Anche quest’anno si rinnova a Corleone il tradizionale Presepe Vivente in via Bianchino. L’iniziativa, ormai giunta alla sua VI edizione, vede coinvolti giovani ed adulti di un intero quartiere, per non dire di tutto il paese, nella rappresentazione della natività. Infatti, chi può presta la propria manovalanza e maestria gratuitamente, vincendo il freddo ed il sonno, nella costruzione di quello che potrebbe definirsi un piccolo villaggio dove al centro di tutto ruota la grotta con la Sacra Famiglia.
L’iniziativa, nel suo complesso, è ormai diventata il simbolo prioritario del Natale a Corleone, creando un’atmosfera del tutto unica e particolare, dove il visitatore anche se per un breve tempo si vede proiettato in quel villaggio dove più di 2000 anni fa nasceva il Redentore, tra maestrie e agricoltura. I figuranti, immersi nel rappresentare antichi mestieri e tradizioni, (si va dal pastore che fa la ricotta al contadino, dalle tessitrici ai fornai, dal fabbro che ferra i cavalli a chi riscalda i ceci o raccoglie i frutti) permettono ai visitatori, specialmente ai più giovani, di apprendere e conoscere antiche realtà che forse avevano solamente sentito raccontare da qualche persona più anziana, entrando in quel momento, anche e soprattutto, spirituale che in qualche modo ci avvicina a Gesù Bambino.
La realizzazione del Presepe, che ormai ha raggiunto livelli di presenza regionale, è la prova di un intero paese che vuole scrollarsi di dosso tutte le nomee negative avute negli ultimi anni, e riconquistare quei valori che le furono riconosciuti con la denominazione di “ANIMOSA CIVITAS”. Sono certo, che dopo quanto detto l’invito per tutti, siciliani e non, è a Corleone per il 4 e 6 gennaio dalle 18,30 alle 21,00 con l’arrivo dei Re Magi che portano Doni al RE dei RE, momento di particolare interesse che ci permette ancora una volta di capire o riscoprire i veri valori del Santo Natale.
Stefano Comajanni
FOTO. Dall'alto in basso: la grotta con Gesù, Giuseppe, Maria e gli angioletti; donne che filano la lana.
mercoledì 31 dicembre 2008
martedì 30 dicembre 2008
Qualità della vita, altra bocciatura. Palermo e la Sicilia agli ultimi posti
Il capoluogo ha perso nove posizioni nella graduatoria stilata dal "Sole 24 Ore"
LA SICILIA agli ultimi posti nella classifica stilata dal Sole 24 ore sulla qualità della vita nelle città italiane. Se Caltanissetta è ultima in graduatoria, Palermo con nove posizioni perse rispetto al 2007 è la penultima, 101esima a pari merito con Agrigento. Mentre Aosta è in cima, all´altra estremità campeggia Caltanissetta, declassata dal 96esimo posto al 103esimo. Dai sindaci piovono critiche sui parametri utilizzati per l´indagine, in tutto 36, dal reddito all´occupazione, dalla natalità alla sanità, dai reati alle opportunità del tempo libero. Ad esempio ci sono 34mila euro di Pil pro capite per gli aostani e 15 mila per i palermitani, il 3 per cento di disoccupati contro il 15, 5 per cento. Sono 396, 34 per cento i furti d´auto ogni centomila abitanti denunciati a Palermo contro i 47,63 di Aosta. E rappresentano un valore del 256 per cento i borseggi e gli scippi contro il 145,26 per cento di Aosta. Gli incidenti d´auto ogni centomila abitanti sono 286,40 per cento a Palermo e ad Aosta di più: 288,94 per cento. L´indice di attività sportiva è 256,04 per cento contro il 481,24 di Aosta. L´indice Foi del costo della vita ad Aosta è del 1, 45 mentre a Palermo è del 2,25. E ancora ad Aosta ci sono 838 per cento di bar e ristoranti ogni centomila abitanti contro i 214, 01 di Palermo. «Ci sono sicuramente dei parametri che penalizzano la nostra città - spiega il primo cittadino di Palermo, Diego Cammarata - e più in generale il Sud. Infatti, alcuni criteri di giudizio avvantaggiano le province del nord Italia». D´accordo con quest´analisi anche il sindaco di Agrigento, Marco Zambuto. «Sta diventando una barzelletta - dice - Anche Italia Oggi, qualche tempo fa, aveva pubblicato una classifica simile. Ma la percezione della gente e dei turisti è diversa. Ci sono molte cose da migliorare, a partire dalle infrastrutture». Anche per il vice sindaco di Caltanissetta, Fiorella Falci, alcune cose andrebbero riviste: «A Caltanissetta molte cose sono migliorate, come la raccolta differenziata, la sicurezza scolastica. Non possiamo nascondere le difficoltà, che sono quelle di tutto il Mezzogiorno». Atmosfera apocalittica in Sicilia secondo lo scrittore Vincenzo Consolo. «Dal secondo dopoguerra in poi l´Isola è sequestrata dal potere politico-mafioso - argomenta - Regnano regressione e corruzione. La situazione è la stessa un po´ dappertutto». In fondo alla classifica ci sono anche Catania, 96esima, Siracusa 97esima, Trapani, al centesimo posto. Stanno meglio Enna, al 79esimo posto, e Messina all´82esimo. Ragusa finisce al 91esimo posto (l´anno scorso era all´82esimo).
a. r.
La Repubblica, MARTEDÌ, 30 DICEMBRE 2008
LA SICILIA agli ultimi posti nella classifica stilata dal Sole 24 ore sulla qualità della vita nelle città italiane. Se Caltanissetta è ultima in graduatoria, Palermo con nove posizioni perse rispetto al 2007 è la penultima, 101esima a pari merito con Agrigento. Mentre Aosta è in cima, all´altra estremità campeggia Caltanissetta, declassata dal 96esimo posto al 103esimo. Dai sindaci piovono critiche sui parametri utilizzati per l´indagine, in tutto 36, dal reddito all´occupazione, dalla natalità alla sanità, dai reati alle opportunità del tempo libero. Ad esempio ci sono 34mila euro di Pil pro capite per gli aostani e 15 mila per i palermitani, il 3 per cento di disoccupati contro il 15, 5 per cento. Sono 396, 34 per cento i furti d´auto ogni centomila abitanti denunciati a Palermo contro i 47,63 di Aosta. E rappresentano un valore del 256 per cento i borseggi e gli scippi contro il 145,26 per cento di Aosta. Gli incidenti d´auto ogni centomila abitanti sono 286,40 per cento a Palermo e ad Aosta di più: 288,94 per cento. L´indice di attività sportiva è 256,04 per cento contro il 481,24 di Aosta. L´indice Foi del costo della vita ad Aosta è del 1, 45 mentre a Palermo è del 2,25. E ancora ad Aosta ci sono 838 per cento di bar e ristoranti ogni centomila abitanti contro i 214, 01 di Palermo. «Ci sono sicuramente dei parametri che penalizzano la nostra città - spiega il primo cittadino di Palermo, Diego Cammarata - e più in generale il Sud. Infatti, alcuni criteri di giudizio avvantaggiano le province del nord Italia». D´accordo con quest´analisi anche il sindaco di Agrigento, Marco Zambuto. «Sta diventando una barzelletta - dice - Anche Italia Oggi, qualche tempo fa, aveva pubblicato una classifica simile. Ma la percezione della gente e dei turisti è diversa. Ci sono molte cose da migliorare, a partire dalle infrastrutture». Anche per il vice sindaco di Caltanissetta, Fiorella Falci, alcune cose andrebbero riviste: «A Caltanissetta molte cose sono migliorate, come la raccolta differenziata, la sicurezza scolastica. Non possiamo nascondere le difficoltà, che sono quelle di tutto il Mezzogiorno». Atmosfera apocalittica in Sicilia secondo lo scrittore Vincenzo Consolo. «Dal secondo dopoguerra in poi l´Isola è sequestrata dal potere politico-mafioso - argomenta - Regnano regressione e corruzione. La situazione è la stessa un po´ dappertutto». In fondo alla classifica ci sono anche Catania, 96esima, Siracusa 97esima, Trapani, al centesimo posto. Stanno meglio Enna, al 79esimo posto, e Messina all´82esimo. Ragusa finisce al 91esimo posto (l´anno scorso era all´82esimo).
a. r.
La Repubblica, MARTEDÌ, 30 DICEMBRE 2008
Gaza, fermare il sanguinoso massacro elettorale
di Agostino Spataro
Sventurato quel popolo che si affida a leader i quali, per vincere le elezioni, gareggiano a chi si mostra più spietato nel massacrare il popolo limitrofo. Ma ancor più sventurato, disgraziato direi, è quel popolo che, per ironia della storia, si trova a vivere in contiguità del primo e quindi a subire un’oppressione pluri decennale, la concentrazione obbligata nei nuovi lager della miseria e della disperazione (come sono Gaza e i tanti campi profughi palestinesi) e, di tanto in tanto, le ire funeste di governanti miopi che non riescono a vedere oltre la canna del fucile o, se si preferisce, del mirino di un F16. Avrete capito che stiamo parlando degli israeliani e del popolo martire palestinese, ancora una volta vittima della democrazia bellicista d’Israele e delle sue bombe criminali che mietono vittime a centinaia fra la popolazione civile ossia bambini, madri e padri e vecchi. Uomini e donne in carne ed ossa, come lo siamo noi che assistiamo impotenti e sgomenti alla carneficina programmata e deliberata per esigenze di campagna elettorale. Come dire: non solo strade, servizi, pensioni, nuovi ospedali, ma anche bombe, a volontà, contro i palestinesi. Chi più ne sgancia più voti prenderà. E’ questa la vera novità del confronto elettorale israeliano che si svolge fra un’accozzaglia di partiti che tirano a destra: movimenti integralisti religiosi e formazioni nate dalle ceneri del vecchio Likud. La sinistra laburista, moderata e, talvolta, equivoca, è stata scientemente atrofizzata, disarticolata, liquidata dai suoi stessi dirigenti che si sono lasciati fagocitare in cambio di qualche poltrona. Chi oggi tira le fila, anzi le bombe, di questa carneficina è un autorevole esponente laburista: il ministro della difesa Ehud Barak. Quando una “democrazia” ricorre a tali metodi per attirare il consenso di elettori, evidentemente disponibili a concederlo, vuol dire che c’è qualcosa di patologico che la consuma dall’interno e l’ha spinge sulla via dell’avventura guerresca.
S’apre, cioè, una prospettiva grave, inquietante, per Israele, per i popoli della regione ed in generale per l’Europa che, seppur con qualche distinguo diplomatista, continua a sostenere i governanti israeliani in questa sanguinosa aggressione. Il gioco è sempre lo stesso: mettere sullo stesso piano le responsabilità di Hamas e quelle storiche, e ben più gravi, dei governi israeliani, senza mai chiarire chi sono gli occupanti e chi gli occupati, le enormi differenze tecnologiche e di difesa fra le parti in conflitti. Nemmeno si vuol fare la conta dei morti, dei feriti, delle distruzioni giacché i totali sarebbero davvero imbarazzanti per Israele e per i suoi sostenitori. Certo, Hamas ha le sue responsabilità, ma bisognerebbe ricordare agli smemorati che la nascita di questa organizzazione islamista, oggi definita “terrorista”, è stata auspicata e favorita da settori dei governi e dei servizi israeliani per usarla in funzione anti Arafat e poi magari liquidarla, in un modo o nell’altro. Un giochetto rischioso, riuscito solo in parte. Arafat, alla fine, è stato messo fuori gioco e così Israele si è scelto il “nemico” col quale trattare, ma Hamas c’è ancora, anzi è divenuta padrone del campo, confortata da un’ampia legittimità popolare ed elettorale. Così come quando si parla, e si scrive, di “Territori” è utile sottolineare che sono palestinesi ed occupati, non da schiere di angeli giulivi calati dal cielo, ma da poderosi eserciti israeliani che dal 1967 (da oltre 40 anni!) sono là a sfidare l’odio delle popolazioni sottomesse e le numerose risoluzioni delle Nazioni Unite che ne chiedono lo sgombero. Quando ancora potrà durare questo tira e molla? Quali conseguenze ne potranno derivare per la stabilità della regione, del Mediterraneo e della stessa Europa? Non basta la tregua, per quanto necessaria per fermare il massacro. La soluzione vera, ragionevole è la pace equa e globale. Per raggiungerla bisogna, però, parlar chiaro e non fare sconti a nessuno. In primo luogo, i governanti europei ed Usa che non possono continuare ad agire contro il punto di vista prevalente nelle rispettive opinioni pubbliche le quali- è notorio- stanno dalla parte delle vittime non degli aggressori. E’ questa la verità, anche statistica, ma non si può dire perché si rischia d’incorrere nell’anatema dell’intolleranza, di essere bollati come “antisemiti”. Comodo, troppo comodo ricorrere a questo epiteto per evitare di entrare nel merito. Per quanto mi riguarda, tale, eventuale accusa non mi tange. La nostra esperienza politica e parlamentare, la nostra cultura di sinistra certamente superiore ad ogni bassezza di tipo razzista, sono lì a dimostrare esattamente il contrario. E se non dovessero bastare aggiungo che sono figlio di un operaio siciliano il quale, per non rinnegare la sua dignità di soldato non fascista, fu internato, per più di due anni, in un campo di concentramento nazista. Quindi, per favore, si lascino da parte gli anatemi e si vada al concreto.
Agostino Spataro
Direttore di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it)
Già parlamentare Pci , membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati
Sventurato quel popolo che si affida a leader i quali, per vincere le elezioni, gareggiano a chi si mostra più spietato nel massacrare il popolo limitrofo. Ma ancor più sventurato, disgraziato direi, è quel popolo che, per ironia della storia, si trova a vivere in contiguità del primo e quindi a subire un’oppressione pluri decennale, la concentrazione obbligata nei nuovi lager della miseria e della disperazione (come sono Gaza e i tanti campi profughi palestinesi) e, di tanto in tanto, le ire funeste di governanti miopi che non riescono a vedere oltre la canna del fucile o, se si preferisce, del mirino di un F16. Avrete capito che stiamo parlando degli israeliani e del popolo martire palestinese, ancora una volta vittima della democrazia bellicista d’Israele e delle sue bombe criminali che mietono vittime a centinaia fra la popolazione civile ossia bambini, madri e padri e vecchi. Uomini e donne in carne ed ossa, come lo siamo noi che assistiamo impotenti e sgomenti alla carneficina programmata e deliberata per esigenze di campagna elettorale. Come dire: non solo strade, servizi, pensioni, nuovi ospedali, ma anche bombe, a volontà, contro i palestinesi. Chi più ne sgancia più voti prenderà. E’ questa la vera novità del confronto elettorale israeliano che si svolge fra un’accozzaglia di partiti che tirano a destra: movimenti integralisti religiosi e formazioni nate dalle ceneri del vecchio Likud. La sinistra laburista, moderata e, talvolta, equivoca, è stata scientemente atrofizzata, disarticolata, liquidata dai suoi stessi dirigenti che si sono lasciati fagocitare in cambio di qualche poltrona. Chi oggi tira le fila, anzi le bombe, di questa carneficina è un autorevole esponente laburista: il ministro della difesa Ehud Barak. Quando una “democrazia” ricorre a tali metodi per attirare il consenso di elettori, evidentemente disponibili a concederlo, vuol dire che c’è qualcosa di patologico che la consuma dall’interno e l’ha spinge sulla via dell’avventura guerresca.
S’apre, cioè, una prospettiva grave, inquietante, per Israele, per i popoli della regione ed in generale per l’Europa che, seppur con qualche distinguo diplomatista, continua a sostenere i governanti israeliani in questa sanguinosa aggressione. Il gioco è sempre lo stesso: mettere sullo stesso piano le responsabilità di Hamas e quelle storiche, e ben più gravi, dei governi israeliani, senza mai chiarire chi sono gli occupanti e chi gli occupati, le enormi differenze tecnologiche e di difesa fra le parti in conflitti. Nemmeno si vuol fare la conta dei morti, dei feriti, delle distruzioni giacché i totali sarebbero davvero imbarazzanti per Israele e per i suoi sostenitori. Certo, Hamas ha le sue responsabilità, ma bisognerebbe ricordare agli smemorati che la nascita di questa organizzazione islamista, oggi definita “terrorista”, è stata auspicata e favorita da settori dei governi e dei servizi israeliani per usarla in funzione anti Arafat e poi magari liquidarla, in un modo o nell’altro. Un giochetto rischioso, riuscito solo in parte. Arafat, alla fine, è stato messo fuori gioco e così Israele si è scelto il “nemico” col quale trattare, ma Hamas c’è ancora, anzi è divenuta padrone del campo, confortata da un’ampia legittimità popolare ed elettorale. Così come quando si parla, e si scrive, di “Territori” è utile sottolineare che sono palestinesi ed occupati, non da schiere di angeli giulivi calati dal cielo, ma da poderosi eserciti israeliani che dal 1967 (da oltre 40 anni!) sono là a sfidare l’odio delle popolazioni sottomesse e le numerose risoluzioni delle Nazioni Unite che ne chiedono lo sgombero. Quando ancora potrà durare questo tira e molla? Quali conseguenze ne potranno derivare per la stabilità della regione, del Mediterraneo e della stessa Europa? Non basta la tregua, per quanto necessaria per fermare il massacro. La soluzione vera, ragionevole è la pace equa e globale. Per raggiungerla bisogna, però, parlar chiaro e non fare sconti a nessuno. In primo luogo, i governanti europei ed Usa che non possono continuare ad agire contro il punto di vista prevalente nelle rispettive opinioni pubbliche le quali- è notorio- stanno dalla parte delle vittime non degli aggressori. E’ questa la verità, anche statistica, ma non si può dire perché si rischia d’incorrere nell’anatema dell’intolleranza, di essere bollati come “antisemiti”. Comodo, troppo comodo ricorrere a questo epiteto per evitare di entrare nel merito. Per quanto mi riguarda, tale, eventuale accusa non mi tange. La nostra esperienza politica e parlamentare, la nostra cultura di sinistra certamente superiore ad ogni bassezza di tipo razzista, sono lì a dimostrare esattamente il contrario. E se non dovessero bastare aggiungo che sono figlio di un operaio siciliano il quale, per non rinnegare la sua dignità di soldato non fascista, fu internato, per più di due anni, in un campo di concentramento nazista. Quindi, per favore, si lascino da parte gli anatemi e si vada al concreto.
Agostino Spataro
Direttore di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it)
Già parlamentare Pci , membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati
L'Espresso: Così hanno ucciso Alitalia
di Paola Pilati
Forniture pagate il triplo. Carburante comprato a peso d'oro. Sindacalisti che decidevano le carriere. E sprechi spaventosi ovunque. Alla vigilia del passaggio finale, il liquidatore racconta cosa ha visto. Colloquio con Augusto Fantozzi.
