venerdì 26 febbraio 2010

Premio giornalistico "Mauro Rostagno", sabato le premiazioni nel teatro di Segesta

La mafia da organizzazione a sistema. La "nuova" mafia, i rapporti con la politica, l'economia, i ruoli di primo piano nei comitati d'affari che governano la regione e buona parte del territorio nazionale. Questi ed altri aspetti del sistema criminale di Cosa nostra sono stati al centro del lavoro di approfondimento e confronto che circa 600 ragazzi delle 25 scuole superiori della provincia di Trapani hanno portato avanti in questa seconda edizione del progetto in memoria di Mauro Rostagno, sociologo e giornalista ucciso a Trapani il 26 settembre del 1988. Il premio a lui intitolato si concluderà il 27 febbraio, ore 9.30 presso il teatro comunale di Calatafimi Segesta (Tp). Cinque i gruppi di lavoro finalisti che avranno modo di realizzare dal vivo un' intervista a più voci, all'attuale capo della squadra mobile di Trapani, Giuseppe Linares.
" I giovani - dichiara Giuseppe Linares a Libera Informazione - sono la chiave di volta della battaglia contro le mafie. 18 anni dopo le stragi di Capaci e via d'Amelio la presenza di Cosa nostra è largamente riconosciuta ma la vera rivoluzione culturale è la presa di coscienza del fatto che la mafia si è fatta sistema; è in grado oggi di inserirsi in segmenti dell'economia della politica, della società civile. Catalizzatore di questa rivoluzione - prosegue Linares - saranno proprio i giovani, la loro capacità di interrogarsi su questa "nuova mafia" di proporre soluzioni e riflessioni. Quella di oggi, per intenderci - conclude Linares - è la mafia di Messina Denaro, una organizzazione criminale di natura borghese ed imprenditoriale. Solo se i giovani prenderanno coscienza di questo, stimolando un cambio di velocità in questa battaglia, si potrà portare avanti una seconda rivoluzione culturale antimafia".
I gruppi finalisti che saliranno sul palco a rappresentare il lavoro svolto durante l'anno saranno giudicati da una commissione di giornalisti presieduta da Roberto Morrione, presidente di Libera Informazione, Giorgio Santelli, giornalista di Articolo21, Lidia Tilotta, giornalista sede Rai Sicilia, Rino Giacalone giornalista de La Sicilia e Libera informazione, Laura Galesi, giornalista de Il Sole 24 ore, Left e Liberazione.
Per ulteriori informazioni
Norma Ferrara
Libera Informazione

Lo scandalo del G8 da 500 milioni

di Primo Di Nicola
Tra la Maddalena e L'Aquila speso oltre mezzo miliardo per tre giorni di vertice. Con appalti affidati ai soliti amici. Ecco la lista di tutti gli sprechi della megalomania del premier. L'ex arsenale militare ristrutturato per ospitare il G8

Il vertice G8 più caro della storia: oltre mezzo miliardo di euro per soli tre giorni di riunioni. Una follia mediatica per assicurare una platea tra i grandi della Terra al capo del governo Silvio Berlusconi nel momento di massima crisi per lo scandalo Noemi. Cinquecentododici milioni 474 mila euro, per la precisione, è la somma finale pagata dagli italiani per quel summit trasferito a L'Aquila dall'8 al 10 luglio 2009. E, mentre i terremotati abruzzesi soffrivano nell'afa delle tendopoli, gli uomini di Guido Bertolaso spendevano 24 mila euro in asciugamani, 22 mila 500 euro in ciotoline Bulgari d'argento, altri 350 mila per televisori Lcd e al plasma e 10 mila euro per i bolliacqua del the. Alla faccia degli intenti frugali, che avevano convinto a rinunciare alle strutture della Maddalena per testimoniare la solidarietà dei Grandi alle vittime del sisma, non si è risparmiato su nulla.

Il gran banchetto Eppure per dotare l'isola sarda di alberghi, sale conferenze, porti e giardini erano già stati bruciati 327 milioni 500 mila euro. Fondi che ora gli atti dell'inchiesta della Procura di Firenze rileggono in una chiave diversa, descrivendoli come il banchetto di una "cricca" tutta presa dalla spartizione di appalti senza concorrenza e senza trasparenza. I magistrati hanno arrestato i protagonisti di quelle opere: Angelo Balducci, Fabio De Santis e Mauro Della Giovampaola, ai vertici della struttura di Bertolaso che ha gestito l'affare, e il costruttore rampante Diego Anemone, dominus di queste opere. Ma lo stesso numero uno della Protezione civile è sotto inchiesta, come altri tecnici e imprenditori impegnati nei cantieri sardi. Tutte le opere della Maddalena sono diventate inutili quando il premier ha deciso di cambiare scenario e spostare la riunione internazionale all'Aquila, tra le macerie e i senzatetto. Una mossa di grande effetto mediatico, che ha ridotto a zero il rischio di manifestazioni no global e ha anche azzerato l'agenda dei lavori, sottraendo in nome del lutto il premier al rischio di insuccessi diplomatici o di imbarazzi per lo scandalo di escort e festini presidenziali. Il tutto a carissimo prezzo: altri 184 milioni 974 mila euro bruciati per le tre giornate abruzzesi. In tutto, appunto, oltre mezzo miliardo: il tributo dei contribuenti italiani al vertice più folle, costoso e inutile della storia recente. E come nell'assegnazione delle opere della Maddalena, anche scorrendo la lista dei lavori per l'Aquila le sorprese abbondano.

Ci sono anzitutto i soliti noti del ristretto giro di Palazzo Chigi e che tra i clienti privilegiati di tutti gli eventi internazionali non mancano mai. Come Relais le jardin che per oltre un milione di euro si è aggiudicata la fornitura del servizio di catering per i banchetti organizzati per i capi di Stato. Solo che Relais non è una società qualsiasi: appartiene alla famiglia di Stefano Ottaviani, sposato con Marina Letta, figlia di Gianni, l'onnipotente sottosegretario alla presidenza del Consiglio. O come la Triumph dell'immancabile Maria Criscuolo, incaricata dei materiali per giornalisti e delegazioni estere e del servizio di interpretariato con un compenso di un milione 250 mila euro.
Colpo Grosso Altro caso in cui i legami con la presidenza del Consiglio contano eccome è quello di Mario Catalano. Famoso come scenografo di "Colpo grosso", la prima scollacciatissima trasmissione andata in onda sulle tv private negli anni Ottanta, Catalano è già stato premiato dal Cavaliere a inizio legislatura con una ricca consulenza a Palazzo Chigi dove cura l'immagine del premier e gli eventi pubblici in cui è coinvolto. Ma evidentemente la prebenda non basta ed ecco infatti Catalano accorrere tra le macerie dell'Aquila per le performance del presidente. Con l'incarico di verificare, vai a capire perché proprio lui, la piena applicazione della legge 626 che regola la sicurezza sul lavoro. Il tutto per altri 92 mila euro.
Chi invece ha conquistato a sorpresa la vetrina del G8 è Giulio Pedicone, titolare della Pedicone Holding e della Las Mobili, azienda abruzzese che fabbrica attrezzature per uffici. Imprenditore venuto dal niente, Pedicone ha visto la sua carriera coronata dal vertice dove la Las è stata chiamata direttamente e senza alcuna gara a fornire mobili per circa 300 mila euro. Gli uomini di Bertolaso non ammettono dubbi sul fatto che ciò è avvenuto «dopo un'approfondita indagine di mercato». Altrettanto sicuro però è che della Pedicone Holding, titolare del 64 per cento della Las, dal 2007 è sindaco supplente Gianni Chiodi, commercialista con studio a Teramo in società con Carmine Tancredi (a sua volta cugino di Paolo, senatore del Pdl), ma soprattutto presidente della Regione Abruzzo dal dicembre 2008 e commissario delegato all'emergenza terremoto e alla ricostruzione.

In alto le bandierine Il legame con il governatore è solo una delle note singolari in una lista della spesa sterminata. Dei circa 185 milioni divorati dal summit, 52 milioni 666 mila euro sono stati utilizzati da Bertolaso in parte per investimenti in «infrastrutture tecnologiche» e il resto in «spese di funzionamento » ossia per forniture e servizi, dalla ristorazione alle bandierine per le auto. Altri 43 milioni 807 mila euro se ne sono andati invece per rimborsare gli interventi fatti da altre amministrazioni, come la Guardia di Finanza che ha ospitato la sede del G8, o il Provveditorato alle opere pubbliche per il Lazio, Abruzzo e Sardegna che ha curato l'adeguamento della scuola sottufficiali e del minuscolo aeroporto di Preturo assieme alla realizzazione della strada per Coppito. Infine ulteriori 88 milioni 500 mila euro sono stati stanziati dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti ai dicasteri della Difesa e degli Interni, oltre alle Capitanerie di porto, per finanziare la cupola protettiva che ha difeso quei tre giorni di incontri: una triplice barriera di sicurezza in cielo, mare e terra.

Immergersi nella lunga catena di 145 fatture saldate dalla Protezione civile per l'evento fa scoprire più di una nota stonata. Lussi e sprechi che poco si addicono a un vertice spostato tra i terremotati in nome della sobrietà e della solidarietà. In una regione che aveva pianto almeno 308 morti per il sisma e doveva restituire una vita dignitosa a 80 mila senzatetto, i gadget delle grandi occasioni paiono affronti. Trascurando le ciotoline d'argento Bulgari gentile omaggio per i capi di Stato, si va dalle 60 penne "edizione unica" fornite da Museovivo al costo di 26 mila euro e utilizzate dai leader solo per apporre il loro prezioso autografo sui trattati. Ci sono poi la fornitura di poltrone Frau per le sedute di quei tre giorni e costate 373 mila euro; gli addobbi floreali per 63 mila euro; la pellicola protettiva per il rivestimento degli ascensori (9 mila); i portablocchi notes forniti dalla rinomata Pineider al prezzo di 78 mila euro.

Premier in primo piano E non è finita. Si possono forse trascurare le grosse commesse nelle quali primeggiano Selex e Seicos (Finmeccanica) per le forniture tecnologiche relative alla sicurezza (oltre 18 milioni di euro) con la centrale di coordinamento delle forze schierate, Telecom per gli apparati telefonici(12 milioni) e Limelite per la realizzazione dell'areagiornalisti (altri 2 milioni)? E poi: Studio Ega per l'accoglienza e prenotazioni alberghiera delle delegazioni (2 milioni e mezzo); Tecnarr per l'allestimento della sala conferenze (quasi 2 milioni); Semeraro per gli arredi (1 milione 700 mila euro); Composad per i frigoriferi e altri arredamenti (1 milione 500 mila euro); Jumbo grandi eventi per le prenotazioni e il trasporto delle delegazioni (1 milione 200 mila euro). Per non parlare della D and d lighting & truck, sponsorizzatissima a Palazzo Chigi per soddisfare tutte le esigenze sceniche e televisive del premier: al G8 è stata premiata con una commessa di un milione 700 mila euro per la fornitura di attrezzature tecniche.
Insomma, una vera abbuffata. Nella quale si sommano pure le spese per il logo della manifestazione (22 mila euro); le prese elettriche; i pennoni portabandiere e le bandiere (155 mila); 30 distruggi-documenti come nei film di 007 (13 mila euro); asciugamani elettrici; stampe (126 mila); tessuto e divise per steward e hostess (18 mila euro); altre divise non meglio specificate (54 mila euro) e persino la fornitura di tessuto e adesivi per personalizzare le transenne dentro e fuori la caserma di Coppito e i contenitori per la raccolta differenziata. Altra follia da oltre 20 mila euro.

Ma gli aspetti suggestivi non sono finiti. Una "spesa infrastrutturale" di Bertolaso viene considerata la copertura (anche con fondi extra budget G8, non è chiaro) di una lacuna da sempre lamentata dai guidatori sull'autostrada Roma-Aquila- Pescara da anni gestita in concessione da Carlo Toto, l'ex proprietario di AirOne. Il problema? Su questa autostrada era pressoché impossibile ascoltare Isoradio, la rete Rai con le notizie in tempo reale sul traffico. Ma alla vigilia del G8 ecco entrare in azione Bertolaso. Certo ai pendolari abruzzesi costretti a fare la spola con la capitale pesava viaggiare senza le informazioni sul traffico. E qualcuno deve avere pensato che anche i cortei blindati dei Grandi avevano bisogno dei bollettini sulle code lanciati da Onda verde: così Isoradio è stata installata lungo tutta l'autostrada dalle cento gallerie a spese della Protezione civile. Un regalo a Toto che vanifica l'accordo tra Rai e società autostradali che pure obbligherebbe la prima a reperire le frequenze e le seconde a garantire l'acquisizione e la manutenzione degli impianti.

