mercoledì 13 febbraio 2008

Mafia, morto il boss Michele Greco. I Corleonesi lo fecero "Papa"

Aveva 84 anni, era detenuto a Rebibbia, il decesso in una clinica romana. I vincitori lo misero alla testa della "Commissione" per prendere il potere

di ENRICO BELLAVIA

ROMA - Michele Greco - detto "il papa", storico boss della mafia siciliana - è morto oggi all'ospedale Pertini di Roma, dove era ricoverato da alcune settimane. L'uomo, che aveva 84 anni, era detenuto a Rebibbia, dove stava scontando diversi ergastoli definitivi. Nella sua carriera di capomafia di Ciaculli, e ai vertici di Cosa Nostra, è stato tra i mandanti di alcuni degli omicidi eccellenti che hanno insanguinato la Sicilia. Nel dell'aristocrazia imprenditoriale della città e la politica di marca dc. parco di Croceverde, un pezzo incontaminato di Conca d'Oro dove si coltivava il mandarino tardivo di Ciaculli ospitava il bel mondo palermitano. Pochi si interrogavano sulle origine delle sue fortune, annidate in una cassaforte societaria in cui era rappresentata la cremeMa Michele Greco era soprattutto l'erede di una mafia antica. E fu per questo che da capo di quella borgata si ritrovò incoronato "papa" di Cosa Nostra. Lo scelsero i corleonesi perché il suo aspetto pacioso e moderato era la migliore garanzia per annettersi Palermo, prima con un golpe strisciante e poi con la sistematica decimazione dei nemici. Greco nicchiava, faceva finta di non capire. Ai vecchi boss che chiedevano spiegazioni su quella mattanza, rispondeva allargando le braccia. E intanto dava il proprio assenso per omicidi e lupare bianche. Quando lo arrestarono era in un casolare sperduto nelle montagne di Caccamo. Aveva la bibbia sul comodino e parlava come un curato di campagna. Il Paese lo vide in gabbia al maxiprocesso, il giorno in cui la corte si ritirò in camera di consiglio avvicinarsi al microfono e pronunciare poche frasi rivolto al presidente Alfonso Giordano: "Signor giudice, io vi auguro la pace, perché solo con la pace si può giudicare". Durante il suo interrogatorio gli chiesero di tanti morti ammazzati e lui, serafico rispose: "La violenza non fa parte della mia dignità".

(La Repubblica, 13 febbraio 2008)

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