello a contribuire alla causa dando un forte un segnale di vicinanza in nome di quell´informazione libera e indipendente, quale è stata quella de "I Siciliani".
Per contribuire basta un bonifico intestato a Fondazione Giuseppe Fava, presso il Credito siciliano, agenzia di Cannizzaro Scogliera, 95021 Acicastello (CT) IBAN IT22A0301926122000000557524. Causale "Per I Siciliani".
Rita Borsellino
deputato Parlamento europeo

Il Programma dello stage di Filaga 30 agosto-5 settembre

Domenica 30 agosto 2009

ore 18:00 - Filaga

Apertura dell’ VIII Stage di Formazione Socio-Politica di Filaga

Introduce:
Michelangelo Salamone
Segretario Generale Libera Università della Politica (nella foto)
“Ritorno a Filaga”

Saluti:
Raffaele Lombardo
Presidente Regione Siciliana

Francesco Cascio (da confermare)
Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana

Giovanni Avanti
Presidente della Provincia Regionale di Palermo

Antonino Garofalo
Sindaco di Prizzi

Apertura dei lavori

Alfredo Galasso
Presidente Onorario Libera Università della Politica
“Il laboratorio di Filaga: identità e prospettive”

Pietro Luigi Matta
Presidente Libera Università della Politica
“Il ruolo propulsivo della Libera Università della Politica”

Maurizio Carta
Presidente Comitato Tecnico Scientifico Libera Università della Politica
“Le tesi di Filaga 2009”

Prolusione:
Roberto Lagalla
Magnifico Rettore Università degli Studi di Palermo
“La politica nel segno della testimonianza e della responsabilità”

Lunedì 31 agosto 2009

ore 9:00-12:30 - Lezioni Summer School

Nelle economie globalizzate la sfida è sui saperi, tra la leadership di giovani generazioni
Dalle economie globali a quelle locali: in un’economia basata sul sapere, le competenze hanno un impatto che si manifesta in diversi modi. Le conseguenze possono incidere su settori come gli investimenti diretti esteri, l’innovazione, la coesione sociale.
Emerge il bisogno di rafforzare il bagaglio di conoscenza dei “knowledge worker” (nuovi eroi, il paradigma di una rivoluzione silenziosa del nuovo millennio, così come l’operaio-massa è stato l’icona della società industriale fino a tutto il Novecento), con particolare attenzione a quelli poco qualificati che hanno necessariamente bisogno di un nuovo e maggiore know-how che non riguarda solamente la dimensione cognitiva e razionale (a cui spesso è “ridotta” la cultura scientifica occidentale) ma è al tempo stesso pratica, cognizione, emozione, relazione, etica ed inoltre capacità di comprendere, indirizzare, cambiare e mobilitare saperi diversi al fine di generare risultati d’eccellenza (spesso collettivi).
Il bagaglio conoscitivo, allora, che si ritiene essere di maggiore importanza è il “know-how socioculturale”, che deve fornire a chi detiene la leadership gli strumenti necessari a comprendere le dinamiche interne ed esterne all’organizzazione.
Siamo la società della conoscenza, dell’intangibile e l’innovazione, oggi universalmente considerata come uno tra i fattori principali della competitività, richiede processi di creazione, diffusione e ricambio delle conoscenze. L’innovazione non ha confini, l’innovazione riguarda ogni aspetto della realtà delle organizzazioni.
Organizzare il lavoro della conoscenza significa creare continuamente regole, attività, strumenti, competenze, decisioni, attribuzioni di senso su come persone, organizzazione, tecnologie possano far emergere e condividere gli elementi poco noti dei processi conoscitivi, quali le scoperte scientifiche, lo sviluppo di prodotti, il miglioramento dei processi di progettazione e d’organizzazione del lavoro (sviluppo della cultura organizzativa) e i nuovi saperi tra cui il “saper dover essere” (che sviluppa l’etica e la morale nelle persone umane), il “saper benessere” (che si orienta verso lo sviluppo della qualità della vita) e “l’essere per saper essere” (che aiuta le persone a sviluppare l’autostima e l’autoriconoscimento).
Nel nuovo scenario, la formazione dovrà riuscire a creare i fondamenti per la creazione di uno stile di leadership appropriato ad ogni situazione che si viene a creare. Questo si ottiene tenendo conto delle competenze dell’intelligenza emotiva, che sono alla base di una leadership efficace e soprattutto della “leadership ideale”, che si basa sulla scoperta del sé ideale (chi si vorrebbe essere) e del sé reale (chi si è effettivamente). Conoscendo chi si è realmente, si potrà tracciare la strada per raggiungere i propri obiettivi (diventare, cioè, chi si vorrebbe essere). Questo processo fa parte, quindi, di un cammino d’apprendimento che serve al leader per allenarsi a raggiungere i propri sogni.
In tal senso s’inserisce il ruolo della formazione est-etica. Posto che il processo d’apprendimento è un processo psichico e sensoriale che deve decodificare l’esperienza per modificare ed evolvere le proprie esperienze, capacità ed atteggiamenti, la formazione est-etica coniuga la responsabilità dei formatori, che è costituita dal farsi carico dei risultati conseguiti tramite le proprie prestazioni professionali, con lo sviluppo dell’emozionalità nell’apprendimento. Questa, se orientata al livello logico valoriale, è una formazione che mantiene nel tempo il suo effetto migliorativo ed è ritenuta particolarmente efficace nel modificare i comportamenti agiti.
La leadership ed il significato che questa ha assunto negli ultimi tempi, sono sempre più connessi alla società della conoscenza, essendo la leadership fortemente collegata alla mobilitazione d’energie per il cambiamento ed il raggiungimento di risultati.

