sabato 13 dicembre 2008

Leonardo Sciascia collezionista di ritratti

di Tano Gullo
I volti e le maschere degli amici di Sciascia
Ogni volto è un mistero difficilmente decifrabile; perché ogni uomo, per dirla con Mallarmé, «è ignoto a se stesso». Figuriamoci agli altri. «E - aggiunge Leonardo Sciascia - lo scrittore è, tra gli uomini, il più ignoto a se stesso». È questa la molla che ha spinto l´autore di Racalmuto a collezionare ritratti di scrittori, freneticamente cercati rovistando nelle bancarelle di anticaglie in tutta Europa. Portarli a casa per poi scrutare ogni segno alla ricerca di indizi rivelatori. guardi, malinconie, rughe, posture, oggetti visibili sullo sfondo, che dicessero qualcosa di più delle parole profuse nelle opere. Scrutati da Sciascia per rintracciare brandelli di volti sopra le maschere o schegge di maschere sopra i volti. Il vero e il falso. Ovvero, il vero-falso e il falso-vero, dando per scontato che nulla è come appare e tutto è ribaltabile come in una pochade, se si mette la mordacchia all´istinto e si toglie il freno alla ragione. Per individuare pirandellianamente quell´»uno» che si stagli tra i «centomila», e forse più, che ogni umano incarna; qualcuno dei tanti "doppi" che di volta in volta mettiamo in scena. Sciascia, ad esempio, era più romanziere, polemista, saggista, critico, detective, storico, collezionista, lettore? O era anche tante altre cose in uno specchio infinito di rimandi? Gironzolando per Parigi, Milano, Barcellona, Vienna, ha messo in saccoccia 210 ritratti (acqueforti, xilografie, puntasecca, disegni, tempere, acquerelli, oli) che ha poi donato alla Fondazione che porta il suo nome a Racalmuto. Per ricordare il diciottesimo anniversario della scomparsa di Sciascia è stato stampato dall´editore milanese Franco Sciardelli il catalogo della pinacoteca d´autore. Il volume viene presentato sabato alle 16,30 nella sede della Fondazione (ex centrale elettrica di viale della Vittoria 3) dove i ritratti sono esposti in mostra permanente. I pittori sono di primo piano: Auguste Rodin, Marc Chagall Piero Guccione, Bruno Caruso, Renato Guttuso, Fabrizio Clerici, Carlo Mattioli, Mino Maccari, Francesco Messina, Camille Pissarro, Raffaele Piraino, Andrea Volo e altri.
Nella collezione ci sono gli scrittori che lui amava (su tutti Voltaire raffigurato 10 volte; seguito da Verlaine, 5, Stendhal e Pirandello, 4) e quelli che non amava (due Proust, un Vittorini). In una sfilza di siciliani (Borgese, Brancati, Bufalino, Tomasi di Lampedusa, Qusimodo, Bonaviri, Meli, Joppolo, Rapisardi, Consolo, Scandurra), manca significativamente Verga, che lui non predilige, come tutti gli autori di sentimento. Preferisce decisamente quelli che affilano le loro parole nella coramella della logica, del ragionamento. Amava gli "indagatori" a dispetto dei "descrittori". Ha altra matrice l´avversione per Vittorini, che però rispetta come traduttore e come organizzatore culturale. Lo considera poco siciliano, un´appendice della cultura americana, contaminato com´è da quella letteratura d´oltreoceano che ha contribuito - e non poco - a diffondere nell´Italia ingrigita dal plumbeo fascismo.«Preferiva correre dietro ai suoi autori prediletti - dice Stefano Vilardo, amico di una vita - E ogni volta che ne scovava qualcuno era felice di farlo ammirare ai suoi amici. In quelle occasioni si leggeva un lampo di gioia nei suoi occhi. Era contento di aggiungere un altro tassello, gli piaceva soffermarsi su ogni particolare per indagare la psicologia del soggetto». «Aveva un affetto smisurato per gli scrittori - aggiunge Vilardo - anche per quelli che non amava particolarmente. In una vita di frequentazioni ho visto piangere Leonardo due sole volte. Quando lesse sul giornale che dovevano operare Italo Calvino dopo l´ictus e quando apprese della morte di Pasolini. Di fronte a me non aveva pudori, le lacrime gli solcavano le gote come a un bambino. E dire che non lo avevo visto piangere nemmeno per la morte suicida del fratello Giuseppe. Per il primo disse che soffriva nel pensare i chirurghi rovistare coi bisturi in quel cervello grandissimo.