Scuola modello Singolare anche la sorte dei quasi 29 milioni rimborsati dalla Protezione civile per le spese di "investimento" eseguite da altre amministrazioni pubbliche. Ben 23 milioni se ne sono andati per gli interventi nella scuola sottufficiali delle Fiamme Gialle. In questa caserma serrata da alte mura che si sviluppano su oltre due chilomentri per 45 ettari si sono concentrati i lavori per creare gli ambienti del vertice inclusa la ristrutturazione di 1.090 stanze nelle quali hanno soggiornato i leader e i loro staff. Sono stati ritinteggiati la decina di edifici che la compongono; è stata installata una rete in fibra ottica; sono stati sistemati oltre 120 mila metri quadrati di verde; piantati alberi ad alto fusto; le camere sono state arredate al top, dotandole di tv, telefoni e ogni altro tipo di comfort (di cui adesso godrebbero i senzatetto del sisma). Ma ci sono stati pure i lavori radicali negli impianti: l'adeguamento della rete di distribuzione dell'energia elettrica, la manutenzione delle apparecchiature da cucina e persino la messa a punto della pressione dell'acqua.

Soldi ben spesi? I restauri in genere valorizzano gli investimenti immobiliari. Ma qui è diverso. La caserma non è di proprietà dello Stato: con le cartolarizzazioni volute dal vecchio governo Berlusconi per reperire denaro fresco per le casse pubbliche, è stata venduta nel 2004 e appartiene ora a un pool di banche e istituzioni finanziarie come Immobiliare Sgr spa, Imi, Barclays Capital, Royal Bank of Scotland e persino Lehman Brothers. A loro lo Stato paga ogni anno 13 milioni di euro di affitto. Un canone ragguardevole, che nel 2009 si è arricchito anche dei vantaggi conseguenti ai faraonici lavori di adeguamento pretesi dall'impresa B&B Berlusconi-Bertolaso sulla struttura.

Opere dispendiose a fronte delle quali la proprietà non si è lasciata intenerire. Il pool ha preteso dalla Protezione civile due regali polizze assicurative. Una per la completa copertura dei rischi infortuni dei partecipanti al vertice (Ati Willis spa, 50 mila euro): non fosse mai che Obama scivolasse dalle scale. L'altra polizza per risarcire gli eventuali attacchi terroristici alla caserma nonostante caccia supersonici, missili terra-aria e migliaia di uomini in armi. Non solo, a G8 terminato hanno ottenuto il totale ripristino dei luoghi, ossia il ritorno delle sale da summit al loro compito di scuola militare costato altri 4 milioni di euro. Con tanti saluti ai terremotati aquilani che continuano a protestare per le carenze della ricostruzione e vogliono rimuovere da soli le macerie.
(L’Espresso, 25 febbraio 2010)

giovedì 25 febbraio 2010

Continua la protesta degli agricoltori. A Prizzi hanno occupato la sala consiliare

La protesta degli agricoltori siciliani iniziata lo scorso Ottobre non si ferma, anzi cresce sempre più: le semplici manifestazioni degli agricoltori si trasformano ora in stati di assemblee permanenti che avvengono in maniera coordinata con gli altri paesi della Sicilia in cui si sono costituiti gli stessi comitati. A Prizzi presso i locali dell’aula consiliare, il comitato spontaneo per l’agricoltura ha deciso di dar vita a un’assemblea permanente per sollecitare il ministro dell’agricoltura Luca Zaia a stipulare un documento da presentare alla Commissione Europea di Bruxelles, affinchè dichiari lo stato di crisi dell’agricoltura.
A tale scopo gli agricoltori prizzesi, oltre ad occupare la sala consiliare, hanno deciso di manifestare depositando i loro trattori in piazza IV Novembre, cercando comunque di arrecare per il momento il minor danno possibile alla cittadinanza, «ma decisi a continuare financo ad occupare il comune se non arriveranno da parte del governo delle risposte concrete – afferma Salvatore Pecoraro, rappresentante del C. S. A. – non come quelle fatte ad Ottobre di fronte ai politici siciliani e ai C. S. A. di attuare uno stato di crisi che di fatto non ha mai avuto luogo». In questa battaglia gli agricoltori sono sostenuti dai rappresentanti degli Enti locali (Comuni, Province e Regione) e da una sempre più nutrita schiera di consumatori.
Le mobilitazioni delle imprese agro-zootecniche non solo prizzesi, ma di tutto il sud Italia, mirano ad ottenere interventi governativi urgenti per risollevare la crisi dell’agricoltura, la creazione di misure idonee per ristabilire il reddito delle aziende e ad assicurare un efficace sistema di tutela della sicurezza alimentare, sicurezza che forse in Italia non esiste più, poiché i prodotti agricoli che esportiamo vengono accuratamente controllati e selezionati, mentre per quelli che importiamo viene solo fatto un controllo “a campione”. Allora dobbiamo chiederci: se gli esperti del settore per effettuare tutti i controlli adeguati ci sono, perché non farli lavorare? Perché rischiare di avvelenare i cittadini italiani? Inoltre per gli allevatori siciliani è impossibile vendere animali nutriti con estrogeni e la loro carne d.o.c., controllata e certificata, viene esportata, contrariamente però si importano animali pieni di estrogeni. Perché? Dicono gli allevatori prizzesi: «Produciamo carne definita dagli esperti di ottima qualità, ma ci troviamo a dover combattere la concorrenza di carni provenienti da altri paesi dell’U.E., soprattutto della Francia. Sia noi allevatori che gli agricoltori, lavoriamo 12 ore al giorno e anche più, per poi vendere il latte a 0,31 centesimi di euro, con un costo di produzione che è di 0,45 centesimi di euro, mentre poi alcuni caseifici comprano il latte da trasformare in formaggio a 0,22 centesimi di euro, di cui non si sa nemmeno la provenienza, prezzo assurdo considerato il costo di produzione. Il grano viene venduto a 0,13 centesimi di euro con un costo di produzione che è di 0,25 centesimi di euro. Tutto ciò non fa che indebolirci e distruggerci, poiché non riusciamo più a bilanciare i costi con i prezzi dei prodotti che rimangono invenduti o sottopagati, perché al nostro grano ad esempio viene preferito quello proveniente dalla Romania e dal Canada».
Negli ultimi cinquant’anni sono state cinquantamila le aziende che sono state costrette a chiudere e continuando così ce ne saranno ancora molte. Ciò che i C. S. A. chiedono è che venga dichiarata dal governo la crisi socio-economica delle aziende agro-zootecniche siciliane e del sud Italia, affinchè non solo il governo nazionale ma anche quelli regionali stanzino risorse finanziarie ed economiche come già sta accadendo in altri paesi dell’U. E., che si rilancino sul mercato tutte le produzioni mediterranee, con l’obiettivo di ripristinare il reddito delle aziende e si realizzi soprattutto un’efficace sicurezza alimentare a tutela della salute del consumatore.
Maura Tuzzolino

mercoledì 24 febbraio 2010

Ricordo del Presidente Sandro Pertini

di PIETRO ANCONA
Sandro Pertini è stato il migliore Presidente della Repubblica ma anche e sopratutto una grande anima di socialista e, potrei dire, di italiano nel senso che riassumeva dentro di sè le doti più belle di una nazione che, dopo di lui, ha ripreso a sfasciarsi. Nel Partito non era molto amato dal gruppo dirigente. Era considerato impolitico, veemente, insomma non un maestro. Ma si trattava di un giudizio sbagliato che riguardava più la tecnica e la manovra della politica che la politica stessa. Se questa è vibrazione all'unisono con il sentimento popolare, ebbene Pertini era politico assai di più di quanto lo fossero tanti altri. E' diventato Presidente della Repubblica contro la volontà di Craxi che arrivò a contrapporgli Antonio Giolitti nella speranza che i comunisti cessassero di appoggiarlo. Nel luglio sessanta, quando l'Italia fu in bilico per il mostro fascista che alleva da sempre nel suo ventre, nelle terribili giornate convulse e pericolose, era pronto a contribuire ad un movimento di lotta, se necessario anche armata per contrastare le voglie del duo Gronchi-Tambroni. Ricordo che da Genova lanciò un vibrante appello antifascista ad una Italia che era già in piazza, pronta a difendere la sua libertà. Nel 56 venne ad Agrigento per un comizio. Alloggiò in un albergo situato all'ingresso della città e per tutta la notte ne vegliammo a turno il riposo temendo che subisse un attentato. Allora i politici giravano senza scorta e comunque non credo che l'avrebbe mai voluta. Si assunse la difesa della madre di Salvatore Carnevale al processo contro la mafia di Caccamo che lo aveva trucidato.Era avvocato anche se non esercitò mai la professione tranne che in questa occasione. I mafiosi furono difesi da un famoso avvocato napoletano che poi sarebbe diventato anch'egli Presidente della Repubblica anche se ne fu costretto alle dimissioni da uno scandalo enorme che allora inquietò l'Italia, lo scandalo Lockheed: Giovanni Leone. Pertini e Leone rappresentavano al processo Carnevale due Italie che allora si contrapponevano duramente. Sandro Pertini rappresentava in misura paradigmatica valori che erano l'essenza stessa del socialismo: la coerenza tra la vita e le sue convinzioni. Non piegò mai la testa davanti al fascismo nè volle che lo facesse la madre per chiedere la grazia a Mussolini. Si fece tanti anni di carcere ed aveva cura a stirare i pantaloni da ergastolano piegandoli accuratamente sotto il pagliericcio e di essere sempre in ordine e ben sbarbato. Non voleva dare la soddisfazione al fascismo di averlo ridotto a non avere cura di se stesso. Suggerisco di leggere il suo libro " Sei condanne e due evasioni" per comprendere di quale pasta fosse fatto. Era persona onesta e di grande pulizia morale. Considerava il Palazzo del Quirinale un ufficio al quale si recava dalla sua mansarda di un edificio in Piazza Fontana di Trevi dove viveva con il grande amore della sua vita Carla Voltolina, partigiana, giornalista impegnata ed autrice di un libro "Lettere dalla case chiuse" che contribuì al successo della legge proposta dalla socialista Lina Merlin.
E' ancora per me motivo di orgoglio essere stato nello stesso partito di Sandro Pertini. Un Partito che era molto di più di un'organizzazione di parte perchè incarnava valori generali come la pace, la giustizia sociale, la libertà, la laicità, la dignità dell'uomo che deve essere liberato dalle catene dello sfruttamento e dall'umiliazione di condizioni di vita indecorose. Motivo di orgoglio di aver conosciuto anche persone come Pietro Nenni, Rodolfo Morandi, Emilio e Joice Lussu, Fernando Santi, Riccardo Lombardi che hanno vissuto la politica ed il socialismo con dedizione ed onestà e da statisti facendo della crescita e della diffusione del socialismo sostanza della stessa crescita civile d'Italia. Ma il PSI finisce con la questa generazione. Dal Congresso di Torino in poi, dopo la cancellazione del bellissimo simbolo della falce,martello,libro e sole nascente sostituita dal lugubre garofano ,non è più esistito anche se il nome ha continuito ad essere usato.
Pietro Ancona

Mafia e politica: allarme della Cei: "Il legame paralizza il Sud, che rischia di essere tagliato fuori dalla ridistribuzione delle risorse"

I vescovi difendono il Mezzogiorno: "Richia di essere tagliato fuori dalla ridistribuzione delle risorse". La colpa è della criminalità organizzata e "dell'inadeguatezza presente nelle classi dirigenti". Necessari interventi educativi:" Il mafioso non deve essere visto come modello da imitare". I giovani non siano condannati alla precarietà: "Per crescere il Meridione ha bisogno di loro"
ROMA - Per risolvere la questione meridionale, è necessario "superare le inadeguatezze presenti nelle classi dirigenti" e sconfiggere una volta per tutte le mafie, colpevoli di "avvelenare la vita sociale, pervertire la mente e il cuore di tanti giovani, soffocare l'economia e deformare il volto autentico del Sud''. E' quanto afferma il nuovo documento dei vescovi italiani "Per un Paese solidale. Chiesa e Mezzogiorno". In tutta Italia - denunciano i vescovi - è cresciuto "l'egoismo, individuale e corporativo, con il rischio di tagliare fuori il Mezzogiorno dai canali della ridistribuzione delle risorse, trasformandolo in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo". Durissimo l'attacco alla criminalità organizzata, che "negli ultimi vent'anni ha messo le radici in tutto il territorio nazionale", condannando in primo luogo i giovani del Sud. "Non è possibile mobilitare il Mezzogiorno senza che esso si liberi da quelle catene che non gli permettono di sprigionare le proprie energie", scrivono i vescovi nel testo presentato oggi.
Condanna della criminalità organizzata. La Conferenza Episcopale Italiana duramente il perdurare del fenomeno della criminalità organizzata nel Mezzogiorno, definito l'autentico "cancro" del Sud. "La criminalità organizzata non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell'economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto a una forte limitazione, se non addirittura all'esautoramento, dell'autorità dello Stato e degli enti pubblici, favorendo l'incremento della corruzione, della collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro, manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema delle autorizzazioni e concessioni, contaminando così l'intero territorio nazionale''.
Il testo cita una recente presa di posizione dei vescovi calabresi: "La mafia sta prepotentemente rialzando la testa. Di fronte a questo pericolo, si sta purtroppo abbassando l'attenzione. Il male viene ingoiato. Non si reagisce. La società civile fa fatica a scuotersi. Chiaro per tutti il giogo che ci opprime. Le analisi sono lucide ma non efficaci. Si è consapevoli ma non protagonisti". Per i vescovi, "in questi ultimi vent'anni le organizzazioni mafiose, che hanno messo radici in tutto il territorio italiano, hanno sviluppato attività economiche, mutuando tecniche e metodi del capitalismo più avanzato, mantenendo al contempo ben collaudate forme arcaiche e violente di controllo sul territorio e sulla società". "Purtroppo - aggiungono - non va ignorato che è ancora presente una cultura che consente loro di rigenerarsi anche dopo le sconfitte inflitte dallo Stato attraverso l'azione delle forze dell'ordine e della magistratura. C'è bisogno di un preciso intervento educativo, sin dai primi anni di età, per evitare che il mafioso sia visto come un modello da imitare".