Professore, ci faccia volare!... Invocato come un santo patrono dalle fan nei ristoranti, fermato per strada da nostalgici bipartisan della grande Alitalia che lo spronano con un "Tenga duro!", destinatario di collette per la sopravvivenza della compagnia di bandiera raccolte da gruppi di italiani all'estero, Augusto Fantozzi, 68 anni, avvocato tributarista e più volte ministro nel centrosinistra, assapora l'apice della sua notorietà. L'incarico di commissario straordinario di Alitalia, affibbiatogli furbescamente dal governo Berlusconi, se lo sente addosso come un vestito di sartoria: "Qui faccio il mio mestiere, non è come quando ero ministro", dice. E si capisce che vorrebbe passare alla storia dell'Alitalia come Enrico Bondi passerà a quella della Parmalat. Cioè come il salvatore, l'uomo della Provvidenza. In effetti, dopo un anno di stop and go - si vende, non si vende - tocca a Fantozzi recidere il cordone ombelicale di Alitalia con lo Stato. Lo ha fatto a metà dicembre con la firma del contratto di cessione a Cai per 1.052 milioni, e lo concluderà alla mezzanotte del 12 gennaio, quando darà le consegne della gestione della compagnia a Roberto Colaninno e Rocco Sabelli, che si installeranno al sesto piano del palazzo della Magliana, sulla plancia di comando, mentre lui calerà al quinto. E lì resterà, si prevede, per tutta la lunga trafila legale che seguirà il trapasso della compagnia dal pubblico al privato. Una trafila che, per le abitudini italiane, potrà durare anche sei-sette anni. Nel frattempo, in attesa di quella mezzanotte simbolica di gennaio, è lui a gestire la società: ha pagato un terzo di tredicesima ai dipendenti ormai tutti in cassa integrazione, tiene a bada i voraci fornitori, e si prende gli accidenti dei viaggiatori, ora bloccati dalle cancellazioni dei voli, ora dalle proteste dei dipendenti per la politica delle assunzioni di Cai.
Situazione scomoda, professore: ce l'hanno con Colaninno, ma i disservizi li deve gestire lei.
"Molte delle proteste sono dovute al fatto che le lettere di assunzione non sono partite tutte insieme. È una scelta di Cai che non voglio commentare".
Intanto i viaggiatori fuggono. Consegnerete l'azienda ridotta all'osso.
"In realtà le prenotazioni, dopo il crollo di ottobre-novembre, sono in netta ripresa".
Ma Alitalia è stata molto ridimensionata: lei ha tagliato parecchi voli.
"Senta, Alitalia è morta di grandeur, non per il mio taglio dei voli. Perché si è voluta mantenere in piedi una struttura troppo ampia rispetto alle sue possibilità di produrre reddito. Si è detto che a Colaninno ho dato la polpa, ma anche lui avrà il problema di riempire gli aerei...".
Se si fossero fatti i tagli in passato la compagnia dunque si sarebbe salvata?
"Sì: nella mia relazione sulle cause dell'insolvenza dico chiaramente che l'azienda ha sperperato. Non è un mistero che ci sono cinque procuratori della Repubblica al lavoro nei nostri uffici e la Corte dei Conti che indaga".
Cosa intende per grandeur?
"È semplice: Alitalia pagava tutto il triplo".
Malversazioni?
"Non necessariamente. Faccio un esempio: mandare tre macchine per prendere l'equipaggio, perché se la prima buca e la seconda rompe il motore... era uno spreco. Tutto era troppo abbondante".
Colpa dei privilegi dei dipendenti?
"Di tutti: dei dipendenti, degli appalti, dei fornitori del carburante...".
Anche il carburante era pagato il triplo all'Eni?
"Certamente era pagato troppo".
Una grande mangiatoia?
"Una gestione troppo 'signorile'".
Strano che non si sia indagato prima.
"Sì. Teoricamente lo potevano fare tutti, il ministero, la Consob, l'Enac... Ma la dichiarazione d'insolvenza è stato il campanello d'allarme più forte".
Chi ha avuto più responsabilità nella dilapidazione delle risorse?
"Diciamo che in qualsiasi settore non si stava a tirare sul prezzo. Io sono stato attaccato perché non pagavo i fornitori: saranno pagati tutti quanti, ma intanto ho messo la situazione sotto controllo. Ho fermato la 'signorilità'".
La soluzione Cai era davvero l'unica via d'uscita?
"Ho lungamente parlato con Spinetta (il capo di Air France, ndr) e con Mayruber (quello di Lufthansa, ndr). Quando Cai si è ritirata, dopo la rottura con il sindacato, ho cercato questi signori e loro mi hanno detto chiaro e tondo che con i sindacati italiani non volevano avere a che fare".
La rottura della Cgil di Guglielmo Epifani con la linea tenuta da Cisl e Uil nascondeva qualche altro obiettivo?
"È stata tutta una dialettica sindacalese. Un balletto tra di loro su chi firmava e chi no".
È intervenuta la mediazione del Pd?
"Non lo posso dire direttamente, ma ho l'impressione di sì".
Lei ha ricevuto interferenze politiche?
"No. Neanche da Berlusconi. È stata una trattativa condotta da tutti, fino all'ultima lira, senza finzioni. Quando Colaninno mi diceva: 'Non tengo i miei soci', era vero. E io rispondevo: 'Non firmo', e ne ero convinto".
Che partita hanno giocato i piloti con la loro impuntatura?
"Hanno fatto un grande errore. La disponibilità a riconoscere la loro professionalità c'era. Ma loro hanno preferito la guerra per il potere in azienda, lo scontro per comandare piuttosto che convincere della loro indispensabilità. L'Anpac ha frantumato se stessa".
Però le rinunce sugli stipendi le hanno dovute inghiottire.
"Non moltissime. E poi, in un momento simile, Alitalia, con la cassa integrazione privilegiata, è un'oasi felice".
È vero che i capi sindacali dei piloti godevano di extra in busta paga?
"Non in quanto capi sindacali, ma in virtù dei ruoli che potevano avere come 'post holder', cioè per far fare carriera agli altri: ci sono per esempio quelli che fanno i garanti verso l'Enac, quelli da cui dipende il mantenimento del brevetto... Su questi ruoli si possono costruire delle cordate di crescita professionale. Era un meccanismo molto sindacalizzato, che aveva in mano molte leve".
Lei ha dato agli italiani la brutta notizia che dovranno pagare ancora i debiti di Alitalia. Quanto sarà il conto finale?
"Gli attivi non basteranno a pagare tutti i passivi. In totale ci sono 3,2 miliardi di passività, e gli asset di Alitalia non sono tantissimi. Oltre a quello che incassiamo da Cai, c'è quello che incasserò da cargo, manutenzione, i call center Alicos...".
Quanto possono valere?
"Stimiamo tra i 500-700 milioni di euro. Poi abbiamo un terreno a Fiumicino e cinque o sei appartamenti in giro per il mondo".
Si può immaginare quindi che la metà dei creditori non verrà pagata. Chi verrà saldato per primo?
"Quelli che hanno continuato a rendere servizi durante il commissariamento. Dopo il 29 agosto saranno pagati tutti. Prima, saranno pagati secondo riparto".
Lei ha già detto che gli azionisti Alitalia resteranno con un pugno di mosche.
"Il Tesoro ha promesso un indennizzo attingendo al fondo dei conti correnti dormienti. Dipenderà da Tremonti in che misura vorrà soddisfarli".
Gli obbligazionisti verranno trattati come gli azionisti?
"Sì, anche se in verità dovrebbero essere più tutelati".
Il prezzo di Alitalia: non le sembra poco 550 milioni per gli slot?
"È stata la valutazione di Rothschild. E poi si fa molta fantasia sugli slot: quelli dell'intercontinentale, per esempio, non valgono niente, tranne quelli di New York e Newark".
Valgono quelli a Milano e Roma.
"Sì. Ma non si possono vendere: se non li usi, decadono. Comunque è stato calcolato il goodwill, che è compensato da un badwill. D'altra parte, a meno che non rinegozi tutti i contratti, anche Colaninno perde".
Le sembra normale che per Cai siano state sospese le regole antitrust?
"Ma Catricalà ha detto: vi terremo gli occhi addosso. Del resto Air France ha il 91 per cento del mercato in Francia, Cai arriva forse al 60".
Ma sul Roma-Milano ha il 100 per cento.
"Catricalà vigilerà. D'altra parte, se vogliono riempire gli aerei non potranno alzare troppo i prezzi".
Ma come mai Cai versa in contanti 300 milioni a Toto per AirOne e soltanto 237 a lei per Alitalia?
"AirOne ha più aerei e più buoni dei nostri. La parte di punta della flotta futura è quella di AirOne. Io ho da vendere novanta MD80, che valgono poco: ho appena fatto il bando".
E le altre partecipazioni?
"Nell'accordo sindacale di Palazzo Chigi, si è detto che una società con Finmeccanica, Fintecna e Cai rileverà le manutenzioni. Anche lì farò un bando di gara".
La sua missione quanto durerà ancora?
"Dipende dalle cause che mi faranno e da quelle che devo fare io. Sono titolare di 4 mila persone in cassa integrazione che restano miei dipendenti. Prima di dichiarare morta la bad company, ci vorranno anni: anche sei-sette".
Arriverà allora anche il pagamento della sua parcella?
"Spero una parte prima. Io il lavoro lo sto facendo. Non sono né esoso né avido. Ma non sono fesso e non ho intenzione di lavorare gratis, e d'altra parte anche Bondi ha avuto una tranche della sua parcella. Ad ogni modo mi fa più piacere se mi si dice che sono bravo".
La parcella sarà davvero di 15 milioni di euro come si è detto?
"Potrebbe essere quella cifra ma anche meno. È un calcolo in percentuale sulla massa dell'attivo, del passivo e del recuperato. Ma Palazzo Chigi non ha ancora emanato il decreto per stabilire la percentuale che mi spetta".
(L'spresso, 30 dicembre 2008)
Forniture pagate il triplo. Carburante comprato a peso d'oro. Sindacalisti che decidevano le carriere. E sprechi spaventosi ovunque. Alla vigilia del passaggio finale, il liquidatore racconta cosa ha visto. Colloquio con Augusto Fantozzi.
Professore, ci faccia volare!... Invocato come un santo patrono dalle fan nei ristoranti, fermato per strada da nostalgici bipartisan della grande Alitalia che lo spronano con un "Tenga duro!", destinatario di collette per la sopravvivenza della compagnia di bandiera raccolte da gruppi di italiani all'estero, Augusto Fantozzi, 68 anni, avvocato tributarista e più volte ministro nel centrosinistra, assapora l'apice della sua notorietà. L'incarico di commissario straordinario di Alitalia, affibbiatogli furbescamente dal governo Berlusconi, se lo sente addosso come un vestito di sartoria: "Qui faccio il mio mestiere, non è come quando ero ministro", dice. E si capisce che vorrebbe passare alla storia dell'Alitalia come Enrico Bondi passerà a quella della Parmalat. Cioè come il salvatore, l'uomo della Provvidenza. In effetti, dopo un anno di stop and go - si vende, non si vende - tocca a Fantozzi recidere il cordone ombelicale di Alitalia con lo Stato. Lo ha fatto a metà dicembre con la firma del contratto di cessione a Cai per 1.052 milioni, e lo concluderà alla mezzanotte del 12 gennaio, quando darà le consegne della gestione della compagnia a Roberto Colaninno e Rocco Sabelli, che si installeranno al sesto piano del palazzo della Magliana, sulla plancia di comando, mentre lui calerà al quinto. E lì resterà, si prevede, per tutta la lunga trafila legale che seguirà il trapasso della compagnia dal pubblico al privato. Una trafila che, per le abitudini italiane, potrà durare anche sei-sette anni. Nel frattempo, in attesa di quella mezzanotte simbolica di gennaio, è lui a gestire la società: ha pagato un terzo di tredicesima ai dipendenti ormai tutti in cassa integrazione, tiene a bada i voraci fornitori, e si prende gli accidenti dei viaggiatori, ora bloccati dalle cancellazioni dei voli, ora dalle proteste dei dipendenti per la politica delle assunzioni di Cai.
Situazione scomoda, professore: ce l'hanno con Colaninno, ma i disservizi li deve gestire lei.
"Molte delle proteste sono dovute al fatto che le lettere di assunzione non sono partite tutte insieme. È una scelta di Cai che non voglio commentare".
Intanto i viaggiatori fuggono. Consegnerete l'azienda ridotta all'osso.
"In realtà le prenotazioni, dopo il crollo di ottobre-novembre, sono in netta ripresa".
Ma Alitalia è stata molto ridimensionata: lei ha tagliato parecchi voli.
"Senta, Alitalia è morta di grandeur, non per il mio taglio dei voli. Perché si è voluta mantenere in piedi una struttura troppo ampia rispetto alle sue possibilità di produrre reddito. Si è detto che a Colaninno ho dato la polpa, ma anche lui avrà il problema di riempire gli aerei...".
Se si fossero fatti i tagli in passato la compagnia dunque si sarebbe salvata?
"Sì: nella mia relazione sulle cause dell'insolvenza dico chiaramente che l'azienda ha sperperato. Non è un mistero che ci sono cinque procuratori della Repubblica al lavoro nei nostri uffici e la Corte dei Conti che indaga".
Cosa intende per grandeur?
"È semplice: Alitalia pagava tutto il triplo".
Malversazioni?
"Non necessariamente. Faccio un esempio: mandare tre macchine per prendere l'equipaggio, perché se la prima buca e la seconda rompe il motore... era uno spreco. Tutto era troppo abbondante".
Colpa dei privilegi dei dipendenti?
"Di tutti: dei dipendenti, degli appalti, dei fornitori del carburante...".
Anche il carburante era pagato il triplo all'Eni?
"Certamente era pagato troppo".
Una grande mangiatoia?
"Una gestione troppo 'signorile'".
Strano che non si sia indagato prima.
"Sì. Teoricamente lo potevano fare tutti, il ministero, la Consob, l'Enac... Ma la dichiarazione d'insolvenza è stato il campanello d'allarme più forte".
Chi ha avuto più responsabilità nella dilapidazione delle risorse?
"Diciamo che in qualsiasi settore non si stava a tirare sul prezzo. Io sono stato attaccato perché non pagavo i fornitori: saranno pagati tutti quanti, ma intanto ho messo la situazione sotto controllo. Ho fermato la 'signorilità'".
La soluzione Cai era davvero l'unica via d'uscita?
"Ho lungamente parlato con Spinetta (il capo di Air France, ndr) e con Mayruber (quello di Lufthansa, ndr). Quando Cai si è ritirata, dopo la rottura con il sindacato, ho cercato questi signori e loro mi hanno detto chiaro e tondo che con i sindacati italiani non volevano avere a che fare".
La rottura della Cgil di Guglielmo Epifani con la linea tenuta da Cisl e Uil nascondeva qualche altro obiettivo?
"È stata tutta una dialettica sindacalese. Un balletto tra di loro su chi firmava e chi no".
È intervenuta la mediazione del Pd?
"Non lo posso dire direttamente, ma ho l'impressione di sì".
Lei ha ricevuto interferenze politiche?
"No. Neanche da Berlusconi. È stata una trattativa condotta da tutti, fino all'ultima lira, senza finzioni. Quando Colaninno mi diceva: 'Non tengo i miei soci', era vero. E io rispondevo: 'Non firmo', e ne ero convinto".
Che partita hanno giocato i piloti con la loro impuntatura?
"Hanno fatto un grande errore. La disponibilità a riconoscere la loro professionalità c'era. Ma loro hanno preferito la guerra per il potere in azienda, lo scontro per comandare piuttosto che convincere della loro indispensabilità. L'Anpac ha frantumato se stessa".
Però le rinunce sugli stipendi le hanno dovute inghiottire.
"Non moltissime. E poi, in un momento simile, Alitalia, con la cassa integrazione privilegiata, è un'oasi felice".
È vero che i capi sindacali dei piloti godevano di extra in busta paga?
"Non in quanto capi sindacali, ma in virtù dei ruoli che potevano avere come 'post holder', cioè per far fare carriera agli altri: ci sono per esempio quelli che fanno i garanti verso l'Enac, quelli da cui dipende il mantenimento del brevetto... Su questi ruoli si possono costruire delle cordate di crescita professionale. Era un meccanismo molto sindacalizzato, che aveva in mano molte leve".
Lei ha dato agli italiani la brutta notizia che dovranno pagare ancora i debiti di Alitalia. Quanto sarà il conto finale?
"Gli attivi non basteranno a pagare tutti i passivi. In totale ci sono 3,2 miliardi di passività, e gli asset di Alitalia non sono tantissimi. Oltre a quello che incassiamo da Cai, c'è quello che incasserò da cargo, manutenzione, i call center Alicos...".
Quanto possono valere?
"Stimiamo tra i 500-700 milioni di euro. Poi abbiamo un terreno a Fiumicino e cinque o sei appartamenti in giro per il mondo".
Si può immaginare quindi che la metà dei creditori non verrà pagata. Chi verrà saldato per primo?
"Quelli che hanno continuato a rendere servizi durante il commissariamento. Dopo il 29 agosto saranno pagati tutti. Prima, saranno pagati secondo riparto".
Lei ha già detto che gli azionisti Alitalia resteranno con un pugno di mosche.
"Il Tesoro ha promesso un indennizzo attingendo al fondo dei conti correnti dormienti. Dipenderà da Tremonti in che misura vorrà soddisfarli".
Gli obbligazionisti verranno trattati come gli azionisti?
"Sì, anche se in verità dovrebbero essere più tutelati".
Il prezzo di Alitalia: non le sembra poco 550 milioni per gli slot?
"È stata la valutazione di Rothschild. E poi si fa molta fantasia sugli slot: quelli dell'intercontinentale, per esempio, non valgono niente, tranne quelli di New York e Newark".
Valgono quelli a Milano e Roma.
"Sì. Ma non si possono vendere: se non li usi, decadono. Comunque è stato calcolato il goodwill, che è compensato da un badwill. D'altra parte, a meno che non rinegozi tutti i contratti, anche Colaninno perde".
Le sembra normale che per Cai siano state sospese le regole antitrust?
"Ma Catricalà ha detto: vi terremo gli occhi addosso. Del resto Air France ha il 91 per cento del mercato in Francia, Cai arriva forse al 60".
Ma sul Roma-Milano ha il 100 per cento.
"Catricalà vigilerà. D'altra parte, se vogliono riempire gli aerei non potranno alzare troppo i prezzi".
Ma come mai Cai versa in contanti 300 milioni a Toto per AirOne e soltanto 237 a lei per Alitalia?
"AirOne ha più aerei e più buoni dei nostri. La parte di punta della flotta futura è quella di AirOne. Io ho da vendere novanta MD80, che valgono poco: ho appena fatto il bando".
E le altre partecipazioni?
"Nell'accordo sindacale di Palazzo Chigi, si è detto che una società con Finmeccanica, Fintecna e Cai rileverà le manutenzioni. Anche lì farò un bando di gara".
La sua missione quanto durerà ancora?
"Dipende dalle cause che mi faranno e da quelle che devo fare io. Sono titolare di 4 mila persone in cassa integrazione che restano miei dipendenti. Prima di dichiarare morta la bad company, ci vorranno anni: anche sei-sette".
Arriverà allora anche il pagamento della sua parcella?
"Spero una parte prima. Io il lavoro lo sto facendo. Non sono né esoso né avido. Ma non sono fesso e non ho intenzione di lavorare gratis, e d'altra parte anche Bondi ha avuto una tranche della sua parcella. Ad ogni modo mi fa più piacere se mi si dice che sono bravo".
La parcella sarà davvero di 15 milioni di euro come si è detto?
"Potrebbe essere quella cifra ma anche meno. È un calcolo in percentuale sulla massa dell'attivo, del passivo e del recuperato. Ma Palazzo Chigi non ha ancora emanato il decreto per stabilire la percentuale che mi spetta".
(L'spresso, 30 dicembre 2008)
lunedì 29 dicembre 2008
Se il boss è un eroe, cliccando su Facebook
di Roberto Puglisi
La cosca? La ritrovi su Facebook. Questi non ammazzano. Non sciolgono gli avversari nell’acido, secondo il delicato modus operandi introdotto dai corleonesi, non fanno saltare giudici per aria col tritolo, e ci mancherebbe. Semplicemente simpatizzano.
