di Vincenzo Vasile
Alla fine di un'estate spesa a disquisire a vuoto della pericolosità dei lavavetri, meriterebbe assai maggiore attenzione e rispetto (da parte della critica, mentre il pubblico ha già dato una buona risposta al botteghino) Il dolce e l'amaro, film di Andrea Porporati presentato alla Mostra di Venezia. È la storia di un piccolo gregario palermitano di Cosa Nostra, interpretato da Luigi Lo Cascio. È la vicenda di un ragazzino cresciuto per le strade del quartiere palermitano della Kalsa, che ha a disposizione uno smilzo repertorio di valori e di modelli, e si lascia affascinare dal mito mafioso. Si tratta delle stesse strade e delle stesse piazze dove nacquero e vissero la loro infanzia Falcone e Borsellino: e il ragazzino futuro killer protagonista di questo film vi incrocia un Fabrizio Gifuni destinato alla toga e a una simile vita (e morte) parallela.Sono gli anni Settanta e seguenti, e nell'arco di un trentennio viene raccontata la vita quotidiana di un mafioso. Si narra del come e del perché si entri in quel tipo di vita, e del come e del perché se ne possa uscire. Il fatto è che Masino-Lo Cascio un giorno «si pente», cioè inizia a «collaborare» con la giustizia, personificata proprio nel magistrato suo coetaneo interpretato da Gifuni. E ciò avviene per la spinta decisiva di una ragazza - il ruolo è di Donatella Finocchiaro, che cinque anni fa aveva esordito in un intenso ruolo analogo con Angela di Roberta Torre -, e qui pur di non condividere il destino del killer che intanto è arrivato all'apice della sua carriera criminale, ha abbandonato la città: non vuole avere più niente a che fare con un delinquente.È proprio l'incrinatura di questo rapporto sentimentale a spingere il protagonista «Saro» al «pentimento». Questo film ha una sua cruda sobrietà, ricalca episodi di cronaca dimenticati: spiazzati dagli stereotipi correnti, alcuni critici hanno considerato alla stregua di pennellate di colore quel boss detenuto, Renato Carpinteri, che si attribuisce con tanto di firma i quadri di alcuni gregari carcerati (lo faceva abitualmente Luciano Liggio con i pittori-detenuti Gaspare Mutolo e Alessandro Bronzino). E hanno ingiustamente stroncato come fantasioso e iperbuonista un percorso che, al contrario, è stato spesso praticato da «pentiti» piccoli e grandi della mafia siciliana: Nino Calderone fu letteralmente convinto dalla moglie e dalla figlia a collaborare con Falcone; Marino Mannoia fu sospinto dall'amante; Giuseppe La Barbera venne accompagnato dalla fidanzata a colloquio con l'attuale capo della polizia, Manganelli.Ci sono, insomma, nella storia della mafia, proprio come si racconta ne Il dolce e l'amaro, anche le vicende esemplari dei «pentiti per amore». O meglio, in diversi casi i mafiosi si pentirono, oltre che per convenienza, non avendo più nulla da perdere, anche «per amore». Quasi tutti sono episodi accaduti negli anni Settanta e Ottanta (durante i quali è ambientato il film). Come a volerci ricordare - controcorrente rispetto alle campagne politico-mediatiche che hanno svilito il contributo dei pentiti - che il pentitismo mafioso cominciò ancor prima della legislazione premiale, e spesso si verificò per la coincidenza di una ricorrente crisi di valori e di sentimenti (tra i pentiti «per amore») con le crisi interne all'organizzazione militare di Cosa Nostra.Ci sono in questo film padri mafiosi che mandano i figli a uccidere in trasferta, come si fa normalmente per la prima gita fuori porta; e figli mafiosi che favoriranno l'omicidio del padre; i delitti che compiono, tra loro questi ragazzi li chiamano «ammazzatine»; e il primo attentato per conto del racket del «pizzo» assomiglia a un semplice atto di bullismo contro un omosessuale, e viene festeggiato con un bagno, tutti nudi, a Mondello con le turiste scandinave. Scandalizzati dal montaggio in sequenza delle scene d'amore dei due protagonisti con la crudele esecuzione di due «scippatori» bambini, i critici si sono mostrati tanto avari di stellette per questo film di pregio, semplicemente perché non hanno capito tutto il mistero di un secolare stillicidio di crudeltà e umanità; tutta la banalità del male di una quotidiana industria della violenza, che - a differenza dei modelli più propagandati della camorra napoletana - in Cosa Nostra «programma» delitti e affari, governa e «punisce» la piccola criminalità, alterna stragi e trattative, stempera le urla di dolore nella mesta risata - «incomprensibile», come hanno scritto alcuni nostri colleghi da Venezia - di protagonisti un poco feroci, un poco umani, un poco assassini, un poco pentiti, un poco dolci e un poco amari.
L’UNITA’, 19.09.07
NELLA FOTO: Una veduta di Palermo
mercoledì 19 settembre 2007
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