Carenza di senso civico. La Cei sottolinea però che l'economia illegale "non si identifica totalmente con il fenomeno mafioso, essendo purtroppo diffuse attività illecite non sempre collegate alle organizzazioni criminali, ma ugualmente deleterie", come usura, estorsione, evasione fiscale e lavoro nero. "Ciò - sottolinea la Conferenza Episcopale Italiana - rivela una carenza di senso civico, che compromette sia la qualità della convivenza sociale sia quella della vita politica e istituzionale, arrecando anche in questo caso un grave pregiudizio allo sviluppo economico, sociale e culturale". Per questo - concludono i vescovi - la Chiesa "è giunta a pronunciare, nei confronti della malavita organizzata, parole propriamente cristiane e tipicamente evangeliche, come 'peccato', 'conversione', 'pentimento', 'diritto e giudizio di Dio', 'martirio', le sole che le permettono di offrire un contributo specifico alla formazione di una rinnovata coscienza cristiana e civile".

Lavoro per i giovani: il Mezzogiorno ha bisogno di loro. Un pensiero particolare è rivolto ai giovani del Mezzogiorno, coloro che più di tutti gli altri rischiano di pagare il prezzo dell' "inadeguatezza delle classi dirigenti" e della loro incapacità di respingere la criminalità organizzata. "La disoccupazione - scrivono i vescovi - tocca in modo preoccupante i giovani e si riflette pesantemente sulla famiglia, cellula fondamentale della società". Anche se "non è facile individuare quali possano essere le migliori politiche del lavoro da realizzare nel Mezzogiorno", la Cei ricorda che "si deve onorare il principio di sussidiarietà e puntare sulla formazione professionale. I giovani del Meridione non devono sentirsi condannati a una perenne precarietà che ne penalizza la crescita umana e lavorativa". "La disoccupazione - sottolineano - non è frenata o alleggerita dal lavoro sommerso, che non è certo un sano ammortizzatore sociale e sconta talune palesi ingiustizie intrinseche (assenza di obblighi contrattuali e di contribuzioni assicurative, sfruttamento, controllo da parte della criminalità, ecc.)". "Il problema del lavoro - aggiungono - è attraversato da una 'zona grigia' che si dibatte tra il non lavoro, il 'lavoro nero' e quello precario; ciò causa delusione e frustrazione e allontana ancora di più il mercato del lavoro del Sud dagli standard delle altre aree europee". Di qui il "flusso migratorio dei giovani, soprattutto fra i venti e i trentacinque anni, verso il Centro-Nord e l'estero": un fenomeno che "cambia i connotati della società meridionale, privandola delle risorse più importanti e provocando un generale depauperamento di professionalità e competenze, soprattutto nei campi della sanità, della scuola, dell'impresa e dell'impegno politico".
(La Repubblica, 24 febbraio 2010)

martedì 23 febbraio 2010

LE CORNA DI SANT’AGOSTINO. Tecnologie costruttive in uso nel XIII secolo a Corleone

di GIUSEPPE TAVERNA*
Alcuni appassionati della Storia della nostra Città mi hanno invitato a narrare i lavori del convento di Sant’Agostino, da me progettati all’inizio degli anni ottanta ed ahimè ultimati nei giorni scorsi, dopo parecchie vicissitudini che evito di riferire per non rovinare il gusto delle curiosità ai lettori, su uno dei monumenti più prestigiosi ed antichi presenti nella nostra città. Il convento di sant’Agostino è costruito intorno al XIII secolo nell’antico e non più esistente quartiere di Santa Venara, che si trovava ai piedi del castello Sottano, dalle parti dell’ex Asilo. Assieme al quartiere di San Giuliano, posto a monte sotto il castello Soprano, costituiva certamente il primo nucleo abitativo della città, che aveva cominciato a prendere forma attorno ai due castelli, al seguito delle guarnigioni arabe che li presidiavano. Il quartiere di Santa Venara, al contrario di quello di San Giuliano che fu più popolato, non ebbe eguale fortuna, certamente per le continue frane che lo portarono alla completa distruzione intorno all’anno mille. E’ necessario a questo punto premettere, per fare un quadro più chiaro della nascita della città e della presenza degli Agostiniani in quegli anni, che Corleone come tutte le città medievali nasceva all’interno di un preciso disegno Urbanistico, fissato dalla presenza di strutture appartenenti al potere civile ed al potere religioso. Come ho avuto modo di spiegare in un articolo sui Quaderni dell’Urbanistica, Corleone non sfuggì a questa regola e si sviluppò all’interno di un quadrilatero formato dai due castelli, Soprano e Sottano, e dai due conventi della Maddalena e del SS. Salvatore . La vittoria dei Normanni con la conseguente rinascita del Cristianesimo, porto i nuovi conquistatori ad urbanizzare queste terre attraverso anche la presenza di strutture Religiose che potessero essere di riferimento per la popolazione. La donazione di Federico II ad Oddone di Camerana che ripopola Corleone con i suoi Lombardi, avviene in questo alveo ed infatti i nuovi abitatori si sistemano all’interno del quadrilatero, nella parte alta sotto l’agglomerato di San Giuliano, dando vita al fiorente quartiere di San Pietro, che con le sue attività commerciali e le sue residenze prestigiose costituirà per quasi tre secoli il centro vitale della città .A valle invece viene sistemata,secondo la già descritta strategia dei nuovi conquistatori, la struttura religiosa degli Agostiniani, peraltro già presenti nel territorio fuori le mura. La edificazione del convento deve certamente essere collocata intorno al 1200, se già un secolo dopo in alcuni atti dei Notai Bondi De Sales e Nicola Di Monte Albano, lo stesso era destinatario di legati testamentari .Il lettore deve comunque immaginare la città del tempo con la presenza dei due nuclei ai piedi del castello, il fiorente quartiere che da via Lombardia arriva alla chiesa di San Pietro e soprattutto un immensa area all’interno delle mura costituita da catoj sparsi fino alla chiesa di Santo Martino. In questa grande Piazza, dove non erano presenti ancora l’ospedale dei Bianchi, Il complesso di san Ludovico, il Palazzo Municipale e neanche tutti i fabbricati civili, si estendeva il maestoso convento di Sant’Agostino. Nella piazza antistante si svolgeva un grande mercato ed ancora prima che la macellazione si svolgesse nello spiazzo antistante la Porta delle Beveratoja o delle Boccerie, oggi piazza Vasi, la stessa veniva effettuata frequentemente in quest’area. Tutto questo doveva succedere certamente fino alla fine del XIII secolo se agli inizi del XIV nella Assisa, il regolamento medievale del territorio della città, viene introdotto il divieto di fare mercato nello spiazzo antistante la Chiesa di Santo Martino e vengono fissati i giorni per la macellazione nello spiazzo prospiciente la porta delle Boccerie. In questo contesto l’imponente struttura religiosa si estendeva per circa 2000 mq, da un lato guardando il prospetto delle chiesa di Santo Martino ,dall’altra sovrastando nuclei sparsi di catoj che arrivavano fino ad accostarsi alle mura all’altezza delle Porte di Persico e di Groppi, che consentivano l’accesso al fiume, fonte di ricchezza nell’economia cittadina. Devo riportare, per dovere di cronaca, che una tradizione popolare vuole che la costruzione del convento avesse inglobato anche la casa paterna di San Leoluca posta all’angolo con via Spatafora. Il complesso era costituito da una chiesa ad una navata centrale, riccamente decorata nei secoli con marmi policromi e pitture lignee di pregiata fattura, presenti ancora oggi nell’oratorio dei Frati. Dalla chiesa si accedeva direttamente al Chiostro, attraverso una porta che i lavori odierni hanno messo alla luce. Il chiostro costituito da quattro arcate per lato, aveva accesso anche direttamente dall’esterno nella piazza antistante. I piedritti e gli archi erano costituiti da pietrame informe e muratura a sacco. Dalla parte opposta la chiesa si trovavano le celle dei frati, tutte uguali, poste uno accanto all’altra. Nella parte antistante la piazza si trova, riscoperto nei recenti lavori, un pozzo cilindrico che sarà servito non già per la estrazione dell’acqua ma, presumo, per la conservazione delle derrate alimentari.
Ma certamente l’episodio a prima vista più curioso, ma che troverà nell’approfondimento una spiegazione scientifica, è il ritrovamento di un enorme quantità di corna di bovini soprattutto, sopra le volte del piano del chiostro. Il ritrovamento a prima vista ha suscitato l’ilarità delle maestranze che si sono trovate di fronte a questo fatto insolito ma che ha trovato successivamente un supporto scientifico. A mio parere in quei tempi in cui non era certamente conosciuto alcun materiale di isolamento, le corna degli animali garantivano da un lato il riempimento dei rinfianchi delle volte e dall’altro l’isolamento termo acustico nei piani sottotanti. Sia questo episodio che la lettura della tessitura delle pietre, che notoriamente raccontano la loro storia meglio di qualsiasi eccellente narratore, mi hanno portato a ritenere che l’impianto originario si fermasse al piano del chiostro. Infatti la muratura sovrastante riportava orditura e tessitura diversa ed i rinfianchi delle volte erano riempiti diversamente con carbone e cenere. Questa diversa tipologia di tecniche costruttive assieme ai fregi di intonaci presenti nel prospetto di via Spatafora e del cortile, mi inducono a ritenere che il piano sovrastante ed alcune finiture siano successive e databili intorno al XVIII secolo. Questo arco temporale che va dalla fondazione del Convento all’ampliamento è certamente quello del maggiore splendore, sia per l’ubicazione del convento, nella piazza che diverrà un frenetico cantiere dal XIII secolo al XIX, ma anche per la ricchezza dello stesso che disponeva di ingenti possedimenti anche fuori le mura della città. Attorno al complesso si svilupperà la chiesa di Santo Martino che verrà ampliata continuamente in questo arco temporale, l’ospedale dei Bianchi del XV secolo, le ricche dimore degli Spagnoli Sarzana tra via Spatafora e via San Martino, più recentemente San Ludovico, il tutto in una economia che cresceva per la felice posizione della città, posta lungo l’asse Palermo Agrigento, che per la presenza di quel fiume che l’attraversava, che stava ai corleonesi, con le dovute proporzioni, come il Nilo agli antichi Egizi. I numerosi mulini ad acqua erano infatti una primitiva forma di industrializzazione della città. Tutto questo avviene fino al 1867 quando nei primi anni del Regno d’Italia la complessa dinamica dei rapporti istituzionali tra lo Stato e la Chiesa porta alla emanazioni delle cosidette “leggi eversive”. Queste disciplinavano per tutto il territorio nazionale la soppressione delle corporazioni religiose e la devoluzione al demanio dei loro beni, portando a compimento l’acquisizione del patrimonio ecclesiastico nelle regioni in cui più massicce erano state le soppressioni Napoleoniche. A Corleone molti beni della chiesa subirono questa sorte, ma non tutti passarono nel patrimonio del Demanio. Infatti alcuni di questi beni rimasero tra le grinfie di alcuni speculatori, successivamente scomunicati dalla Chiesa, che fecero le loro fortune approfittando del trapasso .Il complesso di Santo Agostino subì questa sorte, staccandosi dalla chiesa che veniva lasciata alla amministrazione ecclesiastica. E’ di quel periodo la istituzione del Regio Liceo Classico e la destinazione del complesso a scuola pubblica. Il complesso viene stravolto con la occlusione degli archi del chiostro che diventerà in parte aula ed in parte biblioteca e la suddivisione degli ampi corridoi e saloni in piccole aule intitolate ai caduti della grande guerra. Vengono sbarrati gli accessi alla chiesa ed una parte dell’edificio viene affidato alla banca cooperativa denominata “San Leoluca”. Alcune stanze del piano terra ospitano l’ufficiale sanitario, altre l’associazione combattenti ed altre ancora magazzini del Comune. Questo spettacolo si presentò a me, giovane architetto, incaricato subito dopo il terremoto di predisporre gli atti per una celere demolizione del complesso per fare spazio ad una piazza da destinare a parcheggio comunale. Sin dalle prime visite girandolo e rigirandolo i miei occhi, ancora non sazi della storia dell’urbanistica della città di Corleone consegnata per la mia laurea al professore Enrico Guidoni, che la pubblicò nei Quaderni dell’Urbanistica, riuscivano ad intravedere in alcuni elementi di quel decrepito edificio che aveva sfidato l’incuria degli uomini e parecchi terremoti, elementi di una grandiosità che non era stata cancellata ed aveva sfidato i secoli. Gli archi seppur murati lasciavano intravedere l’antico chiostro, le piccole aule lungo il corridoio lasciavano immaginare le celle dei frati e piano piano nella mia fantasia si animava un mondo che era scomparso. I frati che uscivano veloci dalla chiesa per correre lungo il chiostro e raggiungere le loro celle, le campane che suonavano ed attiravano i tanti miserabili che avevano fatto della piazza la loro dimora, ed infine uscendo dalla porta questa vasta radura fatta di ciotoli e pietre mal sistemate da dove si intravedeva la chiesa del Santo Martino e li vicino il cimitero un grande mercato di animali ancora vivi ingabbiati in arnie di legno, ortaggi, panni, carni appena macellate con il sangue ancora caldo che tingeva le pietre con un via vai di gente che entrando dalla porte delle Boccerie, trattava, barattava, comprava, in un miscuglio di voci e suoni ancora lontani dalla nostra lingua madre. Certo pensai che non potevo proprio eseguire il mandato affidatomi dal Comune e mi recai dall’allora Sindaco che mi ricevette con la giunta al completo. Spiegai le ragioni che mi portavano a rifiutare quell’incarico che avrebbe cancellato un pezzo della nostra città, ma fui interrotto dall’autorità di un rozzo assessore che appellandosi alla modernità a cui la città doveva andare incontro mi invitava non solo a procedere celermente al progetto di demolizione ma esortava il capo dell’ufficio tecnico a demolire tutti gli edifici pericolanti compreso il vecchio Ospedale dei Bianchi, per creare spazi per quella nuova era della modernizzazione che vedeva l’industria automobilistica sempre più in rapida espansione. D’altra parte non era stata proprio Corleone nel periodo fascista, la prima ad adeguarsi demolendo le porte medievali per ampliare la traversa grande? Certamente fu proprio quell’ultimo esempio portato dall’assessore che mi diede la certezza di non poter diventare responsabile di un nuovo massacro della città antica, che avrebbe avuto inizio con la demolizione di Sant’Agostino.
Il sindaco a quel punto che aveva seguito con interesse le diverse opinioni mie e dell’Assessore chiese una pausa di riflessione rimandando al domani la decisione. L’indomani di buon mattino il capo dell’ufficio tecnico mi convocò nel suo ufficio comunicandomi la decisione del Sindaco di non demolire l’edificio ma di procedere a salvarlo per quello che era ancora possibile. Oggi tutti noi ed io per primo dobbiamo ringraziare la saggia decisione di quel sindaco a cui sono certo sarà comparso in quella notte l’immagine dei frati che correvano nel chiostro, il mercato nella piazza antistante il convento, i viandanti che attraversavano la Porta delle Boccerie e tante altre immagini di una bellissima Corleone che non c’è più.
* Architetto, progettista e direttore dei lavori di restauro dell'ex Convento di Sant'Agostino
FOTO. Dall'alto: il Chiostro restaurato; il chiostro com'era prima.