Introduce Emilio Giammusso
Libera Università della Politica
Prolusione di Antonello Miranda
Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Palermo
Giovanni Pellerito
Presidenza del Consiglio dei Ministri

Discussant: componente del Comitato Tecnico Scientifico della LUP


Lunedì 31 agosto 2009

Ore 16:00 –18:00 Incontro dibattito

Filaga 2.0 – Riflessioni, diagnosi e impegni delle nuove generazioni [Spazio di discussione in collaborazione tra la LUP e Fare Città]

I giovani, la politica e l’amministrazione. Esperienze
In mezzo a successi, fallimenti, manovre e intrighi, la politica e i politici si dividono da sempre tra la ricerca del bene comune e quella, assai meno edificante, del tornaconto personale. Quale dei due atteggiamenti prevalga alla fine bisognerebbe forse chiederlo ai tanti che, per slancio o convenienza, giorno dopo giorno scelgono il difficile mestiere di gestire la cosa pubblica. Anche la recente tornata elettorale ha dimostrato che, dentro questa folla variopinta di “parvenu”, è sempre più consistente la presenza di giovani: se non nei santuari della politica nazionale, custoditi gelosamente da vecchie volpi e capitani di lungo corso, almeno nelle realtà locali, che sono speso il luogo delle novità più eclatanti, della sperimentazione e perfino dell’azzardo.
Alla politica i giovani chiedono una vetrina per mettersi in luce, una palestra per misurare le proprie capacità o semplicemente l’occasione di trovare un impiego sicuro, dalla politica, invece, spesso ricevono in cambio una lezione memorabile sull’emarginazione e il disinganno. Di fatto, quando non vengono trattati alla stregua di soprammobili, magari belli a vedersi ma privi di reale utilità, vengono relegati nell’ambito angusto e non meglio definito delle “politiche giovanili”. E lì restano a maturare: fanno la gavetta, imparano a rispettare le gerarchie, assimilano i trucchi del mestiere. Come risultato, questi giovani politici hanno le facce “invecchiate” troppo in fretta di chi è costretto a comportarsi da adulto, lo sguardo smarrito di chi non è abituato alle luci della ribalta oppure, nella migliore delle ipotesi, l’espressione sciocca e compiaciuta di chi si accontenta di apparire.
Tutto questo non è da giovani, né da aspiranti politici. Che cosa dovrebbero fare i giovani in politica è insieme straordinariamente semplice e complicato. Fare i giovani, innanzitutto: innovare il mestiere del politico piuttosto che limitarsi a impararlo presto e bene, guardarsi intorno con la curiosità del neofita, agire con slancio e - perché no? - con imprudenza, “dimenticare i padri”: prendere consiglio e poi disobbedire, ribellarsi, cambiare. E soprattutto gridare forte la propria voce. In fin dei conti è questo che la gente comune attende dalla politica: una voce nuova, un accento diverso, non ancora ascoltato.


Modera
Carmelo Galati Tardanico
Responsabile Rapporti Istituzionali di Fare Città

Interventi
Alessandro Colorio
Consigliere di circoscrizione Roma 3 e coordinatore cittadino Romano
Michele Catanzaro
Consulente
Gabriella Giammanco
Deputato Nazionale PdL
Salvatore Mirabile
Consigliere Comunale della Città di Palermo
Francesco Pasquali
Coordinatore Nazionale PdL Giovani
Debora Serrachiani
Parlamentare Europeo
Vincenzo Tanania
Consigliere Comunale della città di Palermo
Eduardo De Filippis
Vice presidente FARECITTA'
Lunedì 31 agosto 2009

ore 20:30 - Incontro-dibattito

Nelle economie globalizzate la sfida è sui saperi, tra la leadership di giovani generazioni

Modera
Felice Cavallaro
Corriere della Sera

Interventi
Claudio Barone
Segretario Generale UIL Sicilia
Titti Bufardeci
Assessore Regionale Cooperazione, commercio e pesca
Alberto Campagna
Presidente Consiglio Comunale di Palermo
Patrizia Di Dio
Vice Presidente di Confcommercio Palermo
Piero Fassino
Deputato PD
Andrea Piraino
Segretario Regionale ANCI
Carmelo Fontana
Presidente Consiglio Comunale di Prizzi
Ivan Lo Bello (da confermare)
Presidente Confindustria Sicilia
Antonello Miranda
Università di Palermo
Rino Piscitello
Vice-Segretario Regionale MpA

