dal nostro inviato
ATTILIO BOLZONI
"Non ho problemi a parlare di mafia, ma temo di essere interpretata male. Ora vorrei una vita normale"
CORLEONE - Comincia a parlare anche di quando erano tutti fantasmi, latitanti in Sicilia. Lei con sua madre Ninetta, con i fratelli Gianni e Salvo, con la sorella Lucia. E con suo padre Totò Riina:
"Chi eravamo, noi lo sapevamo da sempre: noi lo sapevamo che eravamo latitanti. Da quando io mi posso ricordare, l'ho sempre saputa questa cosa che mio padre era ricercato e che noi dovevamo scappare perché lo cercavano, perché mio padre era accusato di tutti questi omicidi". Ricorda ancora di quella vita in fuga: "Per me però era una cosa che era al di fuori da quello che vedevo io o che sentivo in tv. Era una cosa lontana da quello che vivevo nella mia famiglia". Parla Maria Concetta Riina, la figlia del capo dei capi di Cosa Nostra. Per la prima volta si fa intervistare da Repubblica e si concede alle nostre telecamere per raccontare suo padre, l'uomo più pericoloso d'Italia per un ventennio, il mafioso che è stato catturato - il 15 gennaio del 1993 - dopo un quarto di secolo di omicidi e trame. Maria Concetta è nella sua Corleone. Ha deciso di uscire allo scoperto "per il futuro dei miei figli". Parla un poco di quel suo passato oscuro e tanto del suo tormentato presente. Mai di affari di famiglia. Di vittime. Di una Sicilia soffocata e insanguinata. Parla molto dei fratelli in carcere e "di quel 41 bis che mi fa soffrire tanto per Gianni" e parla del nome terribile che porta. E si presenta: "Io sono Maria Concetta Riina, ho 34 anni, tutti gli amici mi chiamano Mari. Sono sposata con Toni Ciavarello e abbiamo tre figli: Gian Salvo, Maria Lucia e Gabriele. Vivo a Corleone dal 16 gennaio del 1993, il giorno dopo che si sono portati via mio padre".
Quale è stata la sua prima reazione quando ha scoperto che suo padre era il nemico numero uno dello Stato italiano, quello accusato di avere ucciso anche Falcone e Borsellino?
"Era una situazione surreale, assurda. Quello che dicevano su di noi io lo sentivo ma è come se non mi appartenesse. È come se non parlassero di me, di mio padre, della mia famiglia ma di qualcun altro".
Suo padre è stato condannato per decine di omicidi, misfatti di eccezionale crudeltà, stragi. È mai possibile che tutto questo per lei fosse soltanto "assurdo" o "surreale"? Come poteva non credere a tutto quello che si diceva sul conto di suo padre?
"Per me, e questo lo pensa anche lui, è stato un parafulmine per tante situazioni. Faceva comodo a molti dire che tutte quelle cose le aveva fatte Totò Riina. Tutti sanno benissimo comunque che qualsiasi cosa gli avessero chiesto, lui non sarebbe andato più di là, oltre. Non avrebbe mai fatto nomi e cognomi di nessuno. A lui hanno chiesto tante volte in maniera esplicita di pentirsi, ma il suo è sempre stato un no tassativo. È stato detto e non detto anche che quel suo l'avrebbero fatto pesare su di noi. Sui figli, su tutta la sua famiglia".
Perché quando parla di suo padre non pronuncia mai la parola mafia?
"Non ho problemi a parlarne. Però quella parola messa in bocca a me.... Se dico qualcosa può venire mal interpretata. Direbbero: guarda, parla di mafia proprio la figlia di Totò Riina... A casa mia, io non l'ho vissuta quella mafia".
Per lo Stato italiano è un assassino, per lei chi è suo padre?
"Sembrerà strano... mio padre viene presentato come un sanguinario, crudele, quasi un animale, uno che addirittura avrebbe fatto uccidere anche i bambini. Ma a me, come figlia, tutto questo non risulta. So io quello che mi ha trasmesso. Educazione. Moralità. Rispetto. E quando parlo di rispetto non parlo in quel senso, in senso omertoso. La persona che io sono ora, è quella che mio padre e mia madre hanno lasciato".
Si rende naturalmente conto che c'è un contrasto nettissimo tra come suo padre è descritto in centinaia di sentenze e come lo sta descrivendo lei adesso. Come può parlare di moralità e di rispetto una persona che ha fatto uccidere tanti uomini?
"Ecco perché ho detto che vi sembrerà strano, ma mio padre per me è così. E io così l'ho vissuto e così lo vivo ancora".
