martedì 21 agosto 2007

E' incredibile, ma la ‘ndrangheta è la più impunita tra le diverse mafie

di Luciano Violante

Io non credo che sia impossibile in un Paese moderno sradicare le organizzazioni armate che sul suo territorio, o partendo dal suo territorio, uccidono, controllano, estorcono, corrompono. Dopo la strage di Duisburg scopriamo che sulla ’ndrangheta si sa quasi tutto. Tv e giornali hanno pubblicato l’elenco delle famiglie e i nomi dei principali appartenenti a ciascuna di esse, il numero di affiliati, l’entità del giro di affari e i settori di intervento.Un quotidiano ha dedicato due pagine a una grande mappa con la geografia degli interessi della organizzazione criminale. In Russia la famiglia Mazzaferro acquista banche e alberghi. In Australia le famiglie Timboli, Sergi e Barbaro si occupano di lavori pubblici e controllano il gioco d’azzardo. In Salvador le famiglie Nirta acquistano cocaina. E così via, girando per il mondo.Ma se sappiamo così tante cose perché non riusciamo a stroncare l’organizzazione? Se sinora è mancato il risultato, nonostante lo sforzo che c’è ed è considerevole, è segno che serve una impegno politico nuovo ed una nuova strategia.
La presenza di bande armate di questa dimensione sul territorio dello Stato è una questione democratica prima che criminale e come tale va affrontata. Ciò che rende le diverse mafie pressocchè invulnerabili, nonostante gli arresti e i processi, è la loro non estraneità al contesto economico, sociale e politico, di modo che è difficile un’azione di sradicamento senza toccare corposi interessi dell’economia e della politica, che si ribellano, ribaltano le accuse sui magistrati e sollevano polveroni. Il carattere democratico della questione mafiosa nasce da questo intreccio. Il terrorismo rosso fu sbaragliato nell’arco di pochi anni non solo per l’impegno ideale, politico e operativo, ma anche perché era un corpo estraneo alla società italiana. La lotta contro le mafie è più difficile proprio per la loro non estraneità alla società del territorio dove sono radicate. Tuttavia non si tratta di una piovra misteriosa e inafferrabile. Si tratta di uomini, danaro e legami. Bisogna arrestare e condannare quegli uomini, sequestrare e confiscare il danaro, tagliare i legami. E agire con continuità, adeguando sempre i mezzi di risposta ai mutamenti dell’avversario. Occorre una inflessibile determinazione, cominciando dalle cose apparentemente più piccole. A San Luca da dodici anni, ripeto da dodici anni, si tenta invano di costruire una caserma dei carabinieri. Sinora hanno avuto la meglio le minacce di morte e l’incendio di una ruspa. La caserma non c’è, lo Stato non ce la fa, vince la ‘ndrangheta. Nel luogo ove doveva esserci un presidio di legalità restano le fondamenta e i primi pilastri, monumento della forza della ‘ndrangheta e della debolezza dello Stato. Perchè i ragazzi di quel paese, di fronte a questo scandalo, dovrebbero credere alla legalità della Repubblica e non alle sollecitazioni del padrino di turno? La costruzione di quella caserma può diventare la prima pietra di una nuova determinazione democratica. Se non è possibile costruire l’edificio per vie ordinarie, si chiami il genio militare. Si dia il segno che non si è né inerti, né collusi, né arresi.
Naturalmente non basta ricostruire quella caserma. Occorre una reimpostazione complessiva degli strumenti di lotta contro le diverse mafie, adattando gli strumenti alle specificità di ciascuna di esse. Le leggi e le istituzioni di cui oggi disponiamo sono state elaborate tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, su misura della mafia siciliana. Le due istituzioni frutto di quella stagione sono la Direzione investigativa antimafia, un organismo di polizia specializzato contro le mafie, e la Direzione nazionale antimafia, una sorta di organo di coordinamento delle procure della Repubblica, oggi diretto da Piero Grasso, già procuratore della Repubblica di Palermo dopo Gian Carlo Caselli. Si ha l’impressione che entrambi gli istituti meriterebbero una riflessione per potenziarne le capacità operative, differenziando anche dal punto di vista della organizzazione interna competenze e interventi in relazione a mafia siciliana, ‘ndrangheta e camorra, anche per verificare i risultati raggiunti nei confronti di ciascun settore.
La ‘ndrangheta, ad esempio, è la più impunita tra le diverse mafie. Perché ciò che serve a colpire le altre organizzazioni è arma spuntata nei suoi confronti? La ’ndrangheta, nonostante la preparazione professionale dei magistrati calabresi, ha avuto più colpi in Piemonte e Lombardia che in Calabria, mentre la mafia è stata più colpita in Sicilia e la camorra in Campania. Perchè questa particolarità? Rispondere alle domande aiuterà a ripartire con autorevolezza, efficacia e rapidità. Esistono poi alcune questioni tecniche. Il processo penale consente una sorta di patteggiamento in grado di appello che, come ha recentemente denunciato il magistrato che si occupa della strage di Duisburg, dottor Gratteri, riesce a ridurre una pena di 24 anni a otto o nove anni. È compatibile questa indulgenza con la “tolleranza zero” contro le mafie? oppure il rigore vale solo per i rom e i marocchini? L’aggressione alle ricchezze mafiose segna il passo. Dal 1992 al 2006 si è confiscato solo il 15% dei beni sequestrati e quindi se ne è restituito l’85%. Alla ‘ndrangheta, che avrebbe un giro di affari pari a 22 miliardi di euro, sono stati confiscati negli ultimi quindici anni beni per poco più di 44 milioni di euro (dati Dia). Esagero se dico che è vergognoso per tutti noi questo stato di cose? Ma non è impossibile girare pagina. L’attuale Commissione Antimafia ha avanzato proposte serie e incisive che, messe in atto, ci aiuterebbero a superare le attuali difficoltà.So bene che esistono anche problemi di carattere politico, economico e sociale. Ma a mio avviso è necessario sfuggire al sociologismo o al politicismo attaccando presto e con durezza. Se l’attacco funziona, l’esperienza dice che il resto seguirà.
L'Unità, 20.08.07

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