giovedì 31 dicembre 2009

Dalla rivolta all'alluvione, ecco tutti gli orrori dell'anno 2009 in Sicilia

di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti
Mese per mese gli eventi che hanno segnato la Sicilia. In gennaio esplode la rabbia dei 1.500 immigrati rinchiusi nel centro accoglienza di Lampedusa. In marzo un branco di cani uccide un bambino e riduce in fin di vita una turista a Sampieri, nei pressi di Ragusa In agosto Filippo Li Gambi perde la vita per un incidente stradale. In luglio il pentito decide di parlare e fa riaprire i processi sulla strage Borsellino e quelli sulle bombe del ´93 chiamando in causa per questi ultimi anche Dell´Utri e Berlusconi. Proseguono le ricerche dei dispersi nel fango. Dal disastro di Giampilieri e Scaletta Zanclea all´emergenza immigrati a Lampedusa poi finita con i tanto discussi respingimenti, dalle inchieste sull´eolico a quelle sulla sanità, dal panico per la pandemia dell´influenza A fino alle polemiche per la collaborazione del pentito Spatuzza. Ma il 2009 della cronaca in Sicilia si conclude con gli ultimi due grandi colpi messi a segno nella lotta alla mafia, gli arresti dei superlatitanti Nicchi e Raccuglia.
[GENNAIO] La rivolta dei clandestini. Sono in 1500, rinchiusi ormai da mesi nel centro di prima accoglienza che scoppia, in attesa di una libertà che non arriverà perché le nuove norme decise dal ministro Maroni costringono gli immigrati a rimanere a Lampedusa fino al rimpatrio. Prima la protesta degli abitanti dell´isola, poi una notte la rivolta nel centro messo a fuoco dagli immigrati che riescono a guadagnare la libertà per una notte. Un momento di criticità che fa da prologo alla nuova politica del governo che in primavera adotta i respingimenti in mare per bloccare l´immigrazione clandestina.
[FEBBRAIO] Le mani della mafia sull´eolico. Era stato Vittorio Sgarbi, sindaco di Salemi, ad andare a denunciare alla Procura di Marsala il business dell´eolico. Qualche giorno dopo un´inchiesta della Dda di Palermo accende per la prima volta i riflettori sul connubio tra mafia, politici locali e imprenditori del Nord arrivati in Sicilia per gestire l´affare dell´energia pulita. I primi arresti sono per il parco eolico di Mazara del Vallo, nel corso dell´anno ne seguiranno altri per diversi impianti in corso di realizzazione in tutta l´Isola.
[MARZO] I randagi-killer di Ragusa. Sul litorale di Sampieri dove fu ambientata la serie televisiva del commissario Montalbano, un bambino di 10 anni viene sbranato ed ucciso da un branco di cani randagi. Diventeranno cani killer che alcuni giorni dopo aggrediscono, sulla stessa spiaggia, riducendola in fin di vita, una turista tedesca. Quei cani ufficialmente non erano randagi, erano stati affidati in custodia dal Comune ad un disperato, Virgilio Giglio, che viene arrestato per omicidio colposo. Vengono "arrestati" anche il capo branco ed altri cinque randagi e scoppia la polemica: ucciderli o rinchiuderli in un canile?
[APRILE] I disperati della Pinar. Nel mare in tempesta nel Canale di Sicilia il mercantile turco Pinar soccorre un gommone con a bordo 140 extracomunitari e il cadavere di una donna. Resta in mare per oltre sei giorni perché né l´Italia né Malta che avevano inviato il cargo in soccorso di quei disperati, vogliono farlo attraccare nei loro porti. Il "Pinar" resta al largo di Lampedusa in attesa che le diplomazie decidano. Ma non decidono nulla e sono gli inviati di Repubblica e delle Iene che con il mare in tempesta raggiungono il "Pinar" a denunciare l´inferno che c´è a bordo. Finalmente le autorità italiane decidono di fare sbarcare i 140 extracomunitari e quella donna morta avrà una sepoltura nel cimitero di Lampedusa.
[MAGGIO] Il suicidio di Marcelletti. Un´overdose di farmaci e il noto cardiochirurgo, già primario del Reparto di cardiochirurgia pediatrica del Civico, coinvolto in una brutta storia di tangenti sulle forniture con un´appendice di pedofilia, si toglie la vita. Era depresso da molti mesi, lo aspettava un processo a Palermo che si sarebbe rivelato lungo e difficile. La sua fine lascia qualche dubbio ai magistrati che indagano che attendono a lungo prima di restituire la salma alla famiglia e ipotizzano il reato di istigazione al suicidio. L´inchiesta verrà poi archiviata.
[GIUGNO] Ciancimino inguaia i politici. Quattro politici ricevono avvisi di garanzia dalla Procura di Palermo per concorso in corruzione con l´aggravante di aver favorito Cosa nostra. Sono il senatore Carlo Vizzini di Forza Italia, già componente della commissione antimafia, l´ex presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, il deputato Saverio Romano e Salvatore Cintola, tutti dell´Udc. A chiamarli in causa Massimo Ciancimino, figlio dell´ex sindaco di Palermo, Vito, che ai magistrati dichiara di avere prelevato per conto del tributarista Gianni Lapis, soldi dal conto "Mignon" destinati anche ai politici indagati. Tutti hanno respinto le accuse, qualcuno ha minacciato di querelare, ma non lo ha fatto nessuno.
[LUGLIO] Spatuzza fa rileggere le stragi. Fa la sua comparsa sulla scena il pentito di mafia Gaspare Spatuzza, killer della cosca di Brancaccio dei fratelli Graviano, che fa riaprire le indagini sulla strage del giudice Paolo Borsellino del 19 luglio del 1992. Spatuzza si accusa di aver trasportato l´esplosivo con la quale fu imbottita la 126 esplosa sotto l´abitazione della madre del magistrato in via D´Amelio. Una dichiarazione riscontrata dai magistrati della Procura di Caltanissetta che smentiscono il "pentito" Vincenzo Scarantino su cui si è costruito il processo per la strage, con condannati all´ergastolo, che adesso si avvia verso la revisione. Spatuzza riapre anche un altro fronte quello sulle stragi del ´93 chiamando in causa Berlusconi e Dell´Utri.[AGOSTO] La malasanità di Mazzarino. La morte di Filippo Li Gambi, giovane di Mazzarino rimasto gravemente ferito in un incidente stradale e poi morto dissanguato nella lunga attesa prima di essere operato a Caltanissetta scatena una feroce polemica sulla riforma della sanità in Sicilia con le previste chiusura dei piccoli ospedali. Al presidio di Mazzarino, il giovane non può essere operato per la mancanza di medici e strutture adeguate e il trasferimento per strada fino a Caltanissetta si rivela fatale anche perché - accerterà poi l´inchiesta - anche nell´ospedale nisseno si soo verificati ritardi ingiustificabili.
[SETTEMBRE] La prima vittima di influenza A. Giovanna Russo, avvocatessa 46enne, è la prima vittima accertata di influenza A in Italia. Muore all´ospedale Papardo di Messina dove era stata ricoverata una settimana prima. Non sembra che la donna avesse patologie pregresse e i familiari non hanno nulla da rimproverare all´equipe medica che si è prodigata al massimo. La Procura emette venti avvisi di garanzia. L´esito dell´autopsia non è stato ancora reso noto.[OTTOBRE] L´alluvione di Messina. «Sono Briguglio, chiamo da Giampilieri Superiore, il paese è cancellato dalle frane, ci sono morti». Il carabiniere risponde di non allarmarsi... E fu una strage. Una strage annunciata quella che il primo ottobre, dopo un violento nubifragio, un fiume di fango, di pietre, alberi, travolse la zona che dalle colline di Altolia porta giù fino a mare, a Scaletta Zanclea, Giampilieri ed altre frazioni che vengono devastate. Dopo giorni e giorni di scavi e di interventi si contano 25 morti e dieci dispersi. Alcuni cadaveri vengono ritrovati dopo giorni e giorni, fino al mare. C´è ancora un cadavere senza nome e centinaia di persone sono ancora ospitati negli alberghi mentre altri sono stati costretti a rientrare nelle loro case a ridosso delle colline che non sono state messe ancora in sicurezza.
[NOVEMBRE) L´arresto di Raccuglia. Il boss Mimmo Raccuglia, il "veterinario", reggente del mandamento di San Giuseppe Jato, viene sorpreso dagli agenti della squadra mobile di Palermo dopo 15 anni di latitanza nella mansarda di una palazzina di Camporeale, in provincia di Trapani, ospite di una coppia di coniugi. Armato fino ai denti, pieno di "pizzini" e di soldi. Andava in giro con una parrucca e, con tutta probabilità, stava preparando un attentato come rivela uno degli appunti del suo bloc notes adesso agli esami degli inquirenti.
[DICEMBRE] In manette anche Nicchi e Fidanzati. E meno di un mese dopo, nello stesso giorno da guinness dei primati, finiscono in trappola anche altri due boss di primissimo piano di Cosa nostra, Gianni Nicchi, il giovane capo indiscusso della mafia palermitana, e l´anziano padrino dell´Arenella Gaetano Fidanzati. È ancora la polizia a mettere a segno due colpi da novanta. Nicchi si nascondeva in pieno centro città, a due passi dal tribunale, in un modesto appartamento messo a disposizione da una giovane donna arrestata insieme ad un altro ragazzino con il quale, fino alla sera prima, il superlatitante era andato tranquillamente a bere una birra in un pub del centro molto frequentato il venerdì sera. Fidanzati, invece, viene preso a Milano dagli uomini della squadra mobile di Alessandro Giuliano mentre passeggia con il cognato. Si era rifugiato lì dopo il nuovo ordine di cattura per aver ordinato l´omicidio del compagno della figlia. Adesso, dei vertici di Cosa nostra, resta libero solo Matteo Messina Denaro. È l´obiettivo del 2010.
(La Repubblica, 30 dicembre 2009)

mercoledì 30 dicembre 2009

Il presidente Gulotta: "Contro i provvedimenti disciplinari abbiamo presentato ricorso"

Carissimo Direttore,
io ho preso la presidenza di questa squadra da pochi mesi e come lei sa nei campi di questo tipo di categoria si consumano spesso atti di violenza gratuita sicuramente deprecabili. Durante questi mesi ho cercato di dare un segnale, perché per me lo sport è vita (come dice un famoso slogan) e pertanto è espressione di valori che portano in se interrelazioni e amicizia.
E’ vero quanto lei dice che anch’io sono stato aggredito ma, mi permetto di fare una piccola precisazione, in quanto ho preso solo uno spintone e, a onor del vero, nessun mi ha mai dato calci e pugni. E corrisponde anche a verità il fatto che nonostante ciò il dirigente, è ancora al suo posto, ma è altrettanto vero che lo stesso dirigente da allora ha condiviso il taglio che io ho voluto dare alla squadra e cioè quello di un sereno svolgimento del gioco e di allontanare dal campo gli atti di violenza. Io credo che una seconda opportunità, quando si verificano le condizioni adatte, bisogna concederla fino a prova contraria.
Tornando alla squadra, anzi all’episodio del 19 dicembre, mi verrebbe voglia di fare ulteriori precisazioni, dicendo che al di là delle urla non ci sono stati contatti fisici. Ciò, comunque, non è in alcun modo giustificabile, anzi è condannabile, anche perché in questi casi è difficile comprendere quando finisce il folklore e iniziano gli insulti; però, e di ciò si può chiedere conferma a coloro i quali hanno assistito all’accaduto, non ci sono stati atti di violenza fisica. Su queste basi, infatti, è stato scritto il ricorso presentato alla Lega, affinché vengano appurati i fatti così per come sono realmente avvenuti. Vede caro direttore oggi scopro sulla mia pelle che avviare un percorso di questo tipo è una cosa complessa, anche perché non ho a che fare solamente con la mia squadra e la mia dirigenza ma contemporaneamente con gli umori degli avversari e del pubblico, che spesso diventano incontenibili. L’ante tempo per me ha questo” sapore”, quello di avviare un processo tale che durante le attività sportive vengano fuori solamente sane competizioni. A me non piace la violenza, non la condivido e soprattutto ritengo che non porta a niente di buono ed è su questo che si fonda il mio lavoro con la squadra e, mi permetta di spezzare una lancia nei loro confronti, ho trovato terreno fertile e soprattutto un coinvolgimento straordinario da parte di tutti i componenti della Polisportiva Corleone. Per me questo è già un buon risultato, spero, e sarò ben contento di poterlo fare, fra qualche tempo di potere scrivere anche su questo blog che il ”post-tempo” si è svolto tra gli abbracci.
Gabriele Gulotta

***
Confermiamo quanto già scritto nella nostra precedente "nota a margine": la speranza è sempre quella che si torni a ragionare, a fare sport, ad affermare i valori della lealtà e della correttezza. Con l'impegno vero di tutti, ce la possiamo fare. E questa nota del presidente Gulotta, che volentieri pubblichiamo, comincia a dimostrarlo. Auguri, Corleone! Che (con l'impegno e il bel gioco) il 2010 ci porti in promozione! (d.p.)