La scoperta l’hanno fatta le agenzie oggi e le citazioni sono d’obbligo. “Sul social network Facebook impazzano i fan dei boss mafiosi, come i corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano, che hanno anche formato dei gruppi che raccolgono migliaia di iscritti. Un gruppo cerca il sosia ufficiale di Provenzano e mette in rete le foto di persone che somigliamo al padrino. Provenzano ha un fan club con 201 iscritti un gruppo per la sua ‘santificazione’ con 152 aderenti e altri tre profili intestati a suo nome e con la sua foto, uno dei quali fondato da ‘Paolo Provenzano’. Nelle pagine a suo nome c'è chi gli augura ‘Buon Natale’, chi gli dice che ‘è grande’, chi mette video sulla sua storia, e chi gli ‘bacia le mani’. Cinque sono i profili intestati invece al boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro, su cui alcuni giovani chiedono ‘ma lei è veramente Messina Denaro’ o si dicono ‘onorati della sua amicizia’. Salvatore Riina è il mafioso che ha più profili, oltre dieci, e centinaia di fans. C'è anche il gruppo ‘Totò Riina libero’ con 133 membri. E tra i commentatori c'è chi scrive: ‘Riina è un grande’ o scherza in maniera incosciente sulle stragi di mafia o sulle vittime di Cosa nostra. Un fan di Riina chiede ‘Ma cu è stu Dalla Chiesa?’”.
Fin qui la cronaca e il comprensibile sdegno. Per chi ha vissuto sulla sua pelle le stragi di Cosa nostra, in maniera indiretta o con direttissime ferite, i latrati paramafiologhi disseminati su Facebook non possono nemmeno muovere a un sorriso di compatimento. Ed è pure vero che – in democrazia, al netto del caso in studio – perfino il diritto all’idiozia dovrebbe essere garantito. Del resto, quando si girano le fiction, quando si scrive di Corleone come se si scrivesse del vecchio West, poi capita che gli sprovveduti mitizzino e si confondano, se perdono di vista la storia ed entrano in un disgustoso pastone che sa di finta letteratura e di vera mercificazione. A quando i pupazzetti di Binnu? L’antidoto? La scuola, si diceva un tempo. O forse le lacrime filmate di Rosaria Schifani che piange ai funerali di Falcone. O forse qualche pacata parola, qualche frase banale, buona e sincera sulla giustizia, sull’onore, sulla legge. Ma chissà se basterebbe davvero nel virtuale che eguaglia tutto e che, in fondo, non può conoscere indignazione, perché questo virtuale nasce per addormentare e sostituire la realtà. Così, alla fine nemmeno capisci più la differenza tra un bieco assassino e un eroe in borghese o con le mostrine dei carabinieri, come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Palermo, 29 dicembre 2008
da I Love Sicilia
La cosca? La ritrovi su Facebook. Questi non ammazzano. Non sciolgono gli avversari nell’acido, secondo il delicato modus operandi introdotto dai corleonesi, non fanno saltare giudici per aria col tritolo, e ci mancherebbe. Semplicemente simpatizzano.
La scoperta l’hanno fatta le agenzie oggi e le citazioni sono d’obbligo. “Sul social network Facebook impazzano i fan dei boss mafiosi, come i corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano, che hanno anche formato dei gruppi che raccolgono migliaia di iscritti. Un gruppo cerca il sosia ufficiale di Provenzano e mette in rete le foto di persone che somigliamo al padrino. Provenzano ha un fan club con 201 iscritti un gruppo per la sua ‘santificazione’ con 152 aderenti e altri tre profili intestati a suo nome e con la sua foto, uno dei quali fondato da ‘Paolo Provenzano’. Nelle pagine a suo nome c'è chi gli augura ‘Buon Natale’, chi gli dice che ‘è grande’, chi mette video sulla sua storia, e chi gli ‘bacia le mani’. Cinque sono i profili intestati invece al boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro, su cui alcuni giovani chiedono ‘ma lei è veramente Messina Denaro’ o si dicono ‘onorati della sua amicizia’. Salvatore Riina è il mafioso che ha più profili, oltre dieci, e centinaia di fans. C'è anche il gruppo ‘Totò Riina libero’ con 133 membri. E tra i commentatori c'è chi scrive: ‘Riina è un grande’ o scherza in maniera incosciente sulle stragi di mafia o sulle vittime di Cosa nostra. Un fan di Riina chiede ‘Ma cu è stu Dalla Chiesa?’”.
Fin qui la cronaca e il comprensibile sdegno. Per chi ha vissuto sulla sua pelle le stragi di Cosa nostra, in maniera indiretta o con direttissime ferite, i latrati paramafiologhi disseminati su Facebook non possono nemmeno muovere a un sorriso di compatimento. Ed è pure vero che – in democrazia, al netto del caso in studio – perfino il diritto all’idiozia dovrebbe essere garantito. Del resto, quando si girano le fiction, quando si scrive di Corleone come se si scrivesse del vecchio West, poi capita che gli sprovveduti mitizzino e si confondano, se perdono di vista la storia ed entrano in un disgustoso pastone che sa di finta letteratura e di vera mercificazione. A quando i pupazzetti di Binnu? L’antidoto? La scuola, si diceva un tempo. O forse le lacrime filmate di Rosaria Schifani che piange ai funerali di Falcone. O forse qualche pacata parola, qualche frase banale, buona e sincera sulla giustizia, sull’onore, sulla legge. Ma chissà se basterebbe davvero nel virtuale che eguaglia tutto e che, in fondo, non può conoscere indignazione, perché questo virtuale nasce per addormentare e sostituire la realtà. Così, alla fine nemmeno capisci più la differenza tra un bieco assassino e un eroe in borghese o con le mostrine dei carabinieri, come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Palermo, 29 dicembre 2008
da I Love Sicilia
Cittadinanza alla vedova di Borsellino. Lite tra Sgarbi e i fratelli del giudice
«Sgarbi condannato per aver definito "assassini" dei magistrati». La replica del primo cittadino: «Li querelo»
PALERMO - È polemica tra Rita e Salvatore Borsellino e Vittorio Sgarbi. I fratelli del magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio del 1992 prendono le distanze dalla cognata Agnese Piraino Leto, vedova del giudice, invitandola a non accettare la cittadinanza onoraria offertale dal sindaco di Salemi. La cerimonia di consegna della cittadinanza è prevista nel marzo del 2009. «Come siciliana - ha detto qualche giorno fa Agnese Borsellino - sono felicissima della scelta di Sgarbi di fare il sindaco in una cittadina siciliana. Vedo nel suo lavoro un'azione missionaria». «Apprendiamo dalla stampa con stupore e disappunto - hanno invece scritto Rita e Salvatore Borsellino in una nota - che nostra cognata avrebbe accettato l'offerta della cittadinanza onoraria della città di Salemi da parte del sindaco Vittorio Sgarbi, personaggio dai comportamenti non certamente limpidi né eticamente corretti, condannato anche per aver definito "assassini" dei magistrati, e a cui quindi non si addice certamente il termine di "missionario". Chiediamo per questo a nostra cognata, proprio per il cognome che porta, di declinare l'offerta ricevuta».
QUERELA - Parole che non sono piaciute a Vittorio Sgarbi, il quale, dicendosi «indignatissimo», ha annunciato che querelerà Rita e Salvatore Borsellino «per le gravissime frasi diffamatorie». La loro reazione, ha spiegato il sindaco di Salemi, «dimostra che Sciascia aveva ragione: sono dei professionisti dell'antimafia che, per esistere, fanno vivere la mafia anche dove non c'è». Sgarbi, in particolare, smentisce di aver definito "assassini" i magistrati: «L'ho solo detto a Fabio De Pasquale, che ha lasciato morire in carcere Gabriele Cagliari».
Per quanto riguarda la cittadinanza ad Agnese Borsellino, il sindaco Sgarbi ribadisce che «la vedova del magistrato è venuta a Salemi per sua espressa volontà» e che «ha avuto parole di apprezzamento sincere nei miei confronti, addirittura cogliendo in me una somiglianza con Paolo Borsellino; credo - ha aggiunto Sgarbi - che più di chiunque altro abbia conosciuto bene il marito». Il sindaco del paese in provincia di Trapani puntualizza inoltre che «tutto quanto affermato dalla signora Agnese e diffuso dall'ufficio stampa è registrato. Rita e Salvatore Borsellino, offendono non solo me, ma anche la cognata, perché la ritengono incapace di intendere e di volere. Si vergognino».
LA GIUNTA SI COSTITUISCE PARTE CIVILE - Sostegno al sindaco è arrivato dalla giunta comunale di Salemi, che ha deciso di costituirsi parte civile nell'eventuale processo nei confronti di Rita e Salvatore Borsellino. Intanto, l'Associazione nazionale familiari vittime di mafia, presieduta da Sonia Alfano, ha invitato «Agnese Borsellino a non prendere decisioni avventate e a riflettere sulla proposta di Sgarbi». «Noi conosciamo - si legge nella nota della Alfano - il grande rispetto che Agnese nutre nei confronti di questo Stato ed è con immenso affetto che vorremmo indurla ad una seria ed approfondita riflessione sull'opportunità di accettare quella cittadinanza proprio in virtù della grande dedizione che, nonostante tutto, Agnese continua mirabilmente a coltivare nei confronti delle Istituzioni. Vorremmo dunque metterla in guardia - prosegue la nota - dal pericolo di essere utilizzata come strumento per ripulire l'immagine e la fedina penale di un pregiudicato come Vittorio Sgarbi». Anche nei confronti della Alfano la replica del sindaco di Salemi non si è fatta attendere: «È mia intenzione querelare anche Sonia Alfano. Io non devo proprio ripulire nessuna immagine - ha detto Sgarbi -. Si vergogni. Di diffamarmi, e soprattutto della mancanza di rispetto nei confronti della vedova Borsellino».
Il Corriere della sera, 29 dicembre 2008
NELLA FOTO: La vedova Borsellino con Sgarbi
PALERMO - È polemica tra Rita e Salvatore Borsellino e Vittorio Sgarbi. I fratelli del magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio del 1992 prendono le distanze dalla cognata Agnese Piraino Leto, vedova del giudice, invitandola a non accettare la cittadinanza onoraria offertale dal sindaco di Salemi. La cerimonia di consegna della cittadinanza è prevista nel marzo del 2009. «Come siciliana - ha detto qualche giorno fa Agnese Borsellino - sono felicissima della scelta di Sgarbi di fare il sindaco in una cittadina siciliana. Vedo nel suo lavoro un'azione missionaria». «Apprendiamo dalla stampa con stupore e disappunto - hanno invece scritto Rita e Salvatore Borsellino in una nota - che nostra cognata avrebbe accettato l'offerta della cittadinanza onoraria della città di Salemi da parte del sindaco Vittorio Sgarbi, personaggio dai comportamenti non certamente limpidi né eticamente corretti, condannato anche per aver definito "assassini" dei magistrati, e a cui quindi non si addice certamente il termine di "missionario". Chiediamo per questo a nostra cognata, proprio per il cognome che porta, di declinare l'offerta ricevuta».
QUERELA - Parole che non sono piaciute a Vittorio Sgarbi, il quale, dicendosi «indignatissimo», ha annunciato che querelerà Rita e Salvatore Borsellino «per le gravissime frasi diffamatorie». La loro reazione, ha spiegato il sindaco di Salemi, «dimostra che Sciascia aveva ragione: sono dei professionisti dell'antimafia che, per esistere, fanno vivere la mafia anche dove non c'è». Sgarbi, in particolare, smentisce di aver definito "assassini" i magistrati: «L'ho solo detto a Fabio De Pasquale, che ha lasciato morire in carcere Gabriele Cagliari».
Per quanto riguarda la cittadinanza ad Agnese Borsellino, il sindaco Sgarbi ribadisce che «la vedova del magistrato è venuta a Salemi per sua espressa volontà» e che «ha avuto parole di apprezzamento sincere nei miei confronti, addirittura cogliendo in me una somiglianza con Paolo Borsellino; credo - ha aggiunto Sgarbi - che più di chiunque altro abbia conosciuto bene il marito». Il sindaco del paese in provincia di Trapani puntualizza inoltre che «tutto quanto affermato dalla signora Agnese e diffuso dall'ufficio stampa è registrato. Rita e Salvatore Borsellino, offendono non solo me, ma anche la cognata, perché la ritengono incapace di intendere e di volere. Si vergognino».
LA GIUNTA SI COSTITUISCE PARTE CIVILE - Sostegno al sindaco è arrivato dalla giunta comunale di Salemi, che ha deciso di costituirsi parte civile nell'eventuale processo nei confronti di Rita e Salvatore Borsellino. Intanto, l'Associazione nazionale familiari vittime di mafia, presieduta da Sonia Alfano, ha invitato «Agnese Borsellino a non prendere decisioni avventate e a riflettere sulla proposta di Sgarbi». «Noi conosciamo - si legge nella nota della Alfano - il grande rispetto che Agnese nutre nei confronti di questo Stato ed è con immenso affetto che vorremmo indurla ad una seria ed approfondita riflessione sull'opportunità di accettare quella cittadinanza proprio in virtù della grande dedizione che, nonostante tutto, Agnese continua mirabilmente a coltivare nei confronti delle Istituzioni. Vorremmo dunque metterla in guardia - prosegue la nota - dal pericolo di essere utilizzata come strumento per ripulire l'immagine e la fedina penale di un pregiudicato come Vittorio Sgarbi». Anche nei confronti della Alfano la replica del sindaco di Salemi non si è fatta attendere: «È mia intenzione querelare anche Sonia Alfano. Io non devo proprio ripulire nessuna immagine - ha detto Sgarbi -. Si vergogni. Di diffamarmi, e soprattutto della mancanza di rispetto nei confronti della vedova Borsellino».
Il Corriere della sera, 29 dicembre 2008
NELLA FOTO: La vedova Borsellino con Sgarbi
Qualità della vita, Aosta prima. Caltanissetta all'ultimo posto
Il reddito pro capite nel capoluogo valdostano è in media di 34.000 euro, in quello siciliano di 16.000. Il capoluogo montano detiene il primato assoluto per il tempo libero
ROMA - Aosta prima, Caltanissetta ultima: è il risultato della classifica 2008 sulla "Qualità della vita nelle province italiane", realizzata dal Sole 24 Ore. La ricerca prende in considerazione sei macro-aree: tenore di vita, affari e lavoro, servizi, ambiente e salute, ordine pubblico, popolazione, tempo libero. La provincia valdostana conquista quest'anno il primato, dopo la terza posizione raggiunta nell'edizione 2007 dell'indagine. Sul versante opposto Caltanissetta scende di sette gradini rispetto allo scorso anno, passando dalla 96/ma alla 103/ma posizione. Il risultato non è troppo lontano da quello dell'anno scorso, che vedeva al primo posto Trento (al secondo Bolzano e al terzo la stessa Aosta) e all'ultimo Agrigento. Aosta è tra le prime città per tutte le variabili considerate: tenore di vita (quinto posto), popolazione (sesto), affari e lavoro (decimo) ed è in testa per il tempo libero. Va meno bene per quanto riguarda l'ordine pubblico (trentaduesimo posto) e i servizi, ambiente e salute (sessantasettesimo). Al contrario, Caltanissetta è al settantesimo posto per l'ordine pubblico; al settantanovesimo per il tenore di vita; all'ottantottesimo per i servizi, ambiente e salute; al centesimo per affari e lavoro; al centoduesimo sia nella popolazione sia nel tempo libero. C'è un abisso per il Pil medio pro capite delle due città: è di oltre 34.000 euro ad Aosta, mentre a Caltanissetta non arriva alla metà (16.000 euro); il tasso di disoccupazione è del 3,2% ad Aosta e si avvicina al 16% nella provincia siciliana; le rapine sono meno di 17 ogni 100.000 abitanti nella provincia montana e oltre 48 a Caltanissetta; le associazioni di volontariato 1,24 ogni mille abitanti ad Aosta contro 0,34 di Caltanissetta.
(La Repubblica, 28 dicembre 2008)
NELLA FOTO: Caltanissetta
ROMA - Aosta prima, Caltanissetta ultima: è il risultato della classifica 2008 sulla "Qualità della vita nelle province italiane", realizzata dal Sole 24 Ore. La ricerca prende in considerazione sei macro-aree: tenore di vita, affari e lavoro, servizi, ambiente e salute, ordine pubblico, popolazione, tempo libero. La provincia valdostana conquista quest'anno il primato, dopo la terza posizione raggiunta nell'edizione 2007 dell'indagine. Sul versante opposto Caltanissetta scende di sette gradini rispetto allo scorso anno, passando dalla 96/ma alla 103/ma posizione. Il risultato non è troppo lontano da quello dell'anno scorso, che vedeva al primo posto Trento (al secondo Bolzano e al terzo la stessa Aosta) e all'ultimo Agrigento. Aosta è tra le prime città per tutte le variabili considerate: tenore di vita (quinto posto), popolazione (sesto), affari e lavoro (decimo) ed è in testa per il tempo libero. Va meno bene per quanto riguarda l'ordine pubblico (trentaduesimo posto) e i servizi, ambiente e salute (sessantasettesimo). Al contrario, Caltanissetta è al settantesimo posto per l'ordine pubblico; al settantanovesimo per il tenore di vita; all'ottantottesimo per i servizi, ambiente e salute; al centesimo per affari e lavoro; al centoduesimo sia nella popolazione sia nel tempo libero. C'è un abisso per il Pil medio pro capite delle due città: è di oltre 34.000 euro ad Aosta, mentre a Caltanissetta non arriva alla metà (16.000 euro); il tasso di disoccupazione è del 3,2% ad Aosta e si avvicina al 16% nella provincia siciliana; le rapine sono meno di 17 ogni 100.000 abitanti nella provincia montana e oltre 48 a Caltanissetta; le associazioni di volontariato 1,24 ogni mille abitanti ad Aosta contro 0,34 di Caltanissetta.
(La Repubblica, 28 dicembre 2008)
NELLA FOTO: Caltanissetta
domenica 28 dicembre 2008
Corleone. Crolla maldestramente l'alibi della seduta consiliare convocata per S. Silvestro
«Per consentire agli Enti Locali di approvare il bilancio preventivo 2009 in presenza di un quadro normativo definito, martedì 9 Dicembre 2008 il ministero dell‘Interno ha deciso di prorogare il termine di approvazione del bilancio stesso di comuni e province dal 31 dicembre 2008 al 31 marzo 2009. Lo riferisce una nota del Viminale. (Fonte Asca)». La notizia, data dalle agenzie di stampa, fanno cadere anche l’ultimo alibi per la convocazione del consiglio comunale di Corleone per il 31 dicembre. «Ancora non è pervenuta ufficialmente una comunicazione di proroga del termine per approvare il bilancio 2009», sostenevano, infatti, gli uffici della Presidenza del consiglio comunale, giustificando la seduta di San Silvestro. Ma la nota c’era. Addirittura, datata 9 dicembre 2008. Il presidente Mario Lanza e i suoi collaboratori non lo sapevano. Accade, purtroppo. Adesso lo sanno e vedremo se sapranno (politicamente) raddrizzare la schiena.D’altra parte, un consiglio comunale riunito per l’ultimo giorno dell’anno, senza scadenze imposte da termini perentori e senza importanti (o gravi) motivazioni è davvero un’anomalia. La giornata di San Silvestro non favorisce la presenza dei consiglieri (alcuni, infatti, sono in vacanza fuori sede), la loro concentrazione e, quindi, il contributo da dare alla definizione del documento finanziario. Ostinarsi a convocarlo, assecondando un “capriccio” del sindaco Nino Iannazzo, dimostra autonomia politica pari a zero da parte del presidente del consiglio comunale. Perché questo “capriccio” del primo cittadino? Ufficialmente non è dato di saperlo. Nessun comunicato ufficiale, nessuna dichiarazione in aula (non ha risposto il 22 dicembre nemmeno ad una nostra specifica richiesta). Un clima di perfetta “omertà” quello che vige a “Palazzo” di città. Il buon senso dice che sarebbe più prudente approvare il bilancio comunale almeno dopo l’approvazione della finanziaria regionale, per avere la certezza dell’ammontare dei trasferimenti della Regione siciliana al Comune di Corleone. Specie in presenza della proroga al 31 marzo 2009 concessa dal governo nazionale. La “corsa” costringerebbe a prevedere in entrata le stesse somme trasferite nel 2008 e non porterebbe nessun vantaggio… confessabile. A meno che non ci sia l’urgenza (ma quale?) o la necessità (di che genere?) di impegnare a gennaio una grossa somma che in 12/i (senza bilancio, cioè) non sarebbe possibile impegnare. E se poi la Regione ridurrà le somme da trasferire, ma il comune le avesse già impegnate? Non vorremmo essere nei panni dei consiglieri di maggioranza che il 31 dicembre saranno “obbligati” ad approvare il bilancio… (d.p.)