Il 21 marzo, giornata nazionale della memoria e dell'impegno contro tutte le mafie, diventi un appuntamento nazionale istituito per legge...

L’obiettivo e’ quello di trasformare l’iniziativa gia’ sostenuta dalla associazione ‘’Libera’ in un appuntamento nazionale, riconosciuto dal Parlamento italiano, istituito per legge. Il 21 marzo occasione quindi di sensibilizzazione rispetto alla lotta alle mafie e di conoscenza di quegli elementi comuni della storia nazionale che possano allargare e approfondire la memoria condivisa e l’identita’ nazionale. Un momento di formazione, informazione e memoria. Memoria e Impegno. Le due parole che da ormai 15 anni accompagnano la giornata annuale dedicata al ricordo delle quasi 1000 vittime di mafia nel Paese. Di tutti quelli di cui conosciamo il nome, e di quelli che non conosciamo ancora oggi. “Riteniamo indispensabile - scrivono i primi firmatari* - costruire un percorso di “memoria condivisa” tra i giovani, sulla storia recente della Nazione, caratterizzata da enormi sforzi e sacrifici anche estremi volti ad affrancare l’Italia della presenza di tutte le mafie.[...]. Il 21 marzo, data di inizio della primavera, rappresenta nell’immaginario collettivo il simbolo più grande di rinascita e speranza. In questa data, a cui Libera associazione contro tutte le mafie, ha già da anni attribuito valenza simbolica impegnandosi in programmi nazionali in ricordo delle vittime di mafie e anticipando cosi virtuosamente le finalità della presente proposta di legge”. Ecco i passi salienti del testo d legge:

ART. 1.

1. La Repubblica italiana riconosce il 1° marzo come «Giornata nazionale della legalità e della memoria condivisa contro tutte le mafie».

2. La giornata di cui al comma 1 non etermina gli effetti civili di cui alla legge 7 maggio 1949, n. 260.

ART. 2.

1. In occasione della giornata di cui l’articolo 1 sono organizzate in tutto il territorio nazionale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, presso le scuole, le università, i tribunali, gli enti territoriali e le sedi di altre istituzioni, iniziative finalizzate alla costruzione, nell’opinione pubblica e nelle giovani generazioni, di una memoria condisa sulla lotta a tutte le mafie.

2. In occasione della giornata di cui l’articolo 1, gli enti e le istituzioni di cui comma 1 del presente articolo realizzano le rispettive iniziative attraverso forme di collaborazione e partecipazione delle Forze dell’ordine, della magistratura, delle istituzioni parlamentari e delle associazioni imprenditoriali, antiracket e antimafia.

3. In occasione della giornata di cui l’articolo 1, le scuole del primo o del secondo ciclo di istruzione, su tutto il territorio nazionale, dedicano l’intera attività scolastica esclusivamente al ricordo delle vittime delle mafie e al racconto e all’approfondimento degli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia recente della Nazione e i successi dello Stato nelle politiche di contrasto e di repressione di tutte le mafie.

Firmatari: Granata - Giulietti - Frassinetti - Murgia - Minardo -. Giammanco - Realacci - Antonino - Russo - Leoluca Orlando - Ghizzoni.

lunedì 22 febbraio 2010

Rally. La nuova Ronde dello Jato inaugura la stagione automobilistica siciliana

Il via domenica 14 marzo da San Cipirello. Le iscrizioni si chiuderanno l’8 marzo - Previsti quattro passaggi sulla prova di Roccamena. In gara anche 10 Autostoriche
San Cipirello (PA), 22 febbraio 2010 – Sarà la prima edizione della Ronde dello Jato, le cui iscrizioni si sono appena aperte, ad inaugurare il 14 marzo la stagione rallistica siciliana. La gara organizzata dall’Associazione Sportiva Aquila Onlus di Alcamo prosegue sull’esperienza delle sette edizioni del Rallysprint dello Jato, prendendone ora il posto dopo che la CSAI ha di fatto cancellato questa tipologia di manifestazioni. La Ronde dello Jato, che godrà anche dell’appoggio dell’Assessorato Regionale Sport, Turismo e Spettacolo, della Provincia Regionale di Palermo, e del sostegno della Banca di Credito Cooperativo Don Rizzo, si disputerà su un’unica prove speciale da ripetersi per quattro volte: la Roccamena, lunga 10,3 chilometri. In totale il percorso di gara misura 191,77 km, 41,20 costituiti dalle quattro prove speciali: in pratica rispetto alla passata edizione sono raddoppiati sia il chilometraggio totale che quello delle P.S., rendendo così la gara più impegnativa e selettiva. Patrocinata come consuetudine dalle amministrazioni comunali di San Cipirello e Roccamena, la Ronde vedrà sicuramente al via diversi degli equipaggi che hanno animato le precedenti edizioni del rallysprint, l’ultima delle quali vinta dalla Renault Clio R3 di Trupiano-D’Amico. San Cipirello oltre che della partenza sarà anche teatro dei quattro Parchi Assistenza e dei tre Riordinamenti, tutti ubicati in via Trento nelle vicinanze della Direzione Gara che sarà ospitata nei locali del pub Wonder. Il programma della 1a Rally Ronde dello Jato prevede per sabato 13 marzo, dalle ore 9,30 alle 13,30 sempre a San Cipirello presso il pub Wonder, lo svolgimento delle operazioni di verifica sportiva degli equipaggi iscritti ed in piazza Vittorio Veneto le verifiche tecniche delle vetture, mentre alle 14,30 avranno inizio le “ricognizioni” autorizzate sulla P.S. Roccamena. La partenza sarà data domenica 14 marzo alle ore 8.00 da piazza Vittorio Veneto, mentre la conclusione del rally è prevista nella stessa piazza per le ore 18,30. La premiazione dei vincitori, invece, si svolgerà alle ore 20,30. Alla manifestazione saranno ammesse oltre alle vetture dei Gruppi WRC, R, A ed N, anche le Vetture di Fine Omologazione e le Autostoriche, tra le quali lo scorso anno si impose la Porsche 911 di Trinca-Ravetto Antinori. L’A.S. Aquila Club, presieduta da Nicola Cassarà ha messo in cantiere per fine anno un’altro rally, la Ronde Adelkam, che il 5 dicembre sancirà il ritorno della specialità ad Alcamo.

domenica 21 febbraio 2010

Le scelte del governo nazionale hanno aggravato il divario tra Nord e Sud

di Giuseppe Lumia
Il divario tra Nord e Sud, in termini di Pil, rimane invariato; l’occupazione nel Mezzogiorno cala del 4,1%; ci sono poche infrastrutture e la qualità dei servizi è scarsa, mentre non si arresta l’emorragia dei tanti giovani, che abbandonano il Meridione per mancanza di opportunità lavorative e prospettive di vita.
È la fotografia scattata dallo studio della Banca d’Italia nelle regioni del Sud. Il lavoro di Palazzo Koch non manca di sottolineare il “fattore” criminalità organizzata, che “altera gravemente le condizioni di concorrenza e incide anche sul comportamento delle imprese legali. Impone costi diretti, come le estorsioni, e indiretti, come l’obbligo di assunzione di personale o la non interferenza in taluni appalti. Le imprese legate alla criminalità possono inoltre avvantaggiarsi di pratiche di mercato in realtà consentite solo dal reimpiego di capitali illeciti”. Secondo Bankitalia, inoltre, “la criminalità influenza anche i costi del credito, più elevati al Sud, e la sua presenza accresce i tassi di interesse praticati alle imprese”. Un deficit strutturale che si ripercuote nella quotidianità e nella vita dei cittadini. Solo per dirne una, oggi un’indagine realizzata da Cittadinanzattiva prende in esame la scuola dell’infanzia nell’Isola, registrando dati negativi: “su 10.055 domande presentate, in Sicilia uno su tre (33%) dei richiedenti rimane in lista di attesa, a fronte di una media nazionale del 25%. Tra i capoluoghi di provincia siciliani, Caltanissetta presenta le liste di attesa più alte con il 72% di domande respinte, seguita da Trapani (55%) e Palermo (52%). Se è vero che le cause delle condizioni in cui versa il Sud e la Sicilia affondano nella storia del nostro Paese e attraversano i decenni fino ai giorni nostri e pur vero che molte delle scelte operate da questo governo hanno aggravato la situazione. Si pensi ai tagli del Ministro della pubblica istruzione, al dirottamento di una buona parte delle risorse dei Fas (fondi per le aree sottoutilizzate) in molte regione del Nord, allo sbilanciamento di investimenti pubblici per la costruzione di infrastrutture a favore del Settentrione, al comportamento passivo del governo sulla vertenza fiat di Termini Imerese. La prima cosa da fare per uscire da questa empasse è prendere coscienza della situazione che stiamo vivendo e del malgoverno di un centro-destra troppo impegnato a conservare lo status quo. Bisogna scardinare il vecchio sistema di potere basato sull’intermediazione burocratico-clientelare, spesso affaristico-mafiosa, e mettere finalmente al centro gli interessi dei cittadini. La politica abbia il coraggio di rinnovarsi e imboccare la strada delle riforme sotto il segno della legalità e dello sviluppo. Solo così potremo cambiare in meglio la realtà. È questo quello che il Partito democratico sta cercando di fare sia a livello regionale – proponendo riforme radicali sulla sanità, sui rifiuti, sull’energia… – sia a livello nazionale, costruendo un’alternativa di governo seria e credibile.

venerdì 12 febbraio 2010

Corleone. I rappresentanti di "Corleone Dialogos" e di "Oltre il Muro" si dimettono dalla Consulta Giovanile in polemica con la giunta Iannazzo

Al Sindaco del Comune di Corleone
Antonino Iannazzo
Al Presidente del Consiglio Mario Lanza
All’Assessore alle politiche giovanili
Carlo Vintaloro
Al Presidente della Consulta Giovanile
Liborio Gennaro