Martedì 1 settembre 2009

ore 10:00-12:00 - Lezioni Summer School
I beni collettivi: una feconda occasione di coesione sociale e di sviluppo
Il patrimonio culturale delle città e dei territori europei è un palinsesto di vasta e ricca diversità, segno tangibile delle identità locali e contemporaneamente vettore di sviluppo. L’identità culturale, il paesaggio e la qualità dell’ambiente non possono più limitarsi a chiedere misure di protezione, ma richiedono un forte impegno politico, scientifico e tecnico per affrontarli come beni collettivi, come generatori di nuova identità e non solo testimoni della storia. L’Unione Europea, nei suoi documenti più recenti, ci indica l’impegno verso uno sviluppo sostenibile ispirato ad un atteggiamento più creativo, non solo in grado di lasciare in eredità alle generazioni future un patrimonio territoriale intatto, ma addirittura arricchito di nuovi valori per la comunità. La direzione da sperimentare è quella di una “gestione creativa” dei paesaggi culturali e naturali, in grado di favorire la loro coerenza d’insieme e di invertire la tendenza all’abbandono, al degrado e alla distruzione, primo passo verso forme improprie di valorizzazione esclusivamente monetaria. Lo scenario di un nuovo capitalismo, un vero e proprio “Capitalismo 3.0” ci induce a rivedere l’agenda politica, in cui le opzioni che ne derivano consistono innanzitutto in una conservazione a lungo termine ed in una gestione permanente dei paesaggi d’interesse culturale e storico attraverso una forte integrazione con la sostenibilità ecologica, con la pianificazione territoriale, con la gestione dell’uso dei suoli e con la produzione di valore.
Un approccio alla qualità del territorio come bene collettivo ci richiede una governance che sia contemporaneamente responsabile, sostenibile e creativa, proponendosi come un integratore di differenti sostenibilità. Una sostenibilità dell’ecologia urbana che recuperi la visione del “metabolismo” in termini di impatti ambientali ed energetici degli insediamenti. Un’economia urbana sostenibile capace di distribuire lavoro e ricchezza ed una società sostenibile capace di assicurare coesione sociale e solidarietà. Una città in cui abitazioni sostenibili anche dal punto di vista energetico diano un alloggio sicuro per ogni cittadino creando un ambiente urbano che protegga e alimenti gli eco-sistemi urbani. Un territorio caratterizzato da un’accessibilità sostenibile che generi una mobilità capace di conservare risorse e non sprecare energie. Ed infine una democrazia urbana sostenibile che alimenti la responsabilizzazione della cittadinanza. Le regole per il buon governo possono essere sintetizzate in incrementare la sussidiarietà e solidarietà, lavorare con i mercati, individuare nuove forme di partecipazione, facilitare l’azione integrata dei diversi livelli di governo, individuare le priorità, decentrare i servizi e separare la politica dei servizi dalla loro erogazione.
Appare evidente che la maggior parte delle questioni e delle esigenze per uno sviluppo sostenibile fondato sui beni collettivi non possono essere strutturate all'interno dei tradizionali confini disciplinari e settoriali. Inoltre, la sfida del cambiamento climatico, la crisi della globalizzazione e l'aumento della domanda di risorse, chiede un ulteriore sforzo interdisciplinare nel modo di affrontare i rapporti tra ecologia, economia, pianificazione, società e tecnologia. In questo contesto, anche i tradizionali ruoli e le responsabilità dei decisori, degli studiosi e dei professionisti devono essere ridefiniti. Oggi torna all’attenzione l’approccio al "metabolismo urbano" come processo per agevolare la transizione verso una più efficace sostenibilità. Il nuovo approccio al metabolismo urbano non si limita a ripensare lo sviluppo delle città, ma incrocia anche le questioni dello “sviluppo rurale”. Il nuovo modello insediativo, infatti, può essere definito come l’interazione complessa delle risorse tecniche e socio-economiche e dei processi produttivi che si verificano nelle città e nei territori rurali, generandone la crescita e la diversificazione, la produzione di risorse alimentari e la qualità del paesaggio, la produzione di energia e l'eliminazione dei rifiuti. Diversi sono i fattori che influenzano il metabolismo delle città e delle campagne: la forma insediativa, la rete di mobilità, i processi produttivi agricoli e manifatturieri e l'evoluzione delle tecnologie dei trasporti possono influenzare sia il consumo o la produzione di energia che la scelta delle modalità e dei materiali costruttivi. E su tale interazione dovrà agire il buon governo alimentato dall’interazione tra coesione e sviluppo in una nuova allenaza tra città e campagna.

Introduce Roberto Caggia
Vice Presidente Libera Università della Politica
Alberto Tulumello
Università di Palermo
Nadia Benque
CEEIFA - Parigi

Discussant: componente del Comitato Tecnico Scientifico della LUP

Martedì 1 settembre 2009

ore 20:30 - Incontro-dibattito

I beni collettivi: una feconda occasione di coesione sociale e di sviluppo

Modera:
Luigi Perollo
Capo redattore TGMed

Interventi:
Salvino Caputo
Deputato Regionale PDL
Antonello Cracolici
Capogruppo PD Ars
Giulio De Petra
Direttore Generale Innovazione Tecnologica Regione Calabria
Pippo Enea
Assessore al Patrimonio Comune di Palermo
Lino Leanza (da confermare)
Assessore Regionale ai Bb.Cc.Aa. e P.I.
Nino Lo Presti
Responsabile Libere Professioni PDL
Maurizio Micciché
Imprenditore (Calatrasi)
Gianni Puglisi
Presidente Fondazione Banco di Sicilia
Antonio Purpura
Università di Palermo
Antonino Salerno
Presidente Confindustria Palermo
Giuseppe Vetrano
Direttore del GAL Terre del Gattopardo