NELLA FOTO: la nuova giunta municipale di Corleone
NELLA FOTO: la nuova giunta municipale di Corleone
Pippo Rizzo il futurista da Corleone a Marinetti. Il nomade dell'arte che dipinse la Sicilia
di SERGIO TROISI
La riscoperta. In un volume l'opera rivoluzionaria del pittore "nomade". Capofila nell´Isola del movimento di Marinetti mantenne sempre un registro riconoscibile nelle sue tele il tema dei falsi
NEL 1929, all´apice cioè della sua avventura futurista, Pippo Rizzo espose alla seconda Mostra sindacale siciliana "Il Nomade", una figura di viaggiatore moderno vestito secondo la moda del tempo con impermeabile e cappello, posa virile e sguardo rivolto al futuro, e sul fondo il treno in diagonale che lo stesso Rizzo, mutuandolo da Balla, aveva raffigurato in corsa notturna. Il dipinto è organizzato dalla scomposizione geometrica come da fasci luminosi, secondo i modi propri della grammatica futurista. Eppure qualcosa, in quest´opera, insospettì i commentatori, che nella sagoma squadrata e nella semplificazione monumentale scorsero gli indizi di un passaggio alla sponda novecentista. Ipotesi rivelatasi esatta nel giro di pochi mesi, quando Rizzo approdò al movimento, in verità già declinante, promosso da Margherita Sarfatti. In realtà, nel giocare di sponda tra le due correnti, Rizzo (1897 - 1964) rimaneva paradossalmente fedele a se stesso, e il suo nomadismo si rivelava più apparente che reale. Non a caso, nel testo introduttivo al volume "Pippo Rizzo. Un nomade nell´arte del Novecento siciliano" (Eidos, pagine 370, 75 euro, scritti di Davide Lacagnina, Eva Di Stefano, Mariny Guttilla, Gabriella Bologna, Antonio Di Lorenzo) la curatrice Anna Maria Ruta pospone a questa definizione un punto interrogativo, come a sottolineare, aldilà delle pratiche di attraversamento che scandiscono il suo percorso nell´arte della parte centrale del secolo, una sostanziale coerenza interna del pittore siciliano.Un giudizio, questo, che inevitabilmente investe la lettura del futurismo siciliano di cui Rizzo fu il capofila a stretto contatto con Marinetti quando questi, negli anni Venti, riorganizzava il movimento tentando di imporne l´egemonia. Investe cioè non tanto la valutazione sul rinnovamento indiscutibile operato da Rizzo (e dall´intero terzetto costituito con Vittorio Corona e Giovanni Varvaro) sull´ambiente locale, quanto il suo carattere organico, il suo procedere per linea retta invece che a zigzag, il suo sposare senza riserve la causa del movimento. Le tappe fondamentali del futurismo isolano sono del resto ben scandite: la Mostra Primaverile siciliana del 1925, le partecipazioni alle Biennali veneziane del ´26 e del ´28 tra le file futuriste, l´organizzazione dell´Esposizione nazionale futurista a Palermo nel 1927, la Mostra di Taormina di Arti decorative del 28 dove vennero presentati i manufatti (arredi, tappeti, oggetti, arazzi) che Rizzo e Corona aveva realizzato sull´esempio delle Case d´Arte di Balla e Depero. La fase di maggiore compattezza del drappello palermitano dura così circa un lustro, sebbene sia preceduta, all´inizio del decennio, da un gruppo di opere ("Figura - luce - atmosfera", "Lampi") dove Rizzo fa propri i procedimenti di scomposizione formale tipici del secondo futurismo intervallati però da dipinti condotti con una figurazione più convenzionale. Non ha giovato, a questa ricostruzione, la comparsa negli ultimi anni di un nutrito gruppo di dipinti di dubbia autenticità (nell´ultimo numero del "Giornale dell´arte" una autorità in materia come Enrico Crispolti mette in guardia contro l´improvvisa abbondanza di opere futuriste di Rizzo e Corona) che ha teso a spostare all´indietro una più convinta adesione al futurismo, invadendo il mercato di quadri divisionisti e futuristi dai colori squillanti come per un restauro troppo energico laddove, per dirne una, i supporti e i pigmenti non eccelsi usati da Rizzo hanno causato, nel corso del tempo, l´opacizzazione e l´ingiallimento della superficie pittorica.Una querelle aperta, insomma, che rischia di inquinare giudizi e valori. Quel che invece non è messo in discussione è la cifra stilistica di Rizzo, quel suo procedere per stilizzazioni, per strutture grafiche giustapposte, per forme semplici, squadrate e angolari che attraversa per intero la sua produzione indipendentemente dai riferimenti individuati nei contemporanei, si tratti di Balla o di Carrà; e quella intonazione scaltrita dei temi della cultura figurativa del suo tempo, tra insegna popolare e manifesto pubblicitario, che probabilmente è il tratto distintivo della sua declinazione moderna. Non soltanto nelle opere futuriste quindi, ma anche nella successiva fase novecentista quando, almeno nella fase iniziale degli anni Trenta, Rizzo alterna ad accenti arcaicizzanti vagamente sironiani (in una monumentale "Fuga dall´Etna" per esempio) una stilizzazione che ha il sapore d´epoca del déco prima di assimilare, nella seconda metà del decennio, alcune suggestioni della pittura tonale sia pure in forme ammorbidite dai passaggi luminosi. E anche nel dopoguerra, quando allentati in gran parte i contatti con i circuiti nazionali, adotta una figurazione di paesaggi e figure familiari con campiture di colore piatto e uniforme come in un puzzle. Sino all´ultimo periodo, quando Rizzo monta i teatrini dove carabinieri, suorine, preti, marinai e bersaglieri inquadrati di spalle simili a sagome ritagliate contemplano di volta in volta un cartellone di cantastorie, una pittura di carretto o alcune riproduzione dei maestri del Novecento - de Chirico, Picasso, Morandi, Léger, Mondrian - in una sfilata ironica e divertita che enuncia (e contemporaneamente mette in scena) l´equivoco di una modernità intesa come stile, codice e prontuario piuttosto che come problema espressivo in relazione al tempo storico. Anche se in quei bersaglieri con tanto di pennacchio approdati alle sale del museo è lecito leggere, originalmente declinato, quell´incrocio tra pratiche alte e popolari che è uno dei temi ricorrenti del Novecento.Se questa capacità di mantenere un registro riconoscibile pur in presenza di una indubbia attitudine prensile e persino mimetica è quindi il filo rosso dell´opera di Rizzo, è forse il caso di chiedersi quanto questo tratto sia il risultato della collocazione periferica della Sicilia in quei decenni, e quanto invece uno dei modi privilegiati con cui la cultura artistica isolana si è rapportata al dibattito e alle ricerche nazionali. Quanto cioè sia il frutto di una tattica di breve respiro, e quanto di una strategia accorta. In questo senso, l´itinerario del pittore di Corleone potrebbe essere assunta a paradigma (con le dovute, acclarate eccezioni) di una fase dell´arte in Sicilia, tra i Venti e i Sessanta, costantemente oscillante tra ansia d´aggiornamento e ripiegamento intimista, tra volontà di rinnovamento e moto di chiusura. Del resto, alcuni dipinti del periodo futurista fanno propria tale dissociazione in modo quasi programmatico, adottando il sistema delle linee - forze e la scomposizione dinamica per paesaggi rurali altrimenti immobili e assolati. Un nomadismo circolare, attirato da un percorso di ritorno piuttosto che dalla fuga in avanti.
La Repubblica, DOMENICA, 28 DICEMBRE 2008
La riscoperta. In un volume l'opera rivoluzionaria del pittore "nomade". Capofila nell´Isola del movimento di Marinetti mantenne sempre un registro riconoscibile nelle sue tele il tema dei falsi
NEL 1929, all´apice cioè della sua avventura futurista, Pippo Rizzo espose alla seconda Mostra sindacale siciliana "Il Nomade", una figura di viaggiatore moderno vestito secondo la moda del tempo con impermeabile e cappello, posa virile e sguardo rivolto al futuro, e sul fondo il treno in diagonale che lo stesso Rizzo, mutuandolo da Balla, aveva raffigurato in corsa notturna. Il dipinto è organizzato dalla scomposizione geometrica come da fasci luminosi, secondo i modi propri della grammatica futurista. Eppure qualcosa, in quest´opera, insospettì i commentatori, che nella sagoma squadrata e nella semplificazione monumentale scorsero gli indizi di un passaggio alla sponda novecentista. Ipotesi rivelatasi esatta nel giro di pochi mesi, quando Rizzo approdò al movimento, in verità già declinante, promosso da Margherita Sarfatti. In realtà, nel giocare di sponda tra le due correnti, Rizzo (1897 - 1964) rimaneva paradossalmente fedele a se stesso, e il suo nomadismo si rivelava più apparente che reale. Non a caso, nel testo introduttivo al volume "Pippo Rizzo. Un nomade nell´arte del Novecento siciliano" (Eidos, pagine 370, 75 euro, scritti di Davide Lacagnina, Eva Di Stefano, Mariny Guttilla, Gabriella Bologna, Antonio Di Lorenzo) la curatrice Anna Maria Ruta pospone a questa definizione un punto interrogativo, come a sottolineare, aldilà delle pratiche di attraversamento che scandiscono il suo percorso nell´arte della parte centrale del secolo, una sostanziale coerenza interna del pittore siciliano.Un giudizio, questo, che inevitabilmente investe la lettura del futurismo siciliano di cui Rizzo fu il capofila a stretto contatto con Marinetti quando questi, negli anni Venti, riorganizzava il movimento tentando di imporne l´egemonia. Investe cioè non tanto la valutazione sul rinnovamento indiscutibile operato da Rizzo (e dall´intero terzetto costituito con Vittorio Corona e Giovanni Varvaro) sull´ambiente locale, quanto il suo carattere organico, il suo procedere per linea retta invece che a zigzag, il suo sposare senza riserve la causa del movimento. Le tappe fondamentali del futurismo isolano sono del resto ben scandite: la Mostra Primaverile siciliana del 1925, le partecipazioni alle Biennali veneziane del ´26 e del ´28 tra le file futuriste, l´organizzazione dell´Esposizione nazionale futurista a Palermo nel 1927, la Mostra di Taormina di Arti decorative del 28 dove vennero presentati i manufatti (arredi, tappeti, oggetti, arazzi) che Rizzo e Corona aveva realizzato sull´esempio delle Case d´Arte di Balla e Depero. La fase di maggiore compattezza del drappello palermitano dura così circa un lustro, sebbene sia preceduta, all´inizio del decennio, da un gruppo di opere ("Figura - luce - atmosfera", "Lampi") dove Rizzo fa propri i procedimenti di scomposizione formale tipici del secondo futurismo intervallati però da dipinti condotti con una figurazione più convenzionale. Non ha giovato, a questa ricostruzione, la comparsa negli ultimi anni di un nutrito gruppo di dipinti di dubbia autenticità (nell´ultimo numero del "Giornale dell´arte" una autorità in materia come Enrico Crispolti mette in guardia contro l´improvvisa abbondanza di opere futuriste di Rizzo e Corona) che ha teso a spostare all´indietro una più convinta adesione al futurismo, invadendo il mercato di quadri divisionisti e futuristi dai colori squillanti come per un restauro troppo energico laddove, per dirne una, i supporti e i pigmenti non eccelsi usati da Rizzo hanno causato, nel corso del tempo, l´opacizzazione e l´ingiallimento della superficie pittorica.Una querelle aperta, insomma, che rischia di inquinare giudizi e valori. Quel che invece non è messo in discussione è la cifra stilistica di Rizzo, quel suo procedere per stilizzazioni, per strutture grafiche giustapposte, per forme semplici, squadrate e angolari che attraversa per intero la sua produzione indipendentemente dai riferimenti individuati nei contemporanei, si tratti di Balla o di Carrà; e quella intonazione scaltrita dei temi della cultura figurativa del suo tempo, tra insegna popolare e manifesto pubblicitario, che probabilmente è il tratto distintivo della sua declinazione moderna. Non soltanto nelle opere futuriste quindi, ma anche nella successiva fase novecentista quando, almeno nella fase iniziale degli anni Trenta, Rizzo alterna ad accenti arcaicizzanti vagamente sironiani (in una monumentale "Fuga dall´Etna" per esempio) una stilizzazione che ha il sapore d´epoca del déco prima di assimilare, nella seconda metà del decennio, alcune suggestioni della pittura tonale sia pure in forme ammorbidite dai passaggi luminosi. E anche nel dopoguerra, quando allentati in gran parte i contatti con i circuiti nazionali, adotta una figurazione di paesaggi e figure familiari con campiture di colore piatto e uniforme come in un puzzle. Sino all´ultimo periodo, quando Rizzo monta i teatrini dove carabinieri, suorine, preti, marinai e bersaglieri inquadrati di spalle simili a sagome ritagliate contemplano di volta in volta un cartellone di cantastorie, una pittura di carretto o alcune riproduzione dei maestri del Novecento - de Chirico, Picasso, Morandi, Léger, Mondrian - in una sfilata ironica e divertita che enuncia (e contemporaneamente mette in scena) l´equivoco di una modernità intesa come stile, codice e prontuario piuttosto che come problema espressivo in relazione al tempo storico. Anche se in quei bersaglieri con tanto di pennacchio approdati alle sale del museo è lecito leggere, originalmente declinato, quell´incrocio tra pratiche alte e popolari che è uno dei temi ricorrenti del Novecento.Se questa capacità di mantenere un registro riconoscibile pur in presenza di una indubbia attitudine prensile e persino mimetica è quindi il filo rosso dell´opera di Rizzo, è forse il caso di chiedersi quanto questo tratto sia il risultato della collocazione periferica della Sicilia in quei decenni, e quanto invece uno dei modi privilegiati con cui la cultura artistica isolana si è rapportata al dibattito e alle ricerche nazionali. Quanto cioè sia il frutto di una tattica di breve respiro, e quanto di una strategia accorta. In questo senso, l´itinerario del pittore di Corleone potrebbe essere assunta a paradigma (con le dovute, acclarate eccezioni) di una fase dell´arte in Sicilia, tra i Venti e i Sessanta, costantemente oscillante tra ansia d´aggiornamento e ripiegamento intimista, tra volontà di rinnovamento e moto di chiusura. Del resto, alcuni dipinti del periodo futurista fanno propria tale dissociazione in modo quasi programmatico, adottando il sistema delle linee - forze e la scomposizione dinamica per paesaggi rurali altrimenti immobili e assolati. Un nomadismo circolare, attirato da un percorso di ritorno piuttosto che dalla fuga in avanti.
La Repubblica, DOMENICA, 28 DICEMBRE 2008
Terremoto di Messina del 28 dicembre 1908: una tragedia che unì l'Europa
MESSINA - Cento anni fa, alle 5.25 del 28 dicembre 1908, le città di Messina e Reggio Calabria vennero distrutte dal più devastante terremoto che l'Europa ricordi, una tragedia destinata ad occupare nell'immaginario della Belle Epoque un posto pari a quello del Titanic e che trovò l'Europa unita in una corsa di solidarietà mai vista prima. Per trentasette secondi sotto Messina, la città dove Giovanni d'Austria, il vincitore dei Turchi a Lepanto, apprese "la felicità del vivere", dove Shakespeare ambientò il suo "Molto rumore per nulla" e dove solo poche ore prima si assisteva all'Aida, la terra trema con una violenza inaudita (11 gradi della scala Mercalli).Poco dopo nel silenzio spettrale si ode un rombo che viene dal profondo del mare: onde alte fino a 13 metri si scagliano sulla città e divorano gli imponenti palazzi del lungomare. Così muoiono molti dei sopravvissuti del sisma, scesi in strada e corsi verso la riva in cerca di scampo. Alla fine i morti saranno 80.000 a Messina e 15.000 a Reggio.In quei trentasette secondi di apocalisse edifici, ferrovie, strade e anche la stazione radio sono distrutte o gravemente danneggiate. Svaniscono come fantasmi gli edifici neoclassici della monumentale Palazzata del lungomare, scompaiono le chiese barocche dove Filippo Juvara aveva mostrato il suo primo talento e la strada dei Monasteri.Quando la furia si placa, Messina e Reggio si trovano in un buco nero dal quale non si può lanciare nemmeno un Sos. In questo luogo inesistente resteranno per tutta la mattina e tutto il pomeriggio del 28 dicembre fino a quando - come ricostruisce Giorgio Boatti nel suo libro "La Terra Trema" - alle 17.25 arriva sulla scrivania di Giolitti, Presidente del Consiglio e ministro dell'Interno, il telegramma che finalmente fa rompere gli indugi. Ma un'intera giornata preziosa è andata perduta.I primi aiuti arrivano dalle navi ancorate al porto di Messina. In giornata il piroscafo Usa Washington e poi la nave Montebello portano a Catania i primi feriti messinesi, mentre il mercantile inglese Afonwen fa rotta verso il porto di Siracusa. Da queste due città partono i primi aiuti e viene lanciato l' Sos che raggiungerà le squadre navali russa e inglese che si addestravano al largo delle coste siciliane.Sul finire della prima terribile notte dopo il cataclisma arrivano i primi aiuti organizzati. Nell'alba livida, sotto gli occhi spiritati dei superstiti ancora sotto shock, dalle corazzate Cesarevic e Slava e dagli incrociatori Makarov e Bogatyr scendono circa tremila marinai che salveranno migliaia di persone. Più tardi arriva l'incrociatore inglese Sutley con i suoi 170 allievi marinai, al quale seguirà il giorno dopo l' incrociatore Minerva partito da Malta, e poi alcune navi tedesche.Sempre il 29 arriveranno le corazzate italiane Regina Margherita e Regina Elena mentre la Napoli si dirige verso Reggio Calabria. Una quarta corazzata italiana, il Vittorio Emanuele, arriva il 30 dicembre con a bordo il Re e la Regina.Poi per Messina giungono giorni forse ancora più terribili: viene deciso lo stato di assedio e si arriva persino a pensare di cannoneggiare la città semidistrutta, raderla al suolo per ricostruirla altrove. Il timore di un complotto ribassista sui titoli della Banca d'Italia induce poi il generale Mazza a usare troppo zelo nella difesa di banche e caveau. In realtà il 7 gennaio 1909, alla riapertura della Borsa, le azioni della Banca d'Italia perdono solo 13 punti (e non i 100 temuti).Ma accanto a tanti errori e polemiche che investirono anche il Governo (Giolitti si recherà a Messina solo nel 1911 dove, scrive un suo biografo, "fu accolto a fischi") brilla ancora oggi il ricordo della solidarietà arrivata da tanti Paesi.Dopo le squadre navali russa e inglese da tutto il mondo arriveranno aiuto per le sfortunate Messina e Reggio: dalla Germania all' Austria-Ungheria, dalla Francia agli Stati Uniti, dalla Danimarca alla Grecia alla Spagna al Portogallo. Uomini che pochi anni dopo si sarebbero trovati su opposte trincee sui fronti della Grande Guerra, accorsero per restituire alle due città la speranza di una nuova vita.
