lunedì 10 novembre 2008

PARTINICO 1970. QUANDO I POVERI CRISTI DISSERO: "IL BELICE STA MORENDO"

di SALVATORE FERLITA
La riscoperta del sociologo attraverso due libri: Orlando e Vitale rivivono la trasmissione del 1970, Sellerio ripubblica i "Racconti siciliani". La denuncia via etere durò 27 ore, poi l´irruzione delle forze dell´ordine. Ma il messaggio si conquistò una vasta eco.
ALL´ORIGINE della prima radio libera in Italia, quella dei "poveri cristi", ci sta «una imbarcazione da crociera, dai 5 ai 9 metri di lunghezza per circa 3 di larghezza, del peso variante dalle 2 alle 6 tonnellate». Come loscafo Cwens, motore Chris Craf da 185 cavalli a benzina, o il Bermuda Twin Posillipo, o ancora il cabinato Costa Smeralda Posillipo. Infatti, in un primo momento, per scongiurare il pericolo di un sequestro, Danilo Dolci progetta di trasmettere da acque extraterritoriali, come si ricava dai fogli dattiloscritti che hanno come titolo "Appunti per gli amici" (classificato come ciclostilato 528/b) e che danno forma al libricino"La radio dei poveri cristi. Il progetto, la realizzazione, i testi della prima radio libera in Italia", a cura di Guido Orlando e Salvo Vitale (Fioridicampo e Navarra editori, pagine 56, 5 euro). L´unica possibilità dunque per trasmettere legalmente è quella di prendere un mezzo marino e ancorarlo fuori dalle acque territoriali. Ma subito, considerate le spese da affrontare e tenuto presente il fatto che, una volta rientrata, la barca sarebbe incappata nell´illegalità, Dolci, assieme a Franco Alasia e a Pino Lombardo, passa al piano B. Che è quello di asserragliarsi in una stanza di Palazzo Scalia, a Partinico, nei locali del "Centro studi e iniziative", da dove parte, il 27 marzo del 1970, un segnale radiofonico sulla lunghezza d´onda dei 20,10 megacicli ad onde corte e sui 98,10 megahertz a modulazione di frequenza. È un disperato Sos, che proviene dalle popolazioni di alcuni paesi della Sicilia occidentale colpiti dal terremoto del 1968. «Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale, attraverso la radio della nuova resistenza? Siciliani, italiani, uomini di tutto il mondo, ascoltate: si sta compiendo un delitto di enorme gravità, assurdo, si lascia spegnere un´intera popolazione. La popolazione della valle del Belice, dello Jato e del Carboni, la popolazione della Sicilia occidentale non vuole morire». Il messaggio si fa sempre più disperato e incalzante: «Qui si sta morendo. La nostra terra, pur avendo grandi possibilità, sta morendo abbandonata. La gente è costretta a fuggire, lasciando incolti i propri terreni, è costretta ad essere sfruttata altrove? Si sta morendo perché si marcisce di chiacchiere e di ingiustizie. Galleggiano i parassiti, gli imbroglioni, gli intriganti, i parolai: intanto la povera gente si sfa». Fa una certa impressione passare in rassegna le carte, alcune della quali scritte direttamente da Danilo Dolci, che danno conto della minuziosità dei preparativi, della serietà dell´iniziativa, ma soprattutto della efficienza e lungimiranza del sociologo triestino e dei suoi collaboratori, che vanno a schiantarsi contro il muro di gomma di insipienza e inadeguatezza della classe dirigente di allora. Bastava soltanto ascoltarli fino in fondo, farsi affiancare nella progettazione dei lavori di recupero. Si prova rabbia, ci si indigna, perché "Il punto sulla ricostruzione" è meticoloso e impietoso, tocca tutti i nervi scoperti di un piano di soccorso in mano a politici e burocrati collusi, denuncia le vere priorità, come la messa in opera dei piani zonali di sviluppo agricolo dell´Esa, e la necessità di inquadrare le vie di comunicazione. Si dà conto dell´industrializzazione e della situazione ospedaliera, con cifre impietose, che