martedì 31 luglio 2007

Antimafia sociale. Il "Ponte" Sicilia-Toscana

L'album fotografico del Tour toscano
di Dino Paternostro e di un gruppo di volontari di Firenze










































FOTO. Dall'alto. A Sieci, frazione di Pontassieve, durante il dibattito alla Festa de "L'Unità" (28.07.2007); In viaggio verso Rosignano, provincia di Livorno (29.07.2007);
La foto di gruppo durante una breve sosta; A cena nel ristorante della Festa de "L'Unità" di Rosignano (Livorno); Il dibattito di Rosignano.

























Riflessioni dopo il campo antimafia di Pistoia

di EMANUELA IANNAZZO

Ho saputo del campo di Pistoia e più o meno contemporaneamente sono partita. Non ho avuto quindi molto tempo a disposizione per analizzare tutte le perplessità che si mescolavano con la voglia e l’interesse di vivere questa esperienza. I timori, inutile negarlo, c’erano e non erano pochi. Il timore ad esempio, che fossimo stati invitati a rappresentare Corleone come una realtà cristallizzata, o che venissimo considerati le povere vittime inermi della Mafia, quella con la “m” maiuscola, quella che è parte integrante dell’immagine della Sicilia, o che piuttosto fossimo visti come un gruppo di piccoli eroi partiti per emergere dalla bruttura sociale in cui siamo immersi. Ma già il titolo che gli organizzatori toscani avevano deciso per il campo faceva svanire molte delle mie preoccupazioni : “La mafia è anche cosa nostra”.
Credo che nessuno di noi sia andato a Pistoia con l’illusione o la presunzione di rappresentare Corleone o l’antimafia siciliana, ma ognuno con la sua storia personale, ognuno con le sue piccole perplessità, con le sue aspettative. Siamo andati lì per vedere come vanno le cose in un altro posto, per fondere le nostre esperienze con quelle di altre persone, per lavorare e contribuire a rafforzare un legame tra due realtà che solo geograficamente rimangono lontane.
E adesso che il campo si è concluso, ho la sensazione chiara che anche la logica con cui siamo stati accolti è la stessa, almeno da parte di chi ha organizzato il progetto e ci è stato più vicino. Credo che sia stato proprio questo approccio a determinare l’importanza e il valore del campo di Pistoia.
È stata una esperienza davvero importante. Io provavo un’emozione continua a vedere gli sguardi limpidi e luccicanti di entusiasmo dei miei compagni-di-campo, i loro bellissimi sorrisi, le litigate, gli abbracci…forse è un pò di romanticismo senile legato al personaggio di nonna che mi è stato amabilmente attribuito. Quello che comunque nessuno di noi credo dimenticherà mai, è l’affetto e l’interesse che i pistoiesi ci hanno dimostrato, e soprattutto la trasparenza, l’entusiasmo e la passione con cui Marco, Maria e Libero hanno sempre gestito il campo. Penso che partendo da queste basi si possa davvero costruire l’antimafia sociale.
Emanuela, luglio 2007

Giandalone-Riggio (Clio S1600) vincono un combattutissimo 4° Rally Valle del Sosio

Dominio delle vetture francesi nella quinta prova dello Challenge 8a Zona. Appena 1”8 in 11 prove li dividono da Parisi, vincitore di due edizioni – Altrettanto contesa la terza piazza tra Vintaloro e Di Miceli –Le venete Burigo-Vanzin prime tra le “dame”


Chiusa Sclafani (PA) 29 luglio – Bello e combattuto come non mai il 4° Rally Valle del Sosio, quinta prova dello Challenge Italiano Rally 8° Zona, è stato alla fine appannaggio della coppia Giandalone-Riggio che hanno portato la loro Renault Clio S1600 dell’Island Motorsport a precedere la vettura gemella di Parisi-Tumminello di appena , un’inezia se rapportata alle 11 prove speciali disputate. Giandalone ha preso il comando della gara organizzata da Italia Grandi Eventi con il patrocinio dell’Unione dei Comuni Valle del Sosio, alla terza prova affiancando Parisi, primo leader del rally. Da quel momento lentamente, ma inesorabilmente, il pilota corleonese ha costruito il suo successo. Per Parisi, vincitore di due edizioni della gara,la certezza di aver fatto divertire il pubblico di casa.
Altrettanto avvincente è risultato il duello per la terza piazza tra Franco Vintaloro e Renato Di Miceli, conclusosi a favore del primo grazie ai quattro successi parziali, tanti quanti quelli del vincitore. Quinta piazza per la Clio del messinese Bellini, avvicinato sul finale di gara dalla Clio RS di Marco Runfola, riuscito brillantemente a recuperare 10” di penalità anche ad un avversario ostico come Mistretta. Sugli scudi anche la non più giovane Escort Csworth di Callivà, primo tra le scadute omologazione e comunque davanti alle due Mitsubishi dei messinesi Caranna-Merendino e dei locali Di Lorenzo-Cardella, ed alla Clio del Sindaco di Chiusa Sclafani, Di Giorgio.
Molto buona la prestazione dell’unico equipaggio femminile presente, quello delle venete Burigo-Vanzin, tredicesime assolute.
Per quanto riguarda lo Challenge di Zona 2007, il nisseno Burruano ha scavalcato l’assente Briguglio. Prossima gara dello Challenge sarà il Rally Conca d’Oro in programma il 23 settembre.
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La classifica: 1. Giandalone-Riggio (Renault Clio S1600) in 46’54”8; 2. Parisi-Tumminello (Renault Clio S1600) a 1”8; 3. Vintaloro-Mannina (Mitsubishi Lancer Evo IX) a 6”6; 4. Di Miceli-Delle Vedove (Mitsubishi Lancer Evo IX) a 9”8; 5. Bellini-Gregorio (Renault Clio Williams) a 1’16”5; 6. Runfola-Glorioso (Renault Clio RS) a 1’23”6; 7. Mistretta-Di Palermo (Renault Clio RS) a 1’24”4; 8. Callivà-Di Mino (Ford Escort Cosworth) a 1’25”5; 9. Caranna-Merendino (Mitsubishi Lancer Evo IX) a 2’15”5; 10. Di Lorenzo-Cardella (Mitsubishi Lancer Evo VII) a 2’21”8.

Gianfranco Mavaro



FOTO: La Renault Clio di Giandalone-Riggio

lunedì 30 luglio 2007

Il parlamentare dell'Udc Cosimo Mele: «Ero io con la squillo ma mi dimetto»

«Quel parlamentare sono io, ma droga non ne ho vista e la signora mi era stata presentata quella sera a cena da amici». Cosimo Mele, 50 anni, una moglie e tre figli, nato in provincia di Brindisi e in quel collegio eletto nelle liste dell'Udc, esce allo scoperto «per evitare speculazioni politiche a danno del partito». Mele, per sua stessa ammissione, è dunque il parlamentare che ha trascorso la notte tra venerdì e sabato in una suite dell'hotel Flora in via Veneto a Roma con una signora, o forse due, poi ricoverata in ospedale per un malore, da attribuire, sembra, all'uso di cocaina e alcol. A conclusione della vicenda la polizia non ha riscontrato alcun reato, né denunciato, quindi, alcuno.
Dopo essere uscito allo scoperto Mele ha poi rassegnato le proprie dimissioni dal partito. L'ufficio stampa dell'Udc ha confermato che Cosimo Mele ha comunicato al segretario nazionale Lorenzo Cesa le sue dimissioni dall'Udc. «Si tratta di una scelta - chiarisce l'on.Mele, nella nota diffusa dal partito - per evitare indebite speculazioni, nella vicenda che mi coinvolge, a danno del partito».
Poi racconta cosa è successo quella notte a luci rosse. «Venerdì sera - racconta Mele - sono stato a cena con alcuni amici al ristorante romano Camponeschi. E loro mi hanno presentato quella signora, e non sapevo che facesse quel tipo di prestazioni. Era tardi - aggiunge - e io mi sono lasciato tentare...». Il parlamentare dell'Udc si difende: «È stata una debolezza, ma si tratta di una vicenda privata. I politici, sa, sono persone umane come tutte e con tutte le loro manchevolezze umane. Non perchè uno fa politica, allora deve essere sottoposto ad un moralismo eccessivo». Cos'è accaduto allora? «Siamo stati in albergo. Ma ad un certo punto mi sono accorto che la signora non stava bene. Aveva delle allucinazioni, non so cosa le avesse preso».
E, a riprova della sua buona fede, Mele ricorda che «ho dovuto chiamare la reception tre volte ed avvisare il soccorso medico, ho dovuto insistere perchè lei non voleva...». Ma si è accorto che la signora aveva assunto stupefacenti? «No, per nulla. Mi sono appisolato, e ho visto anche che aveva chiamato una ragazza ma non so...». Ha ricevuto manifestazioni di solidarietà? «L'episodio è freschissimo, quindi non ce n'è stato tempo. Certo, telefonate di amici ne ho avuto», dice aggiungendo che «è vero, ho sbagliato. Adesso però, mi scusi, voglio pensare solo alla mia famiglia».
Cosimo (Mimmo) Mele è al secondo matrimonio. Dal primo ha avuto due figli. Un figlio è nato anche dalla nuova unione, mentre un quarto, a quanto si è appreso, è in arrivo. Imprenditore del settore edile, è stato più volte eletto nel consiglio comunale di Carovigno, il suo paese. Attualmente oltre che deputato è anche consigliere comunale. Mele ha avuto anche un incidente di percorso quando fu arrestato il 5 gennaio 1999, insieme con altre cinque persone, con l'accusa di aver ottenuto tangenti da centinaia di milioni di lire in cambio di favori nell'assegnazione di appalti pubblici e assunzioni nel periodo in cui aveva ricoperto la poltrona di vicesindaco. La polizia denominò l'inchiesta - che non si è ancora conclusa, essendo il processo tuttora in corso dinanzi al Tribunale di Brindisi - Montecarlo, in quanto sia Mele sia l'ex sindaco di Carovigno Vito Angelo Perrino erano abituè dei casinò di Montecarlo e Venezia.
Il comportamento di Cosimo Mele è incompatibile con i valori dell'Udc, e dunque il deputato non farà più parte del gruppo alla Camera, ma certo «la solitudine è una cosa molto seria e la vita del parlamentare è una cosa dura per chi la fa seriamente», dice il segretario del partito Lorenzo Cesa. «Io - afferma sempre il segretario del partito - vado a letto alle 22.30 la sera» per fare fronte alle giornate piene di impegni che si susseguono. Duro il lavoro, quindi, ma duro è anche stare lontano dagli affetti: «Questa mattina ho incontrato un alto funzionario della Camera che - racconta Cesa - ha sottolineato come 'si fa un gran parlare dei costi della politica e, invece al parlamentare bisognerebbe dare di più e consentire il ricongiungimento familiare».
Critiche da Luca Volontè, Udc: «Chi si droga non può legiferare, chi è complice dello sfruttamento della prostituzione non può parlare di famiglia, figli, diritti umani». «Voglio proprio vedere come voterà uno che va a puttane e si droga - si chiede Oliviero Diliberto, segretario del Pdci - il giorno che voteremo in Parlamento, sulla sacralità della famiglia». Il sottosegretario all'Economia, Paolo Cento (Verdi), denuncia l'ipocrisia che regna in Parlamento: «Facciamo allora un bel test antidroga ai senatori e ai deputati e faremo cadere questo muro di menzogna. Perché il ceto politico finisce per essere proibizionista con gli altri e libertino con se stesso ».
Dissacrante il commento di Franco Grillino di Sinistra Democratica. «Il grottesco, è che solo in Italia abbiamo i leader divorziati (nessuno escluso della destra) che sono contro il divorzio breve. Abbiamo leader conviventi che sono contro la legge sui conviventi, i leader che si fanno vedere con la collezione di amanti e poi vanno al Family Day accolti con grandi ovazioni. Sempre a destra abbiamo a destra, gli "atei devoti". Dopo il caso Mele abbiamo una nuova categoria che è venuta alla luce: i puttanieri moralisti. La cosa più divertente e ridicola è che la gerarchia ecclesiastica è schierata come un sol uomo con costoro. Auguri, monsignor Bertone». Ma proprio per questo, «potremmo dire mille grazie Cosimo Mele», poichè «d'ora in poi quando i saputelli moralisti dell'Udc ci faranno il pistolotto sui «valori», sulla morale, sulla decadenza dell'Occidente che ha perso le radici cristiane, potremmo dire che, dopo il caso Mele, quantomeno sarebbe meglio moderare l'estremismo sessuofobico, omofobico, e il clericalismo da convenienza elettorale».
L’Unità, 30.07.07