Mano pesante della Lega sul Corleone Calcio

Queste le decisioni del Giudice Sportivo, quali risultano dal Comunicato Ufficiale n. 235 del 24 dicembre 2009, relativamente alla gara Corleone-Empedoclina del 19.12.2009:
AMMENDA di € 500,00 E SQUALIFICA DEL CAMPO DI GIUOCO CON OBBLIGO DI DISPUTA DELLE GARE A PORTE CHIUSE PER N. 3 GARE AL CORLEONE,
«Per non avere, propri dirigenti, adempiuto ai propri doveri di addetti al servizio d'ordine; nonché per avere, una ventina di sostenitori introdottisi all'interno del terreno di giuoco attraverso un cancello deliberatamente aperto, assunto contegno offensivo e minaccioso nei confronti dell'arbitro e tentato di colpirlo con pugni e schiaffi, non riuscendo grazie all'intervento di propri dirigenti; per avere, i predetti, impedito al direttore di gara per circa 25 minuti di rientrare negli spogliatoi; nonché per averlo, uno di essi, colpito con una violentissima ginocchiata ad una coscia mentre questi si trovava lungo il tragitto per gli spogliatoi, provocando forte dolore ed ematomi che costringevano lo stesso a ricorrere a cure mediche».
AMMONIZIONE AL DIRIGENTE PANZICA GIOACCHINO (CORLEONE), «Per condotta scorretta».
A CARICO ASSISTENTI ARBITRO SQUALIFICA FINO AL 31/1/2010 BONFIGLIO ROBERTA (CORLEONE), «Per contegno irriguardoso ed offensivo nei confronti dell'arbitro ed irriguardoso nei confronti di Organi Federali».
SQUALIFICA FINO AL 30/6/2010 MANCUSO MARCELLO ANTONINO (CORLEONE), «Per avere tentato di colpire l'arbitro con due schiaffi al volto, non riuscendo grazie al pronto scansarsi dello stesso; nonché per contegno irriguardoso ed offensivo, il tutto a fine gara».
SQUALIFICA PER TRE GARE LIPARI SALVATORE (CORLEONE), «Per contegno irriguardoso ed offensivo nei confronti dell'arbitro ed irriguardoso nei confronti di Organi Federali, a fine gara».
SQUALIFICA PER UNA GARA MUSICO’ ALESSANDRO (CORLEONE)

Evidentemente, quando abbiamo scritto delle "vivaci contestazioni di alcuni dirigenti e calciatori del Corleone", non esageravamo, semmai, al contrario, cercavamo (per carità di patria!) di minimizzare. E ciò nonostante ci siamo attirate le ire del presidente del Corleone, che ci ha lanciato accuse di ogni genere, pure quella di fare antimafia politicizzata, che non c'azzezza un... tubo! Adesso, leggendolo, quello della Lega Sicula della Figc sembra un "Bollettino di Guerra", non un bollettino sportivo. Lo pubblichiamo per completezza di informazione. Per dimostrare ai lettori da quale parte continuiamo a stare. Ovviamente, la speranza è sempre quella che si torni a ragionare, a fare sport, ad affermare i valori della lealtà e della correttezza. Con l'impegno vero di tutti, ce la possiamo fare. (d.p.)

martedì 29 dicembre 2009

IL PD PER UN CONFRONTO A TUTTO CAMPO IN ASSEMBLEA SULLE RIFORME

Se si vuole risolvere l’emergenza rifiuti, mantenere la gestione pubblica dell’acqua, migliorare la sanità, semplificare la burocrazia regionale, investire sulla green economy, combattere le infiltrazioni mafiose… l’unica strada da percorrere è quella delle riforme. Solo attraverso le riforme è possibile combattere quella politica clientelare e affaristica che è la causa del degrado economico e sociale in cui versa la Sicilia. Già in questi mesi il gruppo Pd all’Ars ha contribuito in maniera determinante ad adottare alcune riforme. Si pensi all’abolizione dell’agenzia regionale dei rifiuti che aveva il compito di coordinare gli Ato. Un centro di sottogoverno potentissimo, strutturato dal governo Cuffaro, che ha prodotto gravi disservizi e un aumento esorbitante delle bollette per i cittadini. Dopo pochi anni di gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti i risultati sono disastrosi malgrado il direttore dell’agenzia, uomo fidatissimo di Totò Cuffaro, sia uno dei manager più pagati al mondo con uno stipendio di 500 mila euro all’anno. Altra riforma condivisa è stata quella che ha portato alla riduzione delle Asl da 29 a 17 e bloccato il meccanismo di accreditamento della sanità privata. E ancora altri provvedimenti sono stati condivisi nel campo delle energie alternative per impedire infiltrazioni mafiose. In altre parole sono stati eliminati alcuni centri di potere gestiti in passato in maniera affaristico-clientelare; è stato disboscato quel sistema di sottogoverno che ha consentito alla politica di creare consenso attraverso la distribuzione di poltrone, gestite a loro volta per generare e mantenere altro consenso. Il tutto a scapito dell’efficienza, della qualità dei servizi, del merito e con costi economici e sociali altissimi per i cittadini.
Non servono neanche le statistiche per accorgersi che la Sicilia è una regione dannata a causa della malapolitica, della malaburocrazia, della mafia. Viceversa non si spiegherebbe l’elevato tasso di disoccupazione, la migrazione dei tanti giovani che lasciano la Sicilia alla ricerca di un futuro, la presenza mafiosa che impedisce qualsiasi forma di legalità e sviluppo, la scarsa qualità dei servizi pubblici. In Sicilia contano più le raccomandazioni che le capacità, le conoscenze politiche che la bontà di un progetto. Cosa nostra poi, grazie alle infiltrazioni e alle collusioni politiche ed economiche, riesce a condizionare le istituzioni e i mercati.
Di fronte alla possibilità di incidere positivamente su tutto questo un partito riformista come il Pd, per sua naturale vocazione, non può rimanere a guardare, ma deve raccogliere la sfida delle riforme per cambiare la politica e la società, tenendo alta l’asticella dell’innovazione.
Se l’attuale sistema rimane così com’è conformato, nella sanità, nei rifiuti, nell’agricoltura, negli enti locali, sia che si vada al voto, oppure al governo avremmo in entrambi i casi solo una funzione marginale, magari brillante e alternativa di giorno, misera e consociativa di pomeriggio. “Al voto al voto”, “al governo al governo” sono solo due strategie di autodifesa da parte di chi ha tutto l’interesse a bloccare il cambiamento e a difendere lo status quo. Due trappole nelle quali il Pd non deve cadere.
Con le elezioni anticipate, infatti, il centrodestra più forte d’Italia si ricompatterebbe, più forte e più spregiudicato di prima. “Tutto cambierebbe perché nulla cambi”. Insomma, un modo per mantenere inalterato il vecchio sistema di potere e di privilegi consolidati. In questa prospettiva il Pd tornerebbe ad occupare una posizione marginale.
Allo stesso modo il Pd non deve essere tentato ad entrare nel governo regionale. Il compito del Partito democratico è quello di promuovere le riforme di cui la Sicilia ha bisogno e le riforme si fanno in Assemblea, alla luce del sole, mediante un confronto serrato e a tutto campo. Nessun appoggio esterno al governo, quindi, ma un impegno per un’azione legislativa di ampio respiro che finalmente prenda di petto gli atavici problemi di cui è afflitta la Sicilia e vari le riforme indispensabili per assicurare alla nostra terra un autentico sviluppo, all’insegna della legalità.
Se si vuole risolvere l’emergenza rifiuti, mantenere la gestione pubblica dell’acqua, migliorare la sanità, semplificare la burocrazia regionale, investire sulla green economy, combattere le infiltrazioni mafiose… l’unica strada da percorrere è quella delle riforme.
Solo attraverso le riforme è possibile combattere quella politica clientelare e affaristica che è la causa del degrado economico e sociale in cui versa la Sicilia.
Già in questi mesi il gruppo Pd all’Ars ha contribuito in maniera determinante ad adottare alcune riforme. Si pensi all’abolizione dell’agenzia regionale dei rifiuti che aveva il compito di coordinare gli Ato. Un centro di sottogoverno potentissimo, strutturato dal governo Cuffaro, che ha prodotto gravi disservizi e un aumento esorbitante delle bollette per i cittadini. Dopo pochi anni di gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti i risultati sono disastrosi malgrado il direttore dell’agenzia, uomo fidatissimo di Totò Cuffaro, sia uno dei manager più pagati al mondo con uno stipendio di 500 mila euro all’anno.Altra riforma condivisa è stata quella che ha portato alla riduzione delle Asl da 29 a 17 e bloccato il meccanismo di accreditamento della sanità privata. E ancora altri provvedimenti sono stati condivisi nel campo delle energie alternative per impedire infiltrazioni mafiose. In altre parole sono stati eliminati alcuni centri di potere gestiti in passato in maniera affaristico-clientelare; è stato disboscato quel sistema di sottogoverno che ha consentito alla politica di creare consenso attraverso la distribuzione di poltrone, gestite a loro volta per generare e mantenere altro consenso. Il tutto a scapito dell’efficienza, della qualità dei servizi, del merito e con costi economici e sociali altissimi per i cittadini.
Non servono neanche le statistiche per accorgersi che la Sicilia è una regione dannata a causa della malapolitica, della malaburocrazia, della mafia. Viceversa non si spiegherebbe l’elevato tasso di disoccupazione, la migrazione dei tanti giovani che lasciano la Sicilia alla ricerca di un futuro, la presenza mafiosa che impedisce qualsiasi forma di legalità e sviluppo, la scarsa qualità dei servizi pubblici. In Sicilia contano più le raccomandazioni che le capacità, le conoscenze politiche che la bontà di un progetto. Cosa nostra poi, grazie alle infiltrazioni e alle collusioni politiche ed economiche, riesce a condizionare le istituzioni e i mercati.
Di fronte alla possibilità di incidere positivamente su tutto questo un partito riformista come il Pd, per sua naturale vocazione, non può rimanere a guardare, ma deve raccogliere la sfida delle riforme per cambiare la politica e la società, tenendo alta l’asticella dell’innovazione.
Se l’attuale sistema rimane così com’è conformato, nella sanità, nei rifiuti, nell’agricoltura, negli enti locali, sia che si vada al voto, oppure al governo avremmo in entrambi i casi solo una funzione marginale, magari brillante e alternativa di giorno, misera e consociativa di pomeriggio. “Al voto al voto”, “al governo al governo” sono solo due strategie di autodifesa da parte di chi ha tutto l’interesse a bloccare il cambiamento e a difendere lo status quo. Due trappole nelle quali il Pd non deve cadere.
Con le elezioni anticipate, infatti, il centrodestra più forte d’Italia si ricompatterebbe, più forte e più spregiudicato di prima. “Tutto cambierebbe perché nulla cambi”. Insomma, un modo per mantenere inalterato il vecchio sistema di potere e di privilegi consolidati. In questa prospettiva il Pd tornerebbe ad occupare una posizione marginale.
Allo stesso modo il Pd non deve essere tentato ad entrare nel governo regionale. Il compito del Partito democratico è quello di promuovere le riforme di cui la Sicilia ha bisogno e le riforme si fanno in Assemblea, alla luce del sole, mediante un confronto serrato e a tutto campo. Nessun appoggio esterno al governo, quindi, ma un impegno per un’azione legislativa di ampio respiro che finalmente prenda di petto gli atavici problemi di cui è afflitta la Sicilia e vari le riforme indispensabili per assicurare alla nostra terra un autentico sviluppo, all’insegna della legalità.
Giuseppe Lumia
dic 29th, 2009

Non è vero, direttore Paternostro...