E per il secondo, che lo addolorava ricordare il dispiacere che gli aveva procurato nel manifestare una certa riluttanza per la sua omosessualità. "Pier Paolo percepiva questa mia idiosincrasia e se ne adontava", mi disse. Provava rimorso per il fatto che aveva schermato la grandezza dell´intellettuale con le sue fragilità umane. Cosa curiosa, in entrambe le occasioni eravamo un automobile. E credo che questo non sia stato casuale, perché difficilmente avrebbe dato sfogo ai suoi sentimenti in un luogo dove altri avrebbero potuto vederlo piangere».È tenero il ricordo della figlia Anna Maria: «Ogni volta che papà tornava da un viaggio era una festa. Come in un rito che si ripeteva apriva le valigie e sciorinava tutto quello che aveva comprato: stampe, quadri, libri, manoscritti. Ma anche cioccolatini, oggetti particolari, bellissimi gioielli per noi familiari e poi tanti oggetti che raccoglieva per il mondo: sigilli, cimeli napoleonici, tabacchiere, bastoni. Ogni volta spendeva fino all´ultima lira dei soldi che si era portato dietro. È vissuto seguendo le sue passioni. E questo mi è di grande conforto. Però dava alle cose l´importanza che hanno, consapevole come era che la vita finisce nel gorgo della morte e che tutto è in affitto.Quando era malato, a mia madre che spolverava gli oggetti, disse "ognuna di queste cose ci sopravviverà"». Nel libro ci sono le immagini dei suoi prediletti: Voltaire, l´illuminismo, la ragione, il fautore di uno Stato dove «si ubbidisca soltanto alle leggi»; Manzoni, la civiltà giuridica e l´idea di letteratura «riparatrice delle manipolazioni della storia»; Stendhal, la fascinazione della scrittura «che rimescola occultamente la realtà per gettarla di colpo sulla pagina con l´emozione dell´azzardo»; Brancati, la commedia intrisa di tragedia, e viceversa, marchio distintivo della Sicilia (ma anche «quel sognare e parlare della donna con tale intensità ed assiduità da non reggere poi alla sua presenza fisica»); Savino, la leggerezza della profondità, «l´intelligenza del sorriso». E infine Pirandello, lo scandaglio negli abissi dell´interiorità, l´impareggiabile autore del "Fu Mattia Pascal", alter ego in cui si specchia Sciascia.(«Il mio rapporto con Pirandello, scrive Sciascia, ha una qualche somiglianza col rapporto col padre: che si sconta dapprima sentendo come ingiusta e ossessiva autorità e repressione, poi sollevandoci alla ribellione e al rifiuto; e infine liberamente e tranquillamente vagliando e accettandolo, più nel riscontro delle somiglianze che in quello tipicamente adolescenziale delle diversità»).E i tanti altri protesi a costruire il pensiero, la rappresentazione di esso, che poi diventa altro pensiero in una successione infinita di cerchi concentrici. Il mondo nella visione sciasciana è palcoscenico di parole e di immagini, popolato da autori e artisti vari in un tempo senza tempo. Riuniti negli occhi e nelle teste dei lettori tutti insieme appassionatamente. Ognuno con la sua briciola di verità, di inganno, di illusione e di speranza. Briciole che non ci svelano il senso della vita, ma che ci aiutano ad attraversarla alla meno peggio.Nel catalogo ci sono interventi di Aldo Scimè, presidente della Fondazione («La raccolta colpisce e affascina i visitatori, meravigliati di trovare in una piccola città della profonda Sicilia un così straordinario museo»); Antonio Di Grado («Attraverso la raccolta Sciascia costituisce un "sistema degli autori" coerente e significante dove nulla è casuale: il capriccio della predilizione e dell´idiosincrasia vi acquista il valore di una scelta funzionale, necessitata»); Luisa Adorno («L´incisione su metallo, quella vera, che tra luce, profondità, rilievi dal solco gioco dei bianchi e neri, proprio per l´attenzione, l´immaginazione che richiede il goderla, era forse più vicina allo spirito di Sciascia della pittura stessa. "La vedeva nitida in ogni particolare - dice il Vice ne "Il cavaliere e la morte" - in ogni segno, quasi il suo sguardo acquistasse un che di sottile e puntuto e il disegno rinascesse con la stessa precisione e meticolosità con cui, nell´anno 1513, Albrecth Durer lo aveva inciso»); Ferdinando Scianna («Ricordo le indimenticabili scorribande parigine con Leonardo nei luoghi della città, antiquari, mercati di stampe, bancarelle, che per lui erano una sorta di grande libro di pietra dove ritrovava gli innumerevoli amici scrittori del presente e del passato che in quelle strade, tra quei monumenti, in quei palazzi, giardini e caffè avevano vissuto e ne avevano fatto teatro delle loro storie»).E per ultimo, a sorpresa, una condivisibile riflessione di Matteo Collura: «Sciascia non era un collezionista. Non credo che gli importasse molto del valore di questi oggetti, dal momento che appariva felice di privarsene nel donarli a coloro i quali reputava più adatti a possederli. Un simile comportamento è l´opposto del collezionismo. Infatti, nello stesso momento che acquistava i ritratti sapeva che erano destinati a Racalmuto. Così è stato e del suo paese natio oggi ne sono vanto»
(La Repubblica-Palermo, 13 dicembre 2008)

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