domenica 23 novembre 2008

PIETRO MILAZZO. Lettera aperta al Signor QUESTORE di PALERMO, MARANGONI

Caro Signor Questore,
non ho avuto, ancora il piacere di conoscerLa personalmente, e Lei, non ha avuto modo di conoscermi e conoscere la mia storia, se non attraverso le fredde carte e documentazioni che qualcuno Le ha predisposto. Le indirizzo questa lettera aperta, non per polemica e per un segno di indisponibilità al dialogo da parte mia, ma perché comunque essendosi iniziata, in forma, non proprio piacevole, una relazione fra noi, ciò credo mi autorizzi ad usare questa forma comunicativa, con la speranza d’ottenere una risposta non formale.
Lei mi ha fatto notificare, per il tramite dei suoi funzionari del Commissariato Libertà, in data 26 settembre scorso, un avviso orale ai sensi dell’art 4 della legge 27.12.1956, n. 1423, quella che regola le misure di prevenzione, avvertendomi che a mio carico esisterebbero sospetti di appartenenza ad una delle categorie di persone descritte dall’art.1 della medesima legge: si tratta di persone dedite a traffici delittuosi, che vivono dei proventi di essi, o che attentano, gravemente, all’ordine, alla sicurezza, alla salute pubblica.
Inoltre mi si avvisa di cambiare condotta, adeguandola a norma di vita onesta e laboriosa, avvertendomi che, in caso contrario, potrei essere proposto al Tribunale competente per l’applicazione di una misura di prevenzione. Qui, già, mi pare di rilevare un’incongruità della legge. Infatti in un prima parte si parla di “sospetti” d’appartenenza a categorie dai comportamenti delittuosi e, dunque, siamo nel campo della presunzione, ma, subito dopo, solo in base ai suddetti sospetti si passa ad un avviso formale, che se non ha immediate conseguenze fattuali, ma mette in mora per tre anni ed è atto propedeutico al possibile ricorso al Tribunale per le misure di prevenzione…
Signor Questore, io in generale sono grato, a chi mi avverte, considerando questo un atteggiamento utile e affettuoso, segnale di attenzione da parte di chi ha a cuore i miei destini e la mia vita,
ma, ovviamente, in questo caso, non mi sento d’esprimere un tale sentimento, non ravvisando un simile atteggiamento costruttivo. Anzi devo dirLe, con grande franchezza, che ho provato un moto di incredulità, prima, di grande sconcerto e senso di amarezza, poi, misto al rifiuto per quella che vivo come una grande ingiustizia e un affronto grave.
Ho deciso, dunque, di dare la massima pubblicità a quest’atto e Lei sa quello che è accaduto.
Sono stato letteralmente inondato da attestati di solidarietà e di affetto, da parte degli ambienti più disparati: politici di vari orientamenti, anche opposti ai miei, sacerdoti, sindacalisti, avvocati, intellettuali, attivisti di associazioni, artisti, ma, soprattutto, donne, uomini, giovani, persone semplici ed anonime, lavoratori, studenti, senza casa, immigrati.
Questi ultimi, senza retorica, sono i messaggi che ho più a cuore..! Lascio che per me parlino queste centinaia di attestati..Sono la migliore testimonianza che io potevo sperare di ottenere e, non Le nascondo, che su alcune di queste frasi e parole ho versato lacrime di commozione.
Da questo punto di vista, ma solo da questo, non posso che ringraziarLa, signor Questore, perché mi ha dato l’opportunità, non cercata, di constatare che comunque niente va perduto, che le azioni umane scavano un solco nel cuore e nella memoria di coloro che si intrecciano con la Tua vita.
Ma rimane l’amarezza e la voglia di non accettare un torto subito.
Lei Signor Questore, essendosi insediato da poco in questa città, non poteva conoscere direttamente la mia storia ed il mio percorso.
La mia storia è quella di un semplice militante politico ed un attivista sociale che ha avuto il solo merito di avere ostinatamente proseguito, da circa quarant’anni, senza mai smettere, un percorso di impegno, cercando di dare il suo modesto contributo ad un processo di crescita sociale e politica di una realtà, devastata e devastante, come Palermo.
Ho pensato che quel piccolo patrimonio di opportunità che la vita mi ha concesso avevo l’obbligo di restituirlo, innanzitutto, a coloro, e sono tanti nella nostra situazione, che non hanno avuto dalla sorte nessuna opportunità, condannati fin dalla nascita ad una vita, fatta di miseria e degrado.
Ho fatto una scelta di campo. Stare dalla parte dei diseredati, degli oppressi, dei dannati della terra.
Stare e combattere con loro, sapendo di andare a cozzare con gli interessi e l’ostilità dei potenti di turno. Rivendico, con orgoglio, questa scelta, che mi porta a militare nel sindacato CGIL e nei movimenti sociali che si battono, qui e in tutto il mondo, per la libertà, l’eguaglianza, la fraternità,
e proseguirò questa strada sino alla fine, a qualunque prezzo. E’ il mio modo di dare senso e dignità all’esistenza, e, tutto ciò non me lo farò togliere da nessuno, potente quanto possa essere. Comprendo, che possa esserci qualcuno che pensa, sbagliando, di poter farmi pagare un prezzo, per le mie “malefatte”, e che qualcuno possa, come dice la bella poesia di B.Brecth, che le ho indirizzato, avere le sue “buone ragioni”, per colpirmi.
L’amico Dino Paternostro, coraggioso sindacalista e giornalista di una terra di frontiera, come Corleone, in un articolo sul quotidiano La Sicilia del 5 ottobre 2008, pigliando spunto dalla vicenda che mi riguarda, ricordava come negli anni ’40 e ’50, provvedimenti simili a quello che mi ha colpito erano indirizzati ai sindacalisti della CGIL che giravano i paesi del feudo per organizzare le lotte contadine. Anche allora c’erano tanti che avevano, da loro punto di vista, molte “buone ragioni” per tentare di frenare la sacrosanta lotta per i diritti dei lavoratori della terra.
Caro Signor Questore lei, per comminare il provvedimento che mi ha fatto notificare, si è basato sulle carte e sulle documentazioni dei suoi collaboratori locali.
Questo, forse, non può che fare, nel suo ruolo e nella Sua posizione istituzionale, ma, Signor Questore, mi consenta una pacata critica: trattandosi di un provvedimento pesante, che colpisce gravemente nella sua dignità ed identità personale, anche solo per essere stato emesso, l’”avvisato”,
credo che sarebbe stato necessario un supplemento di conoscenza, una istruttoria più lunga, in cui Lei si rendesse personalmente conto del merito della questione e della personalità del soggetto da avvertire, anche in ossequio ad un principio di precauzione e rispetto, dovuto a ogni cittadino, che non sarò certo io ad insegnarLe!
Ciò non è stato fatto. Le posso suggerire di riguardare meglio le carte e di ricostruire il mio percorso, Signor Questore? Ho la presunzione di credere che si renderà conto facilmente che se anche qualcuno aveva delle “buone ragioni” per ostacolarmi, questo non ha nulla a che fare con il dispositivo che è stato messo in moto e, soprattutto con il sospetto di appartenenza alle fattispecie criminali, indicate dall’art1 della legge. Dunque, per tutte queste “buone ragioni”, in ragione del diritto formale che mi viene concesso ai sensi dell’art. 5 della legge 327, Le chiedo, con questa lettera aperta e con un dispositivo, che le verrà notificato, la revoca dell’avviso.