Messina. Le baracche della vergogna
A cento anni dal terremoto che distrusse Messina, 3.330 famiglie vivono ancora in abitazioni precarie fatte di mattoni rossi, cartongesso, legno, lamiera e tetti in eternit. L'appello di monsignor Calogero La Piana durante la veglia natalizia: "Intervengano le istituzioni"
MESSINA - A cento anni dal terremoto che il 28 dicembre 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria, nella città dello Stretto migliaia di persone, soprattutto povera gente, vivono in baracche di mattoni rossi, cartongesso, legno, lamiera e tetti in eternit, materiale composto anche da amianto che provoca il cancro, su un'area di 54 mila metri quadrati.Nelle casupole quando piove l'acqua e il fango entrano dentro, i topi passeggiano indisturbati, l'acqua sale dal terreno. Una donna dice che "lotta per non fare entrare i ratti in casa" mentre un'altra mostra i servizi che ben poco hanno di igienico con le prese eletriche fissate sui muri mangiati dall'umidità."Qui - dice - non c'è nulla di civile. Non è possibile che nel 2008 le persone siano senza una casa". Qualcuno nei decenni è andato via e le baracche sono state occupate da gente che ha bisogno di un tetto e che preferisce il rischio eternit al rimanere senza casa.Secondo un'interrogazione dei parlamentari Idv, Leoluca Orlando e Domenico Sicilipoti, al presidente del Consiglio e ai ministri competenti, in questa case fatiscenti che sono "una vergogna nazionale" vivono circa 12 mila persone oltre 3.300 famiglie. Per questo chiedono di far terminare "l'umiliazione inflitta ad esseri umani trattati come scarti"."La Regione Sicilia nel 1990 - scrivono i parlamentari - si è data una legge speciale per la riqualificazione urbana di Messina che ha portato allo stanziamento di 500 miliardi di lire di cui ne sono stati usati solo 150 e dei restanti 350 si sono perse le tracce. Nel 2004 la Regione siciliana stanzia altri 70 miliardi di euro per realizzare abitazioni e, a partire dal 4 aprile del 2007, il comune di Messina incassa i fondi regionali per la costruzione degli alloggi".Alla vigilia di Natale l'arcivescovo di Messina, monsignor Calogero La Piana, ha detto: "Il centenario del terremoto arriva in un momento di precarietà e incertezza nel mondo del lavoro, ma anche di gravi eventi, come l'alluvione dei giorni scorsi. Tutte situazioni che aumentano il numero di coloro che attendono ancora un tetto sicuro, intervengano dunque al più presto le istituzioni".
26/12/2008
A Messina 390 sindaci per ricordare il 1908
MESSINA - Domani e dopodomani a Messina, in occasione del centenario del terremoto dello stretto, il 28 dicembre 1908, si svolgeranno diverse iniziative.Domani giungeranno oltre 400 mezzi, colonne mobili del volontariato e 2000 volontari, e i sindaci dei 390 comuni, per la cerimonia ufficiale alla presenza del presidente della Regione Raffaele Lombardo, del presidente della provincia Giovanni Ricevuto, del dirigente generale della protezione civile Salvatore Cocina, e del sottosegretario di Stato con delega alla protezione civile Guido Bertolaso.Il 28 una fiaccolata commemorerà le oltre 80 mila vittime di Messina e le 15 mila di Reggio Calabria. La fiaccolata si snoderà lungo via Garibaldi, piazza Cairoli, via Cannizzaro, via Cavour per concludersi al duomo di Messina. Il programma è consultabile sul sito della protezione civile regionale http://www.protezionecivilesicilia.it/.
26/12/2008
26/12/2008
A Messina 390 sindaci per ricordare il 1908
MESSINA - Domani e dopodomani a Messina, in occasione del centenario del terremoto dello stretto, il 28 dicembre 1908, si svolgeranno diverse iniziative.Domani giungeranno oltre 400 mezzi, colonne mobili del volontariato e 2000 volontari, e i sindaci dei 390 comuni, per la cerimonia ufficiale alla presenza del presidente della Regione Raffaele Lombardo, del presidente della provincia Giovanni Ricevuto, del dirigente generale della protezione civile Salvatore Cocina, e del sottosegretario di Stato con delega alla protezione civile Guido Bertolaso.Il 28 una fiaccolata commemorerà le oltre 80 mila vittime di Messina e le 15 mila di Reggio Calabria. La fiaccolata si snoderà lungo via Garibaldi, piazza Cairoli, via Cannizzaro, via Cavour per concludersi al duomo di Messina. Il programma è consultabile sul sito della protezione civile regionale http://www.protezionecivilesicilia.it/.
26/12/2008
Racket a Palermo, le minacce di Natale
Incendio alla concessionaria Autosystem, colla in tre negozi. Ancora nel mirino commercianti del centro storico. Enrico Colajanni: mafiosi ormai alle strette
di GABRIELE ISMAN
Due vetture ancora da immatricolare bruciate in un autosalone all´Uditore, l´attak che ritorna alla vigilia di Natale in almeno tre attività e il sospetto che il racket delle estorsioni stia cercando di risollevare la testa dopo i 90 arresti dell´operazione Perseo.È certamente doloso l´incendio che ha distrutto due Volkswagen - un Suv e una Golf - negli spazi di Autosystem, in via Aci, all´Uditore. I carabinieri della Compagnia San Lorenzo hanno trovato tracce di liquido infiammabile. Il titolare della rivendita, Pietro Provenzano, ha detto ai militari di non aver mai ricevuto minacce. Chi ha colpito forse sapeva dell´assenza di un sistema di sorveglianza con telecamere: attorno alle 22,30 della sera fra Natale e Santo Stefano è stato versato del liquido infiammabile sulle due vetture, poi è stato appiccato il rogo. I vigili del fuoco sono intervenuti rapidamente, evitando che le fiamme potessero raggiungere altre vetture. Ma il danno è stato comunque consistente. Le indagini dei carabinieri sono già in fase avanzata, e non puntano soltanto sull´ipotesi dell´intimidazione del racket.Sono stati ancora i carabinieri a intervenire in via Torino, alla profumeria Alma: la mattina di Natale, il titolare ha trovato l´attak nella serratura della saracinesca. Anche in questo caso l´esercente ha dichiarato di non aver mai ricevuto alcuna minaccia.«Sappiamo che prima di Natale vi sono stati almeno altri due casi di intimidazione con l´attak», dice Enrico Colajanni, presidente dell´associazione antiracket Libero Futuro. Il primo, in un bar della zona Cattadrale. Il secondo resta un piccolo mistero anche per gli esponenti del movimento antipizzo: l´esercente aveva fatto sapere, tramite un altro commerciante, di volersi mettere in contatto con i rappresentanti dell´associazione, ma fino a ieri non si è fatto avanti nessuno.
«C´è da riflettere su questi ultimi episodi - commenta un inquirente - è curioso che gli esattori del pizzo tornino a farsi sentire con un certo ritardo rispetto alle usuali scadenze annuali. Può essere un effetto dell´operazione Perseo che con i suoi 90 arresti ha tolto teste e braccia a Cosa nostra». Secondo Colajanni «è già successo in passato, in base a quanto ci raccontano imprenditori contattati dal racket negli anni scorsi, che certe riscossioni slittassero a gennaio o, addirittura, a febbraio, perché è difficile riscuotere da tanti. È chiaro però che Perseo abbia determinato, oltre agli importanti risultati investigativi e agli arresti, l´effetto di accrescere il senso di accerchiamento degli uomini del pizzo: sanno di essere braccati, intercettati, e più gente in galera significa più avvocati da pagare e più famiglie da mantenere, quindi l´urgenza di soldi per loro aumenta. Anche il suicidio in carcere di Gaetano Lo Presti appare come una resa». E mentre Cosa Nostra appare davvero in difficoltà, gli imprenditori delle aree liberate dal pizzo scoprono nuova forza. «La sensazione - dice ancora Colajanni - è che in certe zone gli esattori non si vedano davvero più. Gli imprenditori di Carini, per esempio, per decenni sono vissuti sotto il ricatto delle estorsioni. Ora, dopo i recenti arresti, qualcosa è davvero cambiato da quelle parti. Forse, gli uomini del pizzo hanno cambiato metodo, ma queste azioni così ampie e così dirompenti certamente stanno creando grossi problemi a Cosa nostra».E se Carini è già nell´hinterland palermitano, San Lorenzo e Tommaso Natale sono aree interne alla città: anche qui, nei feudi dove fino a un anno fa regnavano incontrastati i Lo Piccolo, si è registrata una minor pressione del racket. Colajanni parla di «allentamento sensibile».
La Repubblica, 27 dicembre 2008
di GABRIELE ISMAN
Due vetture ancora da immatricolare bruciate in un autosalone all´Uditore, l´attak che ritorna alla vigilia di Natale in almeno tre attività e il sospetto che il racket delle estorsioni stia cercando di risollevare la testa dopo i 90 arresti dell´operazione Perseo.È certamente doloso l´incendio che ha distrutto due Volkswagen - un Suv e una Golf - negli spazi di Autosystem, in via Aci, all´Uditore. I carabinieri della Compagnia San Lorenzo hanno trovato tracce di liquido infiammabile. Il titolare della rivendita, Pietro Provenzano, ha detto ai militari di non aver mai ricevuto minacce. Chi ha colpito forse sapeva dell´assenza di un sistema di sorveglianza con telecamere: attorno alle 22,30 della sera fra Natale e Santo Stefano è stato versato del liquido infiammabile sulle due vetture, poi è stato appiccato il rogo. I vigili del fuoco sono intervenuti rapidamente, evitando che le fiamme potessero raggiungere altre vetture. Ma il danno è stato comunque consistente. Le indagini dei carabinieri sono già in fase avanzata, e non puntano soltanto sull´ipotesi dell´intimidazione del racket.Sono stati ancora i carabinieri a intervenire in via Torino, alla profumeria Alma: la mattina di Natale, il titolare ha trovato l´attak nella serratura della saracinesca. Anche in questo caso l´esercente ha dichiarato di non aver mai ricevuto alcuna minaccia.«Sappiamo che prima di Natale vi sono stati almeno altri due casi di intimidazione con l´attak», dice Enrico Colajanni, presidente dell´associazione antiracket Libero Futuro. Il primo, in un bar della zona Cattadrale. Il secondo resta un piccolo mistero anche per gli esponenti del movimento antipizzo: l´esercente aveva fatto sapere, tramite un altro commerciante, di volersi mettere in contatto con i rappresentanti dell´associazione, ma fino a ieri non si è fatto avanti nessuno.
«C´è da riflettere su questi ultimi episodi - commenta un inquirente - è curioso che gli esattori del pizzo tornino a farsi sentire con un certo ritardo rispetto alle usuali scadenze annuali. Può essere un effetto dell´operazione Perseo che con i suoi 90 arresti ha tolto teste e braccia a Cosa nostra». Secondo Colajanni «è già successo in passato, in base a quanto ci raccontano imprenditori contattati dal racket negli anni scorsi, che certe riscossioni slittassero a gennaio o, addirittura, a febbraio, perché è difficile riscuotere da tanti. È chiaro però che Perseo abbia determinato, oltre agli importanti risultati investigativi e agli arresti, l´effetto di accrescere il senso di accerchiamento degli uomini del pizzo: sanno di essere braccati, intercettati, e più gente in galera significa più avvocati da pagare e più famiglie da mantenere, quindi l´urgenza di soldi per loro aumenta. Anche il suicidio in carcere di Gaetano Lo Presti appare come una resa». E mentre Cosa Nostra appare davvero in difficoltà, gli imprenditori delle aree liberate dal pizzo scoprono nuova forza. «La sensazione - dice ancora Colajanni - è che in certe zone gli esattori non si vedano davvero più. Gli imprenditori di Carini, per esempio, per decenni sono vissuti sotto il ricatto delle estorsioni. Ora, dopo i recenti arresti, qualcosa è davvero cambiato da quelle parti. Forse, gli uomini del pizzo hanno cambiato metodo, ma queste azioni così ampie e così dirompenti certamente stanno creando grossi problemi a Cosa nostra».E se Carini è già nell´hinterland palermitano, San Lorenzo e Tommaso Natale sono aree interne alla città: anche qui, nei feudi dove fino a un anno fa regnavano incontrastati i Lo Piccolo, si è registrata una minor pressione del racket. Colajanni parla di «allentamento sensibile».
La Repubblica, 27 dicembre 2008
Palermo. Al Comune il più ricco è il vice sindaco
La classifica dei redditi: in testa Milone, tra i consiglieri spicca Fragalà
di SARA SCARAFIA
di SARA SCARAFIA
C´è chi raggiunge Sala delle Lapidi a bordo di una Renault 4 del 1980 e chi invece è al volante di una Jaguar blu del 2002. La classifica dei ricchi e poveri tra gli amministratori quest´anno vede al primo posto tra gli assessori il vice sindaco Mario Milone: è lui, avvocato e docente universitario, in testa alla classifica dei Paperoni con un reddito imponibile dichiarato per il 2007 di 120 mila euro. L´anno scorso Milone era solo quinto, superato di gran lunga dall´ex assessore al Centro storico Nino Scimemi, per anni dirigente generale dell´Urbanistica alla Regione, con 297 mila euro. Se Lorenzo Ceraulo, ingegnere capo del Genio civile Opere marittime per anni nella squadra dei fedelissimi del sindaco, avesse ancora un posto in giunta, sarebbe lui il più ricco tra gli assessori con un imponibile di 192 mila euro.
Il più povero della giunta è invece Giovanni Di Trapani: lui, che nel 2007 non ha ricoperto alcuna carica pubblica, ha dichiarato un reddito che sfiora gli 8 mila euro. Possiede però un gommone, una Lancia Y ed è comproprietario di due uffici, uno in via Nicolò Turrisi, l´altro in piazza Vittorio Emanuele Orlando. Tra i consiglieri, invece, è Vincenzo Tanania il più povero degli inquilini di Sala delle Lapidi: nel 2007 ha guadagnato solo 5 mila euro come consigliere d´amministrazione all´Università. Il più ricco? È il penalista Enzo Fragalà che possiede un gommone e tre auto tra le quali una Audi A3, una Volkswagen New Beatle e una Fiat Idea. Se Fabrizio Ferrandelli, proprietario di una Renault 4 dell´Ottanta, è a pieno titolo il più vintage del centrosinistra, dal centrodestra l´unico che riesce a tenere botta è Patrizio Lodato, assessore Udc che al fisco dichiara una Alfa Sud. Quando l´acquistò, nel 1982, il verbo «catalizzare» non era ancora entrato nel vocabolario. Roberto Palma, assessore per appena venti giorni, si muove invece a bordo di una Mercedes Classe A, come Giovanni Di Maggio, del Gruppo Misto, che ha un reddito di undici mila euro e il forzista Giovanni Lombardo. Antonella Monastra, medico e mamma, ha scelto invece una Multipla.
Gerlando Inzerillo, Udc, guida una Bmw X3 mentre Rosario Mineo, forzista, fratello del deputato Franco, si mette al volante di una Mercedes C 220. Ma nessuno batte l´assessore Stefano Santoro che guida una fiammante Jaguar blu. Nunzio Moschetti, invece, è un amante delle due ruote: possiede una Yamaha 300 e due vespe, una è d´epoca. Il più originale, se si parla di mezzi di trasporto, è però Pietro Gottuso, presidente della Settima circoscrizione: ha solo un autocarro con una portata di 930 chili. Migliora la sua posizione in classifica l´ex assessore, oggi consigliere Mpa, Jimmy D´Azzò: avvocato, l´anno scorso dichiarò un reddito imponibile di appena 2.880 euro, mentre nel 2007 ne ha guadagnati più di 54 mila. E sale anche Doriana Ribaudo, che nel 2007 ha acquistato anche una Smart. L´avvocato Maurizio Miceli, eletto in una delle liste di Carlo Vizzini, poi traghettato a Forza Italia, fra i consiglieri comunali risulta il plurincaricato: è amministratore unico di Finmed srl, nonché presidente di Mediocapital e consigliere di Sitnex spa. Miceli è anche titolare del 20 per cento di Penta srl e del 10 per cento di Terna srl. Il sindaco è solo quarto nella classifica dei Paperoni: prima di lui Ceraulo, Milone e anche il difensore civico Antonio Tito.
(La Repubblica, 27 dicembre 2008)
Il più povero della giunta è invece Giovanni Di Trapani: lui, che nel 2007 non ha ricoperto alcuna carica pubblica, ha dichiarato un reddito che sfiora gli 8 mila euro. Possiede però un gommone, una Lancia Y ed è comproprietario di due uffici, uno in via Nicolò Turrisi, l´altro in piazza Vittorio Emanuele Orlando. Tra i consiglieri, invece, è Vincenzo Tanania il più povero degli inquilini di Sala delle Lapidi: nel 2007 ha guadagnato solo 5 mila euro come consigliere d´amministrazione all´Università. Il più ricco? È il penalista Enzo Fragalà che possiede un gommone e tre auto tra le quali una Audi A3, una Volkswagen New Beatle e una Fiat Idea. Se Fabrizio Ferrandelli, proprietario di una Renault 4 dell´Ottanta, è a pieno titolo il più vintage del centrosinistra, dal centrodestra l´unico che riesce a tenere botta è Patrizio Lodato, assessore Udc che al fisco dichiara una Alfa Sud. Quando l´acquistò, nel 1982, il verbo «catalizzare» non era ancora entrato nel vocabolario. Roberto Palma, assessore per appena venti giorni, si muove invece a bordo di una Mercedes Classe A, come Giovanni Di Maggio, del Gruppo Misto, che ha un reddito di undici mila euro e il forzista Giovanni Lombardo. Antonella Monastra, medico e mamma, ha scelto invece una Multipla.
Gerlando Inzerillo, Udc, guida una Bmw X3 mentre Rosario Mineo, forzista, fratello del deputato Franco, si mette al volante di una Mercedes C 220. Ma nessuno batte l´assessore Stefano Santoro che guida una fiammante Jaguar blu. Nunzio Moschetti, invece, è un amante delle due ruote: possiede una Yamaha 300 e due vespe, una è d´epoca. Il più originale, se si parla di mezzi di trasporto, è però Pietro Gottuso, presidente della Settima circoscrizione: ha solo un autocarro con una portata di 930 chili. Migliora la sua posizione in classifica l´ex assessore, oggi consigliere Mpa, Jimmy D´Azzò: avvocato, l´anno scorso dichiarò un reddito imponibile di appena 2.880 euro, mentre nel 2007 ne ha guadagnati più di 54 mila. E sale anche Doriana Ribaudo, che nel 2007 ha acquistato anche una Smart. L´avvocato Maurizio Miceli, eletto in una delle liste di Carlo Vizzini, poi traghettato a Forza Italia, fra i consiglieri comunali risulta il plurincaricato: è amministratore unico di Finmed srl, nonché presidente di Mediocapital e consigliere di Sitnex spa. Miceli è anche titolare del 20 per cento di Penta srl e del 10 per cento di Terna srl. Il sindaco è solo quarto nella classifica dei Paperoni: prima di lui Ceraulo, Milone e anche il difensore civico Antonio Tito.
