di Francesco Bonazzi
Una piccola stanza sempre sotto controllo. Due passeggiate al giorno in un cortile. Le partite a carte di Riina. E la lettura della Bibbia per Provenzano. Ecco come vivono i padrini dietro le sbarre
Ogni mattina che Dio manda in terra, qualche minuto prima delle sette, un anziano corleonese trapiantato a Milano si alza dal suo lettino e accende il fuoco di un fornelletto a gas sotto una moka da due. Il caffè, però, lo prende solo. Da 14 anni e 8 mesi. A 55 chilometri di distanza, alla stessa ora, un compaesano ultrasettantenne aspetta in silenzio in un'ex risaia. È sveglio da più di un'ora, immobile. Non beve un caffè da almeno un anno e cinque mesi. Attende che gli portino un po' di latte tiepido. Poi si metterà anch'egli in movimento. Ma entrambi non andranno da nessuna parte. Lo Stato italiano li ha sepolti vivi sotto una valanga di ergastoli e li 'gestisce' attraverso gli uomini super-specializzati dei Gom, i reparti operativi della Polizia penitenziaria. Ma loro, i detenuti Riina Salvatore e Provenzano Bernardo, continuano a fare paura anche se sono al '41 bis', come viene chiamato il carcere duro per i mafiosi. Anzi, "stanno al 41 bis del 41 bis", come si dice in gergo carcerario, perché scontano la pena in regime d'isolamento. Non parlano con nessuno, vedono i familiari una volta al mese, sono perquisiti più volte al giorno e la loro corrispondenza viene controllata. Eppure alla fine di agosto sono bastate due cartoline in busta bianca destinate a loro, con su scritto "La pace è finita", per allarmare investigatori e polizia penitenziaria. Riina e Provenzano non sono due fantasmi del passato. È vero, hanno cominciato insieme quasi cinquant'anni fa, sparando per conto di un altro corleonese illustre, Luciano Liggio. E sono diventati i due boss di Cosa nostra più famosi del mondo, passando sui cadaveri di decine di 'colleghi'. E poi sui corpi di magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti e gente comune. Adesso che sono entrambi in carcere, Provenzano a Novara e Riina a Milano Opera, le attenzioni sono concentrate nella caccia ai due probabili eredi: Matteo Messina Denaro e Salvatore Lo Piccolo. Ma loro, 'Totò u curtu' e lo 'Zu Binu', che fanno? 'L'espresso' ha potuto ricostruire in dettaglio le giornate dei due boss, parlando con le pochissime persone che ne sanno davvero qualcosa. La salute, innanzitutto. Riina ha 77 anni e tre by-pass coronarici, ricordo di una serie di infarti (gli ultimi due nel 2004, quando era nel carcere di Marino del Tronto). Per questo, dal 2003 è custodito in una cella del centro clinico del carcere di Opera: "Una soluzione giusta", come ebbe a commentare sua moglie Ninetta Bagarella.
Una piccola stanza sempre sotto controllo. Due passeggiate al giorno in un cortile. Le partite a carte di Riina. E la lettura della Bibbia per Provenzano. Ecco come vivono i padrini dietro le sbarre
Ogni mattina che Dio manda in terra, qualche minuto prima delle sette, un anziano corleonese trapiantato a Milano si alza dal suo lettino e accende il fuoco di un fornelletto a gas sotto una moka da due. Il caffè, però, lo prende solo. Da 14 anni e 8 mesi. A 55 chilometri di distanza, alla stessa ora, un compaesano ultrasettantenne aspetta in silenzio in un'ex risaia. È sveglio da più di un'ora, immobile. Non beve un caffè da almeno un anno e cinque mesi. Attende che gli portino un po' di latte tiepido. Poi si metterà anch'egli in movimento. Ma entrambi non andranno da nessuna parte. Lo Stato italiano li ha sepolti vivi sotto una valanga di ergastoli e li 'gestisce' attraverso gli uomini super-specializzati dei Gom, i reparti operativi della Polizia penitenziaria. Ma loro, i detenuti Riina Salvatore e Provenzano Bernardo, continuano a fare paura anche se sono al '41 bis', come viene chiamato il carcere duro per i mafiosi. Anzi, "stanno al 41 bis del 41 bis", come si dice in gergo carcerario, perché scontano la pena in regime d'isolamento. Non parlano con nessuno, vedono i familiari una volta al mese, sono perquisiti più volte al giorno e la loro corrispondenza viene controllata. Eppure alla fine di agosto sono bastate due cartoline in busta bianca destinate a loro, con su scritto "La pace è finita", per allarmare investigatori e polizia penitenziaria. Riina e Provenzano non sono due fantasmi del passato. È vero, hanno cominciato insieme quasi cinquant'anni fa, sparando per conto di un altro corleonese illustre, Luciano Liggio. E sono diventati i due boss di Cosa nostra più famosi del mondo, passando sui cadaveri di decine di 'colleghi'. E poi sui corpi di magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti e gente comune. Adesso che sono entrambi in carcere, Provenzano a Novara e Riina a Milano Opera, le attenzioni sono concentrate nella caccia ai due probabili eredi: Matteo Messina Denaro e Salvatore Lo Piccolo. Ma loro, 'Totò u curtu' e lo 'Zu Binu', che fanno? 'L'espresso' ha potuto ricostruire in dettaglio le giornate dei due boss, parlando con le pochissime persone che ne sanno davvero qualcosa. La salute, innanzitutto. Riina ha 77 anni e tre by-pass coronarici, ricordo di una serie di infarti (gli ultimi due nel 2004, quando era nel carcere di Marino del Tronto). Per questo, dal 2003 è custodito in una cella del centro clinico del carcere di Opera: "Una soluzione giusta", come ebbe a commentare sua moglie Ninetta Bagarella.