Signor Questore, io ho fiducia nella sua integrità, correttezza professionale e onestà intellettuale e non dubito che Lei saprà valutare obiettivamente l’entità della questione che mi riguarda e che quindi vorrà revocare il provvedimento nei miei confronti, che io considero ingiusto, nel metodo e nel merito. Quali sono, infatti, i comportamenti delittuosi che mi si attribuiscono?
Sono la mia attività, sociale e politica, fatta alla luce del sole e sempre assumendomene in pieno la responsabilità? Se i comportamenti delittuosi di cui sono sospettato sono quelli che indicavo prima, Le chiedo, formalmente, Signor Questore di non revocare l’avviso e di deferirmi, IMMEDIATAMENTE, al tribunale per le misure di prevenzione.. poiché io non riconosco e non mi riconosco in una descrizione fattuale che identifica in queste mie azioni, comportamenti criminali o nocivi per la sicurezza e l’integrità pubblica. Sono assolutamente convinto e motivato a proseguire, la mia azione, nel medesimo modo con cui l’ho condotta sino ad oggi ed a questo scopo sono disposto a pagare tutti i prezzi che saranno necessari. Agli eventi futuri il giudizio conclusivo…
La ringrazio, sin d’ora. Con la speranza, dunque, che ci si possa confrontare direttamente e serenamente, concludo questa lettera aperta riportando due brevi testi, nei quali mi riconosco ed identifico. Non li indirizzo, a Lei, direttamente, ma a quegli ambienti che certamente hanno ispirato questo provvedimento e che non smettono mai di portare avanti l’abitudine proterva di considerare pericolosi e dannosi coloro che si ostinano a non volere accettare e subire un ordine sociale ingiusto e disumano, avendo l’ardire, persino, di spingere gli altri ad organizzarsi e lottare per affermare i loro diritti sacrosanti.