Mercoledì 2 settembre 2009

ore 9:00-12:30 - Lezioni Summer School

Energia e ambiente: le sfide del terzo millennio per uno sviluppo etico e sostenibile
Energia e ambiente non sono più concetti innovativi, o su cui impegnarsi per diffonderne importanza e valenza strategica per il futuro delle giovani generazioni. Ma certamente la centralità delle tematiche della sostenibilità energetica e della qualità ambientale comporta ancora una forte evoluzione nei modelli adottati quotidianamente da ciascuno degli abitanti della Terra, dai governi e soprattutto dal sistema produttivo
Le imprese hanno uno sguardo privilegiato sul mondo, vivono le grandi trasformazioni economiche sui mercati internazionali e sanno cogliere le sfide imprenditoriali più importanti. Per gli imprenditori, il cambiamento climatico e la sostenibilità ambientale sono dunque prima di tutto sfide imprenditoriali che determineranno la strategia futura dello sviluppo di ogni iniziativa imprenditoriale, e di ogni politica economica. Allo stesso tempo tutti stanno prendendo coscienza di come l’ambiente sia al tempo stesso fattore di competitività, una risorsa aggiuntiva e non solo un problema di costi. I vantaggi di questa impostazione per le aziende sono molteplici. Adottando una strategia impostata sulla protezione dell’ambiente e sul risparmio di energia e materie prime, esse possono trasferire direttamente nel loro conto economico i vantaggi e i risparmi dell’accresciuta competitività.
Una delle sfide del futuro per le imprese a livello internazionale e nazionale sarà dunque quella di saper trasformare le sfide climatiche e la sostenibilità ambientale in occasione di crescita e di recupero di competitività. E’ una sfida già intrapresa da molte imprese italiane: nonostante esse siano gravate da costi dell’energia maggiori rispetto ai principali concorrenti europei ed internazionali, hanno effettuato, negli ultimi anni, importanti investimenti per ridurre le proprie emissioni ed aumentare l’efficienza energetica.
Anche per effetto di questi investimenti, secondo uno Studio Enel-Mc Kinsey su dati della Commissione Europea, le emissioni pro capite dell’Italia sono inferiori rispetto alla media UE dell’11%, ed il consumo energetico per abitante è inferiore del 22% rispetto alla media europea.
Questi valori meno negativi di altri nostri concorrenti non devono tuttavia farci dimenticare i nostri problemi di fondo: il nostro Paese dispone di un sistema energetico estremamente fragile e in parte inadeguato a gestire la sfida della competizione sui mercati internazionali.
Come è noto, infatti, a fronte di previsioni di forte crescita dei consumi elettrici (+40 per cento nei prossimi 15 anni), l’Italia, si trova ad affrontare una situazione di estrema dipendenza e vulnerabilità, rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei. Dipendiamo infatti dall’estero per circa il 90% del nostro fabbisogno di energia primaria, con elevati costi di approvvigionamento di materie prime, a causa soprattutto di una scarsa diversificazione del mix delle fonti di produzione. La produzione di energia elettrica dipende infatti dalle fonti fossili per l’81%, contro il 53% dell’Europa. Il gas naturale, dal quale dipendiamo per il 52%, proviene prevalentemente da due soli paesi: Russia ed Algeria, caratterizzati da un elevato rischio di instabilità dal punto di vista geo-politico.
Energia e ambiente costituiscono la sfida del terzo millennio, sulle stesse si dovrà misurare la capacità delle elités dominanti di governare il sistema globale offrendo le risposte necessarie per impedire che il progresso, inteso come prospettiva di vita migliore per un sempre maggiore numero di esseri umani, non si arresti con ricadute catastrofiche non solo per le aree più sviluppate ma soprattutto per quelle che ancora si attardano nel sottosviluppo sia esso economico che civile.
Oggi, di fronte alla sempre maggiore scarsezza delle fonti energetiche tradizionali e al sempre più significativo degrado dell'ecosistema, urge innanzitutto un ripensamento dello stesso modello di sviluppo che il mondo occidentale ha imposto in questi ultimi due secoli, ponendo fine allo sfruttamento dissennato di risorse non rigenerabili e sostituendo lo sfruttamento alla coltivazione dell'ambiente fino a pervenire, laddove necessario, a quella che è stata definita “decrescita conviviale”.Puntare sulle fonti rinnovabili è dunque il passaggio obbligato per garantire non solo le risorse attualmente necessarie al sistema socio-economico ma, anche, per estendere le opportunità, che finora sono state offerte in modo esclusivo ed egoistico ai cosiddetti “nord del pianeta”, anche a quelle aree che dello sviluppo stesso non solo non hanno beneficiato ma che ne hanno pagato i costi più alti in termini di devastazioni degli eco-sistemi e di arretramento economico e sociale.
Ma puntare sulle fonti rinnovabili, opportunità per un rilancio di una economia che rifuggendo dall'inganno del virtuale punti sulla produzione di beni reali utili ad accrescere la ricchezza, può assumere un significato ambiguo fino al punto da generare una nuova spirale di degrado laddove non si individuino strumenti di governance specifici, in grado di superare le barriere statuali. Le nuove politiche energetiche e ambientali richiamano dunque nuovi strumenti di governo per l'adozione di un ecologismo pragmatico che non sia apocalittico né antisviluppista, sul quale fondare convivenze solide e relazioni stabili, ma una tale progettualità richiama necessariamente quei valori etici che, soprattutto in questi anni, la crescita dissennata figlia di un ingiustificato ipertrofismo della ragione, non ha permesso di tenerne adeguato conto.


