di Agostino Spataro
La Sicilia è di nuovo alle prese con le trivelle delle ricerche petrolifere. C’è chi le teme come in Val di Noto e chi se le contende come sta accadendo in provincia di Agrigento dove è scoppiata una estemporanea querelle fra i comuni di Casteltermini e Cammarata per il petrolio che ancora non c’è. Insomma, una vicenda altalenante intorno ad un mito, quello del petrolio, che a metà degli anni ’50 produsse modesti risultati socio-economici e molti danni per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Tuttavia, prima di litigare è meglio attendere di sapere come stanno le cose sottoterra e soprattutto tener conto dei rischi ambientali visto che le trivelle stanno perforando una pregiata zona montana contigua all’area dove sorgerà un potente inceneritori di rifiuti.La prudenza, inoltre, è consigliabile anche per evitare di deludere le attese infondate delle popolazioni interessate. Un po’ com’è successo nel mio paese, Joppolo Giancaxio, durante il biennio 1954-55, a seguito della notizia, precipitosamente accreditata, del rinvenimento sotto il monte Famoso di un importante giacimento petrolifero da parte degli americani della “Mediterranean Oil Company” del Delaware.
Ricordo come fosse ieri l’euforia della gente, l’alacrità dei lavori preparatori culminati nell’erezione di una gigantesca sonda sulla sommità del monte, di fianco al vecchio mulino a vento, che dominava, col suo pennacchio di fuoco e di fumi, il panorama nella sua distesa infinita: dalla campagna fino al mare. Qualcuno, ch’era stato a Parigi, diceva che la sonda di Joppolo era più bella e vitale della torre Eiffel. Perciò era venerata come un portentoso totem della moderna tecnologia che simboleggiava un avvenire radioso per la piccola comunità. Col passar dei mesi, la “sonda” divenne una parola magica, antonomastica, che inglobò, oscurandoli, tutti i toponimi preesistenti, compreso quello dello stesso monte (Famoso) di cui si sconosceva la ragione per cui gli fosse stato appioppato per nome un aggettivo così impegnativo quanto astruso. Famoso, per che cosa? Per la gente quel vasto territorio era “la sonda”. Non s’andava più al mulino a vento, ma alla sonda.
Molte donne vi si recavano, coi loro bambini, per farsi fare una foto con la sonda da inviare agli increduli mariti per convincerli a tornare da Caracas o da New York perché l’America che loro erano andati a cercare era venuta a Joppolo. Per la festa d’inaugurazione del cantiere, l’intero paese si trasferì sul monte per brindare, coi tecnici americani e le loro famiglie, a quelle fantastiche trivelle che, a profondità abissali, avevano rinvenuto l’oro nero. La notizia era data per certa, anche se ancora non v’erano riscontri ufficiali. Quei pochi che avanzavano qualche perplessità erano additati come iettatori e guastafeste. D’altra parte, la compagnia americana non pareva nutrire dubbi di sorta. Aveva investito centinaia di milioni e anche quella fastosa inaugurazione confermava le più rosee prospettive. Gli ospiti, infatti, fecero le cose in grande: un enorme buffet e fiumi di spumante, sotto uno sfarzo di fari abbaglianti e festoni di luci cangianti. Quella sera tutto induceva all’ottimismo, e la gente tornò a casa convinta che fosse giunta finalmente la buona ora, che presto Joppolo sarebbe diventato un nuovo Eldorado. E, già, un po’ lo era. Come d’incanto, i braccianti s’improvvisarono muratori, intagliatori di pietre, manovratori di pompe e d'apparati elettrici. Per la prima volta nella loro vita, videro la busta paga, il salario contrattuale. Altro che le lirette di quei quattro borgesi taccagni e arroganti!
Era il progresso che, inaspettatamente, giungeva nel piccolo villaggio dove la gente viveva, assuefatta, da tempi immemorabili, in condizioni davvero misere e primitive. Col denaro guadagnato alla “sonda” ci si poteva concedere un livello di vita dignitoso, mandare i figli a scuola e perfino il lusso di comprare un apparecchio radio. Ci fu una vera invasione di “Marelli”che impressionò la mia fantasia di bambino. La radio, infatti, segnava come il trapasso dalle tenebre dell’ignoranza alla luce dell’informazione e della musica. Era come l’inizio della comunicazione fra Joppolo e l’universo mondo. Non c’era più bisogno di chiedere al cavaliere Marturana “cosa porta il giornale” che solo lui leggeva. Ognuno, a casa propria, poteva ascoltare il “comunicato”, come allora si chiamava il giornale radio.
Il paese somigliava ad un villaggio irreale dove tutti gli abitanti, soprattutto le donne, erano stati improvvisamente contagiati da una rara e benefica malattia: la gioia per la musica e il bel canto. Oltre al benessere, per noi bambini c’erano le chewing-gum e qualche spicciolo che i tecnici americani distribuivano generosamente tutte le volte che scendevano in paese. Insomma, furono due anni felici che ci fecero immaginare un futuro alla “texana”. In paese si notava uno strano fervore. Il “petrolio” stava cambiando il secolare ordine delle cose, l’economia, la mentalità e gli stili di vita. Soprattutto, c’era lavoro per tutti. Alcuni emigrati ritornarono, davvero, per impiegarsi alla “sonda”. Ma un triste giorno tutto questo finì. Inaspettatamente, com’era venuto. Gli americani se n'andavano. Col groppo in gola, vedemmo smontare, pezzo dopo pezzo, la gigantesca sonda, il simbolo della nostra magnifica avventura. Crollavano il mito del benessere inatteso e l’illusione che aveva generato. Con la sonda partirono gli americani e tantissimi joppolesi verso il Belgio, la Svizzera e la Germania. In giro si disse che sotto il monte non c’era petrolio, ma solo fiumi d’acqua amara. Nessuno volle credere a tale versione. Si preferì congetturare su chissà quali intrighi che avrebbero imposto agli americani di abbandonare il giacimento. Nei momenti di sconforto la semplice verità non è sufficiente a spiegare le ragioni della nostra sconfitta. Ci vuole un bel complotto per giustificare la nostra inconfessabile impotenza.
La verità tecnica, inoppugnabile, è scritta nella relazione dell’ufficio regionale del Corpo delle miniere di Caltanissetta che, in poche righe, riassume la storia di quei due anni di vani sondaggi che raggiunsero “ la profondità di 3078 metri, attraversando una serie di argille sabbiose e caotiche, riferibili al Terziario medio- superiore… Nel pozzo di ricerca profonda “Aragona 1” (anche in questo caso ricorre l’equivoco della denominazione intestata ad un paese contiguo)…non vi sono state manifestazioni di olio, ma solo rare tracce di metano…”. Fu questa la sentenza che ci ha condannato. Così si spense l’illusione del petrolio della quale ci restano un gioioso ricordo e tante vecchie radio. Mute. L’unico ad averci guadagnato è stato il vecchio monte che non è stato più trafitto dalle trivelle ed ha riacquistato il suo misterioso nome di Famoso.
Agostino Spataro
martedì 4 settembre 2007
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