Il protagonista
«Una debolezza, ma non sono fuggito»
«Non ho il coraggio di dirlo ai miei figli»


ROMA — «Ho sbagliato (silenzio) sono pentito (silenzio). Sono stato sfigato perché se la ragazza non si fosse sentita male non sarebbe successo nulla. Ma sono anche orgoglioso». Orgoglioso? «Sì, orgoglioso di me stesso. Quando ho avvertito la reception e poi chiesto di chiamare un'ambulanza ho capito che il mio nome poteva uscire. Molti altri se la sarebbero data a gambe». Solo che Cosimo Mele — deputato dell'Udc, 50 anni, sposato, tre figli — la parola orgoglioso la pronuncia come un sussurro, con la voce tremante di chi si sente «cadere il mondo addosso».
Cosa è successo venerdì sera? «Sono uscito dalla Camera intorno alle nove, sono andato a cena con degli amici, non politici, al Camponeschi, un ristorante di Piazza Farnese. Dopo un po' è arrivata questa ragazza, che io non avevo mai visto prima, ma che conosceva i miei amici. È stata lei che ha cominciato a parlarmi...».
Sta dicendo che è stato adescato? «Adescato? Io non sono esperto di queste cose ma non avevo capito che fosse una prostituta».
E cosa pensava? «Pensavo fosse la ragazza che cercava un'avventura. Ho capito solo quando siamo arrivati all'Hotel Flora».
L'ha pagata? «Pagata... non proprio. Le ho fatto un regalo, una somma in denaro, niente di esagerato però. Poi siamo saliti su, siamo stati insieme, e dopo io mi sono addormentato».
Avevate preso cocaina? «Io non ho preso cocaina né altri tipi di droga. Non ho visto se quella ragazza l'ha presa oppure no. Forse sì, ma magari prima di incontrarmi oppure mentre dormivo».
Lei ha firmato la proposta di legge sul test antidroga per i parlamentari. «Francamente non ricordo, ma il test sono pronto a farlo anche subito».
Non c'era con voi un'altra ragazza? «Quando siamo saliti no. Quando mi sono svegliato ho sentito che, nel salottino della stanza, la mia accompagnatrice stava parlando con un'altra ragazza, straniera. Credo una sua amica, l'aveva chiamata lei».
E la sua accompagnatrice quando si è sentita male? «Poco dopo, ormai era quasi mattina. Delirava».
Agli infermieri del San Giacomo ha detto di essere stata costretta a prendere pasticche. «Se è per questo diceva anche che io l'avevo rapita, che non volevo chiamare l'ambulanza. Ma era in evidente stato di allucinazione. Per questo ho deciso di non accompagnarla in ospedale. Anche se tramite i miei amici, che la conoscevano, mi sono subito informato sulle sue condizioni».
Crede che la sua carriera politica sia finita qui? «Deciderà il mio partito. Ma non mi sento di aver tradito niente e nessuno, se non la mia famiglia».
Lei fa parte di un partito, l'Udc, che della difesa della famiglia ha fatto una bandiera. «Lo so, e per questo ho deciso di dare le dimissioni dall'Udc. Ma non vedo perché dovrei dimettermi da deputato, anche io sono un uomo con le mie virtù e le mie debolezze».
Una debolezza considerata grave a giudicare dalle sue dimissioni. «Guardi, credo che nella politica italiana ci sia una grande ipocrisia. Adesso mi spareranno addosso quelli di Forza Italia, come se loro fossero tutti santarelli. Per non parlare di quelli della sinistra, che anche loro, quando serve, si fanno gli affari loro. E invece noi politici siamo uomini come gli altri: anche a noi capita di sbagliare».
Era la prima volta, onorevole? «Non mi succedeva da tantissimi anni. Sono stato ragazzo anche io».
Come si sente adesso? «Mi sento il mondo cadere addosso. Lo so, è una frase fatta, ma è proprio quello che sento». Cosa le ha detto sua moglie? L'ha perdonata? «Perdonato... Macché, piange tutto il giorno. Non so come andrà a finire». E con i suoi figli ha parlato? «No, non ancora. Non ho il coraggio».
Lorenzo Salvia
Il Corriere della sera, 30 luglio 2007

S come solitudine: l'alfabeto del "Caso Mele"

Da Flaiano a De Sade: citazioni in libertà per lo scandalo che rilancia l'ennesima "questione morale"
di CARLA RESCHIA
Come una ventata d'aria fresca nel fine luglio più afoso degli ultimi anni, l'affair Mele ha distolto il Parlamento da questioni noiose come le pensioni e la giustizia permettendo agli onorevoli di misurarsi con la questione morale, da sempre cavallo di battaglia della nostra politica. Ecco senza pretese di completezza e con tante scuse per l'extrapolazione, alcune delle dichiarazioni più interessanti in merito.

La solitudine del deputato. «La solitudine è una cosa molto seria e la vita del parlamentare è una cosa dura per chi la fa seriamente. Al parlamentare bisognerebbe dare di più e consentire il ricongiungimento familiare», Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc.
Stupefacenti. «Le affermazioni di Cesa sul ricongiungimento familiare dei parlamentari sono stupefacenti».Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera.
Diserzioni. «Inaccettabile che altre forze di opposizione abbiano rinunciato al proprio dovere di parlamentari disertando l’Aula della Camera, anche, forse, per il poco nobile motivo di farsi tre giorni sotto l’ombrellone». Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, il giorno del voto sulla riforma della giustizia, alla vigilia della notte brava di Mele (che non era in aula).
Proverbi. «Questo mi sembra uno dei classici casi in cui la toppa è davvero peggiore del buco». Silvana Mura, deputata di Italia dei Valori, a proposito delle dichiarazioni di Cesa sulla solitudine dei deputati.
Ammirati. «Siamo ammirati dalla delicatezza d’animo dell’onorevole Cesa che combatte la solitudine e promuove il ricongiungimento familiare. Sono temi che la vicenda Mele rende di strettissima attualità e pertinenza. Ci farebbe piacere che l’alto funzionario della Camera che ha illuminato a riguardo il Segretario dell’Udc uscisse dall’anonimato e ci consentisse di approfondire tutti questi argomenti». Stefano Graziano, dirigente organizzativo dell’Italia di Mezzo.
Personalmente. «Personalmente saranno più di trent’anni che non fumo nemmeno una sigaretta, ma non mi sottoporrò al test anti-droga proposto dall’Udc. Intendo così rivendicare il diritto all’imperfezione, alla contraddizione e all’errore». Gaetano Quagliariello, senatore di Forza Italia.
New entry: il devoto puttaniere. «Dopo il caso Mele abbiamo una nuova categoria che è venuta alla luce: i puttanieri moralisti». Franco Grillini, deputato della Sinistra democratica, presidente onorario dell’Arcigay.
Strangers in the night. «La signora mi era stata presentata quella sera a cena da amici». Cosimo Mele, ex deputato Udc.
Come De Sade insegna. «Non comprendo perchè ci si debba scandalizzare per il povero nostro collega che in modo appartato si era dato a giochi del tutto eterosessuali di cui è piena la storia del mondo e per il quale il marchese De Sade viene considerato un grande letterato e maestro di costume». Francesco Cossiga, presidente emerito della Repubblica.
Metti un cane a Montecitorio. «Sono davvero dispiaciuto per il linciaggio pubblico in corso nei confronti di Cosimo Mele. Dissi, ormai mesi fa, che se un cane poliziotto fosse entrato a Montecitorio, si sarebbe ’arreso’ ». Daniele Capezzone, deputato della Rosa nel pugno.
Silenzio stampa. «Chiedo silenzio e rispetto per il parlamentare e la sua famiglia».Gianfranco Rotondi, segretario della Democrazia Cristiana per le Autonomie.
Con rammarico. «Con rammarico ed amarezza, anche per la sofferenza dell’uomo, ma l’Udc deve chiedere a Mele le dimissioni da deputato». Maurizio Ronconi,vicecapogruppo dell’Udc alla Camera
Maestro Flaiano. Come diceva Flaiano, « la situazione è grave ma non seria». Salvatore Bonadonna, deputato Prc.

domenica 29 luglio 2007

L'Italia civile ha ricordato Rocco Chiinnici

Intuì che il lavoro in pool poteva dare grandi risultati contro Cosa nostra. E fu trucidato in maniera barbara, con un'autobomba, come Paolo Borsellino nove anni dopo. Si ricorda oggi il ventiquattresimo anniversario della strage di via Pipitone Federico, quella in cui furono uccisi, il 29 luglio del 1983, il capo dell'Ufficio istruzione della procura di Palermo, Rocco Chinnici, due carabinieri di scorta, il maresciallo Mario Trapassi e l'appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi. Fu la prima strage in stile «libanese», si disse allora. Oggi sarà in città il ministro della Giustizia Clemente Mastella, che alle 10.30 deporrà una corona sul luogo della strage. Saranno presenti i familiari del giudice Chinnici, delle altre vittime e l'autista giudiziario Giovanni Paparcuri, sopravvissuto all'attentato. Alla cerimonia parteciperanno anche il generale di Divisione Giuseppe Barraco, comandante interregionale Carabinieri «Culqualber»; e il generale di divisione Arturo Esposito, comandante della Regione Carabinieri Sicilia. Alle 11, nella cappella della Caserma Bonsignore, sarà celebrata una messa. Cerimonie si svolgeranno anche a Misilmeri, il paese natale di Chinnici, e a Partanna, dove il magistrato lavorò a lungo. Tante le attestazioni di ricordo, dal presidente della commissione antimafia, Francesco Forgione, a Rita Borsellino; dal presidente della Provincia, Francesco Musotto al presidente del Consiglio comunale, Alberto Campagna. Il presidente della Regione Salvatore Cuffaro ricorda che «il giudice Rocco Chinnici non si stancava di ripetere che solo un intervento globale dello Stato, nella varietà delle sue funzioni amministrative, legislative e politiche, avrebbe potuto sicuramente incidere sulle radici della malapianta mafiosa, avviando il processo del suo sradicamento».
Mariateresa conti
La Sicilia, 29.07.2007