Provenzano ha un quadro clinico meno delicato, ma è pur sempre un signore di 74 anni che ha subito due operazioni per tumore alla prostata, soffre di reni e da quando è stato trasferito nel supercarcere di Novara ha perso parecchi chili. Anche lui è isolato vicino al centro medico. A entrambi l'amministrazione penitenziaria ha assegnato una stanza di tre metri per un metro e 80 centimetri, bagnetto compreso. Per lavarsi, c'è un lavandino. La doccia, invece, si trova nel centro medico e questo è l'unico 'privilegio' dei due illustri reclusi, visto che praticamente ne hanno entrambi una a disposizione tutta per sé. Intorno alle sette vengono aperti i portoncini blindati delle celle, i cui due spioncini (uno per la stanza da letto e l'altro per il bagno) sono rimasti spalancati tutti la notte. Di fronte alle celle sono in funzione 24 ore su 24 le telecamere a circuito chiuso e almeno un agente monta la guardia. Le sbarre di metallo, invece, restano chiuse. Si aprono una prima volta per far entrare il vassoio della colazione. E una seconda per la prima ispezione della giornata: perquisizione della cella da parte degli agenti e perquisizione personale sui detenuti. Provenzano ha una cella molto poco luminosa. La luce arriva da un finestrone con infissi metallici posto sulla parte più in alto di una parete, ma il carcere novarese è costruito in un avvallamento e il reparto che ospita 'don Bernardo' è in pratica un seminterrato. Un bel problema per una persona con la vista debole e che ama tantissimo leggere. Un solo libro, però: la Bibbia. Dopo le ispezioni e la pulizia della cella, che il padrino cura personalmente con attenzione maniacale, Provenzano inforca gli occhiali da presbite e apre le sacre scritture. Legge come uno studioso attento e riempie le pagine di annotazioni. Potrebbe chiedere altri libri alla direzione del carcere, ma non lo fa. Potrebbe farsi acquistare giornali o riviste allo spaccio interno, ma non gl'interessa. Gli basta sfogliare la 'Parola di Dio'. Poi, quasi ogni giorno, sceglie le proprie parole da scrivere ai familiari: alla compagna di una vita, Saveria Palazzolo, e ai suoi figli che per loro fortuna hanno preso strade totalmente diverse dal padre. Questo fin verso le 10-11 del mattino, quando è il momento di 'uscire' per il primo passeggio. Per un'ora Provenzano può sgranchirsi le gambe in un cortiletto tanto angusto che a momenti i classici quattro passi bastano per girarlo tutto. E può guardare il colore del cielo attraverso una rete di ferro a maglie abbastanza strette.
Nella cella di Riina arriva più luce. Il finestrone è lo stesso, ma Opera è un penitenziario che non sorge su un'ex risaia, ma tra le autostrade che arrivano a Milano da Sud, ed è di costruzione molto più recente. Leggere, però, non è proprio tra le passioni del super-boss. Libri non ne ha e non ne chiede. E da qualche anno non acquista neppure i giornali sportivi, come faceva nei primi tempi. Quando ha finito di dedicarsi all'igiene personale e alla pulizia della propria cella, Riina prende carta e penna per scrivere a Ninetta. Poi, intorno alle 10, va a farsi l'ora d'aria in un cortile con i muri di cemento armato e una doppia rete di ferro al posto del tetto. Così fitta che se proprio non diluvia, il detenuto Riina può uscire a passeggiare praticamente con qualsiasi condizione climatica. In realtà, più che passeggiare, fa ginnastica. Dieci minuti di esercizi che potrebbero essere definiti di 'corpo libero', se l'espressione non fosse drammaticamente fuori luogo, e una ventina di minuti sulla cyclette. Come gli hanno consigliato i medici.Tra le 11 e 45 e mezzogiorno, arriva il vassoio del pranzo.