Oggetto: Dimissioni da membri della consulta giovanile da parte del circolo Corleone Dialogos e dell’Osservatorio Politico “Oltre il Muro”

L’Osservatorio Politico “Oltre il Muro”, prima, e l’associazione Corleone Dialogos, in seguito, hanno proposto e sostenuto l’approvazione della Consulta Giovanile nel Comune di Corleone. Lo statuto da noi redatto e concordato con l’allora assessore alle politiche giovanili, oggi Sindaco, Iannazzo è stato approvato in Consiglio Comunale nel 2008. Così la Consulta è divenuta un organo della nostra città. Di certo mai avremmo pensato di dovere ammettere nel bilancio sociale delle attività dell’anno 2009 di Corleone Dialogos che: “la Consulta non ha funzionato per molteplici cause, ma anche per responsabilità nostre”. Questo significa assunzione di responsabilità di un’associazione seria e coerente. Avendone preso atto abbiamo, da ottobre ad oggi, cambiato rotta attraverso una politica di rivendicazione delle prerogative della Consulta e contemporaneamente si sono adottate una serie di proposte da mettere in atto.
Parte avversa è stato il Comune di Corleone che fino ad oggi ha considerato la Consulta Giovanile come un ostacolo, uno strumento che può servire quando conviene, come comitato feste o per scegliere il cantante da portare ecc…... Fino ad oggi, a differenza nostra, né il Sindaco Iannazzo, né il Presidente del Consiglio Lanza né l’assessore Vintaloro si sono assunti le proprie responsabilità, per non avere voluto dare spazio ai giovani e per non aver dato la possibilità alla Consulta di ottemperare al ruolo principale che è quello di esprimere pareri – obbligatori anche se non vincolanti – sulle proposte di deliberazione relative agli argomenti sopra indicati ed in generale alla condizione giovanile. Tale possibilità avrebbe permesso alla Consulta di avere cognizione delle politiche giovanili del Comune di Corleone e quindi di avere gli strumenti cognitivi per poter proporre e divenire protagonista delle scelte degli atti amministrativi che riguardano i giovani corleonesi.
Tutto questo ha anche portato un clima pesante all’interno della Consulta che ,a volte, ha minacciato di intaccare i rapporti personali dei vari membri della stessa.
L’ennesima offesa istituzionale ,da parte dell’amministrazione comunale, è arrivata in occasione dell’organizzazione del carnevale 2010, quando la stessa ha inviato il programma della manifestazione dopo che sostanzialmente era stato tutto già deciso. Ciò dimostrato dalla pubblicazione dello stesso nel nostro sito http://www.corleonedialogos.it/ e in un articolo sul Giornale di Sicilia; certamente non sarebbe cambiato nulla anche se non vi fosse stata la pubblicazione in quanto per correttezza la Consulta avrebbe dovuto esprimersi fin da quando l’associazione Cuor di Leone ha proposto di organizzare l’evento. Ma ciò non è avvenuto. Difatti, in sede di seduta straordinaria, per l’approvazione del programma del carnevale corleonese 2010, convocata il 04/02/2010, 8 membri su 10, su iniziativa dei nostri rappresentanti, si sono astenuti in quanto tutto era già stato definito, e quindi , esprimere il loro parere non avrebbe avuto alcun senso. Ciò ne ha determinato la bocciatura come prevede il regolamento del Consiglio Comunale. Ribadiamo che la nostra contrarietà non era in merito al programma, che anzi va promosso come stiamo facendo con Dialogos, ma in merito al modus operandi del Comune di Corleone nei confronti della Consulta.
Noi crediamo oggi come nel passato nella Consulta Giovanile, ma prendiamo atto che ancora la classe politica del Comune di Corleone non è matura, non ha la volontà e non ha le capacità organizzative per poter rendere i giovani protagonisti. Come pure ancora i giovani corleonesi hanno una cultura troppo individualista che ostacola tutte le potenzialità di una Consulta pensata e voluta come un organo rappresentativo delle realtà politiche, associative e sociali della nostra città. All’interno della Consulta in questi mesi abbiamo rivendicato il rispetto delle regole e per ottenere ciò che le è dovuto... Questi sono i motivi per cui con amarezza oggi abbiamo deciso di uscire dalla Consulta Giovanile e ne diamo comunicazione al Presidente della Consulta Giovanile. Per noi la Consulta è come una figlia che non è cresciuta come l’avevamo sognata. Auguriamo ai membri della Consulta e all’amministrazione comunale di dirigersi verso la retta via, anzi siamo certi che dopo questa nostra sofferta decisione, da parte di tutti si avrà accortezza e rispetto del ruolo della Consulta come organo consultivo e propositivo delle politiche giovanili.
Corleone li 05/02/2010
In rappresentanza dell’Osservatorio Politico “Oltre il Muro”
(Cosimo Lo Sciuto)

Il Presidente di Corleone Dialogos
(Dott. Giuseppe Crapisi)

giovedì 11 febbraio 2010

Viaggio nel territorio dove l'antimafia ha messo radici e creato sviluppo

di Marco Blanco
Una gita domenicale promossa da “Libera – associazioni, nomi e numeri contro le mafie” come se ne fanno tante in un posto come pochi ne esistono. Provincia di Palermo, feudo Sicilia: Corleone. Dici Corleone e la mente viaggia verso Don Vito che accarezza il gatto nel giorno del matrimonio della figlia, campieri baffuti con coppole e lupare, favori e ammazzamenti, collusioni e omertà.
Echeggia la mente del vociare dei media in cerca di caratterizzazioni frettolose che hanno dipinto a foschi tratti questa cittadina dell'Alto Belice come se fosse solo il luogo che ha tenuto a battesimo le gesta vili dei vari Riina, Provenzano e Brusca. Corleone terra di mafia è sempre stato detto. Abbiamo assorbito negli anni sentenze lapidarie che odoravano di pregiudizi, sangue e polvere da sparo senza capire, ciancicando stancamente triti luoghi comuni: e adesso, toccata con mano la realtà complessa di quei luoghi e il coraggio di alcuni dei loro abitanti si prova un profondo senso d'imbarazzo e una sottile vergogna nel dover ammettere di essersi sbagliati.

Grazie a “Libera”, infatti, domenica 17 gennaio oltre cento “turisti responsabili” provenienti da tutta la provincia di Ragusa hanno potuto visitare alcuni dei luoghi assurti a modello per quanti agognano libertà dal giogo delle mafie. Prima tappa della carovana è stata Portella della Ginestra, il luogo in cui il primo maggio del 1947 undici contadini, “comunisti per il pane”, furono massacrati in quella che gli storici definiscono la prima strage di Stato per mano mafiosa. Insieme a Caterina Pellingra e Davide Perricone, mediatori culturali di “Libera Terra Mediterraneo”, il gruppo ha ripercorso la storia della mafia nell'Alto Belice, nata essenzialmente come mafia agraria votata alla difesa del latifondo e trasformatasi con il trascorrere del tempo in organizzazione criminale internazionale dedita ad ogni genere di attività illecita. Successivamente i pullman di “Libera” hanno raggiunto San Cipirello, dove le cooperative “Placido Rizzotto” e “Pio la Torre” coltivano quasi quattrocento ettari di terreni confiscati alla mafia. Nella cantina sorta sul terreno sequestrato a Giovanni Brusca e che adesso produce il vino “Centopassi” uno dei fondatori delle cooperative ha illustrato le difficoltà e i sacrifici che ciascuno dei soci ha dovuto affrontare per il consolidamento della struttura. Intimidazioni certo, diffidenza degli abitanti del luogo ma anche pastoie burocratiche e difficoltà iniziale nel reperimento dei fondi che ha portato i soci a rinunciare per un anno e mezzo al proprio stipendio pur di non abbandonare il sogno di un lavoro affrancato dal dominio dei boss. I “turisti responsabili” di Libera si sono poi spostati all'agriturismo “Terre di Corleone” realizzato in un casolare appartenente a Totò Riina dove hanno potuto gustare in anteprima – la struttura sarà aperta al pubblico tra poche settimane – un pranzo preparato con i prodotti biologici delle cooperative Libera Terra.

Ultima tappa della carovana Corleone, dove il gruppo ha visitato il Centro internazionale di documentazione sulle mafie e del movimento antimafia che ospita, tra l'altro, una sala contenente i faldoni del maxi-processo che assestò un colpo durissimo alle cosche mafiose. Infine, un giro per Corleone, dove il gruppo ha potuto conoscere i veri Corleonesi e scoprire un popolo ospitale, laborioso e tenace. Né più né meno di tanti altri siciliani: un popolo che si è stancato di essere considerato speciale e che ha voglia di mostrare al mondo la propria normalità e il proprio coraggio nell'affrontare il cancro mafioso. Perché la lotta alle cosche acquista un valore ancora più grande dove le minacce talora si concretizzano in proiettili sparati addosso.

Non siamo ingenui: Corleone è ancora terra di mafia. Eppure è anche, e forse soprattutto, terra di antimafia. Una terra in cui sempre più persone decidono di sfidare le cosche alla luce del sole ipotecando ogni cosa – la propria tranquillità, ma anche la propria vita – per una speranza. Davvero il riscatto dei siciliani riparte da Corleone. Senza la pletora di tanti professionisti dell'antimafia: semplicemente, lavorando le terre che lo Stato italiano ha confiscato ai boss del luogo. Perché si può fare antimafia anche producendo il vino, arando la terra o mietendo il grano, perché trasformare in risorsa per il territorio un bene confiscato alla mafia ha più valore dei vuoti proclami grondanti retorica del politico di turno, perché il lavoro onesto delle cooperative sociali sorte sulle terre strappate al dominio mafioso riscatta dal ricatto mascherato da “lavoro” che i mafiosi pretendono di dare. La mafia si pasce della povertà e cresce nelle sacche di indigenza: solo dando come diritto ciò che le organizzazioni criminali concedono come privilegio, si potrà sconfiggere questa malerba che soffoca il popolo siciliano. A Corleone ci credono: tocca a noi siciliani seguire il loro esempio.
Liberainformazione, 09.02.201

Arianna Melita: "Ho trovato il presepe che cercavo proprio qui a Corleone..."

Il 15 dicembre 2009 alcune classi della mia scuola sono andate a visitare i presepi di Caltagirone. Dopo aver ammirato il primo, visto il secondo e guardato stancamente gli altri mi sono resa conto che erano tutti gli stessi. Bellissimi certo, ma la mancanza di particolari li rendeva … “niente di particolare”. Qualche giorno fa invece, ho trovato il presepe che cercavo proprio qui a Corleone: in casa di Chiara Filippello, in via Borgognoni. Tutta la famiglia si è rimboccata le maniche per costruire un vero e proprio capolavoro. Mi hanno raccontato di aver lavorato ogni notte (perché di giorno lavoravano) per un mese intero.
Il presepe rappresenta uno spaccato di vita corleonese e delle sue tradizioni. Chiara, che è un architetto, ha ripreso gli elementi naturali e antropici del nostro paese: la Rocca Soprana e Sottana, la cascata delle Due Rocche, gli uliveti, la torre Saracena, piazza Nascè con la sua fontana ottagonale, la scalinata di via Bentivegna e i suoi bastioni. Oltre ai personaggi tipici del presepe, c’erano quelli che rappresentavano i lavori artigianali di una volta, cioè: il falegname, il calzolaio, il fabbro, la massaia, la lavandaia, la tessitrice, ”l’impagliatore”, “il conza piatti e lemmi”... Tutti i personaggi sono stati creati da Chiara. Mi ha raccontato di aver acquistato su Internet un kit contenente i volti e gli arti da modellare di volta in volta, per farli apparire giovani o anziani e su di essi ha cucito pazientemente gli abiti con pizzi e merletti. Le case erano fatte di polistirolo, rivestito di mattoni e tegole lavorate e dipinte una ad una.
Tutti i personaggi erano in movimento, ciascuno intento nel proprio lavoro e anche la Madonna muoveva la culla col bambino. Ciò che ha sbalordito di più i visitatori è stata la dovizia di particolari: le tende delle case tutte sfilate, i copriletto ricamati, i centri, i mobili, i quadri, i piccoli attrezzi da cucina tutti in rame, la cassetta dei fichi e del pomodoro messa ad asciugare, ” lo scanatore con l’ astratto”, i sacchi di frutta e verdura, la merceria che vendeva di tutto: “dalle stoffe alle sarde salate”, la casalinga che puliva lo sparacello… L’ allestimento del presepe ha coinvolto sia tutta la famiglia Filippello che il vicinato, tutti hanno dato una mano. Il presepe, comunque, è ancora visitabile e pronto ad ammaliare e meravigliare altri curiosi.
Arianna Melita
Corleone 04.01.2010

lunedì 8 febbraio 2010

Massimo Ciancimino accusa Forza Italia: "La sua nascita è il frutto della trattativa con la mafia"

di SALVO PALAZZOLO
Nuova audizione del figlio del sindaco di Palermo, che mostra una lettera a Berlusconi: "La scrisse mio padre, e il nuovo partito nacque dai contatti Stato-Cosa nostra"

