giovedì 9 agosto 2007

NOTTE DELLE STELLE O VIULATA DI SAN JABICU?

di Agostino Spataro
Secondo un’antica vulgata contadina, la “Via lattea”, altro non sarebbe che la “viulata di san Jabicu” ovvero una scia di stelle, o parti di esse, cadute dalle mani di san Giacomo durante l’opera santa di abbellimento del cosmo. Così si formò il firmamento: Dio creava le stelle e san Giacomo le sistemava secondo un ordine armonico a noi ignoto che astrologi ed astronomi tentano, invano, di svelare agli uomini.
Preciso che, qui, per “viulata” non s’intende il viottolo, ma la scia (di stelle) che segna la via nello spazio cosmico. Per meglio chiarire il concetto, la tradizione la paragona alla “viulata” che si formava, un tempo, sulle trazzere a causa delle perdite di paglia trasportata, con carretti o con bestie da soma, dalla campagna al paese.
Un accostamento un po’ azzardato in cui si riflette un bisogno insopprimibile dell'uomo che cerca nel cielo, nelle congiunzioni astrali, una risposta a molte delle sue inspiegabili ambasce.
Questa favolosa versione l’ho raccolta, a Montreal, dalla voce di un vecchio mezzadro mio concittadino, da mezzo secolo emigrato in Canada, il quale ricordava, con nostalgia, le varie fasi della dura stagione della ricompensa: la mietitura e poi la “pesata” del grano, i magazzini pieni e la mezzaluna di paglia (“margunata”) che si accumulava ai margini dell’aia (aria) usata, nelle notti d’agosto, come morbido giaciglio per riposare e per ammirare le stelle.
L'emigrato ricordava le carovane di asini e muli che trasportavano il raccolto in magazzino: prima il grano e le fave e poi la paglia dorata e insaccata dentro grandi covoni di corda (“rutuna”) che nel tragitto rilasciavano parti della paglia trasportata.
Si formavano così le “viulati”, una rete di sentieri posticci che segnavano l’arido paesaggio agrario dell’interno siciliano. Come le stelle perdute e ammassate nella Via lattea che segnano la via nell’immensità dello spazio siderale.
Perciò, soprattutto la notte di San Lorenzo, s’andava in campagna a cercare un riscontro a questa fantasiosa versione, ad osservare le code fluorescenti delle stelle cadenti che saettavano come gai presagi dai quali ciascuno traeva i migliori auspici.
Oggi, che tutto dev’essere hollywoodiano, a questa notte è stato cambiato il nome.
La chiamano “notte delle stelle”. Una semplificazione ambigua, persino irriverente, che altera il vero significato dell’evento poiché l’accosta alla mielosa passerella nella quale sfilano i “divi” del premio Oscar.
“Divi”? Quanta disinvolta supponenza nell’uso di un termine così impegnativo!
Di questo passo- lo segnalo ai credenti- il passaggio da divo a dio può essere anche breve.
E’ così, in questi giorni, avremo tantissime “notti delle stelle” all’insegna del vino, del cibo e del bel canto, ad imitazione di un grandioso dramma che si svolge in cielo.
Molta gente vi accorrerà senza molto distinguere fra le celebrità che si scateneranno sul palco e gli astri che si sbizzarriranno nel sovrastante firmamento. Distinzione difficile, anche a causa dei frastuoni assordanti e delle mille luci di potenti riflettori.
Una di queste “notti” è stata organizzata ad Agrigento, nella piana sottostante i Templi dorici, dove la stella sarà Lucio Dalla.
Con tutta la stima per il grande artista bolognese, mi domando: da laggiù si potranno vedere le stelle cadenti?
Agostino Spataro

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