Largo ai giovani. Un passo avanti concreto, nella giusta direzione

di Ignazio Marino *

Un passo avanti concreto, che va nella giusta direzione. Quella di favorire le giovani intelligenze, frenare l´esodo dei nostri cervelli migliori verso l´estero, puntare sul merito e, una volta tanto, non solo sulle amicizie. Con questo spirito nella scorsa finanziaria sono riuscito ad introdurre un emendamento che destinava il 5% dei fondi pubblici per la ricerca biomedica, ai progetti presentati da giovani scienziati al di sotto dei quarant´anni. Ma la novità più importante è quella che prevede un sistema di valutazione dei progetti e di assegnazione dei fondi davvero trasparente, messo nelle mani di una commissione costituita da dieci membri, anch´essi tutti al di sotto dei quarant´anni, per la metà appartenenti a centri di ricerca stranieri.L´obiettivo è evidente, ed è quello di spezzare il circolo vizioso che assicura il controllo dei fondi ai baroni universitari che spesso hanno la cattiva abitudine di distribuirli non pensando al merito o cercando di promuovere le idee migliori ma sulla base di cordate, di favori trasversali, di nepotismo, insomma nel solito modo. Proviamo ad immaginare un ragazzo di trent´anni senza un posto di lavoro stabile, uno dei tre milioni di giovani precari italiani, che abbia un´idea brillante per sperimentare un nuovo metodo per la cura del diabete. Per sviluppare la usa intuizione avrà bisogno di un laboratorio, di attrezzature per studiare le cellule e di due tecnici che lo aiutino nei suoi esprimenti di biologia molecolare. Complessivamente gli serviranno all´incirca cinquecentomila euro per due anni. Se quel giovane motivato ed appassionato alle sue ricerche si presentasse oggi in una facoltà di biologia o medicina per illustrare il suo piano di lavoro ben congegnato che cosa accadrebbe? Probabilmente non riuscirebbe nemmeno ad avere l´appuntamento con il preside o con il professore della materia. A meno che non sia un amico di famiglia, un vicino di ombrellone, o non abbia un cognome noto all´interno dell´ateneo. E allora che potrà fare? Se sarà veramente motivato cercherà di proporre il suo studio a un´università straniera e, se il progetto è effettivamente valido, con ogni probabilità sarà contattato via e-mail per un colloquio e in poco tempo potrà fare le valigie portando con se, a Parigi, a Cambridge o a Philadelphia, il suo bagaglio di conoscenze acquisito in vent´anni di formazione scolastica a spese dello stato italiano. È l´assurda normalità del nostro mondo della ricerca. Ma non è una realtà ineluttabile, l´inversione di tendenza è obbligatoria e può iniziare oggi. Venerdì scorso il consiglio dei ministri ha firmato il decreto che rende esecutivo il mio emendamento sulla ricerca e tra poco sarà pubblicato il bando di concorso per l´assegnazione dei finanziamenti. Con questa norma, quel ragazzo potrà presentare il suo progetto: se sarà selezionato avrà la certezza di poterlo condurre a termine e il successo o l´insuccesso dipenderà solo da lui, dal suo impegno, dalla sua capacità di trasformare un´idea in una realtà innovativa, e magari anche in un brevetto economicamente produttivo. E inoltre sarà lui stesso a decidere dove svolgere le sue indagini, in una università come in una azienda privata, perché il finanziamento è assegnato al ricercatore e non all´ente di ricerca. Sarà così nell´interesse dell´università o dell´istituto scientifico accogliere i cervelli che, in questo caso, sono anche portatori di fondi. Ma soprattutto quel ragazzo potrà cominciare a credere in un sistema che premia i migliori e non solo i più appoggiati.Va da sé che, escludendo da tutto questo processo le persone che hanno superato i quarant´anni, verrà meno l´influenza della componente più conservatrice della nostra università, basti pensare che negli atenei italiani, su 18.651 docenti di ruolo, solo lo 0,05% ha meno di trentacinque anni, vale a dire nove persone in tutto. Un numero esiguo se paragonato con quello di un paese come l´Inghilterra dove i professori al di sotto dei 35 anni sono il 16%. I risultati di questo nuovo metodo di attribuzione dei fondi per la ricerca saranno facilmente verificabili e, se positivi, diventerà più semplice introdurre le stesse regole per una percentuale più ampia delle risorse. Si potrebbe immaginare anche di estendere questo metodo al di là del settore della bio-medicina a tutti gli ambiti della ricerca, scientifica e non. Sono convinto che sia questa la strada da percorrere e che l´inversione di tendenza possa avvenire solo cambiando radicalmente il paradigma: dal barone che sceglie il proprio famulo sulla base della fedeltà o della convenienza, al giovane capace che si procura e si assicura i fondi in maniera indipendente, potendo scegliere in piena libertà il centro di ricerca dove utilizzarli. Ciò che verrà giudicato saranno solo la sua intelligenza ed i suoi risultati.
* Professore di chirurgia "Jefferson Medical College" - Presidente della commissione Sanità del Senato
L'Unità, 29.07.07

venerdì 27 luglio 2007

Il Capo della Polizia Antonio Manganelli: "In Sicilia tornano gli scappati"

ROMA - Occhi aperti delle forze di polizia sul fenomeno del ritorno, in Sicilia, degli 'scappati', esponenti mafiosi espulsi dalle cosche. Ha detto il capo della polizia, Antonio Manganelli, parlando alla commissione Affari Costituzionali della Camera. Mai, ha spiegato Manganelli, "si sarebbe immaginato che dai vertici di Cosa Nostra sarebbero stati autorizzati questi ritorni. Ciò è legato ad una fazione molto forte dell'organizzazione, ma non a tutta la mafia, quindi sono possibili scintille e noi stiamo particolarmente attenti".
In Sicilia, comunque, ha proseguito il capo della polizia, "la mafia continua ad essere quasi silente, preferisce la penetrazione nei gangli della vita pubblica attraverso gli appalti, il controllo del territorio e le estorsioni a tappeto". Per quanto riguarda il pizzo, ha aggiunto, "si tratta di somme non tanto consistenti da spingere la vittima alla denuncia: l'estorsione è considerata quasi come un costo d'impresa". La chiave per sconfiggerlo, ha osservato, "è l'associazionismo, il non sentirsi isolati". La Sicilia 26/07/2007

A Gela, prof caccia studente: "Sei un gay". E Fioroni invia un ispettore

E' accaduto a Gela: ripreso in un video mentre bacia un giovane. L'alunno ricattato dai compagni e poi allontanato dall'insegnante. Dopo la bocciatura ha denunciato gli atti di bullismo. La condanna dell'Arcigay e dei deputati Grillini e Luxuria


GELA (Caltanissetta) - Continuano le polemiche sull'episodio di bullismo antigay a Gela. Un ragazzo di 17 anni aveva denunciato di aver smesso di andare a scuola, e di aver perso l'anno, perché cacciato dal suo insegnante che lo aveva "accusato" di essere omosessuale. Per indagare sull'episodio, condannato da associazioni omosessuali ed esponenti politici, il ministro della Pubblica Istruzione ha deciso l'invio di un ispettore. I fatti. "Vai a casa e non venire più a scuola perché sei un gay", avrebbe detto il docente dopo aver visto un filmato in cui il giovane alunno bacia un altro studente, costretto a farlo da alcuni compagni di classe. A denunciarlo è stata la stessa vittima, un ragazzo di 17 anni, che in un esposto ai carabinieri di Gela ha raccontato le discriminazioni subite in classe, perché ritenuto omosessuale. Un clima ostile che lo avrebbe indotto a non frequentare più la scuola, col risultato di essere stato bocciato. I soprusi e gli atti di bullismo sarebbero avvenuti nell'Istituto industriale "Emanuele Morselli", dove il ragazzo frequentava il terzo anno di informatica. Dopo averlo ripreso con un videofonino mentre baciava un compagno, gli altri studenti lo avrebbero ricattato, costringendolo a fare quello volevano, con la minaccia di diffondere le immagini. Il giovane sarebbe caduto in depressione e non avrebbe più frequentato la scuola. Questa ricostruzione dei fatti è contenuta nella denuncia che il giovane ha sporto ai carabinieri contro tutta la sua classe e contro alcuni insegnanti. Le reazioni. Immediate le reazioni delle associazioni omossessuali. Il Circolo Mario Mieli ha condannato l'episodio come 'un evidente caso di bullismo e di odiosa campagna discriminatoria nei confronti delle persone omosessuali, con l'aggravante che uno degli attori di questa tragica commedia è addirittura un insegnante". L'Arcigay ha chiesto al ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni di ordinare una "immediata ispezione ministeriale per verificare la sussistenza di reali responsabilità della struttura scolastica in merito alla vicenda".
Dello stesso avviso anche il deputato di Sinistra Democratica, Franco Grillini, secondo il quale "l'episodio di Gela è solo l'ultimo di una lunghissima serie che è stata più volte segnalata al ministero della Pubblica Istruzione. Putroppo alla base del bullismo antigay c'è la cultura macista, persistente in molte aree del Paese". Le deputate di Rifondazione comunista- SE, Titti De Simone e Vladimir Luxuria sottolineano che "il bullismo nelle scuole italiane "è un fenomeno che non si attenua ed è ancora più preoccupante se il bullo è lo stesso professore". Critico anche l'Osservatorio Sociale. Secondo il presidente Luigi Camilloni:"È difficile comprendere come la scuola possa essere formatrice di cittadini allorquando i suoi funzionari pubblici-educatori si permettono di apostrofare geli studenti dandogli del 'gay' ". Un ispettore dal ministero. L'intervento del Ministro della Pubblica Istruzione non si è fatto attendere. Fioroni, alla luce dell'espisodio di Gela, ha disposto, tramite il direttore regionale l'invio di un ispettore, il prof. Giuseppe Valente, che dovrà accertare fatti ed eventuali responsabilità e che riferirà con un primo rapporto nelle prossime ore.
(La Repubblica, 26 luglio 2007)

La "corsa" verso la leadership del Partito Democratico. Walter Veltroni va a 160

di Marco Damilano

Lo staff. I suggeritori. I testimonial. L'arma segreta. Il tour della penisola. Così il sindaco prepara la conquista del Pd