PALERMO - Massimo Ciancimino torna a deporre al processo che vede imputato l'ex generale del Ros ed ex capo dei servizi segreti Mario Mori e parla della "terza fase" della trattativa che sarebbe stata intavolata fra Cosa nostra ed esponenti delle istituzioni a partire dal 1992, l'anno delle stragi Falcone e Borsellino. "Nel 1994, l'ingegner Lo Verde, alias Bernardo Provenzano, mi fece avere tramite il suo entourage una lettera destinata a Dell'Utri e Berlusconi - rivela Ciancimino - Io la portai subito a mio padre, che all'epoca era in carcere: lui mi disse che con quella lettera si voleva richiamare Berlusconi e Dell'Utri, perché ritornassero nei ranghi. Mio padre mi diceva che il partito di Forza Italia era nato grazie alla trattativa e che Berlusconi era il frutto di tutti questi accordi". C'è quella lettera al centro della deposizione di Massimo Ciancimino. "Ne è rimasta solo una parte - dice il testimone rispondendo alle domande del pubblico ministero Antonio Ingroia - eppure, fino a pochi giorni prima della perquisizione fatta dai carabinieri nel 2005 a casa mia, nell'ambito di un'altra indagine, il documento era intero. Ne sono sicuro. Non so cosa sia successo dopo". In ciò che è rimasto nella lettera si legge: "... posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive". Il "triste evento" sarebbe stato un atto intimidatorio nei confronti del figlio di Silvio Berlusconi. Massimo Ciancimino spiega: "Provenzano voleva una sorta di consulenza da parte di mio padre: questo concetto di mettere a disposizione le reti televisive l'aveva suggerito proprio lui a Provenzano, qualche tempo prima. Mio padre si ricordava di quando Berlusconi aveva rilasciato un'intervista al quotidiano Repubblica. Diceva che se un suo amico fosse sceso in politica lui non avrebbe avuto problemi a mettere a disposizione una delle sue reti".
Vito Ciancimino avrebbe poi rielaborato la lettera di Provenzano: Massimo Ciancimino ha consegnato questa mattina al tribunale il secondo foglio della bozza scritta dal genitore. "La lettera è indirizzata a Dell'Utri e per conoscenza al presidente del consiglio onorevole Silvio Berlusconi - spiega il testimone - io fui incaricato di riportarla a Provenzano. Poi non so che fine abbia fatto e se sia stata consegnata". Insorge in aula l'avvocato Piero Milio, uno dei legali del generale Mori: "Cosa c'entrano questi argomenti con il processo, che si occupa della presunta mancata cattura di Provenzano nel 1995 a Mezzojuso, provincia di Palermo?". Il presidente della quarta sezione del tribunale, Mario Fontana, respinge l'opposizione e invita il pubblico ministero Ingroia a proseguire nelle domande: "E' comunque importante accertare cosa sia avvenuto eventualmente prima o dopo", dice. Secondo la ricostruzione di Massimo Ciancimino, fatta propria dalla Procura, la trattativa fra mafia e Stato condotta durante le stragi del 1992 avrebbe avuto una "terza fase": "A Vito Ciancimino, nel rapporto con Cosa nostra, si sarebbe sostituito Marcello Dell'Utri", è l'accusa del figlio dell'ex sindaco. Che aggiunge: " Mio padre mi disse che fra il 2001 e il 2002 Provenzano aveva riparlato con Dell'Utri". La "bozza Ciancimino" ha un passaggio in più rispetto al documento sequestrato nel 2005. E' scritto nel finale: "Se passa molto tempo e non sarò indiziato del reato di ingiuria sarò costretto ad uscire dal mio riserbo che dura da anni e convocherò una conferenza stampa". Chiede il pubblico ministero Nino Di Matteo: "Cosa sua padre minacciava di svelare?". Risponde Ciancimino junior: "L'origine della coalizione che aveva portato in politica Silvio Berlusconi". Chiede ancora il pm: "A quando risaliva la bozza?". Ciancimino: "Il 1994-1995".
I servizi segreti. Nell'audizione torna il misterioso "signor Franco", l'agente dei servizi segreti che secondo Ciancimino junior sarebbe stato in contatto con il padre e con Provenzano. "Dopo un'intervista con Panorama, in cui emergeva in qualche modo un mio ruolo nell'arresto di Riina, il signor Franco mi invitò caldamente a tacere e a non parlare più di certe vicende perché tanto non sarei mai stato coinvolto e non sarei mai stato chiamato a deporre. Cosa che effettivamente avvenne - accusa Ciancimino junior - visto che fino al 2008, quando decisi di collaborare con i magistrati, nessuno mi interrogò mai". Anche durante gli arresti domiciliari Massimo Ciancimino avrebbe ricevuto una strana visita: "Un capitano dei carabinieri - dice il testimone - mi invitò caldamente a non parlare della trattativa e dei rapporti con Berlusconi".

L'incontro con Gelli. Un emissario del signor Franco gli avrebbe pure preannunciato un'imminente inchiesta nei suoi confronti e persino gli arresti domiciliari: "Per questo, ero stato invitato ad andare via da Palermo". Ciancimino riferisce ancora le parole che gli avrebbe riferito il capitano del Ros Giuseppe De Donno, collaboratore di Mori:"Mi rassicurò che nessuno mi avrebbe mai sentito sulla vicenda relativa all'arresto di Riina. Su questa vicenda - mi disse - sarebbe stato persino apposto il segreto di Stato". "Franco" avrebbe intensificato i suoi rapporti con i Ciancimino nell'estate delle stragi e avrebbe svolto un ruolo, prima in veste defilata poi da protagonista, nella cosiddetta "trattativa" tra Cosa nostra e le istituzioni. In quei mesi Vito Ciancimino avrebbe anche incontrato Licio Gelli a Cortina.

La perquisizione. Secondo la Procura, l'ultimo mistero legato al caso Ciancimino sarebbe quello della perquisizione del 2005: "Nessuno dei carabinieri presenti - accusa il testimone - chiese di aprire la cassaforte, che era ben visibile nella stanza di mio figlio". Si commuove Massimo Ciancimino quando vede le fotografie della casa, fatte di recente dalla Dia su ordine della Procura. "In quella villa di Mondello ho tanti ricordi - spiega - lì ha vissuto mio figlio dopo la nascita". Dopo una breve sospensione dell'udienza, Ciancimino torna ad accusare: "I carabinieri e qualcun altro sapevano che in quella cassaforte c'erano il papello e altri documenti".

Le minacce. "Anche la settimana scorsa ho ricevuto delle pesanti intimidazioni - denuncia Massimo Ciancimino - sul parabrezza della mia auto è stata lasciata una lettera dal contenuto molto chiaro: neanche i magistrati di Palermo ti potranno salvare".

Le reazioni. "Siamo alla pura invenzione che sfiora, anzi sicuramente entra nel campo della pazzia". E' la durissima reazione di Marcello Dell'Utri, che conclude; "Lo Stato non eravamo noi. In ogni caso, a parte che non siamo lo Stato, non siamo mai stati in condizione di essere parte in questi discorsi". A lui si aggiunge il commento di Gaetano Quagliarello, vicecapogruppo Pdl in Senato: "La farsa continua".
La Repubblica, 08 febbraio 2010
FOTO. Dall'alto: Massimo Ciancimino; la lettera "incriminata".

domenica 7 febbraio 2010

Regione Siciliana. Presto un disegno di legge per il piano regionale dei rifiuti

Lillo Miceli
Palermo. Un disegno di legge che non lasci spazio alla libera interpretazione delle norme. Rigorose e precise per creare un sistema omogeneo nella gestione nel ciclo dei rifiuti su tutto il territorio isolano. Sono queste le linee guida del provvedimento che i tecnici dell'assessorato all'Energia stanno mettendo a punto, in stretta osservanza del documento che la commissione dei saggi, presieduta all'ex prefetto di Catania, Anna Maria Cancelliere, ha consegnato al presidente della Regione, Raffaele Lombardo, lo scorso mese di dicembre. Allo stesso documento si ispirerà il disegno di legge che sarà depositato all'Ars dal gruppo parlamentare del Pd. Un disegno di legge che dovrebbe essere in sintonia con quello del governo, considerato che il Partito democratico ha deciso di sostenere il «Lombardo ter» sulle riforme.
Punti salienti del disegno di legge ancora in gestazione (mancano gli ultimi dettagli), la riduzione a 9 gli attuali 27 Ato rifiuti che saranno trasformati in Consorzi fra comuni ricadenti nello stesso ambito provinciale. Ma per Palermo, Catania e Messina potrebbero essere previsti singoli ambiti. La responsabilità della gestione e dell'efficacia del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti tornerà ai sindaci, che avranno precise responsabilità. A cominciare dall'incremento della raccolta differenziata che entro il 2012 dovrebbe raggiungere il 50% (attualmente è al 6%), con l'intento di avvicinarsi successivamente al tetto del 65% previsto dalla normativa europea. Non ci saranno più le società per azioni che governano gli Ato rifiuti, dunque, ma Consorzi. Organi di ogni consorzio saranno: l'assemblea dei sindaci; il presidente del consorzio (eletto dai sindaci); il presidente dell'assemblea dei sindaci che sarà il presidente della Provincia. Funzioni che saranno a titolo gratuito. E non ci saranno scappatoie, tipo consulenze o altro. Per esempio, la Provincia per eventuali indagini ambientali potrà rivolgersi soltanto all'Arpa.
Sanzioni severissime, fino alla decadenza, inoltre, sono previste per i sindaci e i consigli comunali che non adegueranno allo standard la Tia e la Tarsu e che comunque non metteranno in bilancio le somme necessarie per pagare i servizi resi dagli Ato. Spese che non potranno essere stimate approssimativamente. Il disegno di legge che l'assessore all'Energia, Pier Carmelo Russo, sottoporrà all'esame della giunta nei prossimi giorni, non conterrà indicazioni specifiche sulla possibilità di realizzare impianti per la termovalorizzazione dei rifiuti. Di questo se ne occuperà il Piano regionale dei rifiuti. E', comunque, chiuso il capitolo che prevedeva la costruzione in Sicilia di quattro termovalorizzatori. Nel corso della recente audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia, l'assessore Russo ha escluso l'ipotesi di rimborsare alle imprese che si erano aggiudicate gli appalti (Falck e Waste Italia), le spese sostenute per i lavori già effettuati. Indennizzo che era stato valutato intorno ai 320 milioni di euro. Si punta molto, invece, sulla raccolta differenziata. Saranno previsti incentivi o penalizzazioni per i comuni che raggiungeranno le percentuali previste (40% nel 2010; 45% nel 2001; 50% nel 2012), con la tecnica del «porta a porta». Per sensibilizzare i cittadini, saranno effettuate campagna di comunicazione mirate, a cominciare dalle scuole. Nella legislazione siciliana, poi, sarà introdotta una novità assoluta: «il bilancio dei rifiuti». Uno strumento che sarà fondamentale per il rilascio delle autorizzazioni alle attività commerciali. Inoltre, le mense di enti pubblici e private dovranno utilizzare stoviglie realizzate con materiale riciclato. L'obiettivo è quello di ridurre al minimo la produzione di rifiuti da smaltire in discarica. Probabilmente, una parte di rifiuti dovrà pur essere bruciata, ma, dopo essere stati trasformati in Cdr, potrebbero essere utilizzati come combustibile per alimentare raffinerie e centrali elettriche. E' una delle ipotesi del comitato dei saggi.
Alcuni articoli del ddl, si occuperanno specificatamente del ritiro e lo smaltimento dei rifiuti speciali.
La Sicilia, 7.2.2010

Se la Chiesa passasse dalle parole ai fatti...