Dopo 19 anni che lei ha vissuto in latitanza con tutta la sua famiglia è arrivata a Corleone nel gennaio del 1993. Come è stato il passaggio dalla clandestinità alla visibilità?
"Come una seconda vita. Abbiamo potuto fare una cosa che non avevamo mai fatto prima: incontrarci di presenza con tutti i nostri parenti. Abbiamo trovato tutte le mie zie, mia nonna...".
Corleone è sempre stato il regno di suo padre, il paese che aveva in pugno, per alcuni il paese più mafioso e omertoso della Sicilia dove la paura poteva "proteggere" la sua famiglia. Come è stato il ritorno?
"Il paese ci ha accolti bene, non ci ha isolati. Anzi, molte persone hanno cercato di farci sentire a nostro agio. Come se avessimo vissuto lì da sempre".
Chiamarsi Riina molte volte vi ha fatto comodo, è un nome che in Sicilia faceva tremare. Lei sente di esercitare qualche potere?
"Perché non pensate alle difficoltà che ho avuto?".
Quali difficoltà?
"Il problema vero per noi è sempre stato trovare un lavoro... Tutti hanno paura di essere messi sui giornali, paura magari di essere considerati collusi. Qualche tempo fa ho frequentato i corsi di una cooperativa a Palermo, poi a un certo punto mi è stato detto che dovevo andarmene perché altrimenti quella cooperativa la chiudevano. Non è bello sentirsi dire certe cose. Giustamente tu dici: io non ho fatto niente, mi sono comportata bene con tutti. Mi hanno penalizzato solo perché mi chiamavo Riina. E non è stata l'ultima volta".
Ma Totò Riina per lo Stato è sempre stato "il capo dei capi": se ne dimentica?
"Ma per me ormai è un calvario. Tempo fa avevo anche fatto una domanda di accesso a un corso che organizzava servizi finanziari. Sono salita a Milano, è andato tutto bene, ho legato con tutti, anche con il direttore commerciale. Tutto a postissimo. Poi hanno visto sul mio documento di identità nome e provenienza: Riina e Corleone. Alla fine mi hanno fatto la fatidica domanda: "Ma tu sei parente di?". Io ho risposto: certo, sì, sono la figlia. L'ho detto con naturalezza... io non lo dico mai prima, non cammino con il cartello appeso al collo con su scritto "Sono la figlia di Riina", però se me lo domandano non ho problemi a dirlo. Non è passata nemmeno mezz'ora e mi ha chiamato il direttore dicendo che era offeso perché non gliel'avevo detto prima. Era un grosso problema per lui, per l'immagine della sua azienda".
Torniamo a suo padre. È in isolamento da 16 anni. Ma quando va a colloquio, lo vede dietro un vetro blindato e non gli ha mai chiesto conto delle accuse che gli vengono rivolte?
"È dalla mattina del 16 gennaio '93 che non lo accarezzo, certo se non ci fosse quel vetro... Prima ci andavo spesso a trovarlo ma adesso è complicato, ho tre figli. Mio padre ha condizioni peggiori del 41 bis normale, non ha contatti con altri detenuti, è messo in un'area a parte fatta apposta per lui".
In casa Riina non ci sono più figli maschi. Gianni è all'ergastolo per tre omicidi. Suo zio Leoluca Bagarella è in carcere dal 1995. Suo fratello Salvo è tornato dentro qualche giorno fa per scontare una pena residua. Lei parlava delle "sofferenze" del carcere, ma ha mai letto gli atti che accusano suo padre e suo fratello Gianni, le carte che raccontano i loro delitti?
"Loro devono scontare quello che devono e io non voglio giudicare i processi o sentenze. Dico solo che ho sofferenza, soprattutto per Gianni che è un ragazzo, ha vissuto troppo poco la sua adolescenza. E dico anche che, secondo me, si potrebbe evitare con lui un certo accanimento. Potrebbero farlo studiare in carcere, insegnargli un mestiere".
Lei parla di vita normale, difende sempre suo padre ma non prende mai le distanze dai delitti di cui è accusato: quale futuro si aspetta?
"Come figlia mi aspetto che cambi tutto. Per me, per mio marito, per i miei figli. Vorrei una vita normale o quasi normale. Vorrei lavorare. Vorrei che mi si giudicasse per quello che sono e faccio. Vorrei soprattutto che i miei figli fossero considerati domani uomini e donne come tutti gli altri. Oggi sto parlando per loro". Ha mai pensato di andare via da Corleone? "Chi lo sa, forse un giorno... ".
(La Repubblica, 28 gennaio 2009)
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