lunedì 1 dicembre 2008

Angelo e Francesco Paolo Provenzano: "La nostra vita in cattività con il papà boss"

Parlano per la prima volta i figli di Provenzano
di FRANCESCO LA LICATA
INVIATO A PALERMO
C’è sempre una prima volta. Per tutti, anche per i figli del Padrino. E così ce li ritroviamo sul divano dello studio dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, i due rampolli di don Binnu Provenzano. Angelo e Francesco Paolo accettano il colloquio, dopo anni di ostinato rifiuto ai giornalisti, con la sola eccezione di una breve comparsa in un documentario della Bbc proibito al mercato italiano. Angelo ha 33 anni, è iscritto a scienza della comunicazione ma non ha troppo tempo da dedicare allo studio, ora che deve fare il capofamiglia. Francesco ne ha 26 di anni, è laureato in Lettere e faceva il lettore in un liceo della Germania che gli ha rescisso il contratto quando si è saputo di chi è figlio. Sono diversi, i fratelli: il grande è la fotocopia del padre, compresa una certa attitudine nel risultare accattivante. Francesco somiglia più alla madre e, almeno da come si martirizza coi denti i polpastrelli delle mani, tradisce l’età più verde e una emotività più problematica.
Attenzione morbosa
È Angelo a condurre il colloquio, lui è stato determinante nella scelta di uscire allo scoperto e accettare il confronto con la realtà che li circonda. Comprensibilmente sceglie la strategia dell’attacco, come accade a chi sa che dovrà molto difendersi. «Io penso che con noi si è passato il limite. Capisco la necessità dell’informazione, il diritto di cronaca e tutto quello che sappiamo, ma non posso giustificare tutta l’attenzione morbosa scatenatasi nei nostri confronti. Passi per quando mio padre era latitante e ci controllavano notte e giorno e i giornalisti non ci mollavano un minuto e ci prendevano le impronte a noi bambini. Ma ora che mio padre è stato arrestato crediamo di poter rivendicare il diritto a vivere come ogni altro cittadino». E invece? «Invece mi trovo, ci troviamo, al centro di un gossip continuo. Si continuano a pubblicare lettere intime di mio padre, lettere mie e di mia madre che nulla hanno a che fare con le indagini sulla mafia e, dunque, col diritto di cronaca. Se infrango la legge è giusto che mi si dedichi attenzione, qui invece la legge viene infranta da altri visto che i documenti pubblicati sono atti riservati, addirittura al di fuori dei processi. Da dove escono? E perchè si tollera la pubblicazione?».
Sotto i riflettori
Proviamo a introdurre il concetto di personaggio pubblico? «Ma noi, noi figli di Provenzano veniamo trattati come i protagonisti di un gossip infinito, senza essere né Vip né persone che hanno scelto di stare sotto i riflettori. Non ho battuto nessun record, non faccio cinema né teatro, non ho fatto nessuna scoperta eclatante eppure mi trovo al centro dell’attenzione, personaggio pubblico senza alcun merito e senza possibilità di scelta». E’ accorata, la protesta e se cerchi di spiegare che in Italia sono caduti governi per il gossip, lui serafico risponde: «E’ la controprova che il sistema funziona male». Replichiamo che forse tanta è l’attenzione perchè enorme è stato il danno provocato dall’organizzazione che si vuole diretta dal padre. «Capisco - dice Angelo - e per queste problematiche mio padre si trova in carcere. Ma noi? Fino a quando ci chiederanno di pagare il conto anche a noi?». Ma siete stati in latitanza con lui, voi e vostra madre. Angelo si irrigidisce: «Eravamo piccoli. Di quel periodo non voglio parlare, non perché abbia qualcosa da nascondere. Ero piccolo e non ho fatto io certe scelte. Posso rispondere dai sedici anni in poi, dal 5 aprile 1992, quando siamo rientrati a Corleone, nella società, e mi sono dovuto confrontare coi