di Francesco Palazzo
La chiesa italiana, per bocca del siciliano Mariano Crociata, segretario generale della CEI, torna ad affermare solennemente che i mafiosi sono fuori dalla comunione con la Chiesa e che a loro deve essere rivolto l'invito a ravvedersi e a cambiare vita. Molti osservatori, a ragione, vedono in questi pronunciamenti dei vescovi una continuità con il monito lanciato da Giovanni Paolo II da Agrigento. Era il maggio del 1993 e si era all'indomani delle stragi. Dal 1993 sono trascorsi ben diciassette anni e la Chiesa italiana sul tema della lotta alle mafie - nonostante il sacrificio di preti eroici come don Pino Puglisi - è ancora ferma alle dichiarazioni di principio. Affermare, come fa monsignor Crociata, che "l'atteggiamento della Chiesa verso i mafiosi è l'invito al ravvedimento e alla conversione", significa tutto e niente. Nel senso che si tratta di un generico appello, un mero auspicio, che non sposta di un millimetro l'azione della pastorale ecclesiastica sulla lotta al potere mafioso. Così come mi pare del tutto ovvio sottolineare, ancora una volta, che i mafiosi sono fuori dalla comunione con la Chiesa. Eppure si continuano ad amministrare i sacramenti anche a persone che hanno alle spalle sentenze per mafia passate in giudicato. Siano esse appartenenti alla mafia militare, che facenti parte di quanti appoggiano e aiutano le mafie con l'attività politica e professionale. Anche per la Chiesa è tempo di lasciare al loro destino le reprimende generiche contro le cosche e passare a un'azione quotidiana di contrasto. Fatta magari non di dichiarazioni astratte, ma di tangibili e concreti segnali da incarnare nelle parrocchie. Perché è facile sostenere da Roma tesi condivise. Più complicato è mettere in atto nelle comunità parrocchiali alcune iniziative più incisive. Due proposte potrebbero essere subito attuate, una sul piano della comunicazione e un'altra nell'ambito della liturgia. La prima. Provi la chiesa a comporre un manifesto di condanna alle mafie e lo faccia esporre, bello incorniciato, quindi in pianta stabile, all'ingresso delle chiese. Non è difficile immaginare l'effetto che una simile iniziativa potrebbe avere sull'opinione pubblica e su quanti frequentano i luoghi di culto cattolici. Una seconda, palese e duratura, presa di posizione potrebbe arrivare sin dentro le celebrazioni liturgiche. Sappiamo che durante le messe sono promosse raccolte per i fini più svariati e nobili. Bene. Se ne potrebbe aggiungere un'altra. Si faccia girare un cestino in tutte le chiese, promuovendo una raccolta di denaro il cui ricavato andrà a quelle associazioni che si oppongono al pizzo e a quei commercianti e imprenditori che hanno trovato la forza e il coraggio di denunciare. Sono solo due esempi, tra gli altri, di cose che la Chiesa potrebbe subito fare. Piccole cose, mi rendo conto. Ma che varrebbero, a mio avviso, molto di più di una condanna verbale dei mafiosi. Dalla durata sui portoni delle chiese di quel manifesto incorniciato, soprattutto nei quartieri periferici e nei paesini, e da quanto si riempirebbero quei cestini antipizzo potremmo capire se davvero i mafiosi sono fuori dalla comunione con i cattolici.
LA REPUBBLICA PALERMO
SABATO 06 FEBBRAIO 2010

giovedì 4 febbraio 2010

Mafia. Rita Borsellino: "Da Massimo Ciancimino rivelazioni inedite. E' importante ascoltarlo"

"E' importante ascoltare Massimo Ciancimino, perché spesso parla di cose di cui non c'è mai stata notizia". Rita Borsellino commenta le dichiarazioni di Ciancimino jr al processo Mori.
"I magistrati, che hanno già iniziato i riscontri, hanno una lunga esperienza: molti hanno iniziato a lavorare con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Starà a loro stabilire se Ciancimino è credibile o no" prosegue l'europarlamentare Pd e sorella del giudice ucciso nella strage di via D'Amelio. Dal figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino sono giunte nuove rivelazioni sul boss Bernardo Provenzano: "Godeva di immunita' territoriale", ha detto Ciancimino jr, che poi ha parlato di soldi investiti dalla mafia nella costruzione di Milano 2, attirando l'immediata smentita del legale di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini. "Le sue parole danno una spiegazione logica a cose che fino adesso non ce l'avevano - continua ancora Rita Borsellino -. Intuitivamente dà una spiegazione a tante situazioni, come la mancata perquisizione del covo di Riina, o il fatto che sia iniziata una sorta di pax mafiosa per cui le stragi si sono improvvisamente interrotte. Ci siamo sempre chiesti come mai questo sia successo; lui ci dà una spiegazione molto circostanziata. Tutto sta a vedere se queste circostanze possono essere provate".
Dall'eurodeputata democratica anche un commento al piano straordinario contro la mafia annunciato la scorsa settimana dall'esecutivo a Reggio Calabria: "C'è un modo di dire in Sicilia e a Palermo: il governo sta facendo molto 'scruscio', cioè molto rumore', nella lotta alla mafia: grandi annunci e proclami. "Il governo prende anche delle misure; ma esaminandole con attenzione ci si rende conto che sono poco efficaci e confuse, e anche contraddittorie. Mi riferisco alla legge che si vuole approvare e che cancellerebbe l'uso sociale dei beni confiscati, che permetterebbe la loro vendita all'asta e quindi il loro rientro nelle mani dei mafiosi, perché le aste vanno deserte: nessuno sfida la mafia sul suo territorio. Si farebbe un danno incredibile anche di immagine: si cancellerebbe una legge che aveva funzionato, basti guardare le cooperative che lavorano sui beni confiscati alla criminalità; poi c'è il rientro dei capitali dall'estero, che favorirebbe il ritorno in Italia dei soldi della mafia, che già è l'unica 'azienda ' a non soffrire la crisi. C'è una serie di misure che hanno una doppia faccia. Il governo, per esempio, si vanta di avere trasformato in legge il 41 bis, che però si è svuotato di significato e di ogni termine di sicurezza" conclude la Borsellino.
CNRmedia - 01/02/2010

Corleone, interrogazione sulla proprietà di un terreno agricolo in contrada "Spinuso", sull'ex Stazione Servizi e sull'uso dell'ex Casa del Fanciullo

Al Signor Sindaco del Comune di Corleone
Al Signor Presidente del Consiglio comunale
LORO SEDI


OGGETTO: Interrogazione su alcuni beni immobili comunali.

Il sottoscritto Dino Paternostro, consigliere comunale,

PREMESSO CHE nell’inventario dei beni immobili allegato all’ultimo Bilancio comunale approvato sono inseriti anche quelli appresso descritti:
- 10060 Terreno agricolo Contrada Spinuso valore € 158.692,98; - 10049 Ex Stazione Servizi Via S. Lucia valore € 153.521,98; - 10069 Casa del Fanciullo Via Duca d'Aosta valore € 1.230.142,00;
TENUTO CONTO CHE corre voce che il terreno agricolo di contrada “Spinuso”, transitato tra i beni immobili del comune insieme agli altri beni dell’ex Opera Pia “Orfanotrofio”, sia ormai proprietà del privato che l’aveva in affitto, il quale se n’è appropriato mediante la procedura giuridica di “usu capione”;

CONSIDERATO CHE l’ex Stazione Servizi di via S. Lucia da tempo è stata trasformata in bar/pub dalla famiglia Bentivegna, un esponente della quale è pure consigliere comunale di questo comune;

DATO CHE l’immobile ex Casa del Fanciullo, da anni di proprietà comunale, versa in un tale stato di degrado, da mettere in pericolo la pubblica incolumità;

INTERROGA LA S.V. PER SAPERE

Se risponde al vero la notizia che il terreno agricolo di contrada “Spinuso”, iscritto nell’inventario dei beni immobili del Comune, sia diventato di proprietà del privato che lo teneva in affitto, mediante la procedura giuridica dell’usu capione;
Nel caso la notizia fosse vera, come spiega l’Amministrazione comunale che ciò possa essere avvenuto, tenuto conto della notorietà che il bene sia di proprietà del comune, tanto da essere stato inserito nell’inventario dei beni immobili;
Se l’Amministrazione comunale sta attivandosi per provare a rientrare in possesso di un suo bene;
Se la Stazione Servizi di via S. Lucia è di proprietà comunale e a che titolo la famiglia Bentivegna, un cui esponente è consigliere di questo Comune, l’ha trasformata in bar/pub;
Se s’intende intervenire (e come) per fermare il degrado dell’ex Casa del Fanciullo e procedere alla sua ristrutturazione, oppure si ci sono altre idee progettuali circa una sua utilizzazione.

Si prega di rispondere nella prossima seduta del consiglio comunale.
DINO PATERNOSTRO
Corleone, 27.02.2010

Corleone, interrogazione sull'avvio della raccolta differenziata

Al Signor Sindaco del Comune di Corleone
Al Signor Presidente del Consiglio comunale
LORO SEDI


OGGETTO: Interrogazione su avvio raccolta differenziata dei rifiuti.

Il sottoscritto DINO PATERNOSTRO, consigliere comunale,

PREMESSO CHE recenti notizie di stampa riferivano dell’avvio della campagna di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani da parte dell’ATO Alto Belice Ambiente, nel cui ambito ricade il Comune di Corleone;

TENUTO CONTO CHE non ci potrà mai essere una vera e produttiva raccolta differenziata dei rifiuti, se da parte degli operatori non si attiva la raccolta “porta a porta”;

CONSIDERATO CHE l’attivazione concreta della raccolta differenziata necessita della presenza in servizio di personale a tempo pieno, mentre gli attuali operatori dell’ATO Alto Belice Ambiente hanno tutti un rapporto di lavoro part-time a 30 e a 24 ore settimanali;

INTERROGA LA S.V. PER SAPERE

Se la campagna di educazione alla raccolta differenziata dei rifiuti nelle scuole di ogni ordine e grado del nostro comune sia stata effettivamente avviata e, in caso affermativo, la visualizzazione del calendario degli incontri ancora da svolgere;
Se, nelle more che si concluda la campagna di informazione nelle scuole, non ritiene indispensabile chiedere con forza alla Società “Alto Belice Ambiente” la trasformazione a tempo pieno dei contratti part-time di tutti gli operatori dell’igiene ambientale in servizio a Corleone, che sono gli unici lavoratori ancora col contratto a tempo parziale, per avere più ore lavorative da utilizzare per il servizio di raccolta differenziata “porta a porta”.

Si prega di rispondere nella prossima seduta del consiglio comunale.

Corleone, 27 Gennaio 2010
DINO PATERNOSTRO

mercoledì 3 febbraio 2010

Intervista al sen. Giuseppe Lumia: "Fare le riforme in Sicilia significa restituire la libertà di scelta democratica ai cittadini"