(La Repubblica, 27 dicembre 2008)
sabato 27 dicembre 2008
Palermo. Rimborsi benzina e stipendi: sala delle Lapidi raddoppia i costi
Per legge il Comune deve rimborsare, per l’assenza dal luogo di lavoro, le aziende private di cui sono dipendenti gli eletti in Consiglio. Così tra consiglieri che poco prima del voto da titolari d’impresa sono diventati dipendenti delle stesse, la corsa ai rimborsi ha fatto lievitare la spesa
di ANTONIO FRASCHILLA
Il Comune che non ha fondi per i senza casa e non ha un euro in bilancio, spende 688 mila euro all'anno per rimborsare le aziende che hanno fra i loro dipendenti consiglieri comunali e per pagare la benzina ai componenti di Sala delle Lapidi residenti fuori città. Una cifra raddoppiata nel giro di due anni, perché nel 2006 il costo era di appena 335 mila euro.Per legge Palazzo delle Aquile deve rimborsare, per l'assenza dal luogo di lavoro, le aziende private di cui sono dipendenti i consiglieri eletti. «Un atto dovuto per legge e sul quale non ho alcuna discrezionalità», dice il presidente di Sala delle Lapidi, Alberto Campagna. Nel rimborso è previsto il costo dello stipendio lordo, più gli oneri contributivi a carico dell'azienda stessa. Così, tra consiglieri che poco prima di essere rieletti hanno cambiato lavoro passando da funzionari a dirigenti, e che da titolari d'imprese sono diventati dipendenti della stesse, la corsa ai rimborsi ha fatto lievitare la spesa a carico delle casse comunali.Il costo maggiore Sala delle Lapidi lo affronta per pagare le assenze dal lavoro del consigliere dell'Mpa Sandro Oliveri, dipendente della Servizi globali Sicilia: le sue assenze costano al mese circa 11 mila euro. Oliveri è direttore generale della società, che si occupa di servizi di pulizia e nel 2006 ha avuto un utile di 14 mila euro: «Sono direttore generale della holding di un gruppo d'imprese che hanno fatturati molto più elevati», spiega. Ma il dipendente Oliveri risulta essere anche proprietario della società che lo ha assunto, con una quota del 5 per cento, insieme al fratello Mauro.Dopo di lui, il consigliere più "costoso" è Salvo Italiano, del Pdl: per le sue assenze dal lavoro il Comune paga circa 9 mila euro al mese, che all'anno diventano 108 mila. Italiano, medico specializzato in ematologia e odontoiatria, è da più di un anno dirigente della Sa.Co. srl, azienda di Isola delle Femmine che si occupa di sistemi di sicurezza e costruzione di casseforti. Che ci fa un medico in questa azienda? «Semplice, sono un esperto, riconosciuto dal ministero, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro», dice.
Italiano è stato assunto alla Sa.Co poco prima di essere rieletto per la terza volta a Sala delle Lapidi: «Lavoravo in un ente di formazione della Regione e chiaramente lo stipendio era molto più basso», aggiunge. Al terzo posto si piazza Maurizio Pellegrino del Pd, alto dirigente della Cgil, che costa circa 4.800 euro al mese, che all'anno diventano 57 mila euro: «Ma deve essere chiaro che in questa cifra è compreso anche la spesa previdenziale a carico della Cgil». Dopo Pellegrino c'è Rosario Filoramo, sempre del Pd, che costa circa 4 mila euro al mese: «Sono da molti anni dirigente della Uisp e responsabile delle relazioni internazionali dell'associazione», dice Filoramo.Oltre gli oneri per assenza dal lavoro, a carico di Sala delle Lapidi c'è poi il rimborso della benzina per i consiglieri che hanno la residenza fuori città. Tra questi Patrizio Lodato, capogruppo dell'Udc, che è residente a Cefalù e ha rimborsi mensili per 800 euro, insieme a Salvatore Orlando del Pd, residente a Corleone. Rimborsi che raddoppiano anche nello steso giorno: se nell'arco di poche ore c'è seduta di consiglio e poi di commissione, i rimborsi scattano come se il consigliere avesse fatto due volte avanti e indietro dal luogo di residenza. «Viaggio tutti i giorni da Cefalù», dice Lodato, che nonostante sia dipendente di una ditta privata ha rinunciato però al pagamento degli oneri.
di ANTONIO FRASCHILLA
Il Comune che non ha fondi per i senza casa e non ha un euro in bilancio, spende 688 mila euro all'anno per rimborsare le aziende che hanno fra i loro dipendenti consiglieri comunali e per pagare la benzina ai componenti di Sala delle Lapidi residenti fuori città. Una cifra raddoppiata nel giro di due anni, perché nel 2006 il costo era di appena 335 mila euro.Per legge Palazzo delle Aquile deve rimborsare, per l'assenza dal luogo di lavoro, le aziende private di cui sono dipendenti i consiglieri eletti. «Un atto dovuto per legge e sul quale non ho alcuna discrezionalità», dice il presidente di Sala delle Lapidi, Alberto Campagna. Nel rimborso è previsto il costo dello stipendio lordo, più gli oneri contributivi a carico dell'azienda stessa. Così, tra consiglieri che poco prima di essere rieletti hanno cambiato lavoro passando da funzionari a dirigenti, e che da titolari d'imprese sono diventati dipendenti della stesse, la corsa ai rimborsi ha fatto lievitare la spesa a carico delle casse comunali.Il costo maggiore Sala delle Lapidi lo affronta per pagare le assenze dal lavoro del consigliere dell'Mpa Sandro Oliveri, dipendente della Servizi globali Sicilia: le sue assenze costano al mese circa 11 mila euro. Oliveri è direttore generale della società, che si occupa di servizi di pulizia e nel 2006 ha avuto un utile di 14 mila euro: «Sono direttore generale della holding di un gruppo d'imprese che hanno fatturati molto più elevati», spiega. Ma il dipendente Oliveri risulta essere anche proprietario della società che lo ha assunto, con una quota del 5 per cento, insieme al fratello Mauro.Dopo di lui, il consigliere più "costoso" è Salvo Italiano, del Pdl: per le sue assenze dal lavoro il Comune paga circa 9 mila euro al mese, che all'anno diventano 108 mila. Italiano, medico specializzato in ematologia e odontoiatria, è da più di un anno dirigente della Sa.Co. srl, azienda di Isola delle Femmine che si occupa di sistemi di sicurezza e costruzione di casseforti. Che ci fa un medico in questa azienda? «Semplice, sono un esperto, riconosciuto dal ministero, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro», dice.
Italiano è stato assunto alla Sa.Co poco prima di essere rieletto per la terza volta a Sala delle Lapidi: «Lavoravo in un ente di formazione della Regione e chiaramente lo stipendio era molto più basso», aggiunge. Al terzo posto si piazza Maurizio Pellegrino del Pd, alto dirigente della Cgil, che costa circa 4.800 euro al mese, che all'anno diventano 57 mila euro: «Ma deve essere chiaro che in questa cifra è compreso anche la spesa previdenziale a carico della Cgil». Dopo Pellegrino c'è Rosario Filoramo, sempre del Pd, che costa circa 4 mila euro al mese: «Sono da molti anni dirigente della Uisp e responsabile delle relazioni internazionali dell'associazione», dice Filoramo.Oltre gli oneri per assenza dal lavoro, a carico di Sala delle Lapidi c'è poi il rimborso della benzina per i consiglieri che hanno la residenza fuori città. Tra questi Patrizio Lodato, capogruppo dell'Udc, che è residente a Cefalù e ha rimborsi mensili per 800 euro, insieme a Salvatore Orlando del Pd, residente a Corleone. Rimborsi che raddoppiano anche nello steso giorno: se nell'arco di poche ore c'è seduta di consiglio e poi di commissione, i rimborsi scattano come se il consigliere avesse fatto due volte avanti e indietro dal luogo di residenza. «Viaggio tutti i giorni da Cefalù», dice Lodato, che nonostante sia dipendente di una ditta privata ha rinunciato però al pagamento degli oneri.
Da la Repubblica
Palermo. Pass, telefono, stadio gratis: la vita facile dei consiglieri comunali del capoluogo
Il pc l´ultimo benefit. Fino a 5 mila euro per un viaggio
di Antonio Fraschilla
Ingresso gratuito allo stadio per le partite del Palermo. Ingresso gratuito e prenotazione al teatro Massimo e al Biondo. Telefonino con 15 numeri gratuiti e il resto delle telefonate a tariffa ridotta. Corsie preferenziali garantite e rimborso di viaggi in Italia e all´estero legati ad appuntamenti istituzionali e di aggiornamento. Per non parlare del posteggio gratuito anche sulle strisce blu. Sono i benefit della vita da consigliere comunale, agevolazioni che spettano ai 50 inquilini di Sala delle Lapidi, che hanno ricevuto l´ultimo «regalo» qualche settimana fa: un computer ciascuno, per un costo complessivo di 40 mila euro. Tutti benefit che alla fine pesano sulle casse già disastrate di Palazzo delle Aquile: a partire dai viaggi, per i quali sono stati stanziati 117 mila euro. Soldi che si aggiungono ai 2,1 milioni di euro all´anno per i gettoni delle sedute dei consiglieri.Da settembre 2007 a luglio 2008 per viaggi e missioni sono stati spesi 63 mila euro. Decine le richieste di rimborso arrivate sul tavolo del presidente del Consiglio comunale Alberto Campagna. «Le valuto caso per caso, chiaramente devono essere inviti per convegni o viaggi che hanno come scopo appuntamenti istituzionali, nei ministeri piuttosto che all´Anci», dice Campagna. Il rimborso prevede il pagamento dell´aereo e dell´albergo, più 60 euro al giorno per il vitto in città italiane, che diventano quasi cento all´estero. Tra i consiglieri giramondo c´è Elio Bonfanti, che però fa parte del comitato nazionale dell´Anci sul turismo. «Ho partecipato a vari incontri per l´Anci, di cui sono delegato», dice Bonfanti che ha presentato richieste di rimborso per 9.406 euro, per viaggi a Madrid (alla fiera del turismo), Roma, Milano, Brescia, Riva del Garda e Mogliano Veneto. Circa 11 mila euro è costato invece il viaggio a Bruxelles dei consiglieri Manfredi Agnello, Rino Mineo, Nunzio Moschetti e Angelo Ribaudo. Un rimborso da 5.208 euro lo hanno presentato Filippo Fraccone e Salvatore Mirabile per un viaggio a Parigi. La stessa cifra che ha speso Giovanni Greco per un incontro tra gli italiani all´estero che si è tenuto ad Atlantic City, negli Stati Uniti.
Il presidente del consiglio, Campagna, ha avuto rimborsati 4.800 euro per quattro viaggi a Roma e uno a Madrid. Il capogruppo del Pdl, Giulio Tantillo, è andato in missione a Roma, Milano e Berlino presentando un rimborso da 3.165 euro. I consiglieri Salvatore Palma, Salvatore Orlando e Gerlando Inzerillo hanno avuto rimborsati circa 2 mila euro a testa per aver partecipato a una fiera del turismo a Berlino. Maurizio Pellegrino ha invece speso 5.970 euro per viaggi a Roma, Napoli, Torino e Sofia, per partecipare a convegni vari, sul tema del tram o sul verde nelle città europee. Il presidente della commissione Bilancio, Sebastiano Drago, è volato 3 volte a Roma per una spesa di 2.977 euro. Il rimborso più veloce è stato però quello del consigliere Vincenzo Tanania, subentrato ad Alessandra Siragusa, eletta alla Camera: il giorno dopo il suo insediamento ha presentato un rimborso da 382 euro per una missione a Roma.Piccoli e grandi benefit, che rendono più agevole la vita per chi mette piede a Sala delle Lapidi. Oltre ai viaggi c´è il telefono, con 15 numeri telefonici gratuiti e una tariffa agevolata, con la Wind, grazie a un contratto che l´azienda telefonica ha firmato con il Comune. Oltre al telefonino il consigliere comunale ha poi diritto a un posto gratuito nella tribuna dello stadio durante le partite dei rosanero, e a un posto per i concerti e gli eventi in programma nei teatri cittadini, Massimo e Biondo. Quattro mesi fa, inoltre, la presidenza del consiglio ha indetto una gara di 40 mila euro per l´acquisto di 50 computer portatili, che sono stati consegnati ai cinquanta eletti a Sala delle Lapidi.Per il presidente Campagna, comunque, si tratta alla fine di spese contenute: «Ricordo a tutti che il Consiglio comunale di Palermo è stato uno dei pochi in Sicilia a ridurre il costo dei gettoni di presenza», dice Campagna.
Da La Repubblica Palermo
di Antonio Fraschilla
Ingresso gratuito allo stadio per le partite del Palermo. Ingresso gratuito e prenotazione al teatro Massimo e al Biondo. Telefonino con 15 numeri gratuiti e il resto delle telefonate a tariffa ridotta. Corsie preferenziali garantite e rimborso di viaggi in Italia e all´estero legati ad appuntamenti istituzionali e di aggiornamento. Per non parlare del posteggio gratuito anche sulle strisce blu. Sono i benefit della vita da consigliere comunale, agevolazioni che spettano ai 50 inquilini di Sala delle Lapidi, che hanno ricevuto l´ultimo «regalo» qualche settimana fa: un computer ciascuno, per un costo complessivo di 40 mila euro. Tutti benefit che alla fine pesano sulle casse già disastrate di Palazzo delle Aquile: a partire dai viaggi, per i quali sono stati stanziati 117 mila euro. Soldi che si aggiungono ai 2,1 milioni di euro all´anno per i gettoni delle sedute dei consiglieri.Da settembre 2007 a luglio 2008 per viaggi e missioni sono stati spesi 63 mila euro. Decine le richieste di rimborso arrivate sul tavolo del presidente del Consiglio comunale Alberto Campagna. «Le valuto caso per caso, chiaramente devono essere inviti per convegni o viaggi che hanno come scopo appuntamenti istituzionali, nei ministeri piuttosto che all´Anci», dice Campagna. Il rimborso prevede il pagamento dell´aereo e dell´albergo, più 60 euro al giorno per il vitto in città italiane, che diventano quasi cento all´estero. Tra i consiglieri giramondo c´è Elio Bonfanti, che però fa parte del comitato nazionale dell´Anci sul turismo. «Ho partecipato a vari incontri per l´Anci, di cui sono delegato», dice Bonfanti che ha presentato richieste di rimborso per 9.406 euro, per viaggi a Madrid (alla fiera del turismo), Roma, Milano, Brescia, Riva del Garda e Mogliano Veneto. Circa 11 mila euro è costato invece il viaggio a Bruxelles dei consiglieri Manfredi Agnello, Rino Mineo, Nunzio Moschetti e Angelo Ribaudo. Un rimborso da 5.208 euro lo hanno presentato Filippo Fraccone e Salvatore Mirabile per un viaggio a Parigi. La stessa cifra che ha speso Giovanni Greco per un incontro tra gli italiani all´estero che si è tenuto ad Atlantic City, negli Stati Uniti.
Il presidente del consiglio, Campagna, ha avuto rimborsati 4.800 euro per quattro viaggi a Roma e uno a Madrid. Il capogruppo del Pdl, Giulio Tantillo, è andato in missione a Roma, Milano e Berlino presentando un rimborso da 3.165 euro. I consiglieri Salvatore Palma, Salvatore Orlando e Gerlando Inzerillo hanno avuto rimborsati circa 2 mila euro a testa per aver partecipato a una fiera del turismo a Berlino. Maurizio Pellegrino ha invece speso 5.970 euro per viaggi a Roma, Napoli, Torino e Sofia, per partecipare a convegni vari, sul tema del tram o sul verde nelle città europee. Il presidente della commissione Bilancio, Sebastiano Drago, è volato 3 volte a Roma per una spesa di 2.977 euro. Il rimborso più veloce è stato però quello del consigliere Vincenzo Tanania, subentrato ad Alessandra Siragusa, eletta alla Camera: il giorno dopo il suo insediamento ha presentato un rimborso da 382 euro per una missione a Roma.Piccoli e grandi benefit, che rendono più agevole la vita per chi mette piede a Sala delle Lapidi. Oltre ai viaggi c´è il telefono, con 15 numeri telefonici gratuiti e una tariffa agevolata, con la Wind, grazie a un contratto che l´azienda telefonica ha firmato con il Comune. Oltre al telefonino il consigliere comunale ha poi diritto a un posto gratuito nella tribuna dello stadio durante le partite dei rosanero, e a un posto per i concerti e gli eventi in programma nei teatri cittadini, Massimo e Biondo. Quattro mesi fa, inoltre, la presidenza del consiglio ha indetto una gara di 40 mila euro per l´acquisto di 50 computer portatili, che sono stati consegnati ai cinquanta eletti a Sala delle Lapidi.Per il presidente Campagna, comunque, si tratta alla fine di spese contenute: «Ricordo a tutti che il Consiglio comunale di Palermo è stato uno dei pochi in Sicilia a ridurre il costo dei gettoni di presenza», dice Campagna.
Da La Repubblica Palermo
giovedì 25 dicembre 2008
Il Natale al tempo del liberismo senza regole
di Agostino Spataro
Negli anni del fascismo, Natale era “lu friddu e la fame”. Così assicura mio nonno, Agostino Cultrera, bracciante proletario e improvvisatore sopraffino, in una sua poesia dell’epoca, nella quale rivela che per dare al Natale una parvenza di festa fu costretto a svendere la “jocca cu tutti i puddricini” ovvero la chioccia con tutti i pulcini. Si, perché allora il Natale più che un’attesa ricorrenza era una sorta di scadenza indesiderata che si stentava ad onorare. I bambini non s’aspettavano nulla, anche perché Babbo Natale sconosceva queste contrade. Era un po’ questo il Natale dei poveri ossia della stragrande maggioranza della popolazione. Ma anche i ricchi lo vivevano con un certo imbarazzo. Molti lo festeggiavano in sordina, taluni, addirittura, a porte chiuse per non far udire ai poveri, e agli agenti del dazio, i clamori del loro miserabile benessere.
Oggi, grazie alla democrazia e al progresso sociale conquistati col sacrificio d’intere generazioni di lavoratori e di emigrati, il Natale è la festa più attesa. Anche in questo tempo incerto, è tornato a ravvivare la tradizione che, con i regali, porta anche la ricreante sensazione d’intimo rasserenamento e di riconciliazione con il prossimo. Comportamenti normali, umani direi, che però possiamo permetterci solo in questo periodo e non per il resto dell’anno che viviamo egoisticamente, anche a danno di altri. La questione non è solo morale, ma è anche di natura sociale e politica. Voi direte: ma cosa c’entra la politica con le feste comandate? Penso che c’entri e tanto. Giacché i nostri comportamenti, anche in queste occasioni, sono influenzati da sofisticate strategie consumistiche, psicologiche perfino, che, fra affanni e disattenzioni, non ci fanno vedere l’espandersi, doloroso e tumultuoso, della geografia della miseria e delle malattie. Nel mondo e in casa nostra. Le cronache c’informano che ormai questi fenomeni hanno oltrepassato i confini delle più disperate regioni dell’Africa e dell’America Latina e cominciano a prendere piedi in Sicilia, in Italia e nella ricca Europa. Una realtà drammatica che non si può fermare con qualche sacco di farina o con la carità di chi prima provoca o favorisce il disastro e poi vorrebbe rimediarvi con un modesto atto liberatorio. Dopo un trentennio, bisogna prendere atto che la globalizzazione liberista, l’ideologia del mercato, che ha sostituito le altre preesistenti, non produce giustizia sociale, ma scandalosi profitti per pochi e una gran quantità di poveri, di emarginati. Gli effetti si sono propagati un po’ dovunque. Anche in Sicilia, dove il 30% delle famiglie vive sotto la soglia di povertà e molti cittadini non hanno più accesso a taluni servizi essenziali. Intorno a noi, soprattutto nelle grandi città dell’Isola, sta crescendo un mondo di esclusi. Giacché è cambiato il segno distintivo della società che invece d’includere tende ad escludere. La povertà non sembra guardare in faccia a nessuno, colpisce i pensionati, gli operai, ma anche il ceto medio e, soprattutto, i giovani disoccupati o arruolati nelle folte schiere del precariato. Viviamo il tempo dell’incertezza, della sospensione dei diritti fondamentali. La gente trema pensando al futuro. L’incertezza non è data solo dalla paura della crisi recente, che s’annuncia durissima, ma viene da lontano: da quando è in atto una regressione generale che, passo dopo passo, colpo su colpo, tende a riportare il mondo a l’ancien regime. Si, quello crollato nel 1789. Liquidata, in quattro e quattro otto, l’esperienza socialista, talvolta realizzata in contraddizione con se stessa, ora si punta a demolire l’ultimo baluardo del progresso sociale, culturale e giuridico moderno: la rivoluzione francese. Non è casuale che la globalizzazione sta liquidando la stessa piccola e media borghesia produttiva che, per molti versi, è stata uno degli assi portanti del progresso democratico delle nazioni. Non sarà facile, ma ci stanno provando. Anche in Italia dove, senza dichiararlo in pubblico, si sta attuando, talvolta in forma “bi-partizan”, la trasformazione materiale e no della Costituzione, trasformando in obolo i diritti fondamentali dei cittadini. Invece che salari, pensioni e servizi decenti, si concedono “buoni-spesa” e domani, forse, anche le tessere per il pane. Perché non si vogliono uomini e donne dotati di diritti e di doveri, ma questuanti con la mano tesa.
