martedì 25 novembre 2008

Storia siciliana. Settanta anni di lotte con le bandiere del Partito Comunista Italiano

TANO GULLO
FEUDO E BOSS, UNA LOTTA LUNGA SETTANT´ANNI
Si presenta il volume di Elio Sanfilippo che ripercorre battaglie, scontri, successi ed errori strategici del partito nell´Isola: da Portella alla Primavera di Orlando. Una sfilata di personaggi che comprende Girolamo Li Causi, Pio La Torre Pancrazio De Pasquale e Danilo Dolci. Un percorso sempre accidentato fatto di povertà sfruttamento e ingiustizie dentro una cornice di vittorie e sconfitte nelle urne.
Eroismi e viltà, slanci e tradimenti, generosità e grettezze, sfide a viso aperto e subdole faide, ombrosi untori e combattenti solari. Ma soprattutto tante belle passioni. Idee che si incuneano nella mente. Quelle che magari rosicchiano il cervello ma che ci fanno sognare (e talora illudere) che è possibile allargare il mondo; aiutare gli uomini a liberarsi dalle zavorre per volare oltre le barriere; fortificare la natura contro i barbari della globalizzazione; inseguire l´eterno mito di quell´eguaglianza tra gli umani in cima ai pensieri di Marx e Gandhi. Sullo sfondo un territorio, la Sicilia, in cui il confine del bene si confonde con quello del male; dove, come recita un proverbio, «le vie dell´inferno sono lastricate di buone intenzioni». Ma senza «buone intenzioni» resteremmo smarriti nella giungla dominata dai più forti. Si legge come un romanzo "Quando eravamo comunisti" di Elio Sanfilippo. Il libro - pagine di storia dove si rincorrono gli avvenimenti che hanno condizionato le vite di milioni di uomini - sarà presentato oggi alle 17 nella Sala Basile di Villa Igiea da Emanuele Macaluso, che ne ha scritto la prefazione, e da Luigi Colajanni. Uno degli attori delle vicende narrate, Sanfilippo appunto, ritorna sui suoi passi e su quelli dei protagonisti che lo hanno preceduto sulla scena politica per ripercorrerne il cammino e fermarsi a pensare su ciò che è accaduto e su quant´altro sarebbe potuto accadere. Su quello che è rimasto e su quello che si è dissolto nel turbinio delle miserie umane dell´ultimo mezzo secolo. Curiosamente quando parla della sua attività, come segretario della federazione del Pci, come consigliere comunale e come esponente di primo piano dell´universo cooperativistico (e accade almeno una trentina di volte) Sanfilippo prende le distanze, citando se stesso come se si trattasse di altra persona. La storia come si sa è uno specchio che riflette il volto di chi la scrive. E non c´è qualsivoglia intenzione di imparzialità che tenga. Detto che l´autore di "Quando eravamo comunisti", Elio Sanfilippo, è dichiaratamente esponente dei "miglioristi", corrente riformista del Pci prima e delle sue tante mutazioni dopo (che storicamente ha avuto come riferimenti Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano oggi presidente della Repubblica), va aggiunto che il suo sforzo di fare parlare i fatti più che le opinioni è davvero titanico. La sua onestà intellettuale tiene a bada l´istinto partigiano che, si intuisce, qui e lì sovente vorrebbe esplodere.Le vicende dei comunisti sono intrecciate con quelle di tutti i personaggi che hanno animato la storia della Sicilia e dell´Italia dal dopoguerra in poi. Ma anche con i momenti topici che hanno scombussolato la geografia politica del mondo: missili a Cuba, rivelazione dei crimini di Stalin, crollo del muro di Berlino e quant´altro. Il libro (Edizioni di passaggio, 472 pagine, 25 euro) tra l´altro colma un vuoto di documentazione visto che è la prima opera che racconta cronologicamente e dettagliatamente gli ultimi settant´anni della Sicilia. Come sarebbe diversa la nostra Isola senza il cuore dei tanti comunisti che hanno profuso ogni energia per contrastare i signori dei feudi, i boss delle cosche, gli imprenditori senza scrupoli allergici a ogni regola, i politici e i burocrati dei tanti palazzi infetti, i predoni del cemento, i parassiti, intercettatori di ogni risorsa destinata da Roma o da Bruxelles allo sviluppo. Senza il sangue versato da decine di sindacalisti e militanti che armati delle loro idee non hanno avuto paura di contrastare la ferocia dell´intreccio mafioso-politico-affaristico. Con l´assillante tentativo, spesso frustrato, di trovare ascolto in quella borghesia strana che ha espresso Palermo. Nel bene e nel male, tra errori strategici e qualche debolezza, è grazie ai comunisti che la Sicilia non è stata soggiogata da quel famelico contropotere che continua a impastoiarla, restando ancorata a una speranza di