L'unico passo falso, per ora, ha avuto come testimoni solo gli uomini della scorta: uscendo in fretta e furia di casa, la mattina di sabato scorso, Walter Veltroni è ruzzolato giù da uno scalino e per qualche istante ha temuto di essersi slogato una mano. Pochi minuti dopo, però, era già nel popolare quartiere di Testaccio, a tenere banco in una lunga conferenza stampa dedicata al nuovo mercato che sorgerà sui ruderi dell'antica Roma. Uno scivolone isolato: la campagna 'Walter for leader' è appena iniziata, la macchina si è appena messa in movimento, il ronzio del motore cresce. E già assomiglia a una sinfonia trionfale, almeno a sentire l'entusiasmo dei supporter. Radunati nell'appello 'per rifare l'Italia', firmato da 160 intellettuali, amministratori, scienziati, sportivi, preti, da Vittorio Foa a Tina Anselmi, da Renzo Piano a don Luigi Ciotti, da Francesco Saverio Borrelli a Umberto Veronesi. Un distillato di Veltro-mondo, senza i Ghini, le Dandini e altri personaggi televisivi, ma con in più il campione del mondo del 1982 Marco Tardelli, su cui il sindaco di Roma ha composto anni fa una voce nel dizionario del calcio: "formidabile senso tattico, velocissimo nelle ripartenze e dannatamente efficace uomo gol in area di rigore". Quasi un autoritratto: Veltroni il Candidato prepara le prossime mosse. Un tour a partire da settembre che toccherà la penisola da nord a sud, da Varese a Bari. Un comitato promotore della candidatura con quartier generale a Roma, in via della Lega lombarda, ironia della sorte. Un sito Internet che si annuncia ricco di sorprese, su modello di quello dell'adorato Barack Obama. Un nutrito gruppo di giovani disposti a impegnarsi nel Partito democratico guidato dal sindaco di Roma: blogger, ragazzi di Locri, liceali romani impegnati in Africa, cervelli in fuga dall'Italia e ora pronti a tornare in patria in nome di Walter, come nella Camelot kennediana. Un comitato di esperti a scrivere il programma sui temi economici e sulle riforme istituzionali, da Tito Boeri a Stefano Ceccanti. E, nel backstage, tanta politica: quella che non emoziona ma porta consensi e permette di intrecciare nuove alleanze.
Martedì 17 luglio, per esempio, uno dei primi a salire le scale del Campidoglio, alle otto del mattino, è stato il senatore teo-dem Luigi Bobba, finora super-rutelliano. E i frutti si sono visti subito: tra i 160 nomi pro-Veltroni è spuntato anche Edo Patriarca, già portavoce del comitato Scienza e Vita voluto dal cardinale Camillo Ruini che promosse l'astensione ai referendum sulla fecondazione assistita. La settimana scorsa è stato il turno di un altro personaggio a sorpresa, il deputato dell'Udc Bruno Tabacci, nemico giurato del bipolarismo targato Prodi-Berlusconi. Un lungo colloquio per chiarirsi le idee sulla futura legge elettorale. E il modello 'sindaco d'Italia' sembra più lontano anche per Veltroni che l'ha sempre sostenuto. "La vostra esigenza di una nuova legge elettorale che non costringa meccanicamente i partiti a stare insieme in coalizioni non omogenee mi sembra condivisibile", ha concluso il candidato-leader del Pd. Non è ancora un'apertura al sistema tedesco che piace tanto ai centristi di Pier Ferdinando Casini, con la teorizzazione delle mani libere al momento delle elezioni, ma poco ci manca. Anche perché incombe il referendum elettorale che potrebbe rimettere in gioco tutto.Rapporti che il sindaco gestisce in prima persona. Telefonate, colloqui, conversazioni per mettere in moto una rete costruita in anni di lavoro. Attorno a lui lavora una piccola squadra coordinata dall'uomo-ombra Walter Verini, detto 'l'Alter Walter', da oltre undici anni in simbiosi con il leader, il capo segreteria da cui passano le scelte più delicate e l'organizzazione della campagna. Prima il discorso del Lingotto a Torino, con una sala allestita in poche ore, poi la raccolta delle adesioni al manifesto dei 160, ora l'allestimento dello staff che seguirà da vicino il Candidato. Nel primo cerchio, quello più operativo, c'è Fabrizio Vigni, senese, coetaneo di Veltroni, ex deputato ds e portavoce della corrente ecologista della Quercia: a lui spetta l'organizzazione del tour di settembre. C'è l'ex leader della sinistra giovanile Vinicio Peluffo. E qualche nome portato in dote dal numero due del ticket Dario Franceschini: il pugliese Alberto Losacco, i deputati Antonello Giacomelli e Giampiero Bocci, due fedelissimi del capogruppo dell'Ulivo alla Camera.

Alla voce consiglieri del Principe c'è un secondo cerchio di politici e esperti. In testa, il nome dell'economista Tito Boeri: è stato lui il discreto suggeritore dell'articolo di Veltroni su 'Repubblica' con cui il leader ha sfidato il sindacato a scrivere un nuovo patto generazionale aperto ai giovani. E poi il ds Enrico Morando, presidente della commissione Finanze del Senato. Il cattolico Giorgio Tonini, oggi senatore ds, ghost writer di Veltroni ai tempi di Botteghe Oscure: toccherà a lui occuparsi dei temi etici, questione che ha dilaniato il centrosinistra e il Pd negli ultimi mesi. Marco Causi, assessore al Bilancio del comune di Roma, amico di Walter dai tempi della Fgci, l'uomo che ha inventato la 'Veltronomics': il mix di sviluppo e solidarietà, concerti e cemento, case della musica e concertazione con i sindacati, che ha portato a un aumento degli occupati a Roma del 15 per cento, al boom del turismo (più 25 per cento in tre anni), alla crescita del numero delle imprese. Sulle questioni istituzionali, a dare una mano ci sono il professor Augusto Barbera e la new entry Stefano Ceccanti, ex presidente della Fuci, prolifico costituzionalista: solo negli ultimi tre mesi ha partorito il disegno di legge sui Dico, le regole con cui si voterà il 14 ottobre per la Costituente del Pd e qualche svariata proposta di riforma elettorale. Una, la più ambiziosa, è stata presentata a Roma da Veltroni e dal leader di An Gianfranco Fini. Infine, c'è il terzo cerchio, la macchina politica, quella che si occupa delle liste con cui Veltroni correrà alle elezioni del 14 ottobre. A gestire le stanze fumose della trattativa tra apparati, in realtà, si è piazzato un personaggio ingombrante, per stazza e per peso politico. Nello staff del sindaco lo chiamano, rispettosamente, il Regista: il senatore ds Goffredo Bettini, patron della Festa del Cinema all'Auditorium, intellingenza luciferina e pigra gestione del potere, riconosciuto inventore del 'modello Roma' che dal 1993 governa la capitale. Ha già cominciato a mettere sulla scacchiera le pedine del dopo-Veltroni a Roma: lunedì scorso si è presentato in camiciona nera, pantaloni verdi e mocassini senza calze a un raduno della Quercia alla ex Fiera e ha estratto dal cilindro il nome del giovane assessore all'Urbanistica Roberto Morassut da mettere in pista per il Campidoglio. "A Roma in questi anni abbiamo costruito un gruppo dirigente di prim'ordine che ora può estendere la sua influenza a tutto il paese", spiega. Traduzione: comandiamo a Roma, lo faremo nel resto d'Italia. Ma questa è una semplificazione che irrita Bettini: "La nostra forza è sempre stata quella di riuscire a mettere da parte le ambizioni personali. Nel Pci sono cresciuto con giganti come Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Giancarlo Pajetta, Giorgio Amendola, Pietro Ingrao... Avevano un bel caratteraccio, ma anche un progetto comune che li teneva insieme. Ora il berlusconismo è penetrato anche nel centrosinistra: troppi nani che vogliono comandare, non va bene". Non si riferisce a Veltroni, ovvio. Quando parla del sindaco il Regista si intenerisce: "Walter è un pazzo, uno che lavora dalle sette del mattino alle due di notte". E promette per il Pd "un'allegra sfrontatezza".Sfrontatamente, Bettini sta mettendo su il listone Veltroni che dovrà sostenere il sindaco il 14 ottobre. Quattrocentosettantacinque collegi in tutta Italia con liste da tre-quattro nomi per collegio. In più, ci sono da eleggere venti coordinatori regionali e rispettive assemblee costituenti. Un incastro pazzesco che però lascia tranquilli Bettini e i veltroniani: anzi, assicurano, il risultato sarà di far venire tanta gente a votare. Tra amici e parenti dei candidati collegio per collegio, più l'effetto interesse assicurato dagli altri competitori, da Rosy Bindi a Enrico Letta a Furio Colombo al giovane blogger Mario Adinolfi, l'obiettivo di portare a votare oltre un milione di persone sembra concreto. La macchina organizzativa dei partiti è già in movimento per preparare l'elenco dei candidati, soprattutto quelli sicuri di essere eletti: si vota con lista bloccata, i nomi ai primi posti hanno l'elezione assicurata. Si ritroveranno nel listone Veltroni i Ds al gran completo, dagli uomini di Piero Fassino a quelli di Massimo D'Alema, i popolari di Franco Marini e di Giuseppe Fioroni, più i rutelliani riuniti sotto le insegne del 'manifesto dei coraggiosi' che invoca "un centrosinistra di nuovo conio", ovvero allargato all'Udc: non così coraggiosi, però, da candidarsi da soli, senza l'ombrello protettivo di Walter.
Altri petali potrebbero aggiungersi nei prossimi giorni: i liberal-democratici di Giuliano Amato, per esempio. La lista dei sindaci del Nord capeggiata da Sergio Chiamparino, Massimo Cacciari, Marta Vincenzi, Filippo Penati. E qualcosa si muove anche nell'universo prodiano: il ministro dell'Attuazione del programma Giulio Santagata, tra i primi a lanciare la candidatura Veltroni alla guida del Pd in tempi non sospetti, ha convocato on line i circoli Incontriamoci che raccolgono 25mila persone in tutta Italia: ulivisti della prima ora. Obiettivo: organizzare una lista fuori dai partiti. Il nome del candidato da sostenere è ancora incerto: "Vedremo e decideremo insieme", promette Santagata. Che tra Letta, Bindi e Veltroni ancora non ha fatto la sua scelta.Ma i cento fiori veltroniani non si limitano ai partiti. La novità sono i giovani da inserire in posizione eleggibile. Sono loro l'arma segreta, l'esercito di nomi, volti, storie non ancora consumate su cui Veltroni punta per rinvigorire il Pd. L'operazione, in realtà, è partita con un tam tam su Internet attorno a una provocazione di Luca Sofri e di qualche altro solito noto, da cui è nato un gruppo che si è ribattezzato pomposamente i Mille. All'inizio sembravano voler correre in proprio con un candidato alla segreteria del Pd. Un uomo di punta del gruppo, il blogger Adinolfi, è sceso in campo per davvero. Ma tutti gli altri sono stati sedotti dalla sirena veltroniana: tra i firmatari dell'appello dei 160 c'è il trentaduenne romano Marco Simoni, politologo della London School of Economics, uno dei giovani animatori dei Mille. E poi l'economista Giancarlo Bruno, capo Banking del World Economic Forum a New York, appena quarantenne: i suoi coetanei giurano che potrebbe essere lui il Padoa-Schioppa di Veltroni. E l'immancabile Ivan Scalfarotto, la rivelazione delle primarie 2005, quelle dei quattro milioni e mezzo di elettori, ormai considerato un'icona del rinnovamento generazionale e pazienza se i consensi non sono all'altezza di tanta immagine. All'assemblea costituente del Pd vorrebbero esserci anche loro: "Non siamo società civile, vogliamo fare politica", spiega Simoni, coordinatore di un appello dei cervelli italiani all'estero che conta tra i firmatari l'astrofisica calabrese Sandra Savaglio del Max Planck Institute di Monaco, 39 anni, finita sulla copertina di 'Time' come volto simbolo della nuova emigrazione all'estero degli scienziati europei. Accanto a loro ragazzi di venti anni come Michele Samoggia, con la passione dell'Africa, tra un viaggio e l'altro in Mozambico e Malawi.Africa e innovazione. Internet e periferie. Notti bianche e sviluppo economico. I parenti delle vittime della mafia e del terrorismo, simboli del dolore che ha attraversato questi decenni, e il made in Italy, la creatività, l'effimero. L'Italia che lavora e l'Italia che si dispera, come da canzone di Francesco De Gregori. Così il modello Veltroni si prepara a conquistare il paese, o almeno quella parte di paese che si riconosce nel Partito democratico. Con una grinta inaspettata nell'ex ragazzo rosso che ha scalato tutte le tappe della carriera politica con professionismo e con leggerezza, quasi senza darlo a vedere. Ora finalmente può interpretare nel ruolo di protagonista il film che ha sempre sognato, il candidato democratico che corre per guidare il suo popolo. Uno come lui, che non sembrava avere gambe e polmoni da fuoriclasse, come Tardelli. E, invece, eccolo qui, a inseguire il gol che vale una vita. Attenzione alle scivolate, però.
(Da L'Espresso)