Non è vero, direttore Paternostro. Non è vero che la dirigenza abbia contestato vivacemente l´arbitro, anzi, proprio a detta dell´arbitro in presenza mia e delle forze dell´ordine, la società ha avuto un atteggiamento protettivo nei suoi confronti. Ammetto che un dirigente ha contestato focosamente le scelte del direttore di gara, ma questo credo faccia parte delle dinamiche di una partita, nel rispetto del classico gioco delle parti, il tutto però nel pieno della civiltà. Ammetto altresì che alcuni giocatori si sono spinti verso atteggiamenti esagerati, ma esclusivamente verbali e già stigmatizzati dai nostri dirigenti. L´iniziativa dell´antetempo non è una mossa per rendere "famosa" la società, è una iniziativa nata spontaneamente all´interno della dirigenza per dare un segno e un contributo forte alla nostra cittadina. Dà fastidio che si sta tentando di fare ricordare Corleone differentemente? Dà fastidio che il presidente della Lnd Sicilia chieda al presidente nazionale Tavecchio di prendere Corleone e l´antetempo come esempio per l´intero movimento sportivo nazionale? Dà fastidio che i media non parlino più di antimafia politicizzata, a certi molto cara, ma di fiori? A noi non dà fastidio, e lo ribadisco, quello che stiamo portando avanti lo facciamo solo per dare il nostro piccolo contributo alla comunità, senza manie di protagonismo. L´antetempo non è certo la risoluzione di tutti i mali, e non può avere un effetto immediato, è semplicemente l´inizio di un percorso di sensibilizzazione, difficile (ne sono esempio i piccoli incidenti accaduti il 19 dicembre scorso), ma che alla lunga porterà sicuramente i suoi frutti. Il Paladino d´Oro al Fair Play vinto qualche settimana è un premio alle intenzioni e all´avvio di questa interessante iniziativa, siamo fiduciosi che tra qualche tempo Corleone ne vincerà uno per i risultati ottenuti. Nessuna trappola quindi. Lei da che parte sta?
Cordialità.
Gabriele Gulotta

Non è vero niente, presidente Gulotta. Non è vero niente. E, come sempre, la colpa è dei giornalisti "bastardi" che travisano i fatti. Peccato che, per i fattacci (lei li chiama eufemisticamente "piccoli incidenti") del 19 dicembre, il portiere del Corleone sia stato squalificato per sei mesi (sic!) e che le prossime tre partite casalinghe la Polisportiva Corleone debba disputarle a "porte chiuse". Ma non è vero niente! Come non è vero nemmeno quel che io (e tanti altri sportivi) abbiamo visto alcune settimane fa: l'incredibile aggressione fisica da lei subita da parte di un suo influente dirigente (che è ancora al suo posto!), a suon di calci e pugni, davanti agli spogliatoi, mentre era in corso una partita. E sempre per motivi connessi alla "vivace" contestazione dei direttori di gara.
A chi da fastidio che Corleone venga conosciuta per eventi positivi? Che c'entra l'antimafia? L'ante-tempo a suon di fiori è una bella trovata. E la sosteniamo. Non possiamo sostenere i post-tempi, a suon di urla, offese e ceffoni (tra dirigenti). E, lei lo sa, stiamo da sempre dalla parte della verità, della correttezza, della giustizia e dell'onesta. Lei sta con noi, no?
Dino Paternostro

lunedì 28 dicembre 2009

Sicilia. Lombardo nomina la nuova giunta. Fuori i lealisti, dentro Mario Centorrino e Pier Carmelo Russo

di Emanuele Lauria
PALERMO - Il governatore Raffaele Lombardo ha nominato in serata la nuova giunta regionale. Confermati quasi tutti gli assessori. Escono i lealisti del Pdl Nino Beninati e Mario Milone. Al loro posto entrano il dirigente Pier Carmelo Russo e l'economista Mario Centorrino. Confermato Gaetano Armao.Dopo una lunga giornata di telefonate e di riflessioni in solitudine, Lombardo ha deciso di agire. Il presidente della Regione ha firmato il decreto di revoca degli incarichi dei vecchi assessori e immediatamente dopo ha nominato i nuovi componenti dell'esecutivo di Palazzo d'Orleans.Escono, com'era prevedibile, Beninati e Milone che avevano le deleghe rispettivamente ai Lavori pubblici e al Territorio e ambiente. Vanno fuori perché sono espressione del Pdl lealista con il quale Lombardo ha rotto definitivamente da alcune settimane. Da quando all'Assembla regionale i lealisti - cioè la corrente berlusconiana che fa capo all'asse Alfano-Schifani - non hanno votato il documento di programmazione economica e finanziaria. "Un vero ribaltone", secondo Lombardo.Entrano in giunta, invece, Pier Carmelo Russo attuale segretario generale della presidenza della Regione e Mario Centorrino, docente di economia all'università di Messina, considerato di area Pd, sebbene i democratici neghino di avere segnalato alcun nome. Resta nell'esecutivo siciliano l'avvocato amministrativista Gaetano Armano, che pure nelle ultime settimane era stato accusato di conflitto d'interessi dal Pd e per questo era stato invitato a dimettersi.Riconfermati anche gli altri tecnici: Massimo Russo e Caterina Chinnici (entrambi magistrati) e l'industriale Marco Venturi. Restano in giunta pure gli assessori 'politici' Luigi Gentile, Nino Strano, Michele Cimino e Titti Bufardeci che fanno parte del Pdl Sicilia (la corrente berlusconiana messa in piedi da Gianfranco Miccichè e dagli ex An isolani vicini a Fini), e i due esponenti dell'Mpa Lino Leanza e Roberto Di Mauro.
La giunta si riunirà domani in tarda mattinata per l'attribuzione delle deleghe e per discutere della nomina dei dirigenti generali degli assessorati con le nuove competenze assegnate - a partire dal 1° gennaio - dalla riforma della pubblica amministrazione regionale."L'ingresso di due tecnici di indiscutibile competenza - afferma il presidente della Regione, Raffaele Lombardo - rafforza una compagine di governo che intende affrontare le riforme necessarie per il rilancio dell'economia siciliana. In questa direzione ci sarà di grande aiuto la conoscenza della 'macchina' regionale che è propria di Pier Carmelo Russo, così come sarà preziosa la competenza di Mario Centorrino, che è uno dei più profondi conoscitori dei pregi e dei difetti del contesto economico siciliano e di tutto il Mezzogiorno".
(La Repubblica, 28 dicembre 2009)

domenica 27 dicembre 2009

Dal fascismo a Peppuccio Tornatore: ecco a voi l'album della Rai siciliana!

di Mario Di Caro
Il libro di Gian Mauro Costa e Salvatore Cusimano racconta un'avventura iniziata nel 1931 attraverso le testimonianze di registi e giornalisti. I messaggi di Radio Palermo, la notizia del terremoto e gli anni dei programmi
In via Cerda non c'erano "rumoristi" e quindi bisognava arrangiarsi: per creare il suono della pioggia battente si registrava quello prodotto dall'acqua del bagno, ma riprodurre un "cavallo con carrozza dell'Ottocento", necessario per un programma sulla belle époque, era un problema. Piccole memorie che riemergono da quel pozzo sterminato che è la Rai siciliana, saccheggiato e raccontato da Gian Mauro Costa e Salvatore Cusimano nel libro "L'isola in onda". Edito dalla Eri con il sostegno della Fondazione Banco di Sicilia, il volume ha fatto polemica ancor prima di uscire, dato che l'ex capostruttura della Programmazione Vittorio Lo Bianco ne ha chiesto il ritiro lamentando l'assenza del suo contributo. Il bello della diretta, si potrebbe dire, ma intanto linea alla regia per sprofondare in questo pozzo di ricordi attraverso le tante testimonianze dei protagonisti, i registi, gli autori, i giornalisti, i tecnici, i pionieri di un'avventura iniziata nel 1931 e vissuta tra piccoli incidenti a microfoni aperti, eroismi quotidiani e l'indispensabile dose di passione e incoscienza.

E allora, signore e signori, dagli studi di piazza Bellini ecco a voi l'Eiar di Palermo: era il decimo anno dell'era fascista, il 1931 appunto, quando venne inaugurata la stazione radiofonica della città. Palermo faceva capo al Centro territoriale di Napoli, da dove veniva trasmesso il giornale radio per il meridione. Raccontano Gian Mauro Costa e Franco Nicastro che nel ‘43 la voce della Sicilia liberata dagli angloamericani era Radio Palermo, diretta dal capo del servizio informazioni alleato Misha Kamenetsky, noto più tardi col nome di Ugo Stille, futuro direttore del "Corriere della sera". Da piazza Bellini partivano i messaggi in codice, tipo "le ciliegie sono mature", dirette ai partigiani, ma venivano irradiati anche notiziari, musica e canzoni americane e la trasmissione "L'Italia combatte". Le notizie da mandare in onda venivano captate con apparecchi riceventi da tutte le stazioni radio del mondo e poi tradotte dagli interpreti. Da quel macrocosmo misterioso che è l'etere arrivò anche il messaggio diffuso dal generale Eisenhower da Radio Algeri che annunciava la resa delle Forze armate italiane e l'armistizio di Badoglio.

La guerra è finita, dunque, e si può tornare a sorridere. E allora ecco che tra i lettori del Gazzettino di Sicilia spunta un attor giovane di grande talento, Turi Ferro, futuro mattatore dello Stabile di Catania e protagonista di due trasmissione di successo, "Il calabrone" e l'indimenticato "Il ficodindia" di Mario Giusti e Eugenio Franzitta. Ricorda Piero Fagone che Turi Ferro era solito far precedere la lettura della notizia dal luogo di provenienza, recitato con intonazione grave. E pazienza se una volta Pachino diventò Pechino. Succedeva di peggio: che all'annunciatrice Nina Nicosia qualche buontempone incendiasse i fogli del notiziario, che Luigi Tripiasciano non si accorgesse di essere in onda quando doveva condurre il primo tg regionale, anno 1979, e soprattutto che Rita Calapso fosse assalita da un attacco di risate per la notizia "Tira gli escrementi dal balcone e rimane ferito".