civiltà.Il libro è una sfilata di titani, marxisti e non, del Novecento: da Stalin a Churchill, che definiva la Sicilia il «ventre molle» della fortezza d´Europa, da Gorbaciov a Kennedy, da Togliatti a Giovanni XXIII, da Berlinguer a Mitterrand. E tanti primattori isolani: Girolamo Li Causi, Pio La Torre, Pancrazio De Pasquale, Giuseppe Di Vittorio, Danilo Dolci, Achille Occhetto, Leoluca Orlando, il tris di "Giuseppi" democristiano - Alessi, La Loggia, D´Angelo - Leonardo Sciascia, Emanuele Macaluso, Mimì La Cavera, Silvio Milazzo. Questi ultimi tre protagonisti di una stagione di illusioni - il "milazzismo" appunto - volta ad affrancare l´economia dell´Isola dalle grinfie dei monopoli del Nord. Una pia intenzione naufragata anche per l´incapacità del personale politico del tempo a gestire la complessità di un cambiamento zavorrato dalle abissali diversità dei partiti coinvolti. Negli anni precedenti, sotto la guida di Mommo Li Causi, il partito aveva intessuto la sua rete per radicarsi nel territorio, cominciando così quel lungo cammino della speranza. Su un percorso sempre accidentato: povertà, sfruttamento, ingiustizie, arroganza, lupare, trame occulte. Dentro la cornice di vittorie e sconfitte nelle urne, di guerre di mafia, di grandiosi progetti economici e di successivi arretramenti, altrettanto grandiosi, di legislazioni progressiste e di gestioni partigiane e affaristiche di quelle stesse leggi, di farneticazioni separatiste e di fragili collegamenti internazionali, di speranze autonomistiche svuotate del loro potenziale dai soliti noti, un´élite addomesticatrice di storia, votata a prendere tutto per se, lasciando il popolo a bocca asciutta. E ancora: il fallimento dell´illusione industriale, il sacco edilizio nelle città e in tutto il periplo costiero. Tanti momenti negativi inframmezzati da pagine esaltanti scaturite dal cilindro magico di quel laboratorio politico che è stato per tanti anni l´Isola: qui, grazie alla lungimiranza dei leader comunisti, sono nati il primo centrosinistra, la commissione antimafia, le larghe intese, il coinvolgimento degli intellettuali nell´agone della politica), anche se qualche volta i risultati sono stati deludenti (e ci vengono in mente le candidature di Sciascia e Guttuso al Comune dei Palermo). Il Pci siciliano è stato sempre sull´altalena di spinte "movimentiste" - inevitabili in quel travagliato dopoguerra - e di posizionamenti riformisti. Gli stessi uomini (e pensiamo a Li Causi, a La Torre, ma anche a Occhetto) hanno di volta in volta incarnato entrambe le strategie, barcamenandosi nei vari scenari che il quadro complessivo proponeva. Poi le due visioni "ideologiche" hanno preso strade diverse. Una china perigliosa in cui è franato quel cemento ideale che faceva da collante tra uomini dalle diverse sensibilità. Dagli anni Ottanta in poi il racconto di Sanfilippo diventa impietoso, mettendo a nudo le faide che hanno coinvolto le due correnti che si sono delineate dentro il Pci, inquinando le successive trasformazioni. La sfida dentro il partito da confronto tra idee contrapposte è diventata guerra tra uomini. Effluvi di veleni che hanno disorientato militanti, simpatizzanti e cittadini non schierati, consegnando ai padroni di sempre armi acuminate con cui colpire il fronte progressista. Ricordiamo le insinuazioni farneticanti che hanno portato a ipotizzare una pista interna per l´assassinio di La Torre; al linciaggio a cui sono stati sottoposti i "miglioristi" (in quanto naturali interlocutori delle cooperative rosse, che sono calate in Sicilia a incettare lavori pubblici senza i necessari anticorpi che li avrebbero messi al riparo dai contagi con una realtà imprenditoriale fortemente compromessa), accusati di pericolose connivenze; al cannibalismo perpetrato da entrambe le correnti sul giornale "L´Ora", diventato terreno di scontro; alla leggerezza di alcuni dirigenti Pci come Michelangelo Russo - uomo probo - che si è spinto imprudentemente a sostenere che «non si poteva fare l´esame del sangue agli imprenditori» con cui si interagiva; "compagni di partito", da una parte e dall´altra, diventati "nemici" tout court. Vicende dolorose che tuttavia non hanno cancellato l´eroismo di tanti e la generosità di masse di contadini, impiegati, operai, uomini e donne, che hanno aggiunto il loro mattone nella costruzione delle pagine più belle della nostra storia. A dispetto dei narcisi che hanno scelto di mettere "se stessi" davanti alle "idee".
La Repubblica, 25 novembre 2008

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