A Provenzano viene consegnato seguendo una serie incredibile di cautele, sulle quali vige il riserbo più assoluto. L'unico particolare che filtra è che il pasto non viene preparato dagli uomini della polizia penitenziaria che lo hanno in carico, leggenda circolata in passato, ma esce dalle stesse cucine dove si confezionano gli altri 400 vassoi del carcere novarese. Il menù è quello di tipo ospedaliero (la qualità pare che sia però un po' inferiore) che vige nella gran parte dei penitenziari italiani: primo, secondo e frutta. Carne una o due volte a settimana. Il dolce giusto la domenica, quando c'è anche la messa. Alla quale né Riina né Provenzano, pur religiosissimi, possono partecipare. Se stessero con gli altri '41 bis', potrebbero affacciarsi dalle sbarre quando il cappellano dice messa in corridoio. Ma stanno in isolamento e da loro il prete non passa (e neppure lo chiedono).
Provenzano mangia pochissimo e neppure integra il vitto carcerario con alimenti acquistati allo spaccio interno. Una scelta, quella di mangiare solo ed esclusivamente ciò che passa lo Stato, assai poco praticata dai boss mafiosi, eppure singolarmente identica a quella operata da Riina. Il capomafia rinchiuso a Opera sarebbe più goloso e, anzi, tende facilmente a ingrassare. Ma non chiede di comprarsi neppure una scatola di biscotti. Sulle motivazioni di questa scelta, nel circuito del '41 bis' ci sono almeno due scuole di pensiero. Alcuni la spiegano con un fattore anagrafico-culturale: Provenzano e Riina sono due uomini all'antica, abituati a essere serviti e non potranno mai considerare la cucina come un passatempo maschile. Altri vi leggono l'identico messaggio: anche se lo Stato ci tortura con il carcere duro, noi siamo più forti e non facciamo niente per ammorbidirci il trattamento. Un'interpretazione asseverata da un altro dato più generale e comune a entrambi: non chiedono mai nulla e non protestano mai.
Dopo pranzo, Riina a volte schiaccia un pisolino o guarda un po' di televisione. L'apparecchio è un piccolo Mivar a colori saldato al muro, come in certi alberghetti. Adora lo sport. Tutto lo sport, con una preferenza spiccata per la Formula uno, i Gran premi di motociclismo e il calcio. Tifa Milan e raccontano che quando i rossoneri vincono, poi la sera va a dormire più tranquillo. Chissà quanto maledice l'esistenza di Sky e del digitale terrestre, che hanno impoverito di molto l'offerta calcistica delle reti generaliste. In ogni caso, se sulla Rai passano un po' di ciclismo, Riina si guarda anche quello. Provenzano, invece, o dormicchia o si rilegge la sua Bibbia, in attesa del secondo passeggio di metà pomeriggio. Anche Riina esce per un'ora una seconda volta e vi aggiunge, come da regolamento, un'ora di cosiddetta socialità. Si tratta di andare a rinchiudersi in una stanzetta con le pareti verdoline, due sedie da vecchia scuola media e un tavolino di compensato inchiodato al pavimento. Riina non può andarci con gli altri '41 bis' e men che mai con un altro esponente della sua stessa organizzazione mafiosa. Così, la scelta del compagno di giochi è caduta su un sessantenne boss calabrese di medio livello. Il siciliano e il collega calabrese hanno in dotazione un semplice mazzo di carte da gioco napoletane con le quali sfidarsi a scopa e briscola. Scambiano qualche parola e nulla più, ma entrambi ci tengono tantissimo. Provenzano, neanche questo. Dicono che sia un atteggiamento tipico di chi è dentro da relativamente poco e che anche Raffaele Cutolo, i primi anni, rinunciasse volentieri alla 'socializzazione'. Lo 'Zu Binu' si fa la seconda ora di passeggio, al rientro si sottopone all'ennesima ispezione e poi attende la cena. Il pasto serale viene preparato e consegnato (intorno alle 19) secondo le stesse modalità del pranzo. Dopo, c'è tutto il tempo per guardarsi i principali telegiornali, facendo zapping tra Rai e Mediaset. Provenzano, che per il resto della giornata viene in larga parte descritto come apatico, ha una vera passione per l'informazione televisiva. E chissà quanto apprezzerebbe gli approfondimenti in seconda serata, se solo ci arrivasse sveglio. Invece alle nove spegne tutto e si mette a letto. Un'ora dopo, al massimo, già dorme. Alla stessa ora, le dieci in punto, anche Riina s'infila sotto le coperte a Novara. E cade addormentato in pochi minuti. Fuori, si alternano governi e nuovi superlatitanti. Dentro, a Riina e Provenzano, non è dato sapere se e quanto gliene importi qualcosa.
Da "L'Espresso"
Da "L'Espresso"
1 commento:
Ma è possibile con tutta questa nuova tecnologia e con le medicine che ai giorni di oggi siamo quasi quasi a guarire anche HIV.
Perchè non utilizzano certe pillole dove ti fanno raccontare la verità?
se non esiste, perchè non la inventano?
Allora sicuramente è come disse buscetta...che sopra ci sono gli uomini politici...
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