Erano anni in cui al Gazzettino la parola "mafia" era tabù, così come il sesso, gli abusi sulle donne e i manicomi, mentre sulla politica, ieri come oggi, bisognava essere prudenti. E niente processi in corso di istruzione né suicidi. Ma se il terremoto strapazzava la valle del Belice, si approntava subito una diretta da piazza Massimo per il telegiornale nazionale con Aldo Scimè davanti alla telecamera, mentre Enzo Aprea, sul luogo del disastro, iniziava il suo servizio con l'audio di un carabiniere tra le rovine di una casa che chiedeva «C'è nessuno qui dentro?». Sempre la Calapso ricorda gli anni formidabili della struttura di Programmazione, quando la Rai si aprì alle intelligenze siciliane per portare una ventata di creatività lungo quattordici ore settimanali. E così Rai Sicilia incrociò il suo percorso con Michele Perriera e Gabriello Montemagno, Giuseppe Fava e Renato Guttuso, Rosario La Duca e Turi Ferro, Piero Violante e Pino Caruso, Pippo Spicuzza e Bertino Parisi, Michele Guardì ed Enzo Di Pisa, Enzo Randisi e Giuseppe Tornatore.
Nascevano così programmi come "Domenica con noi", un rotocalco radiofonico curato da Mario Giusti, fondatore dello Stabile di Catania, con Montemagno e la Calapso ai microfoni, "L'altosparlante", a cura di Biagio Scrimizzi, che lanciò la coppia Guardì-Di Pisa, il radiodramma di Perriera "Il signor X"; e poi le ventotto puntate de "I Beati Paoli" con Giorgio Albertazzi voce narrante, "I Vespri siciliani" con i testi di Salvo Licata e Nino Giaramidaro, i venticinque "Gialli di mezzanotte", ancora di Perriera. Pino Valenti, uno scenografo e regista che veniva da Napoli, firmò un adattamento televisivo da "Occhi di cane azzurro" di Garcia Marquez, che proprio in quell'anno, il 1982, vinceva il Nobel. Gli attori erano il palermitano Adriano Giammanco ed Enrica Bonaccorti, non ancora padrona di casa di "Domenica in".
Fu un'impennata straordinaria che venne chiusa in un cassetto nel 1992, dopo che Rai Sicilia si era trasferita in viale Strasburgo, nella mega sede da 40 miliardi di soldi pubblici. Nel mare d'incenso riemergono brandelli che hanno fatto storia, come il drammatico «È finito tutto» di Antonino Caponnetto raccolto da Gianfranco D'Anna dopo la strage di via D'Amelio, lo sfogo al teatro Biondo di Salvo Randone, registrato da Roberto Alajmo, costretto a recitare ultraottantenne per sopravvivere, e la prima udienza del maxiprocesso commentata da Bianca Cordaro.

Scorrono i titoli di coda sulla cavalcata storica, e il bianco e nero diventa colore: gentili telespettatori, il presente è la coproduzione internazionale di "Mediterraneo", è "Riva Sud", è "Rai Med", gli ultimogeniti della programmazione. L'isola, insomma, va ancora in onda.
(La Repubblica, 18 dicembre 2009)

martedì 22 dicembre 2009

Il custode dei segreti di Falcone. Giovanni Paparcuri: "Dai suoi archivi spariti molti dati"

di Salvo Palazzolo
Diciassette anni dopo, i misteri che avvolgono la morte di Giovanni Falcone sono ancora dentro i suoi computer, quelli che furono trovati manomessi al ministero della Giustizia, all´indomani della strage di Capaci. Oggi, un testimone davvero particolare racconta a Repubblica che prima di lasciare Palermo il giudice si era fatto predisporre una copia delle memorie dei suoi computer: vennero sistemate in un centinaio di floppy-disk. Ma solo ottanta ne sono stati trovati dopo la strage, nell´ufficio di Falcone in via Arenula. E nessuno, prima di oggi, sospettava che ce ne fossero altri. Il testimone racconta pure che il giudice utilizzava una piccola scheda Ram, un´estensione di memoria, con il suo palmare Casio, il minicomputer che qualcuno tentò di cancellare dopo l´esplosione di Capaci. E neanche la scheda si è mai trovata. Forse, tra i floppy e la ram-card c´era il diario segreto di Falcone, di cui hanno parlato alcuni suoi colleghi e la giornalista Liana Milella, a cui il magistrato aveva consegnato due pagine di appunti. Ora sappiamo per certo che qualcuno trafugò delle prove dall´ufficio di Falcone al ministero della Giustizia.Ha il volto stanco l´uomo che parla per la prima volta di Falcone e della sua fissazione per i computer. È Giovanni Paparcuri, ha 53 anni, è l´autista sopravvissuto alla strage del giudice Chinnici che Falcone e Borsellino vollero accanto, nel 1985, per informatizzare il maxiprocesso: «Ho resistito al tritolo della mafia - racconta - poi, per anni sono rimasto rinchiuso nel bunker del pool per microfilmare le sei milioni di pagine del primo processo a Cosa nostra. Successivamente, ho creato una banca dati sulle cosche, sistematizzando le dichiarazioni dei pentiti. Ora ho deciso di andare in pensione perché da qualche anno ormai sembra che il mio lavoro non interessi più il ministero della Giustizia, che preferisce pagare profumatamente alcune ditte esterne per gestire la banca dati dell´antimafia». Paparcuri è amareggiato: «Mi mandano in pensione, il 31 dicembre, con la qualifica di commesso».
Nessuno dei magistrati che nel tempo si sono occupati delle indagini per la strage di Capaci ha mai chiamato Paparcuri a testimoniare. Anche lui si stupisce. Eppure, il racconto di uno dei più stretti collaboratori di Falcone e Borsellino si sarebbe potuto rivelare importantissimo per l´avvio dell´inchiesta, quando i consulenti dei pm, Genchi e Petrini, segnalarono alcune manomissioni nei file di Falcone.Nella stanza di Paparcuri c´è aria di smobilitazione. Ma i magistrati della Direzione antimafia cercano ancora il commesso-esperto informatico per una verifica dentro la banca dati. «Ho preso la mia decisione - dice lui - l´amministrazione della giustizia mi ha deluso. Continuo ad attendere il risarcimento per quello che ho subito nel 1983».Adesso, Paparcuri sta dando le ultime consegne ai colleghi più giovani, perché la banca dati non si fermi neanche un istante. Ma sarà un´altra cosa senza il suo ideatore, che a lungo è stato il custode di un pezzo di memoria di Giovanni Falcone. Paparcuri stringe fra le mani i libri che il magistrato gli regalò prima di partire per Roma. «Tre anni fa - racconta - sono tornato a sfogliarli e ho trovato un biglietto della dottoressa Morvillo. Diceva: "Giovanni amore mio, sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me così come io spero di rimanere viva nel tuo cuore". Firmato: Francesca». Paparcuri guarda fisso quel cartoncino: «Un giorno il giudice Falcone mi disse che dovevo andare in un noto negozio di elettronica, a trovare un suo amico fidato, per potenziare il databank Casio. Io, naturalmente, non so cosa ci fosse dentro i suoi computer - spiega Paparcuri - però so per certo che su quei cento dischetti ho scritto io le etichette. In quei cento dischetti c´era l´archivio di Giovanni Falcone».
(La Repubblica, 22 dicembre 2009)

Lombardo oggi azzera il governo regionale. Si riparte con Mpa, Pdl Sicilia e rutelliani

di Emanuele Lauria
PALERMO - Finisce oggi il secondo governo di Raffaele Lombardo. Il presidente della Regione inviterà gli attuali assessori a dimettersi, per consentire entro fine anno la riforma amministrativa. Dopo aver rifiutato l´ultimo tentativo di mediazione del Pdl ufficiale, Lombardo si accinge a varare un esecutivo di minoranza, con l´appoggio del Pd ma solo per le riforme. «Gli assessori politici della nuova giunta - dice il presidente della Regione - faranno capo a Pdl Sicilia, Mpa e Alleanza per l´Italia. Gli altri saranno ovviamente dei tecnici». Così viene ufficializzata la rottura con la corrente berlusconiana cosiddetta "lealista" che avevano bocciato il Dpef: «Noi ricomporremo la giunta basandoci sulle forze politiche che hanno sostenuto il programma di riforme anche con atti formali».Il nodo è sui tempi: la Corte dei conti chiede la nomina dei 28 capi dipartimento entro domani. E a fare le proposte dovrebbe essere la nuova giunta. Lombardo annuncia: «Arriveremo qualche giorno prima del 31 dicembre». Il governatore potrebbe anche decidere di nominare i dirigenti generali in solitudine, ma sarebbe una forzatura giuridica che i suoi più stretti collaboratori sconsigliano.Lombardo riparte senza il Pdl dei lealisti. Rispediti al mittente gli inviti pronunciati a Campofranco, in provincia di Caltanissetta, dal ministro alla Giustizia Angelino Alfano che sperava in una ricomposizione «del governo che finora ha governato», cioè Mpa e Pdl, fosse anche con l´esclusione dell´Udc. La replica del governatore: «Avevo sperato e ritenuto per le responsabilità importanti che detiene, che il ministro Alfano si impegnasse molte settimane fa, anche prima della drammatica scelta di votare contro il Dpef», gli ha risposto Lombardo, per il quale quel voto contrario è stato «il vero ribaltone». Il presidente della Regione aspettava «il 12 novembre anche un intervento di Berlusconi», che non è arrivato.
A chi ha chiesto se fosse troppo tardi per provare a ricucire, Lombardo ha risposto: «Sicuramente è tardi per l´assetto di governo». Il leader dell´Mpa, al massimo, è pronto a garantire al Cavaliere «la collaborazione reciproca». L´occasione degli auguri di Natale ai giornalisti è servita a Lombardo per rivendicare i risultati del suo governo: «Altro che paralisi, abbiamo paralizzato lo sfascio della Regione. Tanto per cominciare abbiamo rispettato il Piano di rientro nella Sanità - dice - risparmiando somme che non venivano spese in sviluppo e riformando il sistema».Il suo terzo governo punterà subito alla riforma del sistema dei rifiuti e alla semplificazione burocratica. Traguardi da raggiungere con l´aiuto del Pd. «Ma non c´è mai stata alcuna richiesta di compensazione da parte di questo partito con posti nel governo o di altro tipo», puntualizza Lombardo. I democratici sono sempre alla finestra: «Aspettiamo di vedere quale sarà la formazione del nuovo governo - dice il segretario regionale del Giuseppe Lupo - per valutare la reale discontinuità con la precedente giunta. Se davvero il presidente della Regione intende realizzare un ambizioso programma di riforme, deve rompere col berlusconismo per difendere la Sicilia».
(La Repubblica, 22 dicembre 2009)

Calcio: prima categoria. Per il Corleone la beffa arriva in pieno recupero. L'Empedoclina acciuffa un insperato pareggio

CORLEONE-ACC. EMPEDOCLINA2-2
CORLEONE: Mancuso, Reina, Governali, Musicò, Ienna, Chiarello, Sciarrino, Verardo (40'st Bongiovanni), Tarantino (28'st Lipari), Cane, D'Amico (17'st Lipari).ACCADEMIA EMPEDOCLINA: Di Giorgio, Traina (39' s.t.. Sirone), Trupia, Carapezza ( 30' s.t. Ferrara), Portera, Mercante, Lo Presti, Speranza Biancolo, Ferrara G., Iapicone.
ARBITRO: Raimondo Cammalleri di Palermo
RETI: 5' Verardo, 41' Iapicone, 23'st Napoli, 49'st Ferrara
NOTE: espulso al 34'st Musicò (Corleone) per gioco pericolosoCorleone.