E, così, per alleviare i disagi e ricreare l’illusione di una vita degna si organizza una festa bella e benefica, il Natale, per l’appunto, quando tutto luccica e anche i grandi patrimoni sprizzano bontà e solidarietà. Per un paio di settimane, vediamo l’avido ghigno dei miliardari mutarsi in sorriso concedente e schiere d’ipocrite dame sculettare, fra tende oltraggiose e tristi ospedali, per portare agli esclusi (da chi?) la loro carità pelosa. Insomma, fra Natale e l’Epifania avviene il miracolo della bontà. Due settimane e mezzo. Per il resto dell’anno, ossia per altre 50 settimane, lacrime e sangue. Molti, anche dai pulpiti, per evitare la ricerca delle responsabilità s’appellano ad insondabili volontà superiori, taluni al destino cinico e baro che, stranamente, s’accaniscono sempre contro i più deboli. Meno male che c’è il destino che mette a posto le farisaiche, false coscienze. Comunque sia, auguri a tutti! Sperando che, fra un pranzo e l’altro, qualcuno rifletta e si volti a guardare coloro che stanno dietro.
Agostino Spataro
Negli anni del fascismo, Natale era “lu friddu e la fame”. Così assicura mio nonno, Agostino Cultrera, bracciante proletario e improvvisatore sopraffino, in una sua poesia dell’epoca, nella quale rivela che per dare al Natale una parvenza di festa fu costretto a svendere la “jocca cu tutti i puddricini” ovvero la chioccia con tutti i pulcini. Si, perché allora il Natale più che un’attesa ricorrenza era una sorta di scadenza indesiderata che si stentava ad onorare. I bambini non s’aspettavano nulla, anche perché Babbo Natale sconosceva queste contrade. Era un po’ questo il Natale dei poveri ossia della stragrande maggioranza della popolazione. Ma anche i ricchi lo vivevano con un certo imbarazzo. Molti lo festeggiavano in sordina, taluni, addirittura, a porte chiuse per non far udire ai poveri, e agli agenti del dazio, i clamori del loro miserabile benessere.
Oggi, grazie alla democrazia e al progresso sociale conquistati col sacrificio d’intere generazioni di lavoratori e di emigrati, il Natale è la festa più attesa. Anche in questo tempo incerto, è tornato a ravvivare la tradizione che, con i regali, porta anche la ricreante sensazione d’intimo rasserenamento e di riconciliazione con il prossimo. Comportamenti normali, umani direi, che però possiamo permetterci solo in questo periodo e non per il resto dell’anno che viviamo egoisticamente, anche a danno di altri. La questione non è solo morale, ma è anche di natura sociale e politica. Voi direte: ma cosa c’entra la politica con le feste comandate? Penso che c’entri e tanto. Giacché i nostri comportamenti, anche in queste occasioni, sono influenzati da sofisticate strategie consumistiche, psicologiche perfino, che, fra affanni e disattenzioni, non ci fanno vedere l’espandersi, doloroso e tumultuoso, della geografia della miseria e delle malattie. Nel mondo e in casa nostra. Le cronache c’informano che ormai questi fenomeni hanno oltrepassato i confini delle più disperate regioni dell’Africa e dell’America Latina e cominciano a prendere piedi in Sicilia, in Italia e nella ricca Europa. Una realtà drammatica che non si può fermare con qualche sacco di farina o con la carità di chi prima provoca o favorisce il disastro e poi vorrebbe rimediarvi con un modesto atto liberatorio. Dopo un trentennio, bisogna prendere atto che la globalizzazione liberista, l’ideologia del mercato, che ha sostituito le altre preesistenti, non produce giustizia sociale, ma scandalosi profitti per pochi e una gran quantità di poveri, di emarginati. Gli effetti si sono propagati un po’ dovunque. Anche in Sicilia, dove il 30% delle famiglie vive sotto la soglia di povertà e molti cittadini non hanno più accesso a taluni servizi essenziali. Intorno a noi, soprattutto nelle grandi città dell’Isola, sta crescendo un mondo di esclusi. Giacché è cambiato il segno distintivo della società che invece d’includere tende ad escludere. La povertà non sembra guardare in faccia a nessuno, colpisce i pensionati, gli operai, ma anche il ceto medio e, soprattutto, i giovani disoccupati o arruolati nelle folte schiere del precariato. Viviamo il tempo dell’incertezza, della sospensione dei diritti fondamentali. La gente trema pensando al futuro. L’incertezza non è data solo dalla paura della crisi recente, che s’annuncia durissima, ma viene da lontano: da quando è in atto una regressione generale che, passo dopo passo, colpo su colpo, tende a riportare il mondo a l’ancien regime. Si, quello crollato nel 1789. Liquidata, in quattro e quattro otto, l’esperienza socialista, talvolta realizzata in contraddizione con se stessa, ora si punta a demolire l’ultimo baluardo del progresso sociale, culturale e giuridico moderno: la rivoluzione francese. Non è casuale che la globalizzazione sta liquidando la stessa piccola e media borghesia produttiva che, per molti versi, è stata uno degli assi portanti del progresso democratico delle nazioni. Non sarà facile, ma ci stanno provando. Anche in Italia dove, senza dichiararlo in pubblico, si sta attuando, talvolta in forma “bi-partizan”, la trasformazione materiale e no della Costituzione, trasformando in obolo i diritti fondamentali dei cittadini. Invece che salari, pensioni e servizi decenti, si concedono “buoni-spesa” e domani, forse, anche le tessere per il pane. Perché non si vogliono uomini e donne dotati di diritti e di doveri, ma questuanti con la mano tesa.
E, così, per alleviare i disagi e ricreare l’illusione di una vita degna si organizza una festa bella e benefica, il Natale, per l’appunto, quando tutto luccica e anche i grandi patrimoni sprizzano bontà e solidarietà. Per un paio di settimane, vediamo l’avido ghigno dei miliardari mutarsi in sorriso concedente e schiere d’ipocrite dame sculettare, fra tende oltraggiose e tristi ospedali, per portare agli esclusi (da chi?) la loro carità pelosa. Insomma, fra Natale e l’Epifania avviene il miracolo della bontà. Due settimane e mezzo. Per il resto dell’anno, ossia per altre 50 settimane, lacrime e sangue. Molti, anche dai pulpiti, per evitare la ricerca delle responsabilità s’appellano ad insondabili volontà superiori, taluni al destino cinico e baro che, stranamente, s’accaniscono sempre contro i più deboli. Meno male che c’è il destino che mette a posto le farisaiche, false coscienze. Comunque sia, auguri a tutti! Sperando che, fra un pranzo e l’altro, qualcuno rifletta e si volti a guardare coloro che stanno dietro.
Agostino Spataro
mercoledì 24 dicembre 2008
"Speriamo" un'intervista al direttore di Telejato, Pino Maniaci, su mafia, antimafia e "ambiente"
di Sara Picardo
Tre piccole stanze sempre affollate di gente. Sei computer scalcagnati. Quattro telecamere che hanno fatto "battaglia", in tutti i sensi. Una fotocopiatrice che stampa quasi in bianco. E un fax che non smette mai di vomitare comunicati stampa di carabinieri e polizia. Bollettini di trincea da una terra infestata dalla mafia che, dopo la tregua imposta dallo zio "Binnu" Provenzano, ha ricominciato a sparare. Tutta qui la redazione dell'emittente più piccola d'Italia, Telejato, che dal centro di Partinico, in provincia di Palermo, ha dichiarato guerra a Cosa Nostra. E lo fa con un tg lungo due ore, un vero record di notizie, messo su con pochi mezzi da una redazione quasi a conduzione familiare: padre, madre e due figli di 23 e 20 anni. Gli aggueriti Maniaci, circondati dall'affetto e dall'aiuto di tanti collaboratori. Come Salvo Vitale, fondatore insieme a Peppino Impastato di radio Aut, Cosmo Di Carlo corrispondente da Corleone, oppure Franco Buzzotta coraggioso venditore di vini che spesso presta la voce ai titoli del telegiornale, e Gianluca Ricupati a Telejato da quando aveva sedici anni.Proprio a causa dei suoi servizi schietti, che spesso utilizzano l'arma dello scherno e il tono diretto del dialetto siciliano, la tv comunitaria si è "conquistata" quasi trecento querele. Che insieme agli innumerevoli attentati da parte della mafia locale al suo direttore, Pino Maniaci, e ad alcuni suoi collaboratori e familiari, sono i veri e propri trofei, anche se pericolosi, di una televisione che fa giornalismo vero, di quello con la schiena dritta, che cammina sul territorio, ascoltando la voce della gente e non si ferma nemmeno di fronte alle minacce, alle botte, alle auto incendiate o alle "vie legali".
Tre piccole stanze sempre affollate di gente. Sei computer scalcagnati. Quattro telecamere che hanno fatto "battaglia", in tutti i sensi. Una fotocopiatrice che stampa quasi in bianco. E un fax che non smette mai di vomitare comunicati stampa di carabinieri e polizia. Bollettini di trincea da una terra infestata dalla mafia che, dopo la tregua imposta dallo zio "Binnu" Provenzano, ha ricominciato a sparare. Tutta qui la redazione dell'emittente più piccola d'Italia, Telejato, che dal centro di Partinico, in provincia di Palermo, ha dichiarato guerra a Cosa Nostra. E lo fa con un tg lungo due ore, un vero record di notizie, messo su con pochi mezzi da una redazione quasi a conduzione familiare: padre, madre e due figli di 23 e 20 anni. Gli aggueriti Maniaci, circondati dall'affetto e dall'aiuto di tanti collaboratori. Come Salvo Vitale, fondatore insieme a Peppino Impastato di radio Aut, Cosmo Di Carlo corrispondente da Corleone, oppure Franco Buzzotta coraggioso venditore di vini che spesso presta la voce ai titoli del telegiornale, e Gianluca Ricupati a Telejato da quando aveva sedici anni.Proprio a causa dei suoi servizi schietti, che spesso utilizzano l'arma dello scherno e il tono diretto del dialetto siciliano, la tv comunitaria si è "conquistata" quasi trecento querele. Che insieme agli innumerevoli attentati da parte della mafia locale al suo direttore, Pino Maniaci, e ad alcuni suoi collaboratori e familiari, sono i veri e propri trofei, anche se pericolosi, di una televisione che fa giornalismo vero, di quello con la schiena dritta, che cammina sul territorio, ascoltando la voce della gente e non si ferma nemmeno di fronte alle minacce, alle botte, alle auto incendiate o alle "vie legali".
Abbiamo intervistato Pino Maniaci a bordo della sua vecchia Bmw (l'ultima auto che gli è rimasta dopo che a luglio ignoti gli hanno incendiato la mitica Pinomobile di Telajato), mentre tra una sigaretta e l'altra, correva come un pazzo tra Cinisi e Borgetto, per girare l'ennesimo servizio per la "sua" gente, come la chiama lui, quella onesta. E contro quell' "altra", che con lui non ha niente a che fare e che insozza con la violenza e la corruzione la sua bella Sicilia.
Pino ma come ti è venuto in mente di fare un tg antimafia nella valle dello Jato, terra di boss come i Lo Piccolo e zio"Binnu" Provenzano? Evito di chiederti chi te l'ha fatto fare, perché so che mi manderesti a fanc... senza pensarci due volte, ma non sarai un pò pazzo?
Ti giro la domanda: come si fa, avendo una tv tra le mani, a non fare un tg antimafia proprio nella Valle dello Jato, dove si nascondevano e si nascondono mafiosi di quel calibro e dove la gente paga il pizzo anche per respirare? Anzi, ti dirò di più, quando ho rilevato la tv da Rifondazione comunista, nel 1999, che la stava chiudendo per debiti, e ho scoperto per puro caso che trasmettevamo anche a Corleone, ho cominciato ogni anno a gennaio a fare gli auguri allo Zio Binnu, u tratturi, dicendogli: consegnati pezzo di m.... Questa idea mi è venuta a poco a poco, guardando come le altre tv di zona omettessero di fare nomi e cognomi ogni volta che si verificava un fatto di mafia. Questo mi ha fatto incazzare e così ho cominciato a farli io.
Ti giro la domanda: come si fa, avendo una tv tra le mani, a non fare un tg antimafia proprio nella Valle dello Jato, dove si nascondevano e si nascondono mafiosi di quel calibro e dove la gente paga il pizzo anche per respirare? Anzi, ti dirò di più, quando ho rilevato la tv da Rifondazione comunista, nel 1999, che la stava chiudendo per debiti, e ho scoperto per puro caso che trasmettevamo anche a Corleone, ho cominciato ogni anno a gennaio a fare gli auguri allo Zio Binnu, u tratturi, dicendogli: consegnati pezzo di m.... Questa idea mi è venuta a poco a poco, guardando come le altre tv di zona omettessero di fare nomi e cognomi ogni volta che si verificava un fatto di mafia. Questo mi ha fatto incazzare e così ho cominciato a farli io.
Anche a costo di rimetterci tu e la tua famiglia. Se non sbaglio vivi sotto scorta e non si contano le volte che ti hanno staccato la luce perché non riuscivi a pagare la bolletta. E' vero che una tua celebre protesta è culminata in uno spogliarello in cui ti vendevi tutti gli organi per mandare avanti Telejato?
Ti sbagli, e due volte. Primo: non sono sotto scorta ma sotto tutela, che è diverso. La scorta l'ho rifiutata perché mi renderebbe impossibile muovermi in libertà. Ti immagini tu fare le interviste con un poliziotto sempre attaccato alle costole? La tutela invece me l'hanno messa dopo che il più piccolo della famiglia mafiosa del boss Vitale, detta Fardazza, insieme a un suo amico, mi ha picchiato in pieno giorno, ammaccandomi quattro costole e facendomi un occhio nero. Secondo sbaglio: non me li sono venduti tutti gli organi, i polmoni li ho risparmiati. Mi fumo tre pacchetti di sigarette al giorno e non se li comprerebbe nessuno così ridotti. E per la tua famiglia, che ti segue ogni giorno nella realizzazione del tg, invece, non hai paura? Per la mia famiglia, invece, è un altro conto. In questa mia follia ho trascinato anche loro ed è la mia unica preoccupazione. Però, dopo che il "fardazzino", come lo chiamo io, mi ha picchiato e dopo un pò ha anche provato a mettere sotto con il motorino mio figlio, ho detto a tutti loro che forse era il caso di rallentare un po'. Sai cosa mi hanno risposto mia figlia Letizia (che monta in diretta e fa le riprese del tg ndr ), insieme a mio figlio Giovanni (che aiuta il padre a girare i servizi ndr )? Mi hanno detto: "Papà, tu riposati, che ci pensiamo noi!". Allora ho capito che non c'era niente da fare, ormai avrebbero continuato anche senza di me. Così ho messo la firma e sono uscito dall'ospedale per leggere il tg. La mia faccia non è bella come quella di mia figlia, ma almeno sono io a fare i nomi e cognomi, non lei.
Ti sbagli, e due volte. Primo: non sono sotto scorta ma sotto tutela, che è diverso. La scorta l'ho rifiutata perché mi renderebbe impossibile muovermi in libertà. Ti immagini tu fare le interviste con un poliziotto sempre attaccato alle costole? La tutela invece me l'hanno messa dopo che il più piccolo della famiglia mafiosa del boss Vitale, detta Fardazza, insieme a un suo amico, mi ha picchiato in pieno giorno, ammaccandomi quattro costole e facendomi un occhio nero. Secondo sbaglio: non me li sono venduti tutti gli organi, i polmoni li ho risparmiati. Mi fumo tre pacchetti di sigarette al giorno e non se li comprerebbe nessuno così ridotti. E per la tua famiglia, che ti segue ogni giorno nella realizzazione del tg, invece, non hai paura? Per la mia famiglia, invece, è un altro conto. In questa mia follia ho trascinato anche loro ed è la mia unica preoccupazione. Però, dopo che il "fardazzino", come lo chiamo io, mi ha picchiato e dopo un pò ha anche provato a mettere sotto con il motorino mio figlio, ho detto a tutti loro che forse era il caso di rallentare un po'. Sai cosa mi hanno risposto mia figlia Letizia (che monta in diretta e fa le riprese del tg ndr ), insieme a mio figlio Giovanni (che aiuta il padre a girare i servizi ndr )? Mi hanno detto: "Papà, tu riposati, che ci pensiamo noi!". Allora ho capito che non c'era niente da fare, ormai avrebbero continuato anche senza di me. Così ho messo la firma e sono uscito dall'ospedale per leggere il tg. La mia faccia non è bella come quella di mia figlia, ma almeno sono io a fare i nomi e cognomi, non lei.
Oltre ai nomi e cognomi dei mafiosi, però, tu fai pure quelli di politici corrotti, industriali e potenti che inquinano la Sicilia. Tanto che ti sei beccato quasi trecento querele, di cui oltre 200 da parte della stessa signora, la Bertolino, cognata del pentito Siino, proprietaria dell'omonima distilleria che sorge all'interno del centro abitato. Se non sbaglio questa ha chiuso proprio a causa delle denunce di Telejato?
Eh già. Devo ammettere che ho goduto quando ho letto su un giornale: "la tv più piccola d'Italia chiude la distilleria più grande d'Europa". La Bertolino bruciava le vinacce esauste, considerate rifiuti speciali, proprio al centro del paese e la puzza che faceva si sentiva su tutta Partinico. Poi non contenta sversava tutto, e parliamo di reflui che hanno inquinato sia le falde acquifere del territorio sia fiumi e mare per i prossimi cento anni, senza che nessuno potesse fermarla o controllarla. Ci avvelenava. E sai qual è il bello? Che per il fatto che l'ho chiamata la signora della morte, avvelenatrice ecc. sono stato condannato io a tre anni di carcere e una mega multa per danni morali. Però lei ha chiuso e per ora non ci inquina più. Quella str.... Comunque al mio fianco ho avuto anche e soprattutto il "Patto per la salute e l'ambiente" e Nino Amato. Insieme eravamo un'armata.
Ma con tutte queste parolacce che dici e le offese che fai ai mafiosi, uomini d'onore appunto, come pensi che non vogliano farti la pelle. Pino, non ti incazzare, ma chi te lo fa fare di essere così diretto e rischiarci la vita?
