
di Riccardo Bocca
Mercoledì 4 luglio esce in libreria 'Tutta un'altra strage' (Rizzoli, pag. 272, euro 10,20), il saggio-inchiesta di Riccardo Bocca sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980. Ventisette anni dopo, viene analizzato il più grave attentato terroristico del dopoguerra italiano, segnato da 85 vittime e 218 feriti. Una tragedia che ha portato a cinque gradi di giudizio, alla condanna all'ergastolo degli ex Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, e a quella a trent'anni di Luigi Ciavardini. A torto o a ragione? Per rispondere, il libro propone nuove testimonianze e documenti inediti. Ma anche le verità emerse nel corso dei processi, poi sovrastate dalle polemiche. 'L'espresso' anticipa qui il primo capitolo.C'è una testimone, ventisette anni dopo. Una donna che il 2 agosto 1980 era presente alla stazione di Bologna, quando 25 chili di esplosivo hanno ucciso 85 persone e ne hanno ferite altre 218. Una signora di sessantasette anni che da allora vive con un pensiero nascosto, un ricordo che ha cercato di cancellare e invece l'accompagna suo malgrado. Qualcosa che la terrorizza e di cui parla controvoglia. È una mattina di primavera, quando la incontro all'Associazione dei familiari delle vittime della strage, nel centro di Bologna. Viene da Modena, dove vive e ha lavorato come assistente sociale. Non sa con esattezza qual è la ragione dell'intervista. Le è stato anticipato soltanto che parleremo del 2 agosto, delle sue emozioni, di come è cambiata la sua vita. "Era un momento un po' complicato per me. Non avevo troppi soldi in tasca. Lavoravo in Comune, ero una quarantenne divorziata e non sapevo come organizzare le ferie. Alla fine prenotai un viaggio in Grecia con mia figlia, che aveva diciassette anni e studiava alle magistrali. E siccome l'aereo costava troppo, il 2 agosto salimmo su un treno che ci portò a Bologna, da dove partiva un pullman per la penisola calcidica".

Quello che succede di lì a breve è il prologo alla tragedia.
"D'improvviso è arrivata una terza persona, un uomo che ha chiamato i due ragazzi. Ha aspettato che si alzassero, e si è allontanato con loro. In quel momento mi chiesi perché avessero atteso al sole, se non dovevano neppure prendere il treno. Un pensiero tra i tanti. Una decina di minuti dopo, è scoppiata la bomba. Dal nulla ho sentito due mani enormi spingermi avanti. Mani disumane, alle quali era impossibile resistere. Lo spostamento d'aria dell'esplosione. Una forza che mi ha scaraventato per aria, cancellandomi dalle orecchie il boato che l'accompagnava. La terra, invece, l'ho sentita. Mi è tremata sotto ai piedi, e sono finita non so come tra le braccia di uno sconosciuto che diceva 'Non hai niente... non piangere... devi stare tranquilla...'. Io lo guardavo e mi sentivo confusa: non riuscivo a capire chi fosse lui, e tantomeno cosa stesse accadendo. Al tempo stesso, però, mi sono voltata, e ho visto l'insegna del self service-ristorante che cadeva, e poi il fumo, la polvere, le urla. A quel punto sono tornata completamente in me. Perdevo sangue, e stavo sporcando la camicia del mio soccorritore".In tutto questo, racconta la testimone, si accorge che la figlia non è con lei, e si dispera. Teme sia stata uccisa dall'esplosione, ed è la stessa paura che ha la ragazza, sopravvissuta grazie alla deviazione in farmacia. Le due donne si cercano, vagano nella confusione senza trovarsi. Finché s'incrociano, per un attimo felici nella carneficina, "mentre la gente attorno era ferita e implorava aiuto". Poi la signora viene portata in un punto di soccorso vicino alla stazione, dove le tolgono con una spugna le schegge sparse sul corpo. Sanguina dalla testa, è ferita alle spalle, al volto. Un volontario la fa sdraiare sul sedile posteriore dell'automobile e l'accompagna all'ospedale Maggiore. Lì la medicano, trovandola ancora in stato di choc. "Sono stata ricoverata otto giorni. Piangevo, tremavo... Mi hanno aiutato con i sedativi, e altrettanto hanno fatto con mia figlia. Passavano i giorni, ma non quelle immagini fisse in testa: i morti, la distruzione, una donna che camminava vicino alla stazione, spingendo la bicicletta e urlando a squarciagola 'Bastardi!... Assassini!...'. Questa era la situazione, ed è ciò ho riferito quando mi hanno interrogato in corsia". In quei momenti, assicura la signora, ha cercato di essere il più precisa possibile. Ha raccontato perché si trovava in stazione, con chi era arrivata e cosa aveva visto. Ma forse non ha pensato al dettaglio dei due ragazzi vestiti da tedeschi, messo in secondo piano dall'enormità del disastro; oppure non l'ha evidenziato abbastanza. D'altronde, perché avrebbe dovuto? Che importanza poteva avere, in quell'inferno, la presenza di quella coppia sulla piazza della stazione? Nessuna. Dunque è normale che nei due anni successivi la signora si sia dimenticata del particolare, o quasi. Solo il 24 aprile 1982, leggendo i quotidiani, rimane senza parole. In pochi minuti la sua prospettiva cambia drasticamente, e sprofonda nell'agitazione. Quel giorno, infatti, il 'Corriere della Sera' dice che "ancheValerio Fioravanti e la Mambro" sono "sotto accusa per la strage della stazione". 'L'Unità' specifica che "l'inchiesta ora ha cinque imputati", mentre 'la Repubblica' aggiunge che "Fioravanti e la Mambro, killer neri arrestati dopo sanguinose sparatorie, sarebbero stati incastrati soprattutto da Massimo Sparti, un pregiudicato romano esperto in falsi. A lui", si legge, "Fioravanti avrebbe chiesto il 4 agosto 1980 documenti falsificati per sé e per la sua compagna, parlando dell'attentato a Bologna e dicendo che lui era presente travestito da turista tedesco".Proprio così. Fioravanti, apprende la signora dai quotidiani, il 2 agosto sarebbe stato a Bologna travestito da turista. Tedesco. Come la coppia che ha notato sull'aiuola alla stazione. Ma c'è di più, oltre a quello che pubblica la stampa. Il delinquente comune Massimo Sparti, del quale parleremo a lungo più avanti, è stato arrestato il 9 aprile 1981 dai magistrati romani per il sospetto di associazione sovversiva, banda armata e concorso in rapina. E due giorni dopo, interrogato dal sostituto procuratore Giancarlo Capaldo, ha illustrato il suo ruolo nella realtà neofascista.