CORLEONE - Un'Empedoclina prudente, insidiosa, e testarda conquista il pari al 49' della ripresa con un rigore assegnato dal direttore di gara, il palermitano Cammalleri, per un fallo di mano in area di Reina a tempo quasi scaduto. Era andata sotto già al 5' del primo tempo, la compagine agrigentina di Fabio Speranza con una rete segnata da Verardo che dopo un'ingenuità difensiva di Trupia batteva l'incolpevole Di Giorgio.Tecnica attendista quella dell'allenatore-giocatore degli agrigentini che ha saputo contrastare gli uomini di Tanino Crapisi con una gara attenta e prudente. Corleone superiore, almeno nel primo tempo per palle giocate e tasso tecnico. Sino al 41' quando sugli sviluppi di un calcio di punizione dal limite Iapicone di testa beffava Mancuso.Nella ripresa, s'iniziava a giocare sotto la pioggia, con le luci accese per la nebbia. Per il Corleone ci provavano al 3' Tarantino ed all'11 Verardo ben servito dall'ottimo Sciarrino.Al 18' l'episodio determinante per la partita. Cammalleri assegna un rigore al Corleone per un fallo in area. Batte Cane e colpisce prima palo e poi la traversa. Reagisce il Corleone alla sfortuna e cinque minuti dopo al 23' è Napoli a segnare il gol del 2 a 1 dopo una mischia in area. Al 34' il Corleone resta in dieci per l'espulsione di Musicò, autore di un inutile fallo da dietro a centrocampo su Biancolo. L'Empedoclina si carica e sfrutta i 5 minuti di recupero sino all'ultimo secondo quando Ferrara segna dal dischetto il rigore assegnato dall'arbitro per un fallo di mano in area di Reina.
Giovan Battista Noto

P.S. Non vogliamo dare eccessiva importanza alle "vivaci" contestazioni di alcuni dirigenti e calciatori del Corleone nei confronti dell'arbitro Cammalleri, "reo" di avere assegnato un rigore agli ospiti allo scadere del recupero. Solo ricordare che una società (unica in Italia) che pratica l'ante-tempo con la distribuzione di fiori agli avversari (e per questo vuole diventare "famosa") non può cadere nella trappola della contestazione al limite dell'aggressione nei confronti del direttore di gara e degli avversari. Bisogna essere coerenti con lo spirito sportivo che deve animare queste partite di calcio dilettantistico e con i fiori distribuiti primi. Altrimenti si perde di credibilità. Vero, presidente Gulotta?

(d.p.)

domenica 20 dicembre 2009

Le delusioni che fanno crescere...

Confesso di essere tra quelli che non hanno mai creduto che la Consulta giovanile (così come è stata fatta funzionare) possa essere “strumento” di crescita delle nuove generazioni. Non per sfiducia nei giovani che ne fanno parte, ma perché fin dai suoi “primi vagiti” ad essa non è stata mai data quell’autonomia necessaria alla maturazione delle ragazze e dei ragazzi che la compongono. Dagli amministratori comunali è stata vista ed usata più come un “Comitato Feste” (estive o invernali, poco importa), che come un organismo che doveva confrontarsi in maniera dialettica con le Istituzioni. In sostanza, il sindaco e la giunta non si sono mai sognati di riconoscere alla Consulta una dignità politico-istituzionale. Tale atteggiamento tradisce l'opinione che il "Palazzo" ha dei giovani, considerati solo "clienti" e "sudditi" e mai "cittadini" titolari di diritti e di doveri. Il clamoroso passo falso del programma di Natale già bello e confezionato (e stampato sui manifesti), mentre si faceva finta di aspettare il parere dei giovani della Consulta, costituisce solamente la prova del nove delle considerazioni sopra svolte.
Comunque, una “delusione” anche forte può servire a crescere. E se ai giovani della Consulta servirà a capire come sia sbagliato fidarsi del “Potere” sarà un bel passo avanti. Adesso, piuttosto che mollare, l'intera Consulta dovrebbe provare ad esercitare davvero e fino in fondo il suo ruolo, in assoluta autonomia, confrontandosi a testa alta con il sindaco e con la giunta, con il presidente e con i consiglieri comunali (con tutti, compresi quei pochi di minoranza/opposizione, che, se non si sono intruppati col Pdl-Udc, una ragione l’avranno pur avuta!) sulle scelte amministrative da portare avanti nell’interesse della città di Corleone. Così facendo, probabilmente la Consulta avrà meno contributi per cacce al tesoro, ma un ruolo rilevante nel processo di crescita della nostra comunità. d.p.

L’equivoco della consulta giovanile di Corleone. Ovvero, della finta democrazia del sindaco Iannazzo

Facciamo finta per un attimo che un vostro conoscente, turbato da amorosi sensi e con l’anima in subbuglio, venga da voi a chiedere un consiglio; sapendovi amico fraterno vi chiederà chi, al posto suo, scegliereste tra la bella e procace Rachele e la sofisticata ed affascinante Claretta. Cosa potreste mai fare se non, indossati i panni dell’amico, consigliarlo per il meglio pur sapendo che a lui spetta la decisione fiale? E cosa pensereste se scopriste che l’amico turbato non solo ha già scelto l’amata ma anche affisso le pubblicazioni ossia, in poche parole, già rumpìu u scaluni? Ecco, con ardita similitudine, ho provato a spiegarvi quanto è successo ieri nell’Aula, o meglio nello stanzino (già per altro rifiutato con tanto di protesta teatrale dal Messo Comunale), della Consulta Giovanile di Corleone. Il giorno precedente, quasi emozionato, il presidente Gennaro comunicava a noi sottoscritti e agli altri membri della consulta la convocazione di una seduta straordinaria per prendere visione e dare il nostro obbligatorio sebbene non vincolante parere in merito. L’emozione era giustificata trattandosi della prima volta in un anno di vita in cui alla Consulta era accordato il suo diritto e dovere fondamentale, il suo motivo d’esistere: consigliare. A causa della straordinarietà della chiamata e per via del giorno infrasettimanale molti erano costretti a declinare l’invito. Alle 19:00 eravamo solo in 5 sugli 11 aventi diritto al voto. Ma facciamo un passo indietro, come piace tanto dire a quel signore che ci mette tanta paura con le sue storie di delitti su Raitre; nel pomeriggio qualche vocina ci suggeriva di cercare la zizzania nei muri di Corleone. Cosa cercare? Cosa trovare? Ecco... il Programma Natalizio!!! Roba da non crederci: la Consulta doveva ancora “consultarsi”, doveva ancora esprimere il proprio “consiglio” ma Sindaco e Assessore hanno già provveduto a incartare la città con i manifesti che chiamano i cittadini alle iniziative, agli eventi e alle zampognate varie che gli allieteranno le feste. Con un senso di inutilità e di diffusa frustrazione fra quasi tutti i membri della consulta, ci siamo apprestati a discutere in seconda convocazione e col sesto membro ritardatario di quanto accaduto. Quattro dei sei membri presenti, Walter Bonanno, Pierfranco Digiglia, Vittoria Lanza e Carmelo Leone, si astenevano chiedendo che venisse messa a verbale una dichiarazione dai toni forti: LE MODALITA’ DI PRESENTAZIONE DELLA COMUNICAZIONE IN OGGETTO COSTITUISCONO UNA DELEGITTIMAZIONE DEL RUOLO DELLA CONSULTA. Purtroppo la legge e i regolamenti vogliono che l’intero corpo consultivo risulti favorevole anche quando la maggioranza assoluta dei presenti ha ritenuto non degno pronunciarsi nel merito, non perchè era loro intenzione rimettersi alle decisioni dell’assemblea ma per un deciso atto di protesta contro i firmatari dei manifesti, il Sindaco Iannazzo e l’Assessore Vintaloro, che con superficialità hanno inferto un duro colpo agli entusiasmi di quanti credono di poter avere un ruolo utile ai centri decisionali di Corleone. Tra l’altro, gli stessi membri che si sono legittimamente espressi in modo favorevole al Programma Natalizio, condividevano con i restanti “ribelli” il fastidio per quei manifesti, per quella che i sottoscritti definiscono, più che una “vittoria mutilata”, una sonora batosta per la Consulta Giovanile di Corleone. Ieri con la vittoria “de facto” dell’astensione ci siamo fermati dinanzi ad un bivio che ci indica due strade. La prima è quella che ci porterà a diventare un Comitato feste, l’ennesimo, del nostro paese; la seconda è quella che ci porterà, non so come e nemmeno quando, alla realizzazione delle prerogative di un Organo Consultivo, cioè a dire quello di dare Consigli, positivi o negativi, su questioni attinenti ai giovani che non siano state già prese, bollate e appese al muro dai meno giovani di Corleone. Non è un bel giorno per noi, ma non abbiamo nulla da perdere, nessuna indennità e nessun gettone di presenza. Siamo dei volontari convinti (forse illusi) di poter servire la comunità. Noi reclamiamo il nostro ruolo per non dover cessare di esistere, per non darla vinta a quelli (e dai nostri dati sono molti) che pensano che la Consulta Giovanile di Corleone non serva a un c...onsiglio!
Walter Bonanno di Corleone Dialogos
Vittorio Lanza di Oltre il Muro
Liborio gennaro e Antonino Scianni favorevoli

LE DELUSIONI CHE FANNO CRESCERE...
di Dino Paternostro

LA LETTERA. Siamo sicuri che la cura per i disagi giovanili sia imbottire i ragazzi di farmaci?