oggi risuonano come un inquietante "redde rationem". Franco Alasia e Pino Lombardi, dunque, si asserragliano in una stanza di Palazzo Scalia, con le attrezzature necessarie e 50 litri di benzina, non per minacciare di darsi fuoco, comescrissero i giornali dell´epoca, quanto per alimentare un generatore, nel caso in cui la corrente elettrica fosse stata interrotta. Fuori, Danilo Dolci con la radio accesa fa ascoltare quanto viene trasmesso. Si protraeper 27 ore la trasmissione radiofonica, registrata e comunicata alle autorità (come si evince dalla lettera indirizzata "ai Carabinieri, alla Polizia, alle Forze dell´ordine che intenderebbero intervenire" firmata dallo stesso Dolci): fino a quando un gruppo di carabinieri, poliziotti e vigili del fuoco fanno irruzione nel palazzo sequestrando tutto il materiale e denunciando i responsabili per aver violato la legge sulla comunicazione.L´intervista a Pino Lombardo, in appendice al volume, è una sorta di amara retrospettiva, una ricapitolazione delle tappe che portarono al progetto della radio, i problemi tecnici affrontati, i pericoli messi in conto. E continuano a fare un certo effetto i messaggi di solidarietà, allineati nel capitolo 8, firmati ora da Johan Galtung, dall´Abbé Pierre, da Antonino Uccello, da Italo Calvino: «Ogni volta che una catastrofe colpisce il Sud ci si dice: ancora altre popolazioni dovranno vivere nelle baracche, quanti anni ci resteranno? È possibile che un paese come l´Italia, che vanta i suoi miracoli economici, lasci senza tetto popolazioni intere?». Messaggi che la dicono lunga sull´eco propagata nel mondo dall´azione di Dolci inquell´angolo infernale di Sicilia. Dopo un certo periodo di silenzio e di ostilità, da qualche anno a questaparte si sta finalmente assistendo a una definitiva riscoperta di Danilo Dolci: un´operazione avviata dal volume di Giuseppe Barone, massimo esperto dell´esperienza dolciana in Sicilia, dal titolo "La forza della non violenza" (Dante & Descartes edizioni), e mano a mano consolidata da ristampe delle opere di Dolci, dalla pubblicazione dei suoi epistolari. Da ultimo, vanno registrate due iniziative editoriali importanti: la casa editrice Sellerio manderà in questi giorni in libreria i "Racconti siciliani", mentre ha da poco visto la luce il carteggio tra Dolci e Aldo Capitini, per i tipi di Carocci: entrambi i volumi sono a cura di GiuseppeBarone. Nel primo caso si tratta di un´antologia di racconti, tratti da "Banditi a Partinico", "Inchiesta a Palermo" e "Spreco", per suggerimento di Italo Calvino, come ammise lo stesso autore. Racconti ristampati nel 1971, e poi ancora due anni dopo, con l´introduzione e le note di Sebastiano Vassalli, e infine nel 1974, con l´aggiunta di altre pagine ricavate da "Chi gioca solo". Al centro di questa raccolta, ci stanno sempre i "poveri cristi", esclusi, reietti, pregiudicati, ai quali Dolci ha prestato la sua voce, andando talmente vicino al vero, come scrisse Vassalli, «da rinunciare, in pratica, ad essere scrittore in prima persona». Si tratta di un libro fatto apposta per mettere in crisi la letteratura. In esso l´invenzione viene sacrificata sull´altare della verità; il narcisismo dell´autore messo in scacco dalle voci vere dei protagonisti delle storie narrate. Condannati a vivere in un mondo preistorico, fuori dalla storia, un inferno quotidiano fatto prevalentemente di fame, miseria, ingiustizia, diffidenza. È l´Isola del malaffare, della politica come questione personale, della terra strappata ai contadini. Il tutto, raccontato attraverso un plurilinguismo di natura, che si istalla nella scrittura invisibile di Dolci, quasi incorporea.
LA REPUBBLICA, SABATO, 08 NOVEMBRE 2008

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