ATTILIO BOLZONI
Ciancimino Jr svela ai pm i segreti dell´ex sindaco di Palermo. La verità sui mesi tra l´attentato a Capaci e quello in via dei Georgofili, con le richieste di Riina. "Incontrò pure Provenzano". L´ipotesi degli investigatori: Borsellino ucciso perché scoprì la trattativa tra Stato e cosche, mediata dal primo cittadino
PALERMO - È un testimone che ha un nome molto pesante. Da paura. Si chiama Ciancimino. Non è solo un omonimo del potente don Vito e nemmeno un lontano parente: è suo figlio. Parla dei segreti che il padre si è portato nella tomba. Parla di Totò Riina e Bernardo Provenzano, di patti con lo Stato e stragi. La sua verità è dentro sette interrogatori che sono stati secretati. E spediti ai magistrati di Caltanissetta che indagano sull´uccisione del procuratore Borsellino.L´ultimo mistero siciliano si nasconde nei ricordi del più piccolo dei cinque figli di quello che fu il sindaco mafioso di Palermo, lo scapestrato e spericolato Massimo dalla dolce vita, lussi e jet set, barche, Ferrari, ville, feste e tanti «piccioli». È questo quarantacinquenne che fino a qualche tempo fa sembrava ancora il ragazzino viziato e prediletto da papà che sta rivelando le trame della «stagione dei massacri», le bombe di Capaci e di via D´Amelio del 1992, quelle altre che portarono morte nel 1993 a Firenze e a Roma e a Milano. Massimo Ciancimino ha cominciato a riempire verbali nel giugno 2008 - ascoltato dai sostituti procuratori palermitani Antonio Ingroia e Nino Di Matteo - e da allora non si è più fermato. Tecnicamente è un teste. Nella lista accanto a lui ci sono però altri due uomini: Giovanni Brusca e Antonino Giuffrè. Due pentiti. Tutti e tre descrivono cosa accadde - secondo loro - nei mesi fra l´uccisione di Giovanni Falcone e i morti dei Georgofili. Raccontano di trattative fra mafiosi e ufficiali dei carabinieri. Il giovane Ciancimino smonta le ricostruzioni fatte in più processi dal generale Mario Mori. Sui tempi di quelle trattative (retrodatandole a prima della strage di via D´Amelio) che il generale, quindici anni fa vicecomandante dei Ros, avrebbe avuto con suo padre. Incontri per catturare latitanti. Incontri per negoziare la fine della guerra di Cosa Nostra contro lo Stato italiano. Incontri per trovare un "accordo" per la salvezza dei familiari dei boss. Ciancimino junior svela anche di aver saputo direttamente da don Vito dell´esistenza di richieste scritte avanzate dai padrini e inoltrate - tramite il generale Mori, che però ha sempre negato - a misteriosi destinatari. Fogli firmati personalmente da Totò Riina. Gli interrogatori di Massimo Ciancimino hanno coinvolto nuovi personaggi la cui identità è ancora top secret, nomi che sono già stati iscritti o stanno per essere iscritti nel registro degli indagati della procura di Palermo. Tutta l´inchiesta per il momento si sta concentrando «su un distinto signore con una busta in mano» che, una ventina di giorni prima della strage Borsellino, è entrato nella villa dei Ciancimino sotto Montepellegrino. «Mio padre me ne ha parlato tanto?», dice Massimo. Era quello che ha portato il famigerato "papello" da far arrivare allo Stato. Fra le dieci e le dodici richieste che i boss elencavano offrendo in cambio una sola cosa: fermare le bombe in Sicilia e in Italia. «Mio padre ha incontrato tante volte anche Bernardo Provenzano a Roma», dice ancora Massimo ricordando che il padrino corleonese andava in giro presentandosi come "l´ingegnere Lo Verde". Sullo sfondo di queste manovre fra Stato e mafia, la morte di Paolo Borsellino. L´ipotesi investigativa: il procuratore avrebbe scoperto la trattativa e sarebbe stato ucciso perché, qualcuno, lo