Egregio Direttore,
ho letto che il 27 ottobre c.a., alcuni deputati siciliani hanno presentato all'Assemblea regionale il disegno di legge n. 482 di iniziativa parlamentare, dal titolo: "Disposizioni in materia di disturbi di specifici di apprendimento".
Sembra che siano bastate due lettere al giornale La Sicilia, per avere dopo 10 giorni una proposta di legge presentata al Parlamento siciliano. Una lettera di una mamma di Vicenza, che ha decantato i benefici ricevuti dal figlio che, grazie all'essere stato riconosciuto dislessico, è stato opportunamente aiutato a recuperare il processo di apprendimento e l’altra di un preside che lamenta che la certificazione di dislessia non figurando tra gli handicap non prevede l’insegnante di sostegno. Una tempestività che sorprende se il tutto non facesse parte di un copione ormai vecchio, come denunciato anche da un reportage di Rai 3: un gruppo di psichiatri vota a maggioranza che esiste un determinato disturbo, viene creata l'associazione promotrice, formata da parenti e pazienti , che farà da cassa di risonanza ed eserciterà pressione presso i governi e l'opinione pubblica, affinché vengano approvate leggi che ne convalidano l’esistenza e la cura. Non sono le prove scientifiche a sostenere l’esistenza di tali “disturbi”, ma diagnosi basate su test scritti o orali e non su esami oggettivi clinici di laboratorio, senza contare che sembra che la scuola sia diventata un succulento potenziale mercato per business sanitario anziché luogo di istruzione e cultura e che le figure sanitarie e i progetti di rilevamento di “disturbi” psichici diventino sempre più importanti degli insegnanti e dei progetti per il miglioramento dell'istruzione e dell'educazione. I dettati, le letture in classe e la soluzione dei problemi da sempre utilizzati dagli insegnanti per verificare il processo di apprendimento dei propri alunni e correggerne gli errori, ora vengono utilizzate dal neuropsichiatra infantile per individuare la quantità di errori che per protocollo concordato proverà l’esistenza del “disturbo”, pur in presenza di un normale o alto quoziente intellettivo. La segnalazione dell’alunno al neuropsichiatra, viene fatta da un insegnante che è stato addestrato nei corsi di aggiornamento sulla dislessia e questi disturbi di apprendimento, tenuti dai neuropsichiatri infantili. Grazie a questa astuta strategia, in Italia nel 2002 sono state stabilite le linee guida sull’ADHD ( deficit di attenzione ed iperattività) ed oggi abbiamo 70 mila bambini che assumono psicofarmaci. La stessa strategia con la quale ora si vogliono fare screening di massa per individuare e dare l'etichetta di handicap ai bambini siciliani. Come insegnante di scuola superiore in una regione (la Lombardia) dove purtroppo ormai ogni anno mi ritrovo mediamente due o tre alunni per classe etichettati con disturbi specifici dell'apprendimento non ho visto situazioni idilliache come quelle raccontate dalla madre di cui sopra. Al contrario ho visto e vedo situazioni disperate di alunni e genitori ai quali gli " esperti " hanno detto che sono affetti da questi “disturbi” e che non potranno guarire ma dovranno accettarli e rassegnarsi, seguendo percorsi diversi dal resto dei compagni. In una mia classe, tre alunni certificati con disturbi dell’apprendimento sono parcheggiati in classe con lo sguardo disperso, timidi, confusi, uno non porta neanche il quaderno e la penna. Seguiti per circa 6 ore alla settimana dall’insegnante di sostegno, questi alunni dispensati dal leggere, scrivere e fare calcoli, ovviamente si annoiano perché non hanno niente da fare. Non so come in questo modo si possano recuperare il processo di apprendimento e l'autostima. Alcuni di questi ragazzi protestano, rifiutano totalmente la scuola e disturbano continuamente, un giorno una di questi alunni alla mia domanda sul perché venisse a scuola visto che non era interessata alla lezione, ha risposto: “Prof io sono diversamente abile!” e si è messa a ridere. Come dire, mi avete dato l’etichetta ora sopportatemi. Queste sono alcune delle tante situazioni che possono essere citate. Ho visto anche situazioni in cui ridando fiducia e responsabilità all’alunno gli ostacoli nello studio vengono superati, ne è prova un alunno che pur essendo stato etichettato dislessico, disgrafico e discalculo, senza insegnante di sostegno perché la madre non aveva presentato la certificazione alla scuola, ha superato con successo la seconda superiore. Ora quando lo incontro mi sorride e vedo il suo sguardo fiero, lui sa che è capace come gli altri, l'ha dimostrato . Che cosa è l'autostima se non provare a se stessi che si è capaci? Bisogna viverci nelle classi, bisogna sperimentare queste situazioni per sapere che queste etichette non aiutano nessuno, ma affossano e buttano nel caos e nella confusione alunni, genitori ed insegnanti. Gli alunni hanno bisogno di un sostegno, non perché sono incapaci, ma perché spesso si perdono in classi numerose (30 per classe) e non possono essere seguiti adeguatamente. Nella mia scuola su 140 docenti, 21 sono insegnanti di sostegno, perché ad esempio non investire le risorse economiche di personale aumentando le classi e diminuendo il numero di studenti per classe creando migliori condizioni per l'apprendimento? Perché non fare corsi di aggiornamento per migliorare la didattica dei docenti invece di corsi per individuare fantomatiche “diversità patologiche” degli alunni?
Prof.ssa Margherita Pellegrino

sabato 19 dicembre 2009

PD, l’assemblea regionale approva documento su crisi di Governo

L’assemblea regionale del Partito Democratico siciliano, riunitasi oggi a Palermo, al termine dei lavori ha approvato un ordine del giorno: presenti 210 dei 251 delegati, il documento è stato approvato con 3 contrari e un astenuto. Di seguito il testo dell’ordine del giorno, che si chiude con l’approvazione della relazione del segretario regionale Giuseppe Lupo.

Ordine del giorno
Il Partito Democratico siciliano
Premesso che:
- la crisi dell’alleanza di centrodestra che ha sostenuto il Presidente della Regione Raffaele Lombardo ha ormai raggiunto l’epilogo e che continuare a nascondere questo dato è causa della paralisi politico-amministrativa che investe il governo della Regione;- in Sicilia dopo 20 mesi sono evidenti i segni del fallimento della coalizione di centrodestra e che la Regione non può continuare a galleggiare nel pantano di una politica che non è in grado di dare soluzioni ai gravi problemi della nostra isola;- la dichiarazione di definitivo fallimento della maggioranza di centrodestra, da parte del Presidente della Regione, è condizione essenziale per verificare la possibilità di aprire una nuova fase politica di riforme su punti essenziali che vengono vissuti con particolare drammaticità dai siciliani
Ritenuto che:
- il PD è pronto a fare la sua parte per realizzare le riforme necessarie a cambiare la Sicilia a farla uscire dalle sabbie mobili;
- il PD cercherà con ogni mezzo di contrastare la sopravvivenza dell’attuale situazione di stallo politico, che è causa di danni per la Sicilia;
Considerato che
- il Presidente della Regione ha dichiarato che il voto contrario del Pdl al DPEF è stato solo l’ultimo atto della disarticolazione e della dissoluzione della maggioranza di Governo;
Valutato che
- il mantenimento dell’attuale Giunta è politicamente in contrasto con la dichiarata dissoluzione della maggioranza di cui era espressione;
- pur riconoscendo politicamente rilevante la dichiarazione di dissoluzione della maggioranza pronunciata dal Presidente e quindi la conseguente parlamentarizzazione della crisi, sono comunque insufficienti i punti assunti quale base programmatica per il rilancio dell’azione di governo per le riforme e alcune delle soluzioni indicate per le gravi emergenze della Sicilia;
Valutata, in particolare, la necessità:
- di esprimere un giudizio fortemente negativo nei confronti delle scelte politiche antimeridionaliste del Governo nazionale a partire dalla sottrazione dei Fondi Aree Sottoutilizzate;
- di proposte di politiche economiche di contrasto della crisi economica e sociale che investe le imprese e il lavoro in tutti i settori produttivi dall’industria all’agricoltura, dai servizi all’artigianato;
- di sostenere e valorizzare la funzione centrale degli enti locali per attuare un vero federalismo e un effettivo decentramento di competenze;
- di introdurre automatismi per l’attuazione di principi di trasparenza e legalità nello svolgimento delle attività dell’amministrazione regionale;
- di riorganizzare e ridurre le società partecipate in base a principi di economicità ed efficienza;
- di dar vita a politiche per la soluzione delle principali emergenze sociali, dalla disoccupazione crescente alla diffusione della povertà e del disagio;
- di verificare e costruire le condizioni, nella distinzione delle responsabilità tra il nuovo governo, rispetto al quale escludiamo qualunque forma di partecipazione del partito, e il confronto parlamentare, evitando ogni sostegno se non per realizzare insieme le riforme in grado di affrontare le emergenze, di promuovere la crescita e la modernizzazione della Sicilia al fine di assicurare totale discontinuità rispetto agli esiti negativi prodotti e alle pratiche utilizzate dai governi che dal 2001 si sono susseguiti in Sicilia.

Per quanto sopra esposto
l’Assemblea Regionale del PD siciliano
approva la relazione del Segretario regionale

giovedì 17 dicembre 2009

Regione Sicilia. Lombardo rimborsa i regali del Natale 2008

di Emanuele Lauria
La Regione spese 300 mila euro, aperta un'inchiesta della Corte dei conti

PALERMO - Ha messo per iscritto che pagherà tutto lui, di tasca propria. E costerà di certo cara, a Raffaele Lombardo, la generosità con cui giusto un anno fa attinse dalle casse regionali per fare i regali di Natale a deputati, dirigenti regionali, giornalisti. In una lettera alla Procura regionale della Corte dei conti, ora il governatore si è detto disponibile a rifondere l'amministrazione. Lombardo ha deciso di rimborsare la cifra illegittimamente spesa per l'acquisto dei cadeaux sul quale la magistratura, nel marzo scorso, aveva aperto un'inchiesta. Nell'elenco dei doni natalizi figuravano 90 paia di gemelli con lo stemma dell'autonomia, omaggiati a deputati e assessori. Costo: 358 euro a pezzo. C'erano poi 70 palmari Blackberry (390,83 euro più Iva) recapitati ai giornalisti, 39 cravatte e cinque sciarpe di seta per i dirigenti regionali (da 50 a 84 euro). Ma gli uffici di Lombardo, in quell´occasione, acquistarono pure due teste in ceramica dei discendenti della famiglia reale Borbone (115 euro l´una), tre cupole sempre in ceramica (308 euro l'una), e ancora bottiglie di vino, cestini natalizi, confezioni di prodotti tipici.Il consigliere della Corte dei conti Tommaso Brancato, sin dal primo minuto, aveva mosso due rilievi a Palazzo d'Orleans: l'incongruità della spesa, che in questi casi per buona prassi deve essere di «modica entità», e la violazione del concetto di rappresentanza. L'attività di rappresentanza, in particolare, deve essere rivolta all'esterno dell'amministrazione. Che senso ha promuovere, con fondi pubblici, l'immagine della Regione nei confronti di organismi interni all'ente quali assessori e burocrati? Brancato, dopo aver chiesto chiarimenti al capo dell'ufficio cerimoniale di Palazzo d'Orleans Silvana Genova, ha portato avanti l'indagine fino alla soglia degli inviti a dedurre, che nella giustizia contabile equivalgono agli avvisi di garanzia. Finché Lombardo si è deciso a «collaborare». Dicendosi disponibile, in una missiva inviata alla Corte, a restituire le somme prelevate, per i regali dello scorso Natale, dai bilanci della presidenza della Regione.
Ora tocca alla Corte dei conti indicare quali, fra le spese affrontate, sono state illegittime. Complessivamente, secondo Palazzo d'Orleans, la cifra stanziata per i doni natalizi del 2008 è stata pari a 300 mila euro. Di certo, i magistrati contabili contestano a Lombardo la spesa per l'acquisto dei Blackberry (ma qualcuno è stato restituito dai giornalisti e assegnato a funzionari per motivi d'ufficio) e i doni fatti ad assessori e dirigenti. Insomma, il governatore potrebbe «cavarsela» con un assegno da qualche decina di migliaia di euro. Un sacrificio personale che eviterà al presidente di finire al centro di un processo della magistratura contabile che non gioverebbe alla sua immagine. Lombardo, quando "Repubblica" a marzo rivelò l'esistenza dell'indagine della Corte, si disse tranquillo: «I regali? Ne abbiamo fatti tanti, certo, a una lunga serie di autorità che mi hanno fatto sapere di averne apprezzato anche il contenuto diciamo così, identitario. In ogni caso, mi risulta che in cassa sia rimasta una bella somma, almeno un milione e mezzo di euro che saranno reinvestiti nel prossimo bilancio». Non aveva rinunciato, il governatore, a un accenno al passato: «Credo che la mia attività di rappresentanza abbia comportato una spesa inferiore rispetto al passato. Per il futuro, comunque, ho intenzione di puntare di più su prodotti tipici siciliani». E qualche giorno fa, alla fine della seduta d'aula sulle due dichiarazioni programmatiche, è stato lo stesso Lombardo ad ammettere di aver deciso di restituire, con propri fondi, le somme oggetto dell'inchiesta: «Ma quest'anno nessuno si aspetti grandi cose - ha detto sornione ai giornalisti - farò regali che andranno dai tre ai quattro euro ciascuno».
(La Repubblica, 15 dicembre 2009)