E no, ora mi incazzo sì. Sai quanti sono i mafiosi nel territorio siciliano, circa 5mila, se vogliamo contare anche le famiglie. Sai invece la gente della valle dello Jato e della zona in cui arriva il nostro tg quant'è? Circa 150mila persone. Se facciamo una media di 5 milioni di siciliani diviso 5mila mafiosi abbiamo un mafioso su mille e quindi circa 200 mafiosi nel nostro comprensorio. Ecco chi me lo fa fare: circa 148mila persone che sono dalla mia parte e che mi fermano per strada per dirmi: Pino continua così, sei tutti noi. E poi quale onore e onore, questa è gente che squaglia i bambini nell'acido, come il pentito Brusca. L'onore non ce l'ha. Certo, il fatto che li offendo con il loro stesso linguaggio li fa incazzare di brutto. Ma non mi ammazzeranno certo per questo!
E per il fatto che con le tue inchieste tocchi i loro interessi, smascherando e facendogli chiudere imprese economiche, come le famose stalle abusive di Valguarnera, costruite dai Fardazza (ops, i Vitale, se no si arrabbiano e picchiano anche me)? Oppure che nei tuoi lunghi commenti alle notizie spingi la gente a denunciare il pizzo e ogni atto mafioso e illegale che vedono o subiscono?
Per questo magari sì, ma fammi un po' toccare... il fatto è che tutto deve partire dalla gente e dal cambio della mentalità, che qui è spesso collusa, soprattutto nella sfera politica. La mafia spesso è solo una questione di atteggiamento più che di vera e propria criminalità. E poi in un paese come il nostro, dove la disoccupazione è altissima, anche un pezzo di pane può essere scambiato con un voto o una promessa di un lavoro. Quello che facciamo con Telejato, che non sono solo io ma tutta la gente che ci aiuta e che la sostiene, è parlare con le persone: dire loro che devono denunciare e non subire. Farli sentire ascoltati e renderli protagonisti. Sai una cosa bella che è successa?No, però adesso cominci a farmele tu le domande...Un uomo nei mesi passati è andato alla polizia denunciando un boss di zona, che gli aveva sparato alla macchina dopo una lite su una questione di confine di terre. E quando il commissario di polizia gli ha chiesto come mai era corso a denunciarlo, sorpreso di una cosa che normalmente non sarebbe mai successa, il contadino gli ha risposto: perché così mi ha insegnato Telejato. La gente è con noi.
14 dicembre 2008
14 dicembre 2008
Con Pietro Milazzo per i diritti sociali a Palermo
L’atto con il quale il questore di Palermo rigetta il ricorso di Pietro Milazzo per la revoca dell”’avviso orale” a suo carico è paradossale e inquietante. Infatti è paradossale ed inquietante il modo in cui il questore giustifica tale provvedimento appellandosi a tre denuncie e a cinque segnalazioni di polizia, che riguarderebbero Pietro Milazzo per le attività di protesta sociale e di difesa dei diritti dei ceti più poveri della nostra città poste in essere nel tempo.
Le denuncie riguardano:
1) Una occupazione simbolica di Palazzo Tarallo, occupazione temporanea e simbolica per sollecitare l’assessore alla casa a riprendere il tavolo delle trattative e affrontare in modo civile e democratico un problema di emergenza sociale.
2) A seguito delle contestate elezioni del sindaco Cammarata, relativamente ai brogli elettorali nel corso delle elezioni, un gruppo di cittadini manifestava il proprio dissenso.
Alcuni dei responsabili, rei confessi dei brogli elettorali, sono stati perseguiti, arrestati e condannati successivamente dalla magistratura. Tutti possono vedere chi difende la legalità nella nostra città.
3) Ancora una volta le famiglie del comitato di lotta per la casa manifestavano, esasperate per l’insensibilità manifestata dall’Amministrazione Comunale nei confronti di cittadini che per l’ennesima volte chiedevano di riaprire il dialogo per affrontare il problema dell’emergenza casa.
VIDEO-APPELLO DI PIETRO MILAZZO
Delle tre denuncie, due, riguardano, quindi, un gruppo di famiglie esasperate, e la Rete di sostegno sociale per i diritti negati, (rete a cui appartiene anche Pietro Milazzo), che cercano in modo democratico e non violento di sollecitare l’amministrazione comunale a farsi carico di problemi che la stessa trascura da anni.
La terza denuncia riguarda la presenza di Pietro all’interno di un piccolo gruppo di cittadini che, in occasione della visita del presidente della Repubblica, intendevano protestare per la gravissima violazione della legalità e della democrazia che si era perpetrata attraverso i brogli elettorali.
A questo proposito si precisa che, Pietro Milazzo, da cittadino e da sindacalista, attento ai disagi di coloro che vivono emarginati dalla società, e sensibile alla giustizia sociale e ai diritti democratici, ha partecipato a tali iniziative insieme ad altre persone, in modo non violento, pacifico e esercitando pubblicamente, come altri, il diritto alla protesta e al dissenso.
La qualificazione come sit-in non autorizzato della presenza di un numero limitato di cittadini che in un luogo pubblico esprimono il loro dissenso, e dunque la configurazione di uni pericolo per l’ordine e la sicurezza, paventato dalle note del Questore, rendono bene l’idea di un degrado gravissimo dei rapporti che dovrebbero intercorrere tra cittadini ed istituzioni in uno stato che si vuole ancora definire come stato di diritto.
La valutazione assolutamente discrezionale ed “a posteriori” di un comportamento di protesta di poche persone, per le conseguenze che sta per avere in termini di una possibile dichiarazione di pericolosità sociale, lede diritti costituzionalmente riconosciuti, come il diritto di manifestare il proprio pensiero e la libertà di manifestazione che può assumere forme spontanee non sempre soggette ad una preventiva autorizzazione di polizia, senza per questo violare il codice penale..
Se non verrà revocato l’avviso orale consegnato a Pietro Milazzo, si potrà instaurare una prassi amministrativa in base alla quale, se da un rapporto di polizia risulti la partecipazione di un cittadino ad una pacifica iniziativa di protesta, anche di poche persone, o di carattere simbolico, questa stessa partecipazione potrà essere considerata a posteriori come manifestazione non autorizzata, blocco stradale o sit-in o altro ancora, senza che ci sia neppure una contestazione immediata e la concreta possibilità di difendersi di fronte ad un atto discrezionale dell’amministrazione che lede gravemente diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione.
Con l’avviso orale consegnato a Pietro Milazzo, ed adesso ribadito dal Questore, si mettono sullo stesso piano cittadini che manifestano per il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona con quanti sono “dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica”..
Non mancheranno certo le sedi nelle quali si potrà dimostrare l’infondatezza degli assunti giuridici sui quali il questore basa il suo provvedimento, ma la stessa adozione di un tale provvedimento nei confronti di una persona che ha fatto delle lotte sociali la ragione del suo impegno politico e professionale, operando anche all’interno di un sindacato.
La recente conferma del provvedimento da parte del Questore costituisce un gravissimo messaggio in una città come Palermo nella quale la”sicurezza e la tranquillità pubblica” sono messe in pericolo oltre che dalla presenza del sistema mafioso, da una sistematica incapacità di amministrare e rispondere alle domande sociali dei cittadini. Molti dei quali si rivolgono alle organizzazioni malavitose radicate saldamente a livello di territorio di fronte alla incapacità delle istituzioni di fare fronte alle loro responsabilità istituzionali. E nessuno potrà certo negare che la commistione tra disamministrazione e interessi illeciti non si verifichi anche nel settore abitativo a danno dei gruppi sociali più deboli a causa dell’abbandono da parte del comune di una qualsiasi politica di edilizia popolare.
Contro la illegalità diffusa nel territorio e contro la disamministrazione che a quella situazione di illegalità crea le condizioni migliori per prosperare, ha combattuto e combatte Pietro Milazzo, non da solo, ma insieme a tanti altri cittadini di Palermo, che oggi come lui si sentono messi sul banco degli imputati, mentre si tace sulle gravissime responsabilità di chi ha determinato i tutti i settori della città disfunzioni gravissime, e ci si sottrae al doveroso lavoro di mediazione tra istituzioni e cittadini, che appare l’unica via per ricostruire anche nella nostra città condizioni minime di coesione sociale al di fuori delle diffuse pratiche di mediazione clientelare.
Ricordiamo tra l’altro che l’occupazione di edifici pubblici non utilizzati a favore dei senza casa, è stata più volte realizzata, a Palermo come in altre città italiane, in modo pacifico e non violento, anche da altri soggetti vicini al mondo ecclesiastico, ( ad esempio, Biagio Conte) ricevendo non solo l’approvazione dell’opinione pubblica, ma il riconoscimento della giustezza del proprio operato persino dall’Amministrazione .Comunale. che, sia pure a distanza di anni ha legalizzato con un apposito protocollo d’intesa l’avvenuta occupazione. Ed è nota una importante giurisprudenza della Corte di Cassazione che non qualifica come reato l’ occupazione quando questa diventa uno strumento, spesso l’unico strumento, per fare valere diritti fondamentali riconosciuti anche dalla Costituzione, come il diritto alla salute ed il diritto all’abitazione.
Delle cinque segnalazioni di polizia contestate a Pietro Milazzo:
Tre riguardano ancora una volta iniziative di protesta non violente e pacifiche delle famiglie senza casa esasperate per la propria situazione emergenziale.
Una riguarda l’adesione di alcune persone della Rete sociale di sostegno per i diritti negati, tra cui Pietro Milazzo, alle iniziative promosse da un gruppo di cittadini indignati nei confronti dell’allora presidente della Regione Salvatore Cuffaro, condannato dalla magistratura per favoreggiamento di appartenenti ad organizzazioni mafiose. Anche in questo caso tutti possono vedere da che parte sta la legalità.
L’altra iniziativa, a cui hanno partecipato non più di 30 persone, in modo pacifico, senza intralciare il traffico ma esponendo striscioni e scandendo slogan sul marciapiede accanto all’ingresso del porto, riguardava la presenza di una nave da guerra americana diretta in Iraq.
Contestiamo la frase ricorrente nelle denuncie e nelle segnalazioni, “promuoveva e realizzava” rivolte all’opera di Pietro Milazzo, in quanto essa non risponde a verità, perché non è costume della società civile organizzata e dei movimenti, delegare ad una persona la promozione e la realizzazione, ma per il principio di democrazia partecipata ogni iniziativa viene concordata e realizzata collettivamente dai comitati o movimenti che ne rivendicano l’azione..
Riguardo poi alle iniziative che esulano dalla emergenza casa, le altre iniziative sono state organizzate da altri gruppi di cittadini a cui ha aderito anche la rete di sostegno sociale per i diritti negati.
Riteniamo infine di dover sottolineare come il ruolo di un sindacalista, attento ai disagi sociali e ai diritti negati sia un merito da riconoscere e da proporre come esempio. Pertanto proponiamo che la città di Palermo dia un riconoscimento di merito a Pietro Milazzo per l’opera preziosa e necessaria da lui compiuta in tutti questi anni.
Se rivendicare pacificamente i diritti sociali e civili sia un comportamento degno di denunce e di segnalazioni da parte dell’autorità di polizia, allora anche noi siamo“ personalità propense a seguire determinati comportamenti antigiuridici”, come recita la sentenza del TAR citata dal Questore a sostegno del suo provvedimento, e sottoscrivendo questa lettera ci autodenunciamo per gli stessi fatti contestati a Pietro Milazzo.
Nino Rocca
Fulvio Vassallo Paleologo
Per sottoscrivere l'appello: http://www.kom-pa.net
Le denuncie riguardano:
1) Una occupazione simbolica di Palazzo Tarallo, occupazione temporanea e simbolica per sollecitare l’assessore alla casa a riprendere il tavolo delle trattative e affrontare in modo civile e democratico un problema di emergenza sociale.
2) A seguito delle contestate elezioni del sindaco Cammarata, relativamente ai brogli elettorali nel corso delle elezioni, un gruppo di cittadini manifestava il proprio dissenso.
Alcuni dei responsabili, rei confessi dei brogli elettorali, sono stati perseguiti, arrestati e condannati successivamente dalla magistratura. Tutti possono vedere chi difende la legalità nella nostra città.
3) Ancora una volta le famiglie del comitato di lotta per la casa manifestavano, esasperate per l’insensibilità manifestata dall’Amministrazione Comunale nei confronti di cittadini che per l’ennesima volte chiedevano di riaprire il dialogo per affrontare il problema dell’emergenza casa.
VIDEO-APPELLO DI PIETRO MILAZZO
Delle tre denuncie, due, riguardano, quindi, un gruppo di famiglie esasperate, e la Rete di sostegno sociale per i diritti negati, (rete a cui appartiene anche Pietro Milazzo), che cercano in modo democratico e non violento di sollecitare l’amministrazione comunale a farsi carico di problemi che la stessa trascura da anni.
La terza denuncia riguarda la presenza di Pietro all’interno di un piccolo gruppo di cittadini che, in occasione della visita del presidente della Repubblica, intendevano protestare per la gravissima violazione della legalità e della democrazia che si era perpetrata attraverso i brogli elettorali.
A questo proposito si precisa che, Pietro Milazzo, da cittadino e da sindacalista, attento ai disagi di coloro che vivono emarginati dalla società, e sensibile alla giustizia sociale e ai diritti democratici, ha partecipato a tali iniziative insieme ad altre persone, in modo non violento, pacifico e esercitando pubblicamente, come altri, il diritto alla protesta e al dissenso.
La qualificazione come sit-in non autorizzato della presenza di un numero limitato di cittadini che in un luogo pubblico esprimono il loro dissenso, e dunque la configurazione di uni pericolo per l’ordine e la sicurezza, paventato dalle note del Questore, rendono bene l’idea di un degrado gravissimo dei rapporti che dovrebbero intercorrere tra cittadini ed istituzioni in uno stato che si vuole ancora definire come stato di diritto.
La valutazione assolutamente discrezionale ed “a posteriori” di un comportamento di protesta di poche persone, per le conseguenze che sta per avere in termini di una possibile dichiarazione di pericolosità sociale, lede diritti costituzionalmente riconosciuti, come il diritto di manifestare il proprio pensiero e la libertà di manifestazione che può assumere forme spontanee non sempre soggette ad una preventiva autorizzazione di polizia, senza per questo violare il codice penale..
Se non verrà revocato l’avviso orale consegnato a Pietro Milazzo, si potrà instaurare una prassi amministrativa in base alla quale, se da un rapporto di polizia risulti la partecipazione di un cittadino ad una pacifica iniziativa di protesta, anche di poche persone, o di carattere simbolico, questa stessa partecipazione potrà essere considerata a posteriori come manifestazione non autorizzata, blocco stradale o sit-in o altro ancora, senza che ci sia neppure una contestazione immediata e la concreta possibilità di difendersi di fronte ad un atto discrezionale dell’amministrazione che lede gravemente diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione.
Con l’avviso orale consegnato a Pietro Milazzo, ed adesso ribadito dal Questore, si mettono sullo stesso piano cittadini che manifestano per il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona con quanti sono “dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica”..
Non mancheranno certo le sedi nelle quali si potrà dimostrare l’infondatezza degli assunti giuridici sui quali il questore basa il suo provvedimento, ma la stessa adozione di un tale provvedimento nei confronti di una persona che ha fatto delle lotte sociali la ragione del suo impegno politico e professionale, operando anche all’interno di un sindacato.
La recente conferma del provvedimento da parte del Questore costituisce un gravissimo messaggio in una città come Palermo nella quale la”sicurezza e la tranquillità pubblica” sono messe in pericolo oltre che dalla presenza del sistema mafioso, da una sistematica incapacità di amministrare e rispondere alle domande sociali dei cittadini. Molti dei quali si rivolgono alle organizzazioni malavitose radicate saldamente a livello di territorio di fronte alla incapacità delle istituzioni di fare fronte alle loro responsabilità istituzionali. E nessuno potrà certo negare che la commistione tra disamministrazione e interessi illeciti non si verifichi anche nel settore abitativo a danno dei gruppi sociali più deboli a causa dell’abbandono da parte del comune di una qualsiasi politica di edilizia popolare.
Contro la illegalità diffusa nel territorio e contro la disamministrazione che a quella situazione di illegalità crea le condizioni migliori per prosperare, ha combattuto e combatte Pietro Milazzo, non da solo, ma insieme a tanti altri cittadini di Palermo, che oggi come lui si sentono messi sul banco degli imputati, mentre si tace sulle gravissime responsabilità di chi ha determinato i tutti i settori della città disfunzioni gravissime, e ci si sottrae al doveroso lavoro di mediazione tra istituzioni e cittadini, che appare l’unica via per ricostruire anche nella nostra città condizioni minime di coesione sociale al di fuori delle diffuse pratiche di mediazione clientelare.
Ricordiamo tra l’altro che l’occupazione di edifici pubblici non utilizzati a favore dei senza casa, è stata più volte realizzata, a Palermo come in altre città italiane, in modo pacifico e non violento, anche da altri soggetti vicini al mondo ecclesiastico, ( ad esempio, Biagio Conte) ricevendo non solo l’approvazione dell’opinione pubblica, ma il riconoscimento della giustezza del proprio operato persino dall’Amministrazione .Comunale. che, sia pure a distanza di anni ha legalizzato con un apposito protocollo d’intesa l’avvenuta occupazione. Ed è nota una importante giurisprudenza della Corte di Cassazione che non qualifica come reato l’ occupazione quando questa diventa uno strumento, spesso l’unico strumento, per fare valere diritti fondamentali riconosciuti anche dalla Costituzione, come il diritto alla salute ed il diritto all’abitazione.
Delle cinque segnalazioni di polizia contestate a Pietro Milazzo:
Tre riguardano ancora una volta iniziative di protesta non violente e pacifiche delle famiglie senza casa esasperate per la propria situazione emergenziale.
Una riguarda l’adesione di alcune persone della Rete sociale di sostegno per i diritti negati, tra cui Pietro Milazzo, alle iniziative promosse da un gruppo di cittadini indignati nei confronti dell’allora presidente della Regione Salvatore Cuffaro, condannato dalla magistratura per favoreggiamento di appartenenti ad organizzazioni mafiose. Anche in questo caso tutti possono vedere da che parte sta la legalità.
L’altra iniziativa, a cui hanno partecipato non più di 30 persone, in modo pacifico, senza intralciare il traffico ma esponendo striscioni e scandendo slogan sul marciapiede accanto all’ingresso del porto, riguardava la presenza di una nave da guerra americana diretta in Iraq.
Contestiamo la frase ricorrente nelle denuncie e nelle segnalazioni, “promuoveva e realizzava” rivolte all’opera di Pietro Milazzo, in quanto essa non risponde a verità, perché non è costume della società civile organizzata e dei movimenti, delegare ad una persona la promozione e la realizzazione, ma per il principio di democrazia partecipata ogni iniziativa viene concordata e realizzata collettivamente dai comitati o movimenti che ne rivendicano l’azione..
Riguardo poi alle iniziative che esulano dalla emergenza casa, le altre iniziative sono state organizzate da altri gruppi di cittadini a cui ha aderito anche la rete di sostegno sociale per i diritti negati.
Riteniamo infine di dover sottolineare come il ruolo di un sindacalista, attento ai disagi sociali e ai diritti negati sia un merito da riconoscere e da proporre come esempio. Pertanto proponiamo che la città di Palermo dia un riconoscimento di merito a Pietro Milazzo per l’opera preziosa e necessaria da lui compiuta in tutti questi anni.
Se rivendicare pacificamente i diritti sociali e civili sia un comportamento degno di denunce e di segnalazioni da parte dell’autorità di polizia, allora anche noi siamo“ personalità propense a seguire determinati comportamenti antigiuridici”, come recita la sentenza del TAR citata dal Questore a sostegno del suo provvedimento, e sottoscrivendo questa lettera ci autodenunciamo per gli stessi fatti contestati a Pietro Milazzo.
Nino Rocca
Fulvio Vassallo Paleologo
Per sottoscrivere l'appello: http://www.kom-pa.net
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