Tu chiamalo se vuoi Emozione. Tutto Veltroni dalla A alla Zeta

di Marco Damilano

Gli amici. Le passioni. Il sistema di potere. I miti. La famiglia. Le parole d'ordine. I rivali politici. I tic. I punti deboli.

Africa. Nel Walter-mondo è l'alternativa alla sinistra-paese normale, tutta barche, scarpe, Vissani e cinismo. Lui contrappone bidonville, discariche, ospedali, visite in Mozambico, Kenya, Ruanda, Malawi. Ma è anche il fantasma del ritiro dalla politica. "Nella mia testa e nel mio cuore c'è l'Africa. La stagione del mio impegno nazionale è finita: nel 2011 toglierò il disturbo", rivelò nel 2002. Nobile proposito, suscettibile di ironie. Corrosivo Francesco De Gregori: "Chiudi la porta e vai in Africa, Celestino!".

Auditorium. Il Tempio del veltronismo. Negli scarabei disegnati da Renzo Piano si avvicendano Leonardo DiCaprio e Pietro Ingrao, Sean Connery e Luca Cordero di Montezemolo. Sede della Festa del Cinema, la più compiuta creatura del sindaco cinefilo. Deus ex machina, il ds Goffredo Bettini, gran regista dell'operazione Veltroni.BerlinguerQualcuno era comunista perché Berlinguer era una persona perbene, canta Giorgio Gaber. Veltroni tra questi: "Il Pci era il posto dove si ritrovavano tante fantastiche persone perbene", si commuove. Enrico è "il simbolo dell'Italia migliore", dove si poteva essere iscritti al Pci senza essere comunisti.

Buonismo. Veltroni non si vanta, non si gonfia, non si adira. Non dice le parolacce, non coltiva rancori. Macché, provò a smascherarlo il dalemiano Claudio Velardi,"è un cattivo travestito da buono. Persegue con ferocia i suoi obiettivi". Ma Veltroni lo ha perdonato. E oggi si vogliono bene.

Canottieri Aniene Il regno di Giovannino Malagò e il cuore del potere romano, dove girano appalti da 20 milioni di euro per una nuova piscina, opera collegata ai Mondiali di nuoto 2008, e si frequentano Montezemolo e i fratelli Vanzina, Abete e Panatta, Caltagirone e Verdone. Veltroni è socio onorario. Si candidano ad allargare il Tevere al resto d'Italia.

D'Alema Il rivale da 30 anni, una continua gara a chi piace di più. Nel partito e nel Paese. Sotto la Quercia non c'è storia: il più amato è Massimo e Walter ne soffre. Quando uno va su, l'altro va giù, e viceversa, senza perdersi di vista. "Siamo come Gassman e Trintignant nel 'Sorpasso'. Fatto salvo il finale", ha detto il sindaco. Profetico: nel reale, infatti, non è Trintignant-Veltroni a precipitare nel burrone all'ultima curva. Anzi.

Emozioni La parola magica del veltronismo, fin dallo slogan più fortunato: 'Non si spezza una storia, non si interrompe un'emozione'. Il cuore oltre l'ostacolo. Il sentimento che scavalca la durezza della politica. La nuova egemonia culturale, adatta ai tempi convenzionalmente liquidi: il jazz di Jan Garbarek e la poesia di Borges sui giusti che stanno salvando il mondo. Senza disprezzare Susanna Tamaro e Claudio Baglioni.

Fiocco Cane recuperato per la gioia della padroncina e dell'intera città. Indimenticabile l'agenzia di Walter: "Veltroni: soddisfazione per il ritrovamento di Fiocco".

Flavia "A Flavia, per i nostri ottomila giorni di emozione e di scoperta". "A Flavia piccolo principe". Nelle dediche dei suoi libri c'è lei, insieme alle figlie Martina e Vittoria. La compagna di sempre, conosciuta nel '74: Flavia Prisco, la moglie di Walter. Il lato ironico del leader. Un anno fa, l'unica uscita: per sostituire il marito al comizio finale nella campagna per la rielezione a sindaco. Veltroni era fuori uso: in ospedale per una colica renale.

Giovanni Paolo II Il 23 dicembre 2006 Veltroni inaugura alla stazione Termini una stele dedicata al grande papa con i cardinali Camillo Ruini, Tarcisio Bertone, mentre i laici erano sul piede di guerra contro i mancati funerali religiosi di Piergiorgio Welby. Il leader è un laico devoto, gran frequentatore di celebrazioni sacre. Una volta, vedendolo tra i banchi, Giulio Andreotti non si trattenne: "Qualcosa è cambiato. Prima arrivavo a messa 15 minuti prima e non c'era nessuno. Adesso trovo sempre il sindaco...". I tempi in cui partecipò al Gay Pride sono remoti. Meglio lui, dicono in Vaticano, laico che segue la lezione di Claudio Napoleoni ("Cercate ancora") che il cattolico adulto Prodi.

Hollywood In primavera il sindaco è volato a Los Angeles a caccia di star per la Festa del Cinema. Quelle italiane tifano tutte per lui, da Sabrina Ferilli a Lando Buzzanca. Ma anche Robert De Niro, George Clooney, Brad Pitt, Matt Demon sono di casa in Campidoglio: a cena sulla terrazza Caffarelli, affacciati dalla finestra dello studio del sindaco che dà sui Fori, in giro per Roma trasformata in set.

I Care Il motto di don Lorenzo Milani, riscoperto al congresso dei Ds nel 2000. Oggi un marchio di fabbrica del veltronismo.

Jovanotti Sarà il cantautore del Pd. Veltroni lo aveva adocchiato ai tempi di 'Penso positivo': "Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa...". Un'altra canzone di Jovanotti è diventata la colonna sonora dei comizi di Veltroni. Titolo evocativo: 'Mi fido di te'.

Kennedy Bob, non John. Mito adolescenziale di Veltroni: "Una persona molto timida, molto introversa, con un grande coraggio". L'omicidio è il sogno spezzato, titolo di un libro cult del veltronismo.

Letta Gianni, non Enrico. Un amico che lo ha salutato con affetto: "Da oggi non ti chiamo più sindaco, ma presidente". Anche Veltroni lo corteggia pubblicamente: "Un uomo come Letta potrebbe far parte di un governo di qualsiasi schieramento". Larghissime intese.

McEwan Autore di 'Bambini del tempo', libro di formazione per quarantenni di sinistra. In 'Sabato', Veltroni è diventato un personaggio del romanzo: "A quiet, civilized man, with a passion for jazz".

Modello Roma Ovvero, il veltronismo realizzato. Riformismo e radicalismo uniti, d'amore e d'accordo. Un consenso universale che va dai no global all'Opus Dei, da Nunzio D'Erme ad Alberto Michelini. Funzionerà nel resto d'Italia?

Notte Bianca La prima rischiò di concludersi con un disastro: colpa del black out che fece piombare l'intera Penisola nel buio. Poi la kermesse è decollata: un festival del veltronismo, fonte di innumerevoli polemiche, da destra e da sinistra.

Obama Il nuovo punto di riferimento di Veltroni. Il carismatico senatore nero dell'Illinois che sfida Hillary. Anche se nella capitale circola una perfida battuta: "A Roma poco Obama, molte Barack".

Ppp Pier Paolo Pasolini, fotografato in giacca jeans accanto ai ragazzi Veltroni e Nando Adornato a metà anni Settanta. Walter ha appena chiesto ufficialmente la riapertura dell'indagine sul suo omicidio.

Quel gran pezzo dell'Ubalda Tutta nuda e tutta calda. Mitico film del 1972, regia di Mariano Laurenti, con Edwige Fenech e Pippo Franco, recensito da Veltroni sul 'Venerdì' negli anni '90: "Ha aiutato a dislocare verso equilibri più avanzati il comune senso del pudore".

Rai Seconda casa di Veltroni. Il papà Vittorio è stato il primo direttore del tg. La mamma Ivanka, una leggendaria funzionaria. Mike Bongiorno ricorda di averlo tenuto sulle ginocchia da bambino. Cresciuto, portò a casa Raitre e Tg3 per il Pci. Oggi stima Serena Dandini, Gianni Riotta, Fabio Fazio. Più l'eterno Giovanni Minoli.

Senza Patricio Prova narrativa del sindaco-scrittore, applaudita senza pudore dai colleghi. Ermanno Rea: "Bellissimo. Un gioiello". Andrea Camilleri: "Una sinfonia per solisti e coro". Gianni Amelio: "Un libro magico. Mi fa quasi paura, perché parla di noi, di me. Walter, mentre scrivevi non potevi saperlo, ma io sono Patricio!". Tutti sulla scia di Alessandro Baricco: "Veltroni ministro della Cultura è una sicurezza per tutti". Intellettuale organico.

Taxi All'origine dello scontro diretto con Pierluigi Bersani. Concluso con una notte di festa dei tassisti in rivolta in piazza Venezia: cori da stadio, clacson e ringraziamenti per Veltroni mediatore. E con la promessa di 2.500 taxi in più a Roma, a partire dal 15 settembre. Dell'anno scorso.

Uomo dei sogni Il film della vita. Gli ricorda il papà Vittorio, morto quando aveva un anno: "È stato come una fiocinata che ti colpisce al ventre".

