di EMANUELE LAURIA
Il lavoro che esiste. Alle prese con la crisi dei subprime, con la sindrome da Lehman Brothers, con le ultime stime di Eurostat che registrano un tasso di disoccupazione giovanile al 42,9 per cento, i siciliani riaprono gli occhi davanti al dato più sorprendente: nell´Isola ci sono quasi tremila posti di lavoro scoperti. Sgraditi. Snobbati. Rifiutati, nella terra dove l´impiego rimane un miraggio. È l´esito di una ricerca condotta su scala nazionale da Confartigianato che ha messo a confronto le assunzioni previste dalle imprese artigiane nel 2008 (sono 14.620) e la percentuale di posti definiti dagli stessi datori di lavoro "di difficile reperimento". Percentuale che, nell´Isola, è pari al 19,6 per cento. Più bassa rispetto a quella del resto del Paese (34,6 per cento) e anche rispetto alle altre regioni del Sud (è la Sardegna con il 20,1 per cento ad avvicinarsi di più), ma sempre rilevante: in Sicilia ci sono 2.870 occasioni di lavoro che non vengono sfruttate. Soprattutto nel settore delle costruzioni (1.160 posti), manifatturiero (1.030) e dei servizi (680). Non si trovano muratori, falegnami, addetti alla meccanica di precisione. Non si trovano parrucchieri che abbiano una buona piega nel loro know-how. Capita anche questo, in un settore che - malgrado la crisi mondiale e la recessione - nell´anno in corso presenta un saldo occupazionale positivo: le entrate nel lavoro superano le uscite di 3.920 unità. Ragusa, provincia a elevato dinamismo imprenditoriale, presenta il numero più alto di posti scoperti (478), seguita da Messina (472) e Palermo (384). Perché accade? A livello nazionale, i principali motivi della difficoltà di reperimento di manodopera nell´artigianato sono la «mancanza di candidati con adeguata qualificazione», la «ridotta presenza della figura professionale» e l´«offerta ridotta per ragioni di status, carriera e retribuzione». Calata nella realtà siciliana, l´analisi sul lavoro rifiutato contiene fattori economici e sociologici. Non c´è solo la scarsa attitudine dei giovani ai mestieri tradizionali, la stessa che ha spinto il responsabile di un agriturismo di Naro a rivolgersi a Internet per trovare «un palafreniere, anche prima esperienza, che si possa occupare di 2 cavalli». Il messaggio è lì, sul sito, dal 20 settembre. L´analisi si ciba di notizie sbalorditive, come quella che ha avuto come protagonista Carmelo Raimondi, titolare di un´azienda di cucine componibili di Caltanissetta che ha dovuto mettere i manifesti sui muri della città per trovare tre figure professionali per la sua azienda: un architetto, un responsabile amministrativo, un direttore di produzione. Il problema, in realtà, «riguarda soprattutto i mestieri tradizionali e quelli ad alta specializzazione - spiega Mario Filippello, presidente regionale della Cna - I primi vanno scomparendo e non trovano più il gradimento dei giovani, i secondi richiedono una formazione professionale che in Sicilia non viene fornita». Quando poi i due mestieri si sposano, come nel caso dell´attività di Raimondi, che utilizza macchine con controllo numerico per la lavorazione del legno, «diventa più difficile reperire sul mercato le professionalità necessarie».Il sistema della formazione - che pesa per oltre 200 milioni di euro sulle casse della Regione - è sotto accusa. Anche quando ci si inoltra nell´affollato comparto dei parrucchieri, che conta 11 mila aziende nell´Isola. Salvatore Ruffino, responsabile del settore degli acconciatori della Cna catanese, dice che «l´impresa più difficile, nel nostro campo, non è trovare personale disposto a lavorare. Ma trovare lavoratori con un adeguato livello di professionalità. Quelli che giungono dai corsi professionali della Regione a stento sanno fare una piega. Ma quei corsi, non è una novità, vengono fatti soprattutto per garantire gli stipendi ai docenti. E non possiamo neanche prendere personale in prova - conclude Ruffino - perché non ci viene più consentito dalla legge. Molti colleghi, non trovando personale all´altezza, hanno rinunciato». Altra nota dolente: alla formazione professionale da riformare si unisce la riduzione dei fondi per l´apprendistato in azienda o in bottega: «I fondi regionali sono bloccati dal 2003, mentre l´ultima Finanziaria nazionale ha limitato queste agevolazioni a un periodo massimo di tre anni». Ma c´è anche un problema sociologico, per dirla con Beniamino Sberna, ex presidente regionale di Confartigianato: «In Sicilia prevale la cultura del lavoro pubblico sulla scommessa di un lavoro autonomo». E Salvatore Bonura, responsabile della Cna catanese, va ancora più a fondo: «Per la gran messe di diplomati e laureati siciliani svolgere un´attività artigianale non fa sentire importanti sulla scala sociale. Ecco perché alcuni posti sono rifiutati, pur non essendo faticosi o usuranti». Filippello chiosa: «Il vero dramma è che per molti ragazzi, oggi, appare più qualificante impiegarsi in un call center».
LA REPUBBLICA, MERCOLEDÌ, 19 NOVEMBRE 2008
mercoledì 19 novembre 2008
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