domenica 14 novembre 2010

Umberto Santino, due poesie a Fufo...

A Fufo

Con gli occhi aperti
a guardare la morte
forse per dirle
che almeno per poco
non sfiori il tuo volto
e consenta alle mani
di segnare sulle pareti
il tuo ultimo
saluto alla vita

Scrivevi
O si è felici
o si è complici
Fate la corte
alla gioia
e in un mondo
in cui anche la felicità
può essere
una forma di complicità
e la gioia
troppe volte
è lontana
come un fantasma
inafferrabile
sei stato fino alla fine
fedele a te stesso
innocente
spudorato
tenero
implacabile
lucido
incantato
provocatore
contestatore
fratello
di progetti
e di sogni
di Placido Rizzotto
e Peppino Impastato
anche quando nessuno
aveva più niente
da contestare
e niente da sognare
scarnificato
come un santo martire
orgoglioso
della tua diversità
come si può esserlo
in questa terra
tra Corleone
e Palermo

Hai scritto
C’è
Chi
Per dire
Grazie
Ri-crea
Il
Mondo
e a tuo modo
hai detto
grazie alla vita
e ri-creato
il mondo

Noi possiamo
soltanto
dirti
grazie
per i tuoi anni
vissuti con noi
come una continua
invenzione
un poema in progress
e parlare
al tuo silenzio
sapendo
com’è difficile
vivere
e quanto costa
morire
8 settembre 1995

***
Lettera a Fufo, a 10 anni dalla morte

Le tue parole e le nostre
giocano a rincorrersi
in un teatro-fantasma
che fa da scenario
alle nostre abortite speranze,
ombre di ombre
come nella caverna di Platone.

Siamo qui, in un tempo
usurpato da poteri a delinquere
e da opportunisti senza pudore
(il tardo mafioso impero
si innesta in fantasie
di new economy),
in una città che si è rassegnata
a venerare rovine
e coltivare rifiuti
(le luci cancellano
ragnatele di muri
e immagini oscene
violentano gli occhi,
la devozione falsifica la storia
di una peste che non è mai finita).

Non sei più con noi
e vorremo poterci parlare
ancora una volta
riprendere quel respiro
ininterrotto
che fu la tua ars poetica
e chiederti com’è finita
la tua corte alla gioia
più ostinata del contrasto
di Ciullo d’Alcamo.

Non siamo né felici né complici.
Né peccatori né innocenti.
Il nostro unico peccato
fu la rivoluzione del quotidiano
l’ansia scandalosa di vivere
in un mondo infettato di morte.

E anche se hai saputo
vivere la morte
come un Cristo in croce
che non crede nella resurrezione
ma si affida alla sua fragilità
di uomo
i tuoi occhi sono spenti
la tua bocca silenziosa.

Ci resta la lucidità
delle tue provocazioni
il fiato delle tue bestemmie
più dolci di una preghiera,
un dono prezioso
per mani che affondano le dita
in un paesaggio di ruderi
e scavano un volto
tra frantumi di menzogne.
10 settembre 2005

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