Veltrini Walter Verini, l'uomo-ombra del sindaco. Il consigliere più fidato, il risolutore dei problemi. Talmente legato da commuoversi fino alle lacrime mentre parla Veltroni, come al congresso Ds di Firenze. Unico strappo alla discrezione, la ristampa del suo libro-intervista con Luciano Lama 'Sinistra con Vista', dove il leader della Cgil prevedeva la nascita del Partito democratico: "Il tempo delle autosufficienze deve finire per sempre". E indicava il leader: "Veltroni è un uomo che conquista".

Zio Walter Si faceva chiamare così all'epoca della sfida contro D'Alema (zio Massimo) per la segreteria del Pds nel '94. Ora è chiamato a diventare lo zio d'Italia, come ha scritto Marco Belpoliti: "Serio e insieme allegro, votato a una trasgressione limitata. È un parente minore, in tempi di crisi dei parenti maggiori - padri e madri - potrebbe funzionare". Zio, facci sognare.
(Da L'Espresso)

Enrico Letta: "Sono pronto. Il Pd non sarà un partito personale. Ho studiato da leader...

di Marco Damilano

Gli esordi in politica. Il ruolo di ministro a 32 anni. E ora la sfida a Veltroni: Colloquio con Enrico Letta. Da venerdì in edicola


Alle nove di sera di martedì 24 luglio Enrico Letta gioca con i cubi anti-stress al suo tavolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio a Palazzo Chigi. Arrivano notizie sempre più drammatiche sugli incendi al Sud, la tv è accesa sulle votazioni del Senato, come al solito convulse. Resta solo qualche minuto per concentrarsi sulla novità di queste giornate, la decisione di candidarsi alla guida del Pd con un video trasmesso on line. "Mi è venuta l'idea durante una notte insonne", racconta Letta, deciso a togliersi definitivamente di dosso l'immagine dell'abatino: il giocatore di bello stile che non ama lottare. Appuntamento per i suoi supporter il 14 settembre a Piacenza, una convention nella città del quotidiano 'La Libertà', parola chiave del programma lettiano. Perché ha deciso di candidarsi?"Sul piano personale ho deciso di farlo perché nella vita devi rimettere in circolo i talenti che hai ricevuto. Ho avuto la fortuna di vivere per dieci anni accanto a una delle più grandi personalità del dopoguerra, Beniamino Andreatta. C'è chi ha investito su di me, mi è stata data l'opportunità di fare un'esperienza unica, ministro a trentadue anni in settori cruciali. Ora penso di dover mettere a disposizione quello che ho imparato. Sul piano politico, stiamo costruendo un partito per durare decenni, non per restare uniti nelle prossime tre settimane. Il Pd è l'approdo finale di una lunga transizione: per questo le primarie sono un'occasione straordinaria, da non perdere. Chi dice che basta un candidato unico vede i partiti come una cosa statica, con le loro truppe che non si devono dividere, con i confini già definiti. Non è così: c'è una società piena di idee, di risorse, di competenze. Le primarie saranno un volano".Il suo amico Pierluigi Bersani, però, ha rinunciato per "non disorientare gli elettori". Non si sente un guastafeste?
"Rispetto le decisioni di tutti, e in particolare delle persone che stimo di più. Cosa penso io è implicito nella scelta che ho fatto: rischio in prima persona, ci metto la faccia. Potevo benissimo accodarmi, spero di essere un canale che fa entrare nel Pd gente nuova. E poi, il Pd ha un grande obiettivo di sistema: rompere lo schema del partito personale, il berlusconismo che si è insinuato ovunque, a destra, al centro, a sinistra, una malattia politica che il Pd deve estirpare".Quali sono i sintomi del virus?"L'Italia è un'anomalia in Europa. Tutti i partiti si identificano con il leader che li guida, non hanno una leadership contendibile. In An comanda Fini e Storace se n'è andato, per mettere su un altro partito personale. La politica italiana sembra la casa del Grande fratello, ci sono dieci persone in attesa di nomination. E non è vero che i movimenti personali sono l'effetto dell'americanizzazione della politica, il moderno. Negli altri paesi non funziona così. Il Pd deve rompere questo schema: può far nascere un movimento politico che sopravvive al suo leader e costringere gli altri ad abbandonare la logica del partito personale. Dovrebbe essere l'opposizione a innovare, ma è statica, marmorea, tocca a noi farlo, dal governo".Walter Veltroni rischia di avere contratto la stessa malattia?"No, il Pd non potrà mai essere un partito personale. Ho troppa stima di Veltroni per pensare che possa immaginare una cosa del genere. E so che non è così. E la nostra gente non è un pubblico televisivo, non è una claque che applaude. Ecco perché dico che la competizione è positiva: obbliga tutti a sforzarsi per fare un passo in più".Lei si candida a rappresentare la generazione dei trentenni: pensa di averlo fatto davvero con la riforma delle pensioni?"Questa esperienza di governo mi ha trasformato. Mi ha fatto capire la differenza tra essere riformista nei fatti e esserlo con le parole. Essere riformista a parole non è molto difficile, esserlo nei fatti è molto più complicato. Devi trovare le soluzioni adeguate, sei criticato da una parte e dall'altra, ma poi trasformi un'idea in vita vissuta per milioni di italiani. Sulle pensioni potevamo fare di più, ma abbiamo trovato un equilibrio che rivendico. Abbiamo eliminato l'iniquità dei tre anni in una notte, lo scalone, senza penalizzare in nulla la mia generazione. Abbiamo fatto una sfilza di cose che i giovani aspettavano da anni: il decollo della previdenza integrativa con lo sblocco del Tfr, il riscatto della laurea a costo di saldo, la totalizzazione dei contributi che è la priorità per ogni trentenne, la garanzia che i giovani di oggi non avranno dal 2031 una pensione inferiore al 60 per cento del loro stipendio. Nei fatti abbiamo cominciato ad attaccare quella precarietà che è il vero nemico dei giovani. È stato faticoso, dobbiamo ringraziare Romano Prodi, innanzi tutto, e poi Tommaso Padoa-Schioppa, Cesare Damiano e chi tra le parti sociali ha contribuito a questo buon accordo".

Che lezione trae quando siede qui, al tavolo delle trattative, con le parti sociali?"Visto da qui, da Palazzo Chigi, si ha l'impressione che il sistema stia implodendo, si stia frammentando in mille pezzi, è un vestito di Arlecchino, uno specchio rotto dove ciascuno vuole rappresentare solo un tassello. Per questo serve il Pd: non si fa un partito grande immaginando che si possano sommare i pensionati, gli autonomi, i dipendenti. Serve una visione generale che superi la frammentazione". Il Pd come sarà: più vicino ai sindacati, più vicino alla Confindustria, equidistante?"Il Pd dovrà parlare con tutti. E poi decidere. Il Pd è la grande occasione per finire con il collateralismo. Nella prima Repubblica la Dc rappresentava la Cisl e un po' di Confindustria, il Pci la Cgil e un pezzettino di Uil. Il Pd dovrà parlare allo stesso modo con imprese, lavoratori, lavoro autonomo, cooperative. È una cosa utile anche per il mondo sociale: la logica della cinghia di trasmissione è finita, non c'è più". Lei ha firmato il referendum elettorale puntando al sistema tedesco. Per Arturo Parisi lo scontro è tra chi vuole il ritorno al proporzionale e chi difende il modello bipolare. Lei da che parte sta?"Ho cominciato a fare politica con i primi referendum di Segni. Quel movimento obbligò il sistema politico a una buona legge elettorale, il Mattarellum, lo abbiamo scoperto dopo quando è arrivato il Porcellum. Bisogna fare di tutto per eliminarlo: il referendum è il vincolo esterno più forte, ma il Parlamento può approvare una riforma elettorale. Il modello tedesco sembra quello che raccoglie consensi più larghi, io dico: andiamo a vedere".Dietro il modello tedesco non c'è il ritorno al proporzionale, le mani libere dei partiti che si alleano dopo il voto?"Niente mani libere, il sistema tedesco è tedesco, non italo-tedesco. Un sistema che favorisca il bipolarismo e sia compatibile con i grandi partiti: il Pd sarà un grande partito, dall'altra parte c'è Forza Italia. Dobbiamo costruire un modello elettorale che consenta un bipolarismo non delle estreme, com'è stato fino ad ora, ma un bipolarismo che ruoti attorno ai grandi baricentri dei due campi".Cosa pensa del manifesto dei coraggiosi di Rutelli che chiedono un nuovo centrosinistra? Lei fu il primo a parlare di allargamento della maggioranza..."E infatti c'è stato!"Però Marco Follini oggi è con i coraggiosi di Rutelli. Mentre la sua firma non c'è."Tutti i contributi sono buoni, e anche quello lo è, saranno mesi di discussione. Io ho tante cose da dire, comincerò a dirle. Perché vuol farmi misurare con il manifesto di chi non si candida? Mi candido con le mie idee".Ne anticipi una: il Pd deve allearsi anche con l'Udc o guardare solo a sinistra?"Il nostro obiettivo è rafforzare questa maggioranza. Molto dipenderà dalla forza che il Pd darà al governo Prodi. È questo il passaggio chiave: il Pd sta rafforzando il governo Prodi, aver accelerato è stato positivo perché è possibile fare una mediazione più avanzata se si parte da posizioni più nette. Lo dimostra la vicenda delle pensioni: un Pd dai contenuti riformisti nei fatti e non a parole aiuta il governo Prodi a fare scelte coraggiose". All'ultimo congresso della Margherita lei invitò il partito a sfidare i Ds sulla leadership. Non l'hanno ascoltata, la maggior parte voterà per Veltroni..."Ho detto che non potevamo accontentarci di fare i vice-presidenti e i vice-sindaci. Sono stato conseguente con quel discorso. Potevo acconciarmi a convenienze personali, mi prendo un bel rischio ma come potevo fare altrimenti e poi continuare a dire che bisogna rischiare".Il ticket Veltroni-Franceschini è la fotografia di un atteggiamento rinunciatario?"Rispetto le scelte di ognuno. Le mie sono diverse".Si aspetta che le arrivino voti dai Ds?"La mia candidatura ha senso solo se mette insieme Margherita, Ds e mondo ulivista. Perderne solo uno dei tre sarebbe una sconfitta anche raggiungendo un'alta percentuale di voti".Sa cosa si dice? Veltroni sarà il centro del Pd, la Bindi la sinistra, lei è la destra...
"Prima i contenuti, poi il posizionamento. Punto su un concetto come quello di libertà, che è il contrario dell'arbitrarietà di Berlusconi. Il concetto di partecipazione. La 'missione natalità', affrontare il basso tasso di nascite del nostro paese, che sarà il cuore del mio progetto politico. E la lotta alla cooptazione, il grande disastro nazionale: un metodo che vige nelle università, nelle professioni, in politica con una legge elettorale che è il suo trionfo. Voglio aprire una crociata contro la cooptazione e far partecipare chi non si è mai avvicinato alla politica".Lei è un cattolico dichiarato: condivide la sentenza che proscioglie il medico di Welby, Mario Riccio, dall'accusa di omicidio e lo definisce invece un adempimento del suo dovere? "Sono un cattolico liberale. Su questi temi sfido chiunque ad avere risposte che non siano preconcette. La bussola tradizionale non ti orienta più: buona parte dell'agenda politica non ha più risposte, vanno trovate insieme con un'elaborazione molto complicata".Ha fatto discutere la sua affermazione sugli anni Ottanta come i migliori della vita. Pensava ai Duran Duran o a Craxi?"In Italia sono stati gli anni del debito pubblico, una colpa grave di quella classe politica. Ma io difendo quel decennio. Guardiamolo in dimensione globale. Per me gli anni Ottanta significano la caduta del muro di Berlino, la libertà nei paesi dell'Est, la fine dell'apartheid. È finito il mondo bloccato, chiuso, totalitario, si è aperta la libertà".Per finire: chi mette nel Pantheon del Pd?"Non mi piace questo gioco. Preferisco dire quello che penso. E chiedo a quelli che verranno con me di fare altrettanto".
(Da L'Espresso)
27 luglio 2007