L'ANALISI. Le leggi per la Rete

di STEFANO RODOTÀ
L'ITALIA ha scoperto la Rete. Appena ieri era divenuta evidente per tutti la forza di Internet quando proprio da lì era partita l'iniziativa che era riuscita a portare in piazza un milione di persone per il "No B Day".
Si materializzava così una dimensione della democrazia inedita per il nostro paese. Pochi giorni dopo quell'immagine appare rovesciata. Internet diventa il luogo che genera odio, secerne umori perversi. E questa sua nuova interpretazione travolge quella precedente: il "No B Day" è presentato come un momento d'incubazione dei virus che avrebbero reso possibile l'aggressione a Berlusconi, Internet come lo strumento in mano a chi incita alla violenza. Conclusione: la proposta di un immediato giro di vite per controllare la Rete, secondo un abusato copione che trasforma ogni fatto drammatico non in un imperativo a riflettere più seriamente, ma in un pretesto per ridurre ogni questione politica e sociale a fatto d'ordine pubblico, limitando libertà e diritti. Per fortuna, all'interno dello stesso mondo politico è stata subito colta la pericolosità di questa impostazione. Intervenendo alla Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini ha detto parole sagge: "Guai a promuovere provvedimenti illiberali. Le leggi già consentono di punire le violazioni. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue su Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete". E la finiana fondazione FareFuturo evoca la "sindrome cinese", la deliberata volontà di impedire che Internet possa rappresentare uno strumento di democrazia. Questi moniti, insieme a molti altri, sembrano aver trovato qualche ascolto, a giudicare almeno dalle dichiarazioni più prudenti del ministro Maroni.
Il tema della violenza è vero, e grave. Ma altrettanto ineludibile è la questione della democrazia. È istruttivo leggere la lista dei paesi che sottopongono a controlli Internet: tutti Stati autoritari o totalitari (con una particolare eccezione per l'India). Questo vuol forse dire che i paesi democratici sono distratti, che si sono arresi di fronte all'hate speech, al linguaggio dell'odio? O è vero il contrario, che è maturata la consapevolezza che la democrazia vive solo se rimane piena la libertà di manifestare opinioni, per quanto sgradevoli possano essere, e che già disponiamo di strumenti adeguati per intervenire quando la libertà d'espressione si fa reato nel nuovo mondo digitale? Vi è una vecchia formula che ben conoscono coloro i quali si occupano seriamente di Internet: quel che è illegale offline, è illegale anche online. Tradotto nel linguaggio corrente, questo vuol dire che Internet non è uno spazio privo di regole, un far west dove tutto è possibile, ma che ad esso si applicano le norme che regolano la libertà di espressione e che già escludono che essa possa essere considerata ammissibile quando diventa apologia di reato, istigazione a delinquere, ingiuria, minacce, diffamazione. Questo è il solo terreno dove sia costituzionalmente legittimo muoversi, e le particolarità di Internet non hanno impedito alla polizia postale e alla magistratura di intervenire per reprimere comportamenti illegali. Le conseguenze di questa impostazione sono chiare: no alla censura preventiva, comunque incompatibile con i nostri principi costituzionali; no a forme di repressione affidate ad autorità amministrative o riferite a comportamenti non qualificabili come reati; no ad accertamenti e sanzioni non affidati alla competenza dell'autorità giudiziaria. Considerando più da vicino le peculiarità di Internet, bisogna essere ben consapevoli del fatto che le proposte di introdurre "filtri" all'accesso a determinati siti sollevano un radicale problema di democrazia. Chi stabilisce quali siano i siti "consentiti"? Qual è il confine che separa i contenuti liberamente accessibili e quelli illeciti? Il più grande spazio pubblico mai conosciuto dall'umanità rischia di essere affidato, all'arbitrio politico, che inevitabilmente attrarrebbe nell'area dei comportamenti vietati tutto quel che si configura come dissenso, pensiero minoritario, opinione non ortodossa. E la proposta di vietare l'anonimato in rete trascura il fatto che proprio l'anonimato (peraltro ostacolo non del tutto insuperabile nel caso di veri comportamenti illeciti) è la condizione che permette la manifestazione del dissenso politico. Quale oppositore di regime totalitario potrebbe condurre su Internet la sua battaglia politica, dentro o fuori del suo paese, se fosse obbligato a rivelare la propria identità, così esponendo se stesso, i suoi familiari, i suoi amici a ogni possibili rappresaglia? Non si può inneggiare al coraggio dei bloggers iraniani o cubani, e denunciare le persecuzioni che li colpiscono, e poi eliminare lo scudo che, ovunque, può essere necessario per il dissenziente politico. Anche nei paesi democratici. È di questi giorni la denuncia di associazioni americane per la tutela dei diritti civili che accusano le agenzia per la sicurezza di controllare reti sociali come Facebook e Twitter proprio per individuare chi anima iniziative di opposizione. Non è la privacy di chi è in Rete ad essere in pericolo: è la sua stessa libertà, e dunque il carattere democratico del sistema in cui vive. Certo, i gruppi che su Facebook inneggiano a Massimo Tartaglia turbano molto. Ma bisogna conoscere le dinamiche che generano queste reazioni, certamente inaccettabili, ma rivelatrici del modo in cui si sta strutturando la società, che richiede attenzione e strategie diverse dalla scorciatoia repressiva, pericolosa e inutile. Inutile, perché la Rete è piena di risorse che consentono di aggirare questi divieti. Pericolosa, non solo perché può colpire diritti fondamentali, ma perché spinge le persone colpite dal divieto a riorganizzarsi, dando così permanenza a fenomeni che potrebbero altrimenti ridimensionarsi via via che si allontana l'occasione che li ha generati. Solo una buona cultura di Internet può offrirci gli strumenti culturali adatti per garantire alla Rete le potenzialità democratiche continuamente insidiate al suo stesso interno da nuove forme di populismo, dalla possibilità di creare luoghi chiusi, a misura proprie e dei propri simili, negandosi al confronto e alla stessa conoscenza degli altri. Più che misure repressive serve fantasia, quella che induce gruppi in tutto il mondo a chiedere un Internet Bill of Rights o che ha spinto uno studioso americano oggi collaboratore di Obama, Cass Sunstein, a proporre che i siti particolarmente influenti per dimensioni o contenuti debbano prevedere un link, una indicazione che segnali l'esistenza di siti con contenuti diversi o opposti e che permetta di collegarsi a questi immediatamente.
(La Repubblica, 17 dicembre 2009)

Informazione e mafie/ Nove giornalisti uccisi e centinaia di cronisti minacciati

di Alberto Spampinato*
Se tutti gli altri fanno un passo indietro, i pochi che restano ostinatamente a fare i cani da guardia corrono più pericolo, sono isolati e possono essere neutralizzati nelle forme più spicce e brutali, con la violenza e nei casi estremi perfino con l'omicidio, come dimostrano, nel modo più eloquente, le storie dei nove giornalisti uccisi in Italia (otto in Sicilia e uno in Campania) mentre raccontavano l'altra faccia della mafia, quella più sanguinosa e brutale, quella della contaminazione con la politica e con il mondo degli affari. Vittime dimenticate dei quali spesso non si ricordano neppure i nomi: Cosimo Cristina (1935-1960), Mauro De Mauro (1921-1970), Giovanni Spampinato (1946-1972); Giuseppe Impastato (1948-1978), Mario Francese (1925-1979), Giuseppe Fava (1925-1984), Mauro Rostagno (1942-1988), Giuseppe Alfano (1945-1993). Giancarlo Siani (1959-1985). Voglio ricordarli con le parole pronunciate all'ultimo congresso della FNSI (Castellaneta Marina, 26-30 novembre 2007) dal segretario generale uscente Paolo Serventi Longhi e da Sergio Zavoli, un maestro del giornalismo italiano, che li hanno ricordati dicendo che, insieme a tutti i cronisti che rischiano ogni giorno l'incolumità personale per tenere la schiena dritta, "sono l'onore del giornalismo italiano". Centinaia minacciati. Quanti sono i cronisti minacciati in Italia? Non siamo in grado di dirlo. Nessuno è in grado di rispondere con esattezza. Probabilmente sono centinaia. E’ difficile contarli perché molti casi sono resi invisibili dall'oscuramento, altri dalla paura che spinge i minacciati a nascondersi, a portare in silenzio e solitudine la loro croce. Le informazioni disponibili, sparse e frammentarie, riguardano solo alcune decine di loro. I casi più noti sono quelli di Lirio Abbate, cronista dell'Ansa di Palermo (ora dell’Espresso), del giornalista-scrittore Roberto Saviano, della cronista giudiziaria del “Mattino” di Caserta Rosaria Capacchione. Tutti minacciati di morte e costretti a vivere sotto scorta, e quello di Pino Maniaci, direttore di Telejato. Il Rapporto Ossigeno 2009, pubblicato sulla rivista “Problemi dell’Informazione” (Il Mulino), disponibile sui siti ufficiali della FNSI e dell’Ordine dei Giornalisti e su numerosi altri che condividono il progetto, contiene tre reportages in Sicilia, Calabria e Campania fra i cronisti più esposti; analizza la dinamica dell’isolamento del giornalista che non osserva le regole non scritte della “prudenza”; elenca 52 episodi di minacce e intimidazioni registrati nel 2006-2008 sui giornali o segnalati da attestazioni di solidarietà. I casi di minacce e intimidazioni individuali sono 43, altri nove riguardano intere redazioni (Secolo XIX, Telegenova, Chi l’ha visto?, Corriere di Livorno, Famiglia Cristiana, Avvenire) con oltre cento giornalisti. A questi, secondo il Rapporto, bisogna aggiungere le centinaia di giornalisti italiani che non hanno avuto neppure la forza di denunciare la violenza. Dopo la pubblicazione del Rapporto 2009 sono emersi nuovi gravi episodi: José Trovato corrispondente del Giornale di Sicilia da Leonforte (Enna), Nello Rega, della redazione esteri di Televideo Rai, Gianni Lannes, free lance di Orta Nova (Foggia), altri giornalisti di “Calabria Ora”, e altri ancora. Storie meno note, alcune disconosciute o del tutto oscurate, ma non per questo meno drammatiche. Tutto ciò testimonia che il fenomeno dei giornalisti minacciati in Italia è di stringente attualità, non appartiene a un’epoca trascorsa.L'autocensura. Tutti queste casi ci indicano giornalisti coraggiosi, animati da impegno civile e professionale, fieri del proprio ruolo di informatori dell’opinione pubblica. Spesso, quasi sempre, sono isolati dalla loro comunità e anche all'interno della categoria dei giornalisti, che non riesce a condividere del tutto questi problemi né a esprimere la piena solidarietà che in questi casi è doverosa e necessaria. E’ un discorso penoso. Ma bisogna affrontarlo. Se vogliamo parlare il linguaggio della verità, dobbiamo parlarne, senza nasconderci e senza sottovalutare ciò che non pochi giornalisti pensano e dicono, sia pure sottovoce: che Abbate, Saviano, Lannes e tutti gli altri, se la sono cercata; che c’è un unico modo per evitare certi rischi, e consiste nel non pubblicare certe notizie. Cioè nell’accettare l’auto- censura come un dato di fatto. Dobbiamo tenere conto di questo punto di vista che ha molti silenziosi sostenitori. Vogliamo misurarci con loro, confutare pacatamente e in modo argomentato la loro tesi. Dobbiamo ascoltare le loro ragioni e motivazioni, annotare i riferimenti a casistiche particolari e tenerne conto. Ma dobbiamo fare questa discussione senza rinunciare a dire che consideriamo sbagliato, non condivisibile il ricorso sistematico e senza distinguo all’auto-censura. Chi considera l’auto-censura un dato di fatto ineliminabile, ho avuto modo di dire, il 28 novembre 2007 al congresso nazionale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, esprime un punto di vista aberrante che io respingo e che tutti insieme dobbiamo confutare, perché infanga la memoria di tutti i giornalisti che in Italia sono stati uccisi per non rinunciare a fare onestamente e fino in fondo il loro lavoro. Dobbiamo confutare questo modo di ragionare perché nega la verità, perché nega un principio fondamentale della nostra professione: quello dell’autonomia e dell’indipendenza di giudizio del cronista. Cosa fare. Spetta a noi giornalisti scegliere le notizie da pubblicare, non spetta mai alle fonti della notizia, non spetta a chi teme di essere danneggiato. Dobbiamo ribadirlo, dobbiamo fare capire che solo se agiremo sempre così, non esisteranno “notizie che uccidono”. Esisteranno solo mafiosi, criminali, prepotenti che minacciano e sono pronti ad uccidere per censurare notizie a loro sgradite, notizie che secondo la nostra deontologia professionale sono uguali a tutte le altre. Nel richiamare questi punti, chiedo che da oggi in avanti la FNSI dedichi a questo tema una attenzione maggiore, un impegno continuativo per chiamare tutti i giornalisti a discuterne, per offrire un forte sostegno a tutti i giornalisti che entrano nel mirino. Penso a un osservatorio ad hoc da istituire e a un ufficio di garanzia presso la presidenza della FNSI. Penso a un convegno nazionale sulla cronaca locale e le sue difficoltà, perché è nella cronaca locale che nascono questi problemi. E’ nella cronaca locale che il giornalismo, giorno per giorno, vince e perde la battaglia per far vivere le notizie a dispetto di corporazioni e di interessi costituiti. E’ necessario parlare pubblicamente di queste cose, fare chiarezza, diffondere nella società la consapevolezza delle condizioni in cui si svolge il nostro lavoro. Dobbiamo spazzare via gli equivoci e superare un senso di rassegnazione che esiste, che va compreso, che può essere superato solo assumendo iniziative in grado di alimentare il coraggio e la speranza. Dobbiamo osservare il fenomeno in modo analitico. Perciò non possiamo accontentarci di parlarne mentre siamo sballottati dall’onda dell’emergenza e sopraffatti dall’emozione per il caso di un cronista in pericolo. Dobbiamo discuterne a freddo. Solo così potremo scoprire quale tremenda dinamica si innesca ogni volta che un cronista finisce nei guai per aver maneggiato notizie scottanti, e in particolare quelle ostili alla criminalità organizzata. E’ una dinamica che ho osservato e che frena la solidarietà incondizionata che serve in questi casi. Dobbiamo capire cosa c’è dietro queste dinamiche e trovare gli opportuni correttivi. Facciamo insieme questa analisi. Diciamo cosa dobbiamo fare noi e cosa dovrebbero fare altri soggetti: a cominciare dagli editori e dal mondo della politica. Perché questo è un problema che riguarda i giornalisti, ma non solo loro. La prima cosa che dobbiamo fare è rompere il tabù che ci impedisce di dire questa verità amara e tremenda”. Per sviluppare questa riflessione collettiva, la FNSI e l’Ordine Nazionale dei Giornalisti hanno fondato “Ossigeno per l’informazione”, con la partecipazione di UNCI, Articolo 21 e Libera Informazione. Con il Rapporto 2009, l’osservatorio ha fornito una documentazione e una base analitica per avviare in modo oggettivo la discussione che stiamo sviluppando in tutta Italia. (leggi la prima parte dell'intervento).
* Coordinatore nazionale di Ossigeno - Osservatorio sui cronisti minacciati
Bari, 16.12.2009
DA LIBERAINFORMAZIONE