Attorno a queste parole, dal 1981 a oggi, si è combattuta una guerra feroce. Massimo Sparti ormai è morto, dopo essere stato più volte ascoltato dai magistrati. Mambro e Fioravanti, invece, hanno provato in qualunque modo a dimostrare che le sue erano menzogne. Comunque sia, il 24 aprile 1982, quando la testimone modenese legge la notizia del travestimento tedesco, non perde tempo. "Andai a Bologna", dice, "per partecipare a una riunione dell'Associazione dei familiari delle vittime. Presi da parte l'allora presidente Torquato Secci con il vice Paolo Bolognesi, e raccontai tutto". "Restammo sbalorditi", conferma l'attuale presidente Bolognesi, fin qui in silenzio durante il mio incontro con la testimone. "Le dicemmo che con quel genere di cose non si scherzava, che doveva andare dagli inquirenti. Poi contattammo l'avvocato dell'associazione, Laura Grassi, e la pregammo di concordare un appuntamento". Ciò che succede di lì a pochi giorni, lo ricostruisce la signora: "Da principio raccontai agli inquirenti quello che ricordavo del 2 agosto. Poi mi mostrarono delle fotografie segnaletiche con volti di donna, e mi chiesero se ne riconoscevo qualcuno. Presi in mano quelle immagini in bianco e nero, le guardai con attenzione e dissi: 'Lei', indicando uno dei ritratti. 'Questa ragazza mi pare proprio di riconoscerla...'".In verità, precisa oggi, "ricordavo un volto appena più paffuto, più in carne, ma i lineamenti erano quelli".
Quanto basta per provocare la reazione di chi la interroga: "Signora, ma questa è la Mambro!", le dicono. Dopodiché le chiedono dove l'avesse vista, quella ragazza, ottenendo però una risposta vaga: "Non spiegai", ammette la signora, "che la donna nella fotografia era la stessa della stazione di Bologna. Dissi invece che non sapevo con certezza dove l'avessi notata: forse in televisione, o sui giornali...". "Insomma", commenta Bolognesi, "quando si è trovata a sottoscrivere un verbale, la signora non l'ha fatto, non se l'è sentita. O almeno questo è ciò che noi dell'Associazione abbiamo saputo tempo dopo, da altre fonti". In effetti, su questo punto la signora non è precisa. Si rifugia dietro il tempo passato, nei buchi di memoria che ha allargato per rimuovere le preoccupazioni. Ma ciò che è disposta a dire, ventisette anni dopo la strage, è comunque importante. "In effetti", ammette, "collegai il volto della Mambro alla giovane sull'aiuola della stazione. Non solo: misi in relazione il suo volto al corpo, del quale avevo notato il generoso seno". Un collegamento, precisa, "che mi è venuto dopo l'interrogatorio, quando è scemata l'angoscia per quello che stava succedendo". Ora, spiega, il suo primo pensiero è non finire con nome e cognome in questo libro. Teme che qualcuno possa individuarla, e magari vendicarsi. "Perché sono persone spietate, quelle, che non perdonano", dice camminando verso la stazione di Bologna. L'ex sostituto procuratore Libero Mancuso, l'uomo che ha chiesto in primo grado l'ergastolo per Fioravanti e Mambro, dice: "Non conta se la signora abbia o meno firmato un verbale, e nemmeno il suo livello di attendibilità. Chi aveva nel processo un ruolo centrale, come me, avrebbe dovuto conoscere questo elemento potenzialmente enorme. E in ogni caso la signora avrebbe dovuto essere riconvocata per un altro interrogatorio". A detta della testimone, invece, nessuno l'ha chiamata. E altrettanto discreto, per tutto questo tempo, è stato Paolo Bolognesi, bloccato dal no della signora, che se esposta pubblicamente non avrebbe confermato i fatti. "Una scelta sacrosanta", sostiene lei. "Una decisione che mi è sempre pesata, ma che dovevo alla mia famiglia".
(L’Espresso, 28 giugno 2007)
(L’Espresso, 28 giugno 2007)
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