miei simili. Quella prima era stata una latitanza forzata, sono nato e cresciuto in cattività. Non esiste il reato di recidività familiare». Cosa pensa di quelli che chiedono ai figli dei boss di rinnegare il proprio padre? «Ma come si fa soltanto a pensare una cosa del genere? Bernardo Provenzano è mio padre, e allora? Basta questo per essere considerato un cittadino di serie B?». Ha un’idea della mafia? «Mi sento in crisi di identità nei confronti di uno Stato che presenta mio padre come la causa di tutti i mali, un cancro da estirpare per salvare il mondo. Poi vedo che lo arrestano ma tutto continua praticamente come prima. A quelli che indicano mio padre come il “Padrino” di Cosa nostra ricordo che ci sono tanti padrini, tolto uno ne arriva un altro e un altro ancora e allora penso che forse Provenzano era solo un coperchio che nascondeva altro».
La vita a Corleone
Come vivete a Corleone? «Non so adesso, ma siamo stati in assoluto le persone più controllate del mondo. Abbiamo vissuto come concorrenti del Grande Fratello, spiati in continuazione. Se vogliamo sdrammatizzare, diciamo che siamo stati i protagonisti del più grande reality su Cosa nostra. Cosa chiedo allo Stato? Un po’ di rispetto per mia madre, per me e per mio fratello, dopo che in passato sono venuti persino a chiederci di tradirlo, “vi faremo ricchi”, dicevano. Alla gente non chiedo nulla, a certa antimafia di lasciarci in pace». E subito gli fa eco Francesco: «Ho vinto una borsa di studio per insegnare in Germania, me l’hanno tolta perché qualcuno ha detto che non potevo rappresentare l’Italia all’estero. Come se fossi stato l’ambasciatore». E le fiction su suo padre? «Non ho avuto la forza di seguirle, me le raccontano. Comunque riguardano mio padre e non invadono la nostra sfera personale, anche se le sue storie si riversano su di noi. Ogni attività che mi accingo a fare, infatti, viene osteggiata perché “frutto del riciclaggio dei beni illecitamente conseguiti”. Mi chiedo quando potrò avere una mia vita autonoma. Adesso vendo vino e mio fratello lavora in una società di import-export. Così campiamo, senza i miliardi di cui si favoleggia».
Morti e lupare
Ma insomma, questa benedetta mafia? «Sono alla ricerca di una risposta. Certo non può essere solo una storia di morti e lupare: per il codice è un’organizzazione a delinquere, poi però c’è la mafiosità, e dentro c’è di tutto, un magma indefinito». Perché sono morti Falcone e Borsellino? Angelo si ferma a pensare, poi: «Ero piccolo, ha vissuto quei momenti di riflesso. Se ci penso ora dico che quei giudici forse sono stati l’agnello sacrificale immolati sull’altare della Ragion di Stato». Ci andate a votare? «No e non parliamo neppure di religione perchè mezza parola potrebbe essere strumentalizzata e fraintesa». Provenzano è stato indicato anche come l’uomo che ha trattato con lo Stato, che ha consegnato Riina. Sorride, Angelo: «Mio padre è in carcere e al 41 bis, non mi sembra un posto dove stanno i mediatori».
I figli di Riina
Ricorda qualche momento di felicità? «La felicità è un’utopia, quell’intervallo di tempo in cui non si è infelici». Starà sempre a Corleone? «Se si verificheranno certe aspettative, potrei anche andarmene». Spera nella liberazione di suo padre? «E chi lo sa?». Opinione diffusa è che i figli di Provenzano siano altra cosa rispetto, per esempio, ai figli di Riina. «Non amo fare paragoni, sono giochi che lascio a voi giornalisti. Dico solo che col figlio piccolo di Riina andavamo a scuola insieme, a Corleone». E i pentiti? «Come Angelo Provenzano a questa domanda non rispondo perché sarei frainteso. Come cittadino dico che sono la sconfitta dello Stato».
La Stampa, 1.12.2008
FOTO. Angelo Provenzano

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