Introduce Ettore Artioli
Libera Università della Politica
Gianfranco Rizzo
Università di Palermo
Caterina Di Chiara
Imprenditore

Discussant: componente del Comitato Tecnico Scientifico della LUP

Mercoledì 2 settembre 2009
Ore 16:00 –18:00 Incontro dibattito

Filaga 2.0 – Giovani protagonisti nella società civile.
Esperienze personali, motivazioni e programmi da realizzare.
[Spazio di discussione in collaborazione tra la LUP e Comitato Giovani Protagonisti]

Questa giornata nasce con l’intento di mettere in luce le diverse esperienze maturate nell’ ambito di alcuni settori economici e sociali che costituiscono le fondamenta della società civile. Confrontare idee, progetti e diffondere le best practices sperimentate a livello locale rappresenta il modo più efficiente e efficace per la costruzione di un progetto “Giovane” e innovativo.
ILcontributo di idee maturate sul territorio rappresenta un tesoro e sulla base di questa convinzione vogliamo creare un luogo di incontro e di analisi critica sul contesto economico sociale che ci circonda.
L’ obiettivo di questa giornata è proporre soluzioni locali ai problemi globali, navigando in diverse aree tematiche che spaziano dalla politica allo sport, dal mondo delle imprese al settore bancario. La condivisione di valori comuni alimenta quell’ entusiasmo di una generazione che ha voglia di essere protagonista di una società moderna ed efficiente.

Modera
Gianfranco Arone di Valentino
Ufficio di Presidenza Assemblea Regionale Siciliana

Interventi
Giorgio Cappello
Presidente del comitato regionale giovani imprenditori, Confindustria Sicilia

Massimo Costa
Presidente Regionale CONI
Salvatore Mangiafico
Assessore provinciale Bilancio Siracusa
Pierantonio Spedale
Responsabile Direzione Organizzazione Gruppo UNICREDIT Sicilia
Walter Mazzucco
Presidente associazione nazionale giovani medici
Francesco Saccone
Coordinatore regionale giovani MPA
Fabrizio Piraino
Ricercatore Diritto Privato Univ. Di Palermo
Fabrizio Fernandelli
Consigliere comunale Palermo, Italia dei Valori
Mercoledì 2 settembre 2009

ore 20:30 - Incontro-dibattito

Energia e ambiente: le sfide del terzo millennio per uno sviluppo etico e sostenibile

Modera:
Giacomo Greco
Direttore Generale Libera Università della Politica

Interventi:
Dino Dispenza
Università di Palermo
Franco Marini
Senatore PD
Mario Milone
Assessore Regionale al Territorio e Ambiente
Alessandro Musco
Università di Palermo
Giovanni Panepinto
Sindaco di Bivona
Franco Piro
Responsabile economico PD Sicilia
Saverio Romano
Deputato UDC
Gianni Silvestrini
Presidente di Exalto

Giovedì 3 settembre 2009

ore 9:00-12:30 - Lezioni Summer School

L’economia e la politica oltre la crisi: la ricostruzione della fiducia
Il mutamento d’epoca in cui noi oggi viviamo ci impone di ripensare criticamente il ruolo ed i compiti che l’economia e la politica devono assumere in un contesto determinato sia dalla velocità dell’incidenza degli eventi sia dalla espansione, altrettanto rapida, della internazionalizzazione della produzione, delle transazioni finanziarie, dei mercati dei beni e del lavoro e dei servizi tecnologico-informatici di supporto.
Tale impegno di pensiero costituisce un dovere professionale che trascende la conoscenza professionale degli studiosi e degli operatori di settore perché ci vincola a riflettere, assumendo un punto di vista generale, sulle dinamiche di dilatazione e di omologazione che tanto più universalizzano, fulmineamente, i processi economici quanto più restringono lo spazio dei mercati ad una mera semplificazione di villaggio globale, fino a fare implodere questa fittizia comunità a guisa di un effettivo contenitore di macro-contraddizioni.
Non è estranea alle ragioni della crisi, più che la società liquida, la liquidità della politica, luogo di fluttuazione sul quale si riversano le grandi ondate delle domande di massa (domande di sicurezza, di identità, di garanzie di cittadinanza, di benessere diffuso ecc.), su cui si liquefanno le grandi visioni di futuro, oscilla la forza delle decisioni pubbliche, traballa l’impianto del tradizionale stato nazionale e manca, infine, una terra d’approdo sulla quale impiantare in maniera solida efficaci ordinamenti democratici sovranazionali.
Per andare oltre la crisi, per tornare a far risplendere nelle due facce dell’ordine civile – quello economico e quello politico – la responsabilità dei decisori, la giustizia dei governanti, il consenso degli amministrati ed il controllo dei destinatari, va superata la paura, coltivata la speranza, costruita la fiducia. E’ necessario cioè inaugurare, dopo Hobbes, un nuovo processo di civilitas che non può che imperniarsi nei valori di filantropia che tengono stretti i nuclei sociali, e i loro interessi individuali e collettivi, dapprima nella unità organica di quella comunità di famiglie che fu la polis e via via negli ordinamenti istituzionali degli stati fino ad aspirare alla realizzazione della cosmopoli.
Superare la paura nell’economia: ovvero superare la paura di restare invischiati nelle conseguenze del mercatismo, di restare intrappolati nel meccanismo del trasferimento dei rischi, di essere prigionieri di una finanza globale che accresce il debito pubblico e quello dei privati, che eccita artificialmente i valori delle operazioni, che ‘droga’, in una parola, la sana economia.
Non si va oltre la crisi se non si collega l’aspettativa di prosperità economica e la salute pubblica della comunità politica alla operosa tessitura di una trama di fiducia, alla resistente rete di una reciproca credibilità.
La ricostruzione della fiducia si basa, infatti, sulla piattaforma della credibilità, sia della credibilità della responsabilità di ciascuno sia della credibilità della responsabilità del sistema economico e politico. Possedere ed avere credito non sono soltanto certificazioni di garanzia di credibilità ma anche un ottimo viatico per intraprese di successo e per azioni di governo.
Ed ancora: è urgente tornare a slanciare i ponti della fiducia economica e politica sui possenti e svettanti pilastri della giustizia sociale, della solidarietà comunitaria, della sussidiarietà non solo tra le formazioni sociali nazionali ma, soprattutto, tra le organizzazioni internazionali.
Pur tuttavia la fiducia va costruita, in economia e in politica, consolidando la reputazione degli attori e secondo una maniera altamente ragionata. La fiducia, infatti, rifugge dalle superficiali valutazioni e dalle improvvisate relazioni interpersonali.
Ricostruire la fiducia in economia vuol dire, appunto, reputazione e vigilanza, cioè possedere da un lato principi etici che orientano la condotta dell’agire economico, dall’altro un sistema integrato di vigilanza micro e macroprudenziale che, in caso di crisi, assicuri il coordinamento fra le autorità economiche, la loro l’adozione di misure correttive o di emergenza, e sedi di concertazione politica interstatali che ripartiscano nel sistema dei diversi livelli delle relazioni internazionali gli oneri che derivano dalla sovraeccitazione o dai collassi dei mercati globali finanziari, industriali, energetici, delle materie prime e di consumo.
La separazione dell’economia mondiale dalla legittimità dei poteri di indirizzo e di controllo della politica, provocata dall’autoreferenzialità dei processi di internazionalizzazione, induce a ricostruire la fiducia nella politica proprio in quanto si chiede – per parafrasare Rathenau – più democrazia in economia, cioè più incidenza della sovranità popolare nelle opzioni economiche strategiche di sviluppo mondiale.
Quando il processo decisionale internazionale saprà dare una prioritaria rilevanza ai progetti di sviluppo elaborati dal basso a partire dalla convergenza dalle aree territoriali del mondo e riuscirà, per la loro gestione, a contemplare accanto alle Agenzie tecniche anche le forme più espressamente rappresentative di autotutela dei popoli interessati, allora potremo intravedere più rispetto più rispetto per il demos, più fiducia per la polis, più efficacia per l’agire politico.