domenica 13 dicembre 2009

Borsellino: "Nessun accordo con gli uomini di Dell’Utri!"

di Enrico Fierro
"E ora dovremmo addirittura sorbirci la favoletta di un Micciché eroe ribelle della sicilianità, e di un Lombardo novello autonomista contro il potere di Roma? Ma via, non ci crede nessuno. La verità è che siamo di fronte a un gioco di potere tutto dentro al centrodestra siciliano. Le solite storie, i soliti gruppi di potere che si muovono all’ombra dei potentati politici".
Rita Borsellino chiude le porte a ogni ipotesi di accordo tra Pd, Lombardo e l’ala del Pdl siciliano che fa riferimento a Gianfranco Micciché. Ma l’intesa sembra alle porte, tanto che sui giornali siciliani circolano già i nomi dei probabili assessori "tecnici" indicati dal Pd nel nuovo governo regionale.Il Pd è spaccato tra chi, come il segretario regionale Giuseppe Lupo e il deputato nazionale Peppe Lumia, è possibilista e chi è nettamente contrario. Come Enzo Bianco. "Non possiamo fare inciuci che non sarebbero compresi dagli elettori".
E la deputata Alessandra Siragusa. "Mentre Lombardo lascia credere di aver rotto con Berlusconi i deputati dell’Mpa alla Camera votano compattamente con il governo, ieri per salvare Cosentino, oggi sul bilancio dello Stato, che pure penalizza ancora una volta il sud e la Sicilia. Basta con questi bluff".
Onorevole Borsellino, si ha l’impressione che in Sicilia il “milazzismo” non sia mai morto?
Diciamo che è una malattia che spesso ritorna.
Eppure molti in queste ore parlano del "laboratorio" siciliano.
Anche questa è una vecchia storiella. Ma quale laboratorio? La realtà è più complessa. Siamo di fronte a un formidabile riassettamento di potere, c’è un rimescolamento e ogni soggetto cerca di agguantare quote di comando all’interno della politica siciliana.
Gianfranco Micciché e il suo Pdl Sicilia, ad esempio?
Guardi, trovo veramente ridicolo tratteggiare Micciché, il fedelissimo di Berlusconi e dell’Utri, come un ribelle. Micciché sta giocando una partita sua, ha colto il momento di estrema debolezza che sta vivendo Lombardo e si inserisce. Altro che interessi della Sicilia, governabilità e chiacchiere varie, la posta in gioco è un’altra e i siciliani c’entrano poco.
Lombardo dice che contro il suo governo si sono mossi interessi forti. A cosa si riferisce?
Nella commedia di questa crisi, ogni attore vuole ritagliarsi un ruolo che gli è poco consono. Ora tutti vogliono fare gli innovatori. Lombardo dice che lui ha decuffarizzato la regione, e di questo ne fa un motivo di vanto politico. E forse ha ragione, nel senso che ha smontato il vecchio sistema di potere costruito da Totò Cuffaro. Uomini, burocrazie, sistemi di interesse. Ma il punto è che a questo sistema di potere ha sostituito il suo. Gli uomini sono diversi, ma le modalità di organizzazione e di esercizio del potere sono le stesse. Diciamo che Lombardo ha decuffarizzato per lombardizzare.
Le cronache giornalistiche raccontano di un incontro tra Massimo D’Alema e Lombardo, dicono che hanno mangiato un’ottima orata e hanno sottoscritto un patto.
Sono contenta per loro per l’orata, ma con Massimo D’Alema ho parlato e gli ho detto con chiarezza che accordi, alleanze, appoggi esterni, sarebbero solo un papocchio.
Riepilogando: si spacca il Pdl, ma Micciché non rompe né con Berlusconi, né con Dell’Utri. Lombardo è alla ricerca di maggioranze diverse, ma a livello nazionale continua a sostenere il governo di centrodestra. E c’è il Pd, che si divide e rischia di rimanere col cerino acceso in mano.
Il Pd in Sicilia è ancora alla ricerca di una identità. Una situazione che è certamente simile a quella di altre regioni, dove ancora si oscilla sul tema delicatissimo delle alleanze. Penso particolarmente alla Puglia, dove si dice no alla ricandidatura di Vendola perché questo viene imposto dalla ricerca di possibili accordi con l’Udc. Ma qui tutto viene accelerato dalla crisi del governo Lombardo.
Onorevole, come ne uscirete?
Certo non alleandoci con Micciché, l’uomo di Marcello Dell’Utri, e proprio – me lo lasci dire – nei giorni in cui a Palermo si sta celebrando un delicatissimo processo sui rapporti tra mafia e politica. Basta con gli inciuci e i giochi delle tre carte. Lombardo venne eletto con una maggioranza mai vista, i siciliani gli affidarono il compito di governare, ora non ha più i numeri, ne tragga le conclusioni. Per quanto riguarda il Pd, dico che è meglio una sana opposizione che partecipare a un governo-papocchio.
da Il Fatto Quotidiano del 12 dicembre.

Scarcerato boss che uccise Graziella Campagna

MESSINA - È bufera sulla scarcerazione di Gerlando Alberti Jr, 71 anni, che stava scontando l'ergastolo per aver assassinato assieme a Giovanni Sutera il 12 dicembre '85 in provincia di Messina, la 17enne Graziella Campagna. La stiratrice, sorella di un carabiniere, venne rapita alla fermata dell'autobus e ammazzata con cinque colpi di lupara a Forte Campone, nel bosco di Musolino, perché si era impossessata di un'agendina dimenticata in un capo di vestiario portato da Alberti nella lavanderia dove lavorava la ragazza. L'agendina poteva compromettere la latitanza dei due mafiosi.Le condizioni di salute di Gerlando Alberti junior sono state giudicate non compatibili con la detenzione carceraria, la sua cartella clinica parla di "tumori maligni e benigni". Così il giudice di sorveglianza, accogliendo l'istanza del difensore Antonello Scordo, gli ha concesso gli arresti domiciliari nella sua casa di Falcone, in provincia di Messina, a pochi chilometri dal paese di Graziella.Proprio oggi, nel ventiquattresimo anniversario dell'assassinio, la ragazza è stata ricordata con una manifestazione al Palasport di Saponara a lei dedicato. Presenti i ragazzi delle scuole di tutta la provincia e gli attori della fiction Rai «La vita rubata», Beppe Fiorello (che ha interpretato il ruolo del fratello di Graziella, Pietro), Larissa Volpentesta e Alessio Vassallo, oltre al regista Graziano Diana. Fiorello, commentando la scarcerazione di Alberti parla di «una decisione azzardata». Pasquale Campagna, il fratello di Graziella, attacca: «È una cosa sconvolgente e vergognosa, che offende la dignità di mia sorella, della nostra famiglia e di tutti gli italiani». La decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna di concedere gli arresti domiciliari ad Alberti, è stata presa dal tribunale collegiale, formato da quattro giudici, con il parere favorevole del procuratore generale. In particolare, sottolinea il presidente del tribunale, Francesco Maisto, il provvedimento «nasce solo da una richiesta specifica e ufficiale fatta dal carcere di Parma per le gravi condizioni di salute del detenuto. E dopo non c'è stato nessuno ricorso in Cassazione». E aggiunge: «Se la gente muore in carcere, poi si dice che il giudice sbaglia». Nessun commento a proposito della verifica ordinata dal guardasigilli Angelino Alfano per accertare la regolarità della decisione. «Ho disposto un accertamento e raccomandato celerità e solerzia affinché si faccia luce sulla scarcerazione di Gerlando Alberti junior», ha detto Alfano. Alberti potrà lasciare gli arresti domiciliari solo scortato e per motivi di terapia e potrà vedere solo la moglie e i figli. Gli arresti domiciliari gli sono stati concessi per un periodo di otto mesi, «in luogo del differimento della pena», in base - secondo quanto si è appreso - all'articolo 147 del Codice penale, che fa riferimento alla pietas quando per il detenuto sussiste il pericolo di morire in carcere.«E' un regalo a un boss mafioso che non bisogna assolutamente consentire. Lo Stato deve reagire e io combatterò contro questa decisione», afferma il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della commissione nazionale Antimafia come Giampiero D'Alia (Udc), che parla di «una decisione vergognosa», «un segnale tutt'altro che buono» che «riguarda uno degli omicidi più efferati commessi in Sicilia». Lo definisce «fatto sconcertante», infine, il sindaco di Saponara, Nicola Venuto.
(La Repubblica, 12 dicembre 2009)