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A testa alta

«Nei paesi più poveri della terra i bambini, per imparare a vivere, devono frequentare la “scuola del mondo alla rovescia”, dove apprendono che la povertà è il giusto castigo per l’inefficienza; che la disuguaglianza è una legge naturale che ha come corollari il razzismo e il maschilismo; che la realtà è quella che si vede in televisione; che il crimine è nero o giallo o di altri colori, ma - quasi mai - bianco e così via… Il piano di studi prevede corsi obbligatori di impotenza, amnesia e rassegnazione, grazie ai quali gli oppressi del pianeta imparano a subire la realtà invece di cambiarla, a dimenticare il passato per permettere ai dittatori di ogni tempo di restare impuniti, ad accettare passivamente il futuro, perché immaginarsene uno diverso è un vizio che viene regolarmente punito…».


Da “A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia” di Eduardo Galeano.

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Per buone ragioni

Io son cresciuto figlio di benestanti.
I miei genitori mi hanno messo un colletto ed educato nelle abitudini di chi è servito
e istruito nell’arte di dare ordini. Però
quando fui adulto e mi guardai intorno
non mi piacque la gente della mia classe, né dare ordini né essere servito.
E io lasciai la mia classe e feci lega con la gente del basso ceto.

Così hanno allevato un traditore, istruito nello loro arti; e costui li tradisce al nemico.

Sì, dico in giro segreti. In mezzo al popolo
sto e spiego
come ingannano, quelli, e predico quel che verrà, perchè io sono introdotto nei loro piani.
Il latino dei loro preti venali lo traduco parola per parola in lingua volgare, dove si rivela un imbroglio. La bilancia della loro giustizia la tiro giù e mostro i falsi pesi.
E le loro spie riferiscono che siedo con i depredati quando tramano la rivolta.

Essi m’han diffidato e m’hanno tolto
quel che col mio lavoro ho guadagnato, e quando non mi sono emendato
mi hanno dato la caccia;
ma ormai in casa mia soltanto scritti c’erano, che svelavano le loro trame contro il popolo.
Così m’han perseguito con un mandato di cattura
che mi imputa una mentalità degradata, cioè la mentalità dei degradati.

Dove giungo, sono un marcato a fuoco per tutti i possidenti; ma i nullatenenti
leggono il mandato di cattura e mi concedono un rifugio. Quelli, io sento dire a loro,
per cacciarti avevano buone ragioni.”

Da “Poesie e Canzoni” di Bertolt BRECHT (1939)

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