Introduce Manlio Corselli
Libera Università della Politica
Nerio Nesi
Presidente Conapa
Francesco Asso
Università di Palermo

Discussant: componente del Comitato Tecnico Scientifico della LUP

Giovedì 3 settembre 2009

Ore 16:00 –18:00 Incontro dibattito

Filaga 2.0 – Riflessioni, diagnosi e impegni delle nuove generazioni [Spazio di discussione in collaborazione tra la LUP e Fare Città]

L’Imprenditoria giovanile, esperienze presenti e passate tra idee e legalità
Sono migliaia, ogni anno, i giovani siciliani che si trovano costretti a lasciare la nostra isola per andare “cercare fortuna” al nord d’Italia. La scelta di “emigrare”, tuttavia, non è comune solamente dei giovani in cerca di lavoro ma anche di coloro i quali vogliono fare impresa.
Se entrambe le componenti di questo fenomeno scegliessero di rimanere in Sicilia si potrebbero creare realtà imprenditoriali di altissimo livello, considerata anche la grande capacità che i giovani siciliani, una volta calati in un ambiente favorevole, sanno da sempre dimostrare. Tuttavia, sia il “territorio” siciliano che le istituzioni, pubbliche o private, difficilmente fanno la loro parte, facendo venire meno proprio quel sostegno che permetterebbe di puntare dritti al futuro.
Fare impresa in Sicilia significa anche confrontarsi con le questioni della legalità. Per tanto tempo, ma ancora oggi, è stato il sistema mafioso a governare i processi economici che hanno impedito la strutturazione di un sistema economico capace di libera autonomia di crescita. Le complesse realtà sociali, molte volte costrette al compromesso con l’illegalità (pizzo, estorsioni, lavoro in nero ecc) hanno risentito notevolmente della situazione. Negli ultimi anni si registra una variazione di tendenza, sono molti gli imprenditori, singoli o riuniti in associazioni, ad aver preferito il sistema della legalità, sono molti i giovani che hanno deciso di investire il loro futuro in questa terra.
L’esperienza di chi ha saputo dire di no e di chi è riuscito, anche grazie alle nuove tecnologie, ad affermare la propria voglia di fare impresa deve servire da testimonianza e da stimolo.


Modera
Leonardo Canto
Consigliere di Fare Città

Interventi
Lorenzo Alessi
Ice-Cube
Giuseppe Conti
Presidente di ConfServizi Sicilia
Marcello Barbaro
Presidente CIDMA
Michelangelo Geraci
Confindustria Caltanissetta
Ugo Parodi Gusino
Responsabile VVTV (web2.0)
Elio Sanfilippo
Presidente Lega Coop Sicilia
Luigi Vallone
Capogruppo UDC Provincia Reg.le Palermo
Silvio Moncada
Vice-Capogruppo PD Provincia Reg.le Palermo

Giovedì 3 settembre 2009

Ore 18:15 –20:15 - Workshop
Lo sviluppo locale e la leadership orizzontale: una proposta metodologica ispirata all’esperienza di Adriano Olivetti.

