domenica 7 febbraio 2010

Se la Chiesa passasse dalle parole ai fatti...

di Francesco Palazzo
La chiesa italiana, per bocca del siciliano Mariano Crociata, segretario generale della CEI, torna ad affermare solennemente che i mafiosi sono fuori dalla comunione con la Chiesa e che a loro deve essere rivolto l'invito a ravvedersi e a cambiare vita. Molti osservatori, a ragione, vedono in questi pronunciamenti dei vescovi una continuità con il monito lanciato da Giovanni Paolo II da Agrigento. Era il maggio del 1993 e si era all'indomani delle stragi. Dal 1993 sono trascorsi ben diciassette anni e la Chiesa italiana sul tema della lotta alle mafie - nonostante il sacrificio di preti eroici come don Pino Puglisi - è ancora ferma alle dichiarazioni di principio. Affermare, come fa monsignor Crociata, che "l'atteggiamento della Chiesa verso i mafiosi è l'invito al ravvedimento e alla conversione", significa tutto e niente. Nel senso che si tratta di un generico appello, un mero auspicio, che non sposta di un millimetro l'azione della pastorale ecclesiastica sulla lotta al potere mafioso. Così come mi pare del tutto ovvio sottolineare, ancora una volta, che i mafiosi sono fuori dalla comunione con la Chiesa. Eppure si continuano ad amministrare i sacramenti anche a persone che hanno alle spalle sentenze per mafia passate in giudicato. Siano esse appartenenti alla mafia militare, che facenti parte di quanti appoggiano e aiutano le mafie con l'attività politica e professionale. Anche per la Chiesa è tempo di lasciare al loro destino le reprimende generiche contro le cosche e passare a un'azione quotidiana di contrasto. Fatta magari non di dichiarazioni astratte, ma di tangibili e concreti segnali da incarnare nelle parrocchie. Perché è facile sostenere da Roma tesi condivise. Più complicato è mettere in atto nelle comunità parrocchiali alcune iniziative più incisive. Due proposte potrebbero essere subito attuate, una sul piano della comunicazione e un'altra nell'ambito della liturgia. La prima. Provi la chiesa a comporre un manifesto di condanna alle mafie e lo faccia esporre, bello incorniciato, quindi in pianta stabile, all'ingresso delle chiese. Non è difficile immaginare l'effetto che una simile iniziativa potrebbe avere sull'opinione pubblica e su quanti frequentano i luoghi di culto cattolici. Una seconda, palese e duratura, presa di posizione potrebbe arrivare sin dentro le celebrazioni liturgiche. Sappiamo che durante le messe sono promosse raccolte per i fini più svariati e nobili. Bene. Se ne potrebbe aggiungere un'altra. Si faccia girare un cestino in tutte le chiese, promuovendo una raccolta di denaro il cui ricavato andrà a quelle associazioni che si oppongono al pizzo e a quei commercianti e imprenditori che hanno trovato la forza e il coraggio di denunciare. Sono solo due esempi, tra gli altri, di cose che la Chiesa potrebbe subito fare. Piccole cose, mi rendo conto. Ma che varrebbero, a mio avviso, molto di più di una condanna verbale dei mafiosi. Dalla durata sui portoni delle chiese di quel manifesto incorniciato, soprattutto nei quartieri periferici e nei paesini, e da quanto si riempirebbero quei cestini antipizzo potremmo capire se davvero i mafiosi sono fuori dalla comunione con i cattolici.
LA REPUBBLICA PALERMO
SABATO 06 FEBBRAIO 2010

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