di Vittorio Malagutti
Un’asta finita nel mirino dei giudici. Un ex manager Fininvest in azione. Così il Cavaliere acquista a metà prezzo 30 ettari di terreno intorno alla villa sarda
Perché Silvio Berlusconi si occupa così tanto del parco di Villa Certosa, la più preziosa delle sue proprietà in Costa Smeralda? Risposta di Silvio Berlusconi medesimo: «Perché voglio donarlo alla regione Sardegna». Generoso. E anche fortunato. Perché poche ore dopo le dichiarazioni berlusconiane su Villa Certosa (alla festa dell'Udeur di Clemente Mastella), un'inchiesta pubblicata da ? L'espresso? innescava lo scandalo delle abitazioni svendute a decine di vip, con i parlamentari in prima fila. «Lui (Berlusconi) le sue ville le paga senza sconti», ha scritto nei giorni scorsi il direttore del "Giornale", Maurizio Belpietro, per replicare a una lettera di protesta del senatore Francesco Cossiga, anche lui tirato in ballo nella lista dei privilegiati.Senza sconti? Non è detto. Documenti, testimonianze, perizie tecniche raccolte in una lunga indagine della Procura di Milano sollevano pesanti sospetti sulla vendita a Berlusconi di una parte importante del parco di Villa Certosa: un terreno di 30 ettari nella zona di Punta Lada. Alla fine, il capo di Forza Italia sarebbe riuscito ad aggiudicarsi questo angolo fatato di Costa Smeralda pagando il 50 per cento in meno rispetto ai prezzi di mercato.
A conti fatti, il presunto sconto ammonterebbe a circa 12 miliardi di vecchie lire. Niente di penalmente rilevante. L'inchiesta dei pm milanesi, uno stralcio di una più ampia indagine sulla gestione irregolare di alcuni fallimenti societari, si è chiusa con una richiesta di archiviazione. Restano agli atti, però, le singolari circostanze con cui il capo dell'opposizione è riuscito ad allargare i confini delle sue già rilevanti proprietà sarde. E per di più a prezzi di saldo.Tutto comincia da un'asta che secondo il consulente tecnico della Procura, Silvano Cremonesi, «presenta aspetti critici e perfino oscuri». Si parte dalla liquidazione, decisa nel 1996, della Techinvest, una società della famiglia Donà delle Rose. A gestire la procedura è un collegio di amministratori composto da tre professionisti: Salvatore D'Amora, Carmen Gocini (condannata nel 2006 a sei anni di carcere per una lunga serie di ruberie ai danni di procedure fallimentari) e Ugo Ticozzi. L'unica attività messa in vendita nell'asta pubblica bandita il 18 marzo 1997 è proprio l'area di Punta Lada su cui all'epoca era prevista la costruzione di un albergo, 50 ville e un campo da golf. A questo punto cominciano le stranezze. Dei sei soggetti che si presentano a ritirare la documentazione per partecipare alla gara, uno (Gianfranco Stella) scompare nel nulla e non viene rintracciato neppure dieci anni dopo in sede di indagine dai pm. Degli altri cinque, quattro risultano legati alla Fininvest e il quinto è il liquidatore D'Amora, che agiva dietro il paravento di una fiduciaria. «Non si capisce bene quale fosse il suo interesse ad acquisire quei documenti», si legge nelle carte dell'indagine. A meno che non volesse partecipare personalmente a un'asta di cui era uno degli organizzatori.
Restano quattro concorrenti: un poker di personaggi tutti, in un modo o nell'altro riconducibili a Berlusconi. C'è Sergio Roncucci, all'epoca dipendente della Fininvest (settore immobiliare) e il geometra brianzolo Francesco Magnano, che in precedenza aveva ricevuto più di un incarico professionale dal gruppo del Biscione. L'agente immobiliare milanese Roberta Alemanni Molteni e l'avvocato Renzo Persico (attuale presidente del Consorzio Costa Smeralda) si muovevano invece per conto di Daniele Lorenzano, manager e poi consulente della Fininvest nella compravendita di diritti cinematografici. Tra le stranezze va citato anche il regolamento dell'asta. Una serie di norme congegnate in modo tale da evitare una vera gara al rialzo che avrebbe avuto l'effetto di aumentare le possibilità d'incasso della liquidazione e quindi dei creditori della Techninvest. L'articolo 7 delle condizioni di vendita prevedeva infatti testualmente che, «nel caso in cui sia pervenuta un'unica offerta di importo non inferiore a lire 3,5 miliardi ovvero un'offerta che superi tutte le altre di almeno il 5 per cento, l'aggiudicazione sarà fatta senza ulteriore gara». Come dire: bastano due proposte d'acquisto di almeno 3,5 miliardi di lire di cui una superiore all'altra di almeno il 5 per cento e la gara è chiusa. Vietati i rilanci.
Da "L'Espresso"
Nella foto: Villa Certosa
venerdì 14 settembre 2007
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