di IGNAZIO PANZICA
“In Sicilia, esiste un sistema di potere, radicato e capillare, che impedisce alla politica di svolgere la sua funzione costituzionale e democratica; indifferentemente, che ci si trovi al Governo o all’opposizione. Un sistema avvolto dalla pesante patina del condizionamento delle collusioni mafiose. Allora, la principale posta politica in gioco, oggi, è proprio quella di restituire la piena agibilità democratica all’elettorato siciliano, liberandolo dagli innumerevoli ricatti clientelari e dall’oppressione mafiosa”. Parte da questa constatazione, la riflessione di Beppe Lumia – Vicepresidente della Commissione nazionale antimafia ed uno dei leader regionali del Pd – sulla condizione politica della Sicilia, sull’esistente situazione, sul tema della“sfida per le riforme” all’Ars, sul Lombardo–ter, sulle polemiche interne al Pd siciliano.
Dove e come funziona questo sistema di potere antidemocratico?
Nella Sanità, nella Pubblica amministrazione, nella filiera dei rifiuti, nell’acqua, nel settore dell’energia, nell’agricoltura, nella formazione professionale, nel rapporto tra i veterinari e gli allevatori. In tutte queste zone socio-economiche si è creato un rapporto malato, e perverso, di intermediazione burocratica, clientelare e, spesso, affaristico-mafiosa. Un sistema pervasivo, capillare, che ha prodotto un contesto che punta a relegare la politica entro i limiti di una scatola sigillata, colma di materia appiccicosa ed indistinta. Con la priorità di cancellare, di fatto, nella percezione della gente, l’esistenza delle “differenze in politica”. Un sistema di potere senza un progetto di sviluppo. Senza una cultura politica. Che nega il lavoro ai giovani. Che ha ammorbato qualsiasi prassi legale di tutela dei diritti: quasi tutto in Sicilia, nell’ultimo decennio, è diventato una elargizione di favori o una graziosa concessione amicale. Applicando il modello e la sceneggiatura bipolare tipica del Berlusconismo: un teatrino dove si possono recitare solo ruoli fissi, predeterminati. Il potere di governo è arrogante, ed all’opposizione si concede solo qualche flebile protesta, o brandelli insignificanti di consociativismo, prontamente subito dopo irrisi come una possibile forma di accattonaggio. La Mafia, con il suo sistema di disvalori ed interessi, accentua il degrado generale rendendo, persino, rischioso l’ordinario perseguimento delle più elementari forme di legalità. Si comprende, a questo punto, perché, sino ad oggi in Sicilia, governare male contro gli interessi dei siciliani non ha mai portato in sé il rischio di perdere una maggioranza elettorale ! Ecco perché servono le grandi riforme, le “innovazioni di sistema”, le uniche scelte in grado di “far respirare” i siciliani e di riportare la Sicilia in Europa.
E perché mai oggi sarebbe possibile rompere le connessioni di questo sistema di Potere ereditato dalla prima Repubblica ed, altamente, perfezionato dagli epigoni della seconda?
Per quattro ragioni di contesto appalesatesi di recente:
1) l’unità d’Italia sta venendo meno. I poteri forti ed economico-produttivi del Nord-Italia non hanno più bisogno del tradizionale mercato interno – “garantito” dall’assistenzialismo – rappresentato dai consumi del Sud-Italia. Il mezzogiorno è stato mollato. La globalizzazione ha aperto loro più ampi e facili mercati internazionali. Il patto di solidarietà alla base “dell’idea Italia” è evaporato. Ecco, perché dobbiamo accettare e fare nostra la sfida del federalismo. L’esigenza di trasformare il Sud e la Sicilia, in terre di alta ed autonoma produttività tecnologica ed industriale. La classe politica e dirigente siciliana, perciò, deve smettere di pensare di poter continuare ad utilizzare l’autonomia regionale siciliana come una alcova dell’assistenzialismo e delle collusioni mafiose;
2) la frantumazione dell’alleanza politica del centrodestra siciliano: tra i suoi vari capi, ormai, intercorre astio, diffidenza , incomunicabilità;
3) la crisi economica generale e quella finanziaria dello Stato, sommata al montare del federalismo, rendono materialmente impossibile che questo sistema di potere possa, economicamente, sopravvivere alle sue peculiari caratteristiche di spreco e favoritismi clientelari. La soluzione politica è una sola: “coniugare sviluppo e legalità”. Nessuno può pensare di continuare a gestire la spesa pubblica regionale a prescindere da una azione di governo che sia capace di innescare uno sviluppo reale;
4) i tradizionali mugugni della gente, si stanno trasformando sempre di più in protesta dei cittadini per sostenere il loro diritto a sopravvivere, civilmente. Si riscontra nella società siciliana la crescita di una forte e diffusa domanda di cambiamento, più ampia e progettuale, persino di quella che era emersa nel 1992/93, per reazione popolare dopo le stragi mafiose, che pur allora alimentò la svolta della cosiddetta “stagione dei sindaci”.
Nasce così, allora, la vostra valutazione politica circa l’indispensabilità di dover, anzitutto, propiziare all’ARS delle “riforme” nei settori strategici?
Infatti. Se liberiamo la montante domanda popolare di cambiamento dai diffusi meccanismi di intermediazione parassitaria, clientelare e mafiosa, si romperanno per forza tutti i precostituiti equilibri che costituiscono l’immutabile potere politico siciliano. Quei vincoli, materiali ed a volte impalpabili, che sino ad oggi hanno incatenato – impedendolo – l’espressione e la prassi del libero consenso elettorale. E’ certo che con le riforme saremo in grado di spezzare le catene dello sviluppo deviato. Vi appare una cosa da poco? Ripeto se sapremo dare rappresentazione all’innovazione, coniugando legalità e sviluppo, potremo cambiare il corso della storia nel Sud-Italia ed in Sicilia.
E’ questa l’analisi che ha portato il PD nella maggioranza di governo del Lombardo-ter?
Ma quale maggioranza politica di governo! Non vi è nessun accordo di governo. Non c’è stato alcun “ribaltone”, come lamentano gli inconsolabili orfani del “cuffarismo”. All’ARS stiamo parlando di “riforme di sistema”, necessarie a ripristinare il gioco democratico previsto dalla Costituzione. Per il quale, chi ben governa viene apprezzato e vince le elezioni, chi malgoverna perde le elezioni e va a casa. In Sicilia la situazione politico-elettorale è cristallizzata, non accade “nulla di diverso” da decenni. Tutto il resto è disinformazione. Con Lombardo il discorso è stato chiaro : il PD non gli ha concesso nessuna cambiale firmata in bianco. C’è una sfida, progettuale e politica, in corso all’ARS, alla luce del sole : riuscire a portare a termine delle grandi riforme strutturali entro il 30 giugno prossimo. Una ventata di rinnovamento ed innovazione sostanziale che possa cambiare i tratti del volto, le caratteristiche, gli equilibri, il peso specifico, del sistema di governo della Sicilia, collocando la Regione all’opposto del suo tradizionale sistema di potere di riferimento, clientelare e mafioso.
E a chi la contesta dicendo che si tratta di “pie intenzioni” e di “chiacchiere”, rimproverandole di essere uno degli artefici di questo “salto nel buio” del PD siciliano, cosa risponde?
Le paiono “chiacchiere” aver già azzerato l’assurdo “piano regionale rifiuti” del 2002 fondato su quattro termovalorizzatori ecologicamente devastanti e da sprechi multimiliardari, scegliendo, invece, la raccolta differenziata generalizzata in Sicilia, e avviando la riduzione del numero degli ATO ed il loro risanamento? Le paiono “pie intenzioni” avere già risparmiato 800 milioni di euro di sprechi nella Sanità regionale ? Può mai apparire un “atto irrisorio” avere già fatto partire dall’1 gennaio una “riforma della burocrazia regionale”, in direzione di un iter riformista di progressiva maggiore efficienza e semplificazione dell’Amministrazione ? Dove si intravede in tutto ciò un “salto nel buio”? Al contrario, si tratta di fatti politici estremamente concreti. Propiziati negli ultimi mesi, anzitutto, dall’impegno del gruppo PD all’ARS, guidato con mano esperta e sicura da Antonello Cracolici, supportato dalla disponibilità di uno straordinario gruppo parlamentare che ha saputo costruire scelte di inusitata importanza storica, cominciando a sradicare le tipiche logiche compromissorie del centrodestra. Ma non ha del “miracoloso” essere riusciti a rompere il “sistema cuffariano” nella Sanità o a far sciogliere un “super potere come l’Agenzia ARRA”, riconducendolo nell’alveo ordinario della pubblica amministrazione regionale? Non le pare una scelta strategica avere bloccata la deriva mafiosa dell’eolico, ponendo le basi concrete di una prospettiva di vera industria del fotovoltaico, aprendo un autonomo futuro energetico ai siciliani, con schemi lontani dal solito e becero metodo di governo affaristico-mafioso? Per non parlare, sempre in materia di energia, dell’unanime rifiuto politico espresso dal Parlamento siciliano alla folle scelta berlusconiana del nucleare.
Quindi chi nel PD alza la voce e solleva perplessità sbaglia, e basta?
La risposta non è semplice. Di fronte ad un esperimento politico così inedito, e delicatissimo, il PD siciliano deve evitare di cadere in due facili trappole, entrambe particolarmente insidiose.
Quali?
La prima trappola, è quella di coloro che urlano “al voto! al voto!”;che non si rendono conto che potrebbero favorire, ancora, una ennesima operazione di “trasformismo” alla siciliana, secondo il classico principio : “cambiamo tutto per non cambiare nulla”, agevolando il ritorno politico di quelli che ci sono stati sempre al potere. Ricompattando il centrodestra siciliano. UDC compresa, oggi in crisi di astinenza da poltrone, ed allo sbando per la perdita materiale della “forte” leadership di Cuffaro.
La seconda trappola, è quella di coloro che mormorano “al governo! al governo!”; una strada di ragionamento politico che porta dritti all’omologazione, sic et simpliciter, con Lombardo. Rischiando di trasformare l’opzione politica del PD siciliano nella mera ricerca di occupazione di posti di governo e sottogoverno, vanificando l’attuale, forte, progettualità riformista.
Ed invece l’unica strada da imboccare è quella di riuscire a fare le “riforme di sistema”. Far percepire, concretamente, ai cittadini siciliani, la forza e l’indispensabilità del riformismo, che è la mission e l’essenza del PD, che ne giustifica l’esistenza e la peculiarità politica, che deve far dire ai tanti cittadini oggi amareggiati e disillusi : “può valere la pena di puntare sul PD”.
Altre importanti scommesse, nel prossimo futuro, sulle quali pensa si potrà misurare l’efficacia del Lombardo ter?
Oltre al completamento delle riforme già avviate, ci sono tre ulteriori appuntamenti politici decisivi: superare le contraddizioni e gli sprechi del sistema agricolo regionale; irrobustire la quantità e la qualità dell’Istruzione che viene offerta ai giovani siciliani; infine, il tema dirimente della “liberazione dell’acqua”, oggi finita, in modo insensato, nelle mani dei privati di “Sicilia-Acque” e di altri organismi equivalenti sparsi sul territorio.
E che privati! Una multinazionale di azionisti senza volto e dei partner del Nord-Italia, taluni definiti pure vicini al suo Partito.
Non mi interessa se qualche azionista del Nord-Italia potrebbe essere anche vicino al mio partito; non cambio opinione. L’acqua è un bene pubblico di proprietà dei cittadini siciliani, per diritto costituzionale e, oserei dire, per diritto divino. E’ indispensabile, perciò, fare degli ATO idrici, quello che si sta facendo degli ATO rifiuti : semplici autorithy di vigilanza ed indirizzo politico. Ritornando, pur in una chiave moderna ed efficiente, alla gestione pubblica delle acque. Riaffidandola direttamente ai singoli comuni (se grandi come Palermo) o a loro liberi consorzi territoriali. Con gestioni manageriali intestate a tecnici a questo fine formati, e di già comprovata esperienza professionale maturata nel settore.
Ma come la mettiamo con la “storiella che si racconta” dei privati necessari perché investono sulle bucherellate ed inefficienti reti idriche siciliane, nella loro riparazione e ricostruzione?
Tutti questi investimenti privati, di tasca loro, sulle reti idriche siciliane io non li ho visti. Gira e rigira, si tratta sempre di usare e maneggiare solo risorse pubbliche; statali, piuttosto che regionali o europee. La privatizzazione non ha affatto migliorato né la qualità della gestione a favore dei cittadini , né le condizioni di funzionamento delle reti idriche. Sono solo aumentate, troppo, le tariffe per i cittadini. In nome del legittimo “profitto privato” si sono disinvoltamente “disdettate” utenze, lasciando senz’acqua famiglie di poveri con tanto di figli piccoli, vedove e pensionati, nell’impossibilità di pagare bollette lievitate, all’improvviso, come un pan di spagna ben riuscito. Vergogna! Pensare di poter far dissetare e far lavare la gente in base al loro reddito capiente. Mi pare una follia! Siamo, di fatto, tornati alle logiche mafiose del “controllo discrezionale” della gestione dell’acqua, come accadeva in Sicilia nel primo dopoguerra, ancor prima della costruzione delle dighe. Trovo tutto ciò inaccettabile.
Prima ha parlato di scuola, a cosa pensa?
Ad una scuola siciliana che sappia efficacemente contrastare la dispersione scolastica. Fondata sul “tempo pieno”, con gli istituti aperti anche di pomeriggio, punto di riferimento concreto dei giovani. Con programmi di studio qualitativamente superiori all’istruzione del centro-nord. Non è un progetto impossibile, basta lavorarci con determinazione, mettendo in campo uno sforzo straordinario come quello che abbiamo già fatto per sanità, rifiuti, pubblica amministrazione. Quando si parla di istruzione e giovani, si parla di come poter rendere il futuro della Sicilia, possibile e migliore. Potremmo costruire il tempo pieno, cominciando a riassorbire ed riutilizzare quei docenti precari licenziati dalla Gelmini, ma anche tutto quella massa di docenti che dovrebbe fuoriuscire dal sistema della Formazione professionale regionale.
Quindi l’azione del PD siciliano, lungo il cammino delle riforme, garantisce da sola, di per sé, il conseguimento del risultato pieno, e senza alcun intoppo?
Certo che non può bastare da sola l’azione del PD. Senza la “partecipata vigilanza della società civile”, passo dopo passo, nessun risultato può mai considerarsi certo. L’azione riformista va condotta con il massimo rigore e trasparenza. Anche guardando con attenzione dentro il PD, sia chiaro! Considero il fenomeno del “crisafullismo”, una sfaccettatura del “cuffarismo”, appartenente allo stesso sistema di collusioni, perché dentro lo stesso sistema di potere. Come, anche, nessuno è autorizzato a pensare di poter smantellare il “cuffarismo”, per poi vederlo sostituito da un nascente “lombardismo”. Parimenti, deve essere chiaro a tutti che questa esperienza siciliana di innovazione, all’ARS e con il Lombardo-ter, con il senatore dell’Utri non può avere nulla a che spartire, perché lui esprime una idea della politica ed un “sistema di collusioni”, mafiose, che sono le prime avversarie che dobbiamo combattere per poter costruire una Sicilia libera, autonoma e moderna. In questo senso, è fondamentale il ruolo di vigilanza e stimolo delle testate giornalistiche d’informazione, per poter mantenere dritta la barra del percorso riformista e di innovazione.
A proposito di Lombardo, che impressione le ha fatto la denuncia del Presidente della Regione in Commissione nazionale Antimafia su le “infiltrazioni” nella sanità, e nelle filiere dell’acqua e dei rifiuti?
Mi ha stupito positivamente. Non è facile imbattersi in un Presidente della Regione siciliana in carica che assuma la responsabilità personale di denunciare il sistema di collusioni politico-mafiose. Ma, adesso, la sua denuncia deve trasformarsi in un duraturo progetto politico, una permanente rottura nei metodi e negli interessi. So bene che , in tema di lotta alla mafia, in Sicilia, dal dire al fare, vi sono sempre per lo mezzo troppe incognite, da non sottovalutare mai. Ma, da oggi a domani, si sta configurando un tempo di scelte radicali, che segneranno la storia del futuro prossimo. Mi ha, perciò, sconcertato, la sottovalutazione che questa notizia ha subito nelle testate giornalistiche siciliane, anche nell’impaginazione. Onore, dunque, a “SiciliaInformazioni.com” che – lo dico scevro da inutili piaggerie – questa notizia ha tenuto in apertura della sua prima pagina, per quasi una giornata intera.
Da un’intervista a cura di Ignazio Panzica su Siciliainformazioni.com