di MAURIZIO RICCI

Il mais ha un posto di assoluto rilievo nella catena alimentare, molto al di là di polenta e tortillas. Soprattutto negli Stati Uniti, il più grande mercato del mondo per il cibo. Prodotti diversi come il Gatorade e gli hamburger partono dal granturco. Prendete i "chicken nuggets", i bocconcini di pollo di McDonald's: il pollo è stato cresciuto a granturco, ed è granturco la farina che lo riveste, la colla che lo tiene insieme, l'olio in cui è fritto. Non solo: derivano dal mais la lecitina e il lievito, i mono e trigliceridi aggiunti al pollo, il colorante, finanche l'acido citrico che lo preserva. Insomma, su circa 45 mila prodotti reperibili in supermercato americano, più di un quarto contiene mais: pannolini, sacchi della spazzatura, dentifrici, fiammiferi, batterie, fino al luccichio sulle copertine delle riviste. E poi c'è la carne: in buona sostanza, polli, tacchini, maiali, anche le mucche, per non parlare dei salmoni, vengono allevati - in America, ma non solo - a granturco. Il risultato è un aumento dei prezzi su tutto lo spettro del mondo alimentare. Se noi dobbiamo vedercela con il rincaro degli spaghetti, gli americani si sono trovati a pagare il 70 per cento in più il cartone di popcorn al cinema e il litro di latte quanto uno di benzina. Costano di più i gelati e, in Inghilterra, il pane è quasi raddoppiato. Ma l'ondata sta per sommergere tutto quello che va nella borsa della spesa. Gian Domenico Auricchio, presidente di Federalimentare, denuncia aumenti dei costi nell'industria italiana del 20 per cento per le uova, 50 per cento per il burro, 20-40 per cento per le carni. Un impatto pesante per i consumatori, anche se non drammatico. Il mezzo chilo di spaghetti, sufficiente per cinque persone, assicura Rummo, continuerà, in fondo, a costare "meno di una buona mela e di una tazzina di caffè". Ma, lontano dal ricco Occidente, può essere una tragedia. L'allarme, lanciato da Fidel Castro alcuni mesi fa, ha trovato conferme autorevoli. Il World Food Programme, l'organizzazione Onu per gli aiuti alimentari, dichiara di non essere più in grado, all'attuale livello dei prezzi internazionali, di mantenere i suoi programmi. L'International Food Policy Research Institute di Washington calcola che la sola corsa dell'agricoltura ai biocarburanti, da qui al 2010, farà crescere i prezzi del granturco del 20 per cento, della soia del 26 per cento, del grano dell'11 per cento, della manioca (il cibo base in Africa e in Sud America) del 33 per cento. Del doppio o del triplo al 2020. A questi prezzi, stimano Ford Runge e Benjamin Senauer, due studiosi americani, il numero delle persone che, nel mondo, soffrono la fame, invece di scendere a 600 milioni nel 2025, come ci si aspettava, sarà del doppio, 1 miliardo e 200 milioni. Runge e Senauer fanno un calcolo anche più brutale: riempire il serbatoio di un fuoristrada solo di etanolo richiede oltre 200 chili di granturco, ovvero il fabbisogno di calorie di una persona per un anno. Dietro alla corsa ai biocarburanti, ci sono scelte politiche. L'Unione europea si è fissata l'ambizioso obiettivo di sostituire con ecocombustibili, entro il 2020, almeno il 10 per cento della benzina e del gasolio che consumano le sue macchine. Ma è soprattutto il traguardo fissato da Bush per l'America - 35 miliardi di galloni di etanolo l'anno entro il 2017, sei volte la produzione attuale, un quarto dei consumi totali di benzina - ad avere scatenato la corsa. Con un singolare paradosso: la massa di investimenti messi in moto, nell'agricoltura e nell'industria (il numero di raffinerie di etanolo, negli Usa, sta già raddoppiando) ha senso solo agli attuali livelli di prezzo del petrolio. "La ricerca dell'indipendenza energetica - notano Runge e Senauer - ha già reso l'industria dipendente da alti prezzi del greggio". Ma è un paradosso piccolo, rispetto al successivo. Qui non siamo a spaghetti o pop corn contro ecobenzina. Siamo a spaghetti contro il miraggio della ecobenzina. Perché, con le tecnologie attuali, tutto questo biocarburante non si può produrre. Per fare 35 miliardi di galloni di etanolo con le pannocchie, calcola la rivista Bioscience, bisognerebbe coltivare esclusivamente a granturco un quarto dell'intero territorio Usa (città escluse). Questo non significa che l'intera vicenda dei biocarburanti sia un'illusione. Miscelati con i carburanti fossili, etanolo e biodiesel consentono di ridurre i consumi di benzina e gasolio e di contenere le emissioni di anidride carbonica che determinano l'effetto serra. Ma non sono la ricetta-miracolo del dopo-petrolio. Almeno, qui e ora. Produrre l'etanolo non dalla sola pannocchia, ma dall'intera pianta, o dagli scarti vegetali in genere, insomma direttamente dalla cellulosa, consentirebbe di superare d'un colpo molti dubbi e vicoli ciechi dell'attuale corsa ai biocarburanti, riducendo, dice l'Ifpri, l'impatto sui prezzi. Tecnicamente, ricorrendo a speciali enzimi, è già possibile. Ma ancora troppo costoso, sia rispetto alla benzina che all'attuale etanolo da pannocchia.
(La Repubblica, 20 luglio 2007)
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