L'ultimo boss di Chicago tradito dal figlio pentito


L'"Outfit", organizzazione nata con Al Capone rischia di sparire. Così va in scena in tribunale la saga dei Calabrese

dal nostro inviato MARIO CALABRESI

CHICAGO - Segreti di famiglia" è il serial più appassionante dell'estate americana. Una storia di mafia, omicidi, tradimenti e soldi sporchi. Per vederlo c'è la coda, e non più di cento fortunati riescono a trovare un posto per godersi le otto ore di diretta al giorno. Non è televisione e non è fiction, è il processo alla mafia più importante e avvincente dai tempi di Al Capone. Va in onda da un mese nell'aula delle cerimonie del tribunale federale di Chicago, al venticinquesimo piano di un grattacielo nero in vetro e acciaio a duecento metri dal nuovissimo Millennium Park. In "Family secrets" si raccontano più di vent'anni di strozzinaggio con tassi di usura del dieci per cento la settimana, scommesse clandestine, riciclaggio di denaro sporco, racket delle estorsioni, pizzo, controllo dei videopoker nei bar e 18 omicidi. Ma non è questo ad allungare la coda dei curiosi ogni mattina, a spingere coppie di pensionati e studenti di legge a non perdere una seduta, a riempire i banchi dedicati alla stampa e a tenere le troupe dei network televisivi fisse nell'ingresso. A fare la differenza è una storia familiare senza precedenti: un boss mafioso che passerà il resto della sua vita dietro le sbarre per colpa di due testimoni eccellenti. Suo figlio e suo fratello. Frank Calabrese, settant'anni, da due settimane ascolta le deposizioni di Frank Jr., il suo ragazzo, che lo ha venduto all'Fbi in cambio della libertà e di una nuova vita in Arizona, e di Nick, quel bambino nato cinque anni dopo di lui a cui ha sempre dato ordini e che oggi si vendica, condannandolo ad una cella di massima sicurezza per il resto dei suoi giorni. Non smette mai di fissarli, lo fa per ore sprofondato nella sedia, accarezzandosi la barba brizzolata.

Durante la testimonianza di Frank Jr. scuoteva la testa, poi ha dovuto alzare gli occhi per assistere alla sua pubblica umiliazione: le immagini del tradimento proiettate su un grande schermo. Si vedono padre e figlio nel carcere federale di Milan, in Michigan, ripresi da una telecamera nascosta. Si sente il padre rispondere alle domande del figlio che, istruito dai federali con cui aveva iniziato a collaborare, gli chiede di raccontare come si diventa uomini d'onore. E il boss, pieno di un orgoglio malato che cerca di trasmettere a quel figlio che considera un rammollito, non si sottrae: racconta tutto, perfino i dettagli di otto omicidi e così firma la sua condanna. E quella dei suoi amici James "Little Jimmy" Marcello, l'ultimo capo ufficiale della mafia di Chicago, e di Joseph "il Clown" Lombardo, la vera mente dell'organizzazione. A 78 anni il "Clown" porta ancora gli occhiali quadrati che gli regalarono quel soprannome, ma la faccia è scavata da anni di prigione e il sorriso è scomparso di fronte al naufragio della "Chicago Outfit", distrutta da questa inimmaginabile faida familiare. "Outfit", l'Organizzazione: si sono sempre chiamati così da queste parti, per distinguersi dalla Cosa Nostra della costa atlantica. E poi qui non c'erano cinque famiglie come a New York, ma un unico sindacato del crimine organizzato che ha preso forma nella seconda metà degli Anni Venti con Al Capone. Per ottant'anni hanno diviso la città in sei parti, hanno nominato un boss e un consigliere e hanno regnato incontrastati sulla città. Il loro raggio d'azione arrivava a "Vegas", come chiamavano la città dei casinò, e in Florida, dove amavano andare a mangiare i granchi giganti dopo aver controllato scommesse e riciclaggio. Ora la ribellione di un figlio ha distrutto tutto e questi vecchi seduti sui banchi degli imputati non si danno pace. Perché un figlio mette in trappola il padre? I federali che hanno costruito l'indagine e preparato la trappola raccontano che Frank Jr. è stato il primo a collaborare: "Non ne poteva più della sua brutalità e di una vita di abusi, ci diceva che era uno psicopatico. Quando era bambino, il padre cominciava a urlare per le cose più stupide appena entrato in casa e poi lo picchiava. Non ha mai smesso di farlo e quando è diventato grande ha preso il vizio di puntargli la pistola in faccia". La ferocia di Frank Sr. passa sullo schermo, tutta l'Aula sente il racconto registrato di quel pomeriggio del luglio 1983, quando insieme al fratello Nick uccisero Richard Ortiz, colpevole di aver disobbedito all'Organizzazione, e un innocente che era in macchina con lui, Arthur Morawski. "Vuoi che ti dica un cosa? - dice Frank Senior cercando di insegnare il "coraggio" al figlio -. Il ragazzo polacco che stava nell'auto era una brava persona. Gli era capitato di essere nel posto sbagliato. Ma non potevamo preoccuparci di questo: il lavoro andava fatto. Ricordati che se tu ti trovassi in quella stessa situazione e rinunciassi, poi saresti un fottuto ragazzo".

Frank junior ascolta il padre in silenzio, sa che lo sta registrando, ha già deciso la sua strada e ha trovato il coraggio. "Ma soprattutto - raccontano i federali - non voleva passare la vita in carcere per lui. A casa lo aspettavano una moglie e due ragazzini. Ha scelto loro". Oggi è libero, ha 45 anni e vive in Arizona con il suo nome sulla cassetta della posta: non ha voluto cambiare identità né ha accettato di entrare in un programma di protezione. Ha scommesso, con qualche rischio, che quella storia sia finita, che la mafia di Chicago non abbia più nessuno che lo andrà a cercare. Oggi è il turno di Nicholas. Ha i capelli bianchi, pettinati con la riga, è vestito con una felpa girocollo verde, i jeans e le scarpe da tennis, non guarda mai il fratello, parla girato verso la giuria così da dargli le spalle, da una settimana è sotto interrogatorio e i loro sguardi non si sono mai incrociati. Risponde con tono di voce basso, lento, quasi monotono, ma con precisione inchioda Frank alle sue responsabilità, lo fa con la stessa freddezza con cui ha fatto il killer. Sì, perché a sparare per quattrodici volte è stato proprio Nick, che oggi è il testimone d'accusa. L'avvocato difensore di James Marcello lo controinterroga senza sosta: gli mostra la foto di Nicholas D'Andrea, a cui ha sparato il 13 settembre del 1981, e fa la domanda di rito: "Lo riconosce?". Ma a sorpresa Nick Calabrese risponde: "Riconosco il nome, so che ho ucciso un uomo che si chiamava così, ma la faccia quella no". "Ci vuole dire che non ha presente il volto di una persona che ha ucciso?". "L'ho visto solo per alcuni brevi istanti prima di ammazzarlo, solo pochi secondi". "Allora non è in grado di identificare la persona che ha ucciso?". "Se quella faccia corrisponde a quel nome, allora quello è l'uomo a cui ho sparato". Si è sempre piegato a recitare il ruolo che gli chiedevano gli altri: ha fatto l'estorsore, picchiato chi non restituiva i prestiti, bruciato negozi, sparato a chi non manteneva la parola, tutto per suo fratello. Ora gioca con la squadra dei buoni, perché glielo ha chiesto l'Fbi, perché aveva paura della pena di morte e perché spera di vivere ancora uno spicchio di vita fuori da carcere. Per convincerlo a collaborare però è stato necessario fargli sentire una di quelle conversazioni segrete tra padre e figlio, così scoprì che Frank lo avrebbe lasciato ammazzare se l'Organizzazione lo avesse deciso. Si è sentito tradito e ha deciso che allora era libero anche lui da ogni legame. E da quel momento racconta tutto, particolari compresi. È la volta dell'omicidio dei fratelli Tony e Michael Spilotro, il 14 giugno del 1986. Tony era l'uomo di fiducia dell'Organizzazione a Las Vegas, la sua storia è stata raccontata da Martin Scorsese nel film "Casinò", in cui ha la faccia di Joe Pesci. Fece molti errori, ma uno non venne perdonato dal vecchio boss Joseph Aiuppa, che aveva ottant'anni e non capiva i nuovi costumi: essere andato a letto con la moglie di Frank Rosenthal (Robert De Niro nel film) che gestiva lo Stardust per conto dell'Organizzazione. Per la parte di lei Scorsese scelse Sharon Stone, ma il fatto che fosse bellissima non cambiò la sentenza di Aiuppa. Al cinema Tony e suo fratello Michael vennero picchiati e bruciati in un campo di mais dell'Indiana. Invece Nick Calabrese racconta un'altra storia: "Li attirammo in una casa nella periferia nord di Chicago con la promessa di un posto di rilievo nell'Organizzazione, entrarono e gli andai incontro per stringergli la mano, poi a sorpresa iniziammo a picchiarli e li strangolammo. Tony fece in tempo a capire, e per un attimo cominciò a pregare. Solo dopo vennero bruciati insieme alla loro auto". L'avvocato di Marcello si accorge di una contraddizione: "Ci ha raccontato che per fare queste cose mettevate i guanti". "È così". "Ma quando le hanno stretto la mano e vi hanno visto tutti con i guanti non hanno capito? Non vi hanno detto: "Ehi, ragazzi cosa sta succedendo, ci stiamo preparando per un colpo?". Nick non sa rispondere, poi mentre l'avvocato Tom Breen comincia a dire alla giuria che forse sta mentendo e che forse quel giorno non era insieme a quel "brain trust", lui si schiarisce la voce, la alza per la prima volta e quasi gli urla: "La verità è la verità, i fatti sono i fatti, e io racconto solo quello che ho visto e sentito. E poi non eravamo un gruppo di cervelli ma un gruppo di criminali". Ma i guanti sono il suo punto debole. Nel 1986 il fratello gli ordinò di uccidere John Fecarotta, uno dei suoi migliori amici, colpevole di aver fallito una prima volta nel tentativo di eliminare i fratelli Spilotro.