Coordina
Erica Rizziato
CNR – Fondazione Adriano Olivetti



Giovedì 3 settembre 2009

ore 20:30 - Incontro-dibattito

L’economia e la politica oltre la crisi: la ricostruzione della fiducia

Modera:
Luigi del Mercato
La Repubblica

Interventi:
Gaetano Armao
Assessore Regionale alla Presidenza
Pietro Busetta
Università di Palermo
Robert Leonardi
Regione Siciliana - LSE
Beppe Lumia
Senanore PD
Nerio Nesi
Presidente Conapa
Alessandro Pagano
Deputato nazionale PDL
Antonio Piraino
Direttore Generale di Prestinuova
Giovanni Pistorio
Deputato Nazionale MPA
Maurizio Scaglione
Presidente Secolo XXI

Venerdì 4 settembre 2009

ore 9:00-12:30 - Lezioni Summer School

Il Mediterraneo del terzo millennio: dalla immigrazione clandestina alla integrazione economica nel rispetto delle culture e delle religioni
Il Mediterraneo, “continente liquido” secondo la felice definizione di Ferdinand Braudel, prima che luogo fisico è, e resta, luogo mentale, un luogo di socialità.
La vocazione allo scambio in quanto via d’acqua, ne ha forgiato una dimensione concettualmente più ampia rispetto al mero significato mercantile maturata attraverso l’incrocio di culture e, conseguentemente, della crescita dei saperi come frutto della virtuosa ossigenazione dei singoli contenuti originari. Non c’è, dunque, nello spazio mediterraneo cultura che possa considerarsi immune da positive contaminazioni tali da potersi orgogliosamente e superbamente proclamare autentica ed originale rispetto alle altre. Eppure, proprio il Mediterraneo, piuttosto che luogo di pace storicamente è stato, e continua ad essere, il luogo della contrapposizione, del conflitto che proprio le stesse culture alimentano od originano.
Mediterraneo come confine, tracciato delle differenze, nell’eterno dualismo fra Oriente ed Occidente, l’avere una parte di esso assunto come carattere identitario la trasformazione e l’altra, invece, l’immedesimazione, l’avere assolutizzato gli stessi caratteri senza tenere conto delle naturali mediazioni e conseguenti dissolvenze, piuttosto che sintesi ha generato drammatiche antitesi che, solo apparentemente e per brevi e fortunati (?) periodi sono stati sopiti.
Infatti, salvo che per alcune aree di crisi, tuttavia marginali, la conclusione del conflitto mondiale sembrava aver sancito il trionfo della materialità sulle istanze dello spirito e della rivoluzione dei saperi in cui il progresso tecnico, spesso autoreferenziale, era divenuto obiettivo e traguardo dei modelli di vita dell’intero bacino. In molte parti è invece sembrata manifestarsi un’epoca nuova nella quale “la spada si mutava in aratro”.
La caduta del muro di Berlino, ha tuttavia chiarito che il conflitto covava sotto le ceneri, che la pax occidentale era solo apparente. La riconfigurazione dei rapporti secondo schemi culturali ha infatti fatto riemergere, soprattutto nel Mediterraneo in quanto luogo privilegiato della storia, la radicalità delle culture, la pretesa purezza di portati identitari da difendere e chiudere nell’immobilismo di recinti asettici. Le tentazioni multiculturali o, come sostiene Bobbio, l’autoinvestitura della propria come “unica forma possibile di civiltà”, incubano i germi del conflitto.
Conflitti individuali e collettivi, messa in discussione di quanto sembrava indiscutibilmente acquisito, sono i segni evidenti della necessità di un ripensamento per la costruzione di nuovi orizzonti di senso.
Ecco, allora, che diviene insufficiente e, forse, controproducente la via di uno sviluppo fondato sui partenariati mediterranei così come tracciati a Barcellona.
Lo sviluppo, come crescita equilibrata e compatibile nel rispetto delle vocazioni territoriali, non può fare a meno di ragionare sulle culture, sulla promozione di spazi di dialogo alla cui base sta la rinuncia all’idea di modernità fondata, sono le parole di Raymond Aron, sulla ”ambizione prometeica di divenire padroni ed entrare in possesso della natura grazie alla scienza ed alla tecnica”.
Il Mediterraneo ha, dunque, bisogno di un nuovo e più corretto approccio che, al di là del globalismo livellatore, tenga conto delle differenze come risorse, che adotti nuovi statuti di mobilità, scelta necessaria di fronte al livello esodiale dei grandi processi migratori, che soprattutto favorisca l’incontro delle culture attraverso la comprensione, lo scambio per realizzare integrazione e soprattutto modelli di interculturalità, le cui suggestioni non debbono generare quello che Marc Augé, correttamente, definisce “razzismo alla rovescia”.

Introduce Pasquale Hamel
Libera Università della Politica
Vincenzo Fazio
Università di Palermo
Antonio La Spina
Università di Palermo
Alessandro Bertirotti
Università di Firenze

Discussant: componente del Comitato Tecnico Scientifico della LUP

Venerdì 4 settembre 2009

ore 17:30 – Santa Messa in memoria di P. Ennio Pintacuda
Chiesa di S. Giuseppe – Filaga

Celebranti: Padre Giuseppe Noto S.J.- don Cesare Rattobaldi



Ricordo laico: Enzo Mignosi
Corrispondente Corriere della Sera


ore 18,30 - 3° Memorial Padre Ennio Pintacuda

Il Mediterraneo del terzo millennio: dalla immigrazione clandestina alla integrazione economica nel rispetto delle culture e delle religioni

Introduce:
Alfredo Galasso
Università di Palermo, Presidente Onorario Libera Università della Politica