considerava un ostacolo al patto. Quasi tutte le "dichiarazioni" del testimone Ciancimino sono finite da Palermo a Caltanissetta, dove s´indaga sulle stragi. Quanto sia credibile o sincero il figlio di don Vito è quello che vogliono scoprire i pubblici ministeri. I suoi interrogatori andranno avanti ancora per qualche settimana. Ma nel segreto e fuori dalla Sicilia. Massimo Ciancimino da un paio di mesi ha cambiato aria, non abita più a Palermo. Troppe pressioni. E tante minacce. Dopo la condanna in primo grado a 5 anni e 8 mesi per riciclaggio (è accusato di avere nascosto il tesoro di don Vito), per lui è cominciata una vita segnata da avvertimenti. Prima i proiettili arrivati nella sua bella casa di via Torrearsa. Poi un pedinamento. Proprio il giorno in cui iniziava la sua "collaborazione" con la procura è stato agganciato da un motociclista, all´aeroporto di Punta Raisi. Nessuno doveva sapere che stava per atterrare. Eppure qualcuno l´ha seguito. Massimo Ciancimino è riuscito a prendere il numero di targa della moto, l´avevano rubata la sera prima. Chi aveva interesse a tenerlo d´occhio prima del suo interrogatorio? Mafiosi? Qualcun altro? L´ultimo "segnale" appena una settimana fa, il 12 dicembre. Era a casa, a Palermo. Alle 6,30 del mattino - due ore prima della sua testimonianza in aula contro i complici che riciclavano i soldi di suo padre - qualcuno ha bussato alla porta. «Polizia», hanno urlato. Nel videocitofono Massimo ha intravisto due uomini con il viso nascosto da un cappellino, poi ha trovato dietro la porta un pacco con dentro una bombola di gas propano e una siringa piena di benzina. Dalla procura è partita una richiesta alla prefettura per dargli una scorta. Protezione negata. Massimo Ciancimino per una parte della procura di Palermo è un testimone chiave e per un´altra parte di procura è «socialmente pericoloso». È comunque uno che sta parlando e che sta facendo tremare in tanti. Alcuni passi dei suoi sette interrogatori sono stati depositati anche al processo contro Mario Mori che si sta celebrando in queste settimane a Palermo, il generale è alla sbarra per favoreggiamento per non avere catturato il 31 ottobre del 1995 Bernardo Provenzano in un casolare di Mezzojuso. Lo accusa un altro ufficiale dei carabinieri, il colonnello Michele Riccio, quello che anni fa era stato coinvolto in un traffico di stupefacenti e false operazioni di polizia giudiziaria. Un inghippo. Il colonnello era in contatto con il mafioso Giuseppe Ilardo - in codice chiamato "Oriente" - che è stato ucciso poco prima di diventare ufficialmente un pentito. L´hanno "venduto". Nell´agenda del colonnello Riccio sono stati ritrovati appunti. Uno è del 20 maggio 1996: «Oriente, prima di essere interrogato, ha detto a Mori che molti attentati addebitati a Cosa Nostra non erano stati commessi da loro (dai mafiosi, ndr) ma dallo Stato». Un´altra testimonianza da brividi. Un´altra delle "voci" sulla matrice non solo mafiosa - soprattutto per l´autobomba di via Mariano D´Amelio - delle stragi del 1992. È la verità di "Oriente". Come l´altra è la verità di Ciancimino junior, il preferito di don Vito.
La Repubblica, 21 dicembre 2008
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1 commento:
il colonnello michele riccio non e solo stato coinvolto in un processo x droga e operazioni di polizia false..ma bensi e stato condannato in primo grado dalla dda di genova a 10 anni di galera x droga e altro..e tutt ora ce anche appello che si sta svolgendo. anche li nessun giornalista a "genova "a informare i cittadini di cosa facevano certi carabinieri del ros di genova ..
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