L'azione è drammatica, John si rende conto, cerca di scappare, alla fine Nick riesce a sparargli in testa, ma perde un guanto insanguinato. Quello su cui l'Fbi farà l'esame del Dna nel 2002, quello che lo avrebbe portato alla condanna a morte. Frank oggi ha un abito color crema e dietro gli occhiali dai vetri affumicati ride delle difficoltà del fratello, si piega verso il suo avvocato e scherza mostrando il suo disprezzo verso l'uomo che ha gettato nel discredito l'onore della famiglia. Il suo avvocato è rumoroso e plateale, calato nel personaggio che il pubblico voleva vedere: abito nero con camicia, cravatta e calze rosa. Padre messicano, madre italiana, Joe Lopez, ama la teatralità e le frasi ad effetto: Ha esordito con queste parole: "Il mio assistito non è italiano, è siciliano". La giuria si è guardata perplessa e nessuno ha capito cosa volesse dire. L'udienza è finita. Nick è in piedi, aspetta di uscire, guarda lontano. I federali gli hanno promesso una condanna a non più di dieci anni, cinque li ha già scontati, se il giudice non farà scherzi all'alba dei settanta sarà fuori: avrà una nuova identità, sarà in un programma di protezione, nascosto in una piccola cittadina americana a fare quello che ha sempre sognato: una vita banale, anonima, normale. Senza omicidi, senza esplosivo, senza doversi mettere i guanti per uccidere un amico, senza dover guidare una macchina con un cadavere in mezzo alla gente che fa festa il sabato sera. Forse per qualche anno lo potrà fare e chissà se allora, nel silenzio della sua villetta a schiera, gli tornerà finalmente in mente la faccia di qualcuno degli uomini che ha ammazzato.
(La Repubblica, 26 luglio 2007)
FOTO: Al Capone

mercoledì 25 luglio 2007

Stranezze del "Palazzo" corleonese...

Il sindaco Nino Iannazzo e la sua giunta hanno conferito incarico ad un legale per difendere le ragioni del Comune dal ricorso elettorale proposto dal dott. Antonio Vella, primo dei non eletti della lista “Con Casini per Corleone”, contro la lista dei “Democratici di Sinistra”. In sostanza, il dott. Vella sostiene che, probabilmente per mero errore, non sono stati attribuiti alla sua lista 5 voti, che le avrebbero fatto scattare il seggio (e, quindi, la sua elezione a consigliere comunale). Seggio che invece è stato “erroneamente” attribuito alla lista dei Democratici di Sinistra, determinando l’elezione di chi scrive.
Sulla delibera di giunta, però, è stato espresso parere non favorevole (cioè, contrario) da parte del capo-settore dott. Vincenzo Mannina, secondo cui il comune non ha nessun vero interesse a difendersi. Una posizione condivisibile, anche perché – dal punto di vista strettamente tecnico-giuridico – che il 20° consigliere comunale sia Antonio Vella o Dino Paternostro all’Ente Comune poco interessa. Ma Iannazzo & C. non hanno inteso ragione, deliberando lo stesso l’affidamento dell’incarico, che costerà alcune migliaia di euro alle casse comunali . Una tale insistenza appare quanto meno strana. Infatti, a sostegno delle “ragioni” del ricorso elettorale di Vella, è stata allegata una dichiarazione giurata della signora Mara Di Leo, moglie del sindaco, la quale sostiene di avere constatato che, nella 9° sezione, i voti non attribuiti alla lista “Casini” invece c’erano.
Evidentemente, i Democratici di Sinistra hanno presentato un contro-ricorso, sostenendo ragioni opposte a quelle esposte da Vella, notificandolo – come vuole la legge - anche al Comune di Corleone. Adesso che faranno Iannazzo e i suoi assessori? Affideranno un altro incarico ad un altro legale per difendere il Comune da quest’altro ricorso? E sfideranno nuovamente il parere (che non potrebbe che essere nuovamente contrario) del loro capo-settore? Non sarebbe quantomeno curioso che il Comune con un legale si difenda dalla lista “Casini” e da Vella e con un altro dai Ds e da Paternostro? Ma qual è l’interesse, il vero interesse del Comune e di questa Amministrazione? Affidare incarichi professionali? Un atteggiamento contraddittorio. Per certi versi, insostenibile.
Si capisce che il Polo (più o meno diviso) le stia provando tutte per “liquidare” la presenza in consiglio comunale dell’unico rappresentante della sinistra. Ma questo non stupisce. Personalmente, tra l’altro, riesco benissimo ad immaginare un mio futuro da non consigliere comunale, anche se – fino a quando rivestirò la carica conferitami (fino a prova contraria) dagli elettori, cercherò di svolgere al meglio le mie funzioni. Mi auguro, quindi, che i giudici del TAR accolgano il ricorso del dott. Vella, dispongano il riconteggio dei voti e attribuiscano il seggio a chi realmente ha avuto i consensi per ottenerlo. Nel contempo, però, tenuto conto che la sezione “incriminata” è proprio quella nona sezione, il cui presidente – la dottoressa Spatafora - è una stretta congiunta del consigliere primo eletto (candidato della lista “Casini”), sarebbe opportuno “guardare a fondo” tutte le operazioni di voto, tutte le pagine del verbale (del primo e del secondo turno), tutti i numeri e tutte le cifre “ballerine”. Per trarne le opportune considerazioni, senza sconti per nessuno. E senza timori riverenziali...
d.p.
25 luglio 2007

Incendi, brucia il Centrosud. Già 50 i roghi dall'alba

Gli incendi bruciano l'Italia, specie al Sud. Si parla di "calamità naturali", ma spesso si tratta di superficialità, se non di veri e propri crimini...


Migliora la situazione incendi in Puglia e Abruzzo, mentre resta critica in Calabria. È quanto è emerso durante la riunione straordinaria tenuto presso la sala operativa dei Vigili del Fuoco del Viminale e dedicato all’emergenza incendi che ha colpito larga parte dell’Italia centro-meridionale. Nella riunione, comunica una nota, è stato fatto il punto delle situazioni ancora sensibili e dei provvedimenti urgenti presi per fronteggiarle. Erano presenti il sottosegretario Ettore Rosato, il capo dipartimento dei Vigili del Fuoco prefetto Anna Maria D’Ascenzo, e i vertici del Corpo Nazionale. «Anche oggi è una giornata molto difficile - ha detto il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso -. Ci sono già arrivate oltre 50 richieste di intervento aereo: più della metà sono state esaudite». La situazione, comunque, ha aggiunto «la stiamo fronteggiando molto meglio di ieri che è stata la giornata peggiore: stiamo intervenendo soprattutto su Sardegna, Sicilia e Calabria. Tutti i nostri mezzi stanno volando». Nelle regioni Abruzzo e Puglia l’emergenza incendi è in deciso miglioramento, pur permanendo aperto qualche fronte ancora attivo. Anche Nuoro e Messina, che avevano destato particolare allarme, risultano sotto controllo. Resta critica la situazione in Calabria per i numerosi fronti di fiamma ancora attivi e per il forte vento. In Sardegna, sono entrati in azione i due Canadair inviati dalla Spagna per dare manforte all'esausto apparato antincendio. Un sopralluogo in elicottero di venti minuti dalle 7 di stamane ha consentito anche al presidente della Regione sarda, Renato Soru, di rendersi conto dei gravi danni prodotti da due giorni di incendi nel Nuorese, dove per il capoluogo il comune chiede lo stato di calamità. Sono ancora attivi i roghi attorno a Orune e alla frazione nuorese di Lollove, dove stamattina presto sono intervenuti due Canadair, uno dei quali spagnolo. Vicino alla zone di «Testone», fra Orune e Benetutti, sta operando anche la colonna mobile della forestale di Oristano. In Ogliastra bruciano ancora le campagne attorno ad Arzana, dove ieri la polizia ha arrestato due presunti incendiaria, un giovane guardiano di un cantiere e un pensionato di 46 anni, sorpresi ad appiccare le fiamme con apposite micce. Due canadair sono stati inviati sul posto per fermare il rogo attivo dall'altra notte. Nel resto della Sardegna il fuoco è ancora attivo a Muravera (nel Cagliaritano), dove ieri era stato evacuato per precauzione un camping, Villasalto, Arbus e Villacidro. In Calabria sono numerosi i fronti di fiamma ancora attivi a causa del forte vento. Sono numerosi gli incendi che divampano nella zona del Dolcedorme, la vetta più alta della Calabria, e quelli che minacciano Serra del Prete, nell'area del Parco Nazionale del Pollino. Il Commissario del Parco del Pollino, Domenico Pappaterra, sta seguendo la situazione direttamente ed è riuscito a far ritornare un elicottero che sta effettuando numerosi lanci di acqua e liquido ritardante. «Gli incendiari, - ha detto Pappaterra - rischiano, con il loro comportamento criminale, di compromettere il futuro dei giovani che ripongono una forte speranza nel nostro grande polmone verde». «Ciò - ha concluso - che sta avvenendo, anche in altri Parchi, delineando un attacco vero e proprio al sistema delle aree protette italiane, non è tollerabile, ancor più quando oltre l'ambiente vengono sacrificate le vite umane». Da una serie di report forniti dai direttori regionali VVF è risultato che nelle regioni Abruzzo e Puglia l`emergenza incendi è in deciso miglioramento, pur permanendo aperto qualche fronte ancora attivo.
In Sicilia, continua ad essere circondata dalle fiamme la città di Messina. Per tutta la notte le colline attorno alla città hanno continuato a bruciare, facendo ricadere sul centro abitato cenere e costringendo gli abitanti a chiudersi in casa. La situazione continua ad apparire critica in particolare in alcune zone dove le fiamme si sono pericolosamente avvicinate alle abitazioni. Da questa mattina sono nuovamente in azione due canadair della Protezione civile nazionale, ma l'incendio appare ancora esteso. «Sono decine di migliaia gli ettari di bosco e foresta distrutti dagli incendi in Italia all'interno dei Parchi naturali e delle Aree protette. Non possiamo, perciò, abbandonare a se stessi questi presidi della biodiversità, che rappresentano anche un'importante fonte economica per le popolazioni locali. L'uso consapevole dell'ambiente è la loro principale risorsa, che ha portato in questi anni ad una crescita delle attività eco- compatibili. Perciò lo Stato deve stanziare un fondo speciale sia per l'immediato recupero di queste zone colpite dagli incendi, sia per incrementare le strutture di prevenzione oltre che di repressione contro i criminali del fuoco». È la richiesta di Diego Tommasi, coordinatore nazionale degli assessori regionali all'ambiente.
Anche la zona del Corleonese in questi giorni è stata devastata dagli incendi. Preoccupante quello che ha colpito la vallata delle contrade Bicchinello e Casale, fino alle pendici di Rocca Busambra. Superficialità degli agricoltori che devono arare il terreno o altro? E' difficile dirlo. Non sarebbe il caso, comunque, di far funzionare meglio (anche in chiave preventiva) il servizio di Protezione Civile? Le stesse forze dell'ordine, nonostante le comprensibili difficoltà in cui operano, non potrebbero attivare un servizio di prevenzione/repressione più "stringente"?
25.07.07