Modera:
Giovanni Pepi (da confermare)
Condirettore Giornale di Sicilia

Interventi:
Salvo Andò (da confermare)
Magnifico Rettore Università di Enna Kore.
Youssef Balla (da confermare)
Console del Regno del Marocco
Antonio Bevilacqua
Presidente Autorità Portuale di Palermo
Adelfio Elio Cardinale
Presidente CE.RI.S.DI.
Michele Cimino (da confermare)
Assessore Regionale all’Agricoltura
Salvatore Cuffaro
Senatore UDC
Sergio D’Antoni
Deputato Nazionale, Responsabile Mezzogiorno del PD
Ibrahim Magdud
Direttore Accademia Libica in Italia
Joseph Mifsud
Presidente EMUNI
Antonino Recca
Magnifico Rettore Università di Catania
Giuseppe Silvestri
Presidente Fondazione universitaria italo-libica
Francesco Tomasello
Magnifico Rettore Università di Messina

Sabato 5 settembre 2009

ore 9:00-12:30 - Lezioni Summer School

Il federalismo come occasione per ripensare la rappresentanza politica
Negli ultimi decenni la spinta al decentramento dei poteri di spesa e di tassazione non ha toccato solo il nostro paese, ma ha coinvolto numerosi altri paesi sia unitari e federali appartenenti alle aree più ricche del pianeta sia i paesi in via di sviluppo. In alcuni Stati, talvolta, la richiesta di più decentramento è diventata una domanda di separazione o secessione e questa istanza dentro i confini nazionali è stata portata avanti da alcuni gruppi politici o da alcune regioni più ricche. Contemporaneamente però, in questi decenni, accanto al fenomeno del decentramento abbiamo assistito al rafforzarsi del fenomeno della globalizzazione e della internazionalizzazione dei mercati e, sempre sulla scena internazionale, abbiamo visto che si sono rafforzate alcune istituzioni sovra-nazionali (ad esempio l’Unione Europea e il WTO). In sintesi in questi decenni ci sono stati più globalizzazione e più decentramento. Come spiegare questi due fenomeni apparentemente in contraddizione tra di loro? Alcuni studi economici hanno evidenziato dei nessi di causalità fra questi due processi spiegando che la crescente globalizzazione ha reso necessario il rafforzamento delle istituzioni sovra-nazionali, ma al contempo, la maggiore concorrenza sulla scena internazionale ha anche spinto gli Stati nazionali a decentrare di più alla ricerca di maggiore efficienza nell’organizzazione nell’amministrazione pubblica. Progressivamente i confini nazionali hanno assunto minore importanza per i cittadini e per le imprese sia perché alcuni beni pubblici tradizionalmente affidati al compito dello stato nazionale vengono ora svolti da entità sovra-nazionali sia perché il mercato internazionale (e non più quello nazionale) diventa l’ambito privilegiato di azione. In altri termini in questi decenni è successo che si è affievolito il senso di unità della comunità nazionale ed in alcuni Stati i cittadini delle aree più ricche sono meno disposti ad accettare i meccanismi di redistribuzione delle risorse verso i cittadini delle aree più povere. Segue che, man mano che il fenomeno della globalizzazione si fa sempre più forte, la questione distributiva delle risorse tra i cittadini di uno stesso paese diventa ancora più importante per la tenuta dell’unità nazionale. Nel caso dell’Europa, ad esempio, alcuni studi hanno riscontrato che queste tendenze centrifughe all’interno dei confini degli Stati nazionali sono aumentate via via che si sono rafforzati i poteri dell’Unione europea.
Per comprendere e governare meglio questi processi occorre innanzitutto chiedersi se il federalismo o decentramento può essere d’aiuto. Le analisi dimostrano che il federalismo rafforza la democrazia, ma affinché questo avvenga occorre un governo centrale forte che regoli bene i flussi redistributivi tra i governi locali e una società civile forte che sia in grado di valutare e controllare. Un altro vantaggio del federalismo è legato alla maggiore sperimentazione e cioè il decentramento crea un ambiente adatto per la sperimentazione di nuove politiche pubbliche a livello locale. Questa sperimentazione se conduce a risultati più efficienti potrà essere adottata anche da altri governi locali. Infine sviluppi molto recenti della teoria economica tendono a dimostrare che il decentramento può portare anche a più crescita economica. Ci sono anche svantaggi (o costi o inefficienze) associati al decentramento ed hanno a che fare principalmente con la presenza di economie di scala e di esternalità nella produzione di alcuni beni pubblici. In questi casi quindi si potrebbe avere una offerta sub-ottimale del bene pubblico locale. Il decentramento potrebbe anche comportare dei costi sia per la duplicazione di alcune strutture amministrative sia perché occorre rafforzare il meccanismo di coordinamento tra i livelli di governo. I fautori di un articolazione dei poteri di spesa e di tassazione più accentrata sono più preoccupati invece di mantenere condizioni di uguaglianza nell’offerta dei servizi pubblici e quindi danno un peso maggiore alla realizzazione di obiettivi di equità e cioè le politiche redistributive.

Introduce Francesco Cangialosi
Libera Università della Politica

Floriana Cerniglia
Università di Milano
Giuseppe Di Rosa
Consulente ARS – Commissione Permanente Unione Europea

Discussant: componente del Comitato Tecnico Scientifico della LUP
Sabato 5 settembre 2009

ore 20:30 - Incontro-dibattito

Il Sud nuovo centro geopolitico. Il federalismo come occasione?

Introduce:
Roberto Caggia
Vice Presidente Libera Università della Politica

Modera:
Virman Cusenza (da confermare)
Direttore de Il Mattino

Interventi:
Rita Borsellino
Deputato PD Parlamento Europeo
Lorenzo Cesa (da confermare)
Segretario Nazionale UDC
Raffaele Lombardo
Segretario Nazionale MPA
Giuseppe Lupo
Componente Segreteria Nazionale PD
Gianfranco Miccichè
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio