domenica 30 novembre 2008

Capaci, intimidazione all'ex presidente della Provincia Pietro Puccio (Pd)

Incendiata l'abitazione estiva di Pietro Puccio, attuale assessore comunale ai Lavori pubblici. Per il politico potrebbe trattarsi di un avvertimento preventivo in vista della definizione del Piano regolatore generale
CAPACI (PALERMO) - Un incendio doloso ha danneggiato l'abitazione estiva di Pietro Puccio (Pd), ex sindaco di Capaci ed ex presidente della Provincia, attualmente assessore ai Lavori pubblici nel Comune alle porte di Palermo. Le fiamme hanno danneggiato l'interno dell'abitazione, che viene utilizzata come casa di campagna, in contrada "Casatroia", fra Capaci e Torretta. Sul posto sono state trovate tracce di liquido infiammabile; l'attentato è stato denunciato dall'esponente politico ai carabinieri."Ieri sera verso le otto - dice Puccio - mia figlia è andata a dare da mangiare al cane, cosa che abitualmente fa nel primo pomeriggio. Appena arrivata ha trovato il cancello aperto e ha visto le fiamme. I vigili del fuoco sono intervenuti rapidamente, ma il fuoco aveva già distrutto gran parte dell'interno e dei mobili". Puccio è stato sindaco di Capaci dal '94 al '96 e presidente della Provincia di Palermo dal '96 al '98: il suo percorso politico nasce nel Pci e prosegue nel Pds-Ds, fino al Partito democratico. "L'Amministrazione comunale di Capaci - commenta l'esponente del Pd - ha avviato una grande opera di trasparenza. Non vorrei si trattasse di un avvertimento preventivo: siamo alla vigilia della definizione del piano regolatore, proprio domani il sindaco nominerà i responsabili del settore"."Un episodio grave, che ferisce e indigna. Bisogna fare immediatamente piena luce e non sottovalutare quello che è successo". Il primo ad esprimere solidarietà a Puccio è stato Antonello Cracolici, presidente del gruppo Pd all'Ars, a proposito dell'atto intimidatorio nei confronti di Pietro Puccio. "Siamo di fronte ad una pesante intimidazione - prosegue Cracolici - nei confronti di chi ha dedicato tempo e passione all'impegno politico ed amministrativo. Sono vicino a Pietro Puccio ed alla sua famiglia, gli esprimo profonda e sincera solidarietà e lo invito a superare questo momento difficile: bisogna portare avanti l'impegno per la per la trasparenza e la buona amministrazione, anche se fare tutto questo in un territorio come il nostro significa, purtroppo, esporsi a rischi personali inaccettabili".
“L´incendio che ha danneggiato ieri sera la casa di campagna di Pietro Puccio è un altro vile gesto volto ad intimidire l´operato di chi ogni giorno lavora nel territorio siciliano. In questo momento di preoccupazione esprimo la mia personale solidarietà e quella del partito siciliano a Puccio e alla sua famiglia”, dice Tonino Russo, parlamentare nazionale e vice segretario regionale del Pd siciliano. “Purtroppo – aggiunge - non è un episodio isolato: nei giorni scorsi Pasquale Calamia, capogruppo Pd a Castelvetrano, e Alessandro Santoro, segretario del circolo Pd di Borgetto, hanno ricevuto minacce. Non sappiamo se dietro questi episodi ci sia una regia comune o ci sia una escalation di intimidazioni che coincide temporalmente, mi auguro comunque che presto si faccia piena luce su queste vicende.
“Quello che è successo è allarmante. Esprimo la mia solidarietà a Pietro Puccio per il grave atto intimidatorio nei suoi confronti”, dice Davide Faraone, deputato regionale del PD. “I diversi episodi di questi giorni – aggiunge Faraone – segnalano la necessità di prestare la massima attenzione a ciò che sta accadendo in quel territorio”.
“La criminalità organizzata tenta ancora una volta di fermare, con un vile atto intimidatorio, un esponente politico che ha basato il suo impegno sui principi della giustizia, della trasparenza, dell’efficiente amministrazione e della lotta all’illegalità”. È il commento del presidente della commissione regionale antimafia, Lillo Speziale, alla notizia dell’incendio doloso che ha danneggiato la casa dell’ex sindaco di Capaci, Pietro Puccio. “A Pietro Puccio, che ha ricoperto ruoli importanti, come quello di Presidente della Provincia di Palermo, e di cui conosco personalmente le doti di trasparenza ed attaccamento alle istituzioni, ed alla famiglia, esprimo la mia personale solidarietà. – continua Speziale – Ora è il momento di aumentare l’impegno e non abbassare la guardia. Alle forze dell’ordine chiedo – conclude – che venga fatta al più presto luce sull’episodio affinché sia ristabilito il clima di serenità necessario per la crescita del territorio ”."Un atto vile da condannare senza mezzi termini. La piena e forte solidarietà mia personale e della Giunta provinciale all'assessore Pietro Puccio". Lo ha affermato il presidente della Provincia, Giovanni Avanti, dopo avere appreso dell'atto intimidatorio compiuto ai danni dell'uomo politico che è stato anche presidente della Provincia. "Sono certo - conclude - che Pietro Puccio continuerà il suo impegno di assessore ai Lavori pubblici di Capaci nel quale avrà sempre il pieno appoggio da parte dell'Ente che presiedo".
30/11/2008
NELLA FOTO: Pietro Puccio

Il libro di Sanfilippo. C'erano una volta in Sicilia i comunisti. E volevano cambiare il mondo...

DINO PATERNOSTRO
C’era una volta, anche in Sicilia, il Partito Comunista Italiano. I suoi militanti erano contadini, operai, insegnanti, studenti, intellettuali che volevano «cambiare il mondo», per portarvi più libertà, più giustizia sociale, più democrazia. Era un sogno, ma un sogno grande. Animò per decenni i cuori di tanti giovani, di tanti adulti e di tanti anziani. Nella nostra Isola cominciò davvero dopo la caduta del fascismo, nel 1943. Fu allora che quei “sognatori” provarono ad aprire sezioni in ogni paese e in tutti i quartieri della città. Fu allora che cominciarono ad organizzare gli operai delle città e i contadini delle zone interne. Insieme al restante “universo” della sinistra, che vedeva ancora egemone il vecchio Partito Socialista, nato dall’esperienza dei Fasci di fine ‘800, dalle prime lotte nelle fabbriche palermitane agli inizi del ‘900, dal “biennio rosso” (1919-20), spazzato dall’avvento delle squadracce fasciste di Benito Mussolini. Nelle prime elezioni libere post-fasciste, quelle per l’Assemblea Costituente del 1946, i comunisti a Palermo ottennero meno voti degli iscritti. Un disastro. Ma poi “il vento” cambiò e, già in autunno, comunisti e socialisti insieme, conquistarono decine e decine di comuni, in ogni angolo della Sicilia, nelle prime elezioni amministrative. E, il 20 aprile 1947, nelle elezioni per la prima Assemblea Regionale, un terzo dei voti, la maggioranza relativa. Allora il partito comunista siciliano era guidato da un leader carismatico come Girolamo Li Causi, originario di Termini Imerese, che il fascismo aveva tenuto in carcere per anni. Fu Li Causi che insegno al partito la lotta contro la mafia, attaccandola nei comizi e nelle iniziative politiche, a cominciare da Villalba, nel 1944, che allora era “feudo” del “capo dei capi” di Cosa Nostra, don Calò Vizzini. Con Li Causi si formarono tanti giovani, che sarebbero diventati i futuri dirigenti del partito: Pio La Torre e Pancrazio De Pasquale, Nicola Cipolla, Francesco Renda, Marcello Cimino e tanti altri. Non furono sempre “rose e fiori”. De Pasquale e La Torre, per esempio, contestavano a Li Causi quello che consideravano un eccesso di “parlamentarismo”, che rischiava di depotenziare le lotte sociali nelle campagne per la conquista della terra e della riforma agraria. De Pasquale e il suo gruppo furono “processati” dal Partito, costretti a fare autocritica e a “farsi le ossa” lontano da Palermo. La Torre, invece, fu arrestato a Bisacquino durante l’occupazione del feudo di Santa Maria del Bosco (10 marzo 1950): “le ossa” se li fece all’Ucciardone, dove rimase ben 17 mesi. Ma il leader maximo del Pci di allora, Palmiro Togliatti, non volle privarsi dell’energia e della passione ideale di quei giovani ed inviò in Sicilia un dirigente di qualità come Paolo Bufalini, che seppe successivamente valorizzarli (La Torre fu per anni parlamentare regionale e nazionale, dirigente del Pci e della Cgil in Sicilia, dirigente nazionale del partito; De Pasquale fu parlamentare nazionale, regionale ed europeo, nonché il primo presidente comunista dell’Assemblea Regionale Siciliana).
Una storia lunga più di mezzo secolo. Poi, nel 1989, il crollo del muro di Berlino e tutto finì. Fu un bene? Fu un male? Solo la storia, con i suoi metodi e con i suoi tempi, potrà dare una risposta vera che non sia emotiva e passionale. Ma la “grande” storia va aiutate da tante “piccole” storie, capaci di scavare nei particolari, capace di sottolineare i dettagli. Elio Sanfilippo, presidente di Legacoop Sicilia, ha voluto dare il suo contributo per ricostruire questa storia, con un volume molto corposo (472 pagine, Edizionidipassaggio, € 25,00) dal titolo particolare (“Quando eravamo comunisti. La singolare avventura del Partito Comunista in Sicilia), che ha presentato martedì scorso a Villa Igea, insieme a Tano Gullo, Luigi Colajanni ed Emanuele Macaluso. Sanfilippo non è un osservatore distaccato, ma uno dei protagonisti delle battaglie e dell’iniziativa politica del Partito comunista a Palermo e in Sicilia, almeno a partire dalla fine degli anni ’60. La sua, quindi, almeno per l’ultimo ventennio, è una ricostruzione “di parte”, ma non faziosa. Difende i suoi punti di vista, ma col supporto dei fatti, delle azioni concrete, dei documenti. Un lavoro di qualità, dunque, impreziosito dall’ottima prefazione di Macaluso, uno degli ultimi “grandi vecchi” della sinistra italiana.
Dino Paternostro
La Sicilia, 30.11.2008
FOTO. dall'alto: un'immagine di lotte contadine; un momento della presentazione del libro a Villa Igea.

sabato 29 novembre 2008

Accade in America. Riunione di una famiglia siciliana a Melville (Louisiana)

di Sal Palmeri
Alla fine del 1957 mia madre ricevette una bellissima lettera dell’allora presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower, il quale le annunciava che le era stata confermata la cittadinanza americana, dato che era nata in America, e che lei sarebbe potuta ritornare in qualsiasi momento lo avesse voluto. Beh, è ovvio dirlo, in seguito a questa comunicazione, i miei genitori hanno fatto tutti i preparativi per emigrare negli USA, ed il primo aprile del 1958 siam partiti con la Vulcania per New York.
Fin dai primi mesi in terra americana, mia mamma, Antonina Ancona, aveva espresso un suo desiderio di andare a Melville in Louisiana per vedere i luoghi dove era nata. Purtroppo, per tante svariate ragioni, lei non fece mai quel viaggio, però 50 anni dopo l’abbiamo fatto per lei, mio fratello Frank ed io, accompagnati da tre miei cugini (Pippo Bonanno, Michela e Rosa Roppolo) e mia zia Lillina Musso Ancona, venuti dalla Sicilia, mia cugina Concetta Ancona, che abita in Glendale Queens, e da Leonardo e Tanina Ancona, altri due miei cugini che abitano in Florida.
Ci siamo tutti incontrati a Melville, assieme a piu’ di 300 nostri parenti americani, di cui fino a qualche tempo fa non sapevamo della loro esistenza. Perchè a suo tempo, quando nel 1911 i miei nonni, Leonardo e Concetta Ancona, dopo una permanenza qui in America di 7 anni, e durante i quali avevano avuto 3 bambini, mia mamma, zio Vincenzino e zio Francesco, ritornarono in Italia, lasciarono un fratello e una sorella, dei quali con l’andare degli anni perdettero le tracce. Almeno noi nipoti non sapevano della loro esistenza, fino a poco tempo fa, quando dall’America alcuni pronipoti americani decisero di andare in Siclia e scoprire le proprie radici. In questo modo è nato il nostro rapporto con questi parenti da noi sconosciuti.
Sabato 19 luglio scorso a Melville, presso la piccola sala dell’unica chiesa cattolica in paese, è avvenuto l’incontro, la riunione. Non vi nascondo le emozioni che ognuno di noi ha provato: ad ogni stretta di mano, ad ogni abbraccio, ad ogni bacio...una emozione diversa. Durante la cerimonia d’apertura, quando la hostess Cynthia Ancona Neal ha dato il benvenuto a tutti noi, la mia mente provava ad immaginare quello che era successo 104 anni prima, quando i miei nonni arrivarono in questo sperduto piccolo paesino agricolo della Luisiana alla ricerca del sogno americano. Sono rimasti nei campi di Melville a coltivare il cotone e le canne di zucchero per circa 7 anni prima di ritornarsene in Sicilia.
Per l’occasione di questo incontro il tricolore italiano era visibile ovunque... anche sulle tavole ricoperte con tovaglie di colore verde bianco e rosso. Sulla parete della sala c’erano esposte un centinaio di fotografie di Roccamena, provincia Palermo, nostro paese nativo. I miei cugini, il rag. Pippo Bonanno e sua moglie la professoressa Michela Roppolo, hanno portato, inoltre, poster, libri ed opuscoli che illustravano la storia del paese e che hanno distribuito ai presenti. Da New York abbiamo portato biscotti alla mandorla e sfogliatelle, una vera leccornia per i presenti.
Per Catherine Ancona Morelli, una delle organizzatrici di questa Riunione Familiare tra le due sponde dell’oceano, venuta con suo marito Ralph dallo Stato dell’Illinois l’incontro è stato importantissimo - ha detto - “perchè mi ha dato l’opportunità di conoscere questi parenti venuti dall’Italia, da New York e dalla Florida e di incontrarmi con tanti altri parenti che non vedevo da anni... I love it!”. Cynthia Ancona Neal, ha continuato dicendo: “Questo è un giorno memorabile. È stato bello radunare tutte queste persone che si amano, che si rispettano, persone che sono venute dalla Sicilia, dalla California, dal Texas, dallo Stato di Washington, dall’Illinois, dalla Florida, da altre parti della Louisiana e da New York, per celebrare tutti assieme il nostro retaggio roccamenese. A Tamra Ancona questo incontro ha fatto ricordare sua nonna Elizabeth Ancona. Per Michela Roppolo, moglie di mio cugino Pippo Bonanno, vedere tanta gente l’ha emozionata perchè non pensava che ce ne fossero tanti, e poi – ha continuato - così legati alle loro radici, così desiderosi di incontrarci, veramente mi sono commossa e mio fratello Frank ha aggiunto: “Principalmente sono felice per essermi associato al gruppo dei parenti venuti dall’Italia, a quelli di New York, della Florida e a quelli di Melville Louisiana. Per me questa giornata è stata molto emozionante. Alla riunione sono intervenuti anche altri oriundi di Roccamena, le famiglie Roppolo, Campisi e Diesi. L’evento è stato coronato da una “proclamation” del sindaco di Melville, che ha voluto essere presente a questa celebrazione familiare. Il giorno prima del memorabile incontro i miei familiari ed io abbiamo visitato i luoghi ove presumibilmente i miei nonni abitarono ed ove mia mamma visse fino all’età di 3 anni.
FOTO. Dall'alto: Sal Palmeri tra i suoi cugini e una zia; Parenti di New Orleans; Il campo dove lavorava mio nonno.

Le false riforme del Governo Lombardo

di Agostino Spataro
In Sicilia sembra che tutto stia tornando indietro, ineluttabilmente. Quest’Isola lenta e sospettosa, battuta dal vento di scirocco che qui giunge carico dell’eco torrida dei deserti africani, pare chiudersi in se stessa, nel suo fatale enigma. Alla politica subentra la cabala, in base alla quale comanda chi al meglio sa interpretare il mistero.
Certo, sei mesi sono pochi per formulare un bilancio complessivo, definitivo dell’attuale presidenza della Regione, ma bastano per cominciare a cogliere segnali e tendenze di un certo stile politico, della direzione di marcia di un governo che potrebbe passare alla storia come quello che più ha annunciato e meno realizzato. Vero è - come dice il proverbio - che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma in quasi tutti i provvedimenti annunciati, buon ultimo il piano di rientro dal deficit della spesa sanitaria, ci si è fermati sul bagnasciuga, non si è voluti affrontare il mare aperto. Troppo poco per una leadership che vorrebbe accreditarsi come il “nuovo che avanza” all’insegna di un autonomismo assai di comodo. La pessima conclusione cui è giunta la tormentata vicenda del piano dell’assessore Massimo Russo, è un fatto politico di enorme portata, il cui significato va ben oltre i limiti della materia specifica, e si configura come primo, vero banco di prova per la solidità di un governatore che ha stravinto il confronto con l’avversario, ma rischia di perdere quello con i più intimi alleati.
Sulla sanità e non solo. Ad oggi, infatti, non si capisce bene che sorte subiranno altri importanti provvedimenti annunciati o in itinere, quali la riduzione del numero degli Ato rifiuti, la gran parte dei quali continuano a produrre debiti e disservizi, i rigassificatori, i termovalorizzatori, la centrale nucleare, la riforma amministrativa della Regione, ecc. Tutta roba di peso, scottante, esplosiva direi, che deve essere maneggiata con molta cura e non data in pasto agli uffici-stampa per poi magari smentirli il giorno dopo. Per altro, vien da notare che le riforme solo annunciate producono esiti controproducenti poiché irritano e coalizzano gli interessi immediatamente minacciati senza attivare i destinatari del futuro beneficio. Questa è un po’ la lezione da trarre anche dalla bocciatura sostanziale del piano elaborato dall’assessore Russo in accordo- si ritiene- col presidente della Regione e in obbligato concerto con i ministeri interessati.
Si può minimizzare quanto si vuole, ma questo piano, cui hanno prestato la faccia il magistrato-assessore e il governatore che appositamente a tale incarico l’ha nominato, è stato bocciato dai due partiti maggiori della maggioranza di centro-destra (PdL e Udc) e, a cose fatte, si scopre per bocca dell’on. De Benedictis, anche dal Partito democratico. Un epilogo deludente per questa riforma annunciata che si sperava fosse varata e attuata, se non altro per rispettare i vincoli di legge e per evitare le pesanti conseguenze cui andrebbero incontro la sanità e la popolazione siciliane in caso d’inadempienza. Si è parlato di “rinvio” solo per mettere una pezza al brutto pasticciaccio e per salvare capra e cavoli, ma si sono salvati solo “i cavoli”, cioè i posti-letto considerati in esubero. Poiché non si può far passare per “rinviato” (a quando?) un provvedimento così fortemente osteggiato e ridimensionato di circa il 50% dei suoi effetti.
Ha ragione Francesco Palazzo, bocciato è l’aggettivo giusto poiché si sconfessa, si accantona il piano Russo e si torna a quello del precedente assessore Lagalla. Con buona pace di tutti i gestori della sanità pubblica e privata che avranno esultato per l’avvenuto “taglio” dei temuti tagli.
Tutto bene, dunque? E i disservizi? gli sprechi? le nuove addizionali minacciate a carico dei contribuenti siciliani? Si vedrà. Può darsi che a Roma s’inventino una formula alchemica per modificare la ferrea legge. La sanità siciliana continuerà a “gallaggiare”, sperando che, nel frattempo, all’ospedale di Taormina, presidio d’eccellenza, si trovino i soldi per acquistare il catetere che ieri è mancato per operare d’urgenza un neonato.
Buon Natale a tutti. Anche all’assessore che ha osato dove nessuno mai. Forse perché si è innamorato assai del suo progetto. E si sa, la passione acceca, non va vedere le conseguenze che avrebbe provocato sul sistema di potere politico e affaristico dominante. In Sicilia tagliare la spesa sanitaria è come incidere nella carne viva di interessi forti, stratificati di grandi elettori e di congiunti dei potenti di turno. Penso che il dottor Russo ne fosse consapevole e sia andato avanti lo stesso perché si fidava della copertura politica che al momento decisivo è venuta meno. Comunque sia, ciò che conta è il risultato finale. D’altra parte, l’assessore è alla prima esperienza in politica, si può pure “perdonare”, come magnanimamente ha già fatto il segretario regionale dell’Udc (non ancora Cuffaro a quanto pare) che, insieme ai capi del Pdl siciliano, si è gagliardamente battuto contro il pericoloso piano di rientro. Insomma, scampato il pericolo, si rientra nel meccanismo limaccioso di una conduzione politica e di governo che non lascia presagire nulla di buono. Specie, in Sicilia dove più velocemente si sta correndo verso il baratro della recessione. Anche se - rincresce rilevarlo - non s’avvertono né un clima di preoccupato fervore contro la crisi né una reazione di massa contro l’immobilità interessata di un ceto politico che non sa vedere oltre la soglia della propria bottega elettorale. Tutto ciò è strano. Come se tutto stesse tornando indietro, ineluttabilmente. Quest’Isola lenta e sospettosa, battuta dallo scirocco che qui giunge carico dell’eco torrida dei deserti africani, sembra chiudersi in se stessa, nel suo fatale enigma. Alla politica subentra la cabala, in base alla quale comanda chi al meglio sa interpretare il mistero.
Agostino Spataro
“La Repubblica” del 28 novembre 2008

giovedì 27 novembre 2008

Mafia, clan Santapaola: 24 arresti nel catanese, anche un assessore di Forza Italia

Mafia, politica e imprenditoria. L’intreccio sommerso della Piovra siciliana è tornato ancora una volta galla, nella sua forma più tradizionale e pericolosa. Stavolta è emerso a Catania e nei paesi limitrofi, dove 200 militari, con tanto di elicotteri e unità cinofile, hanno eseguito 24 ordini di custodia cautelare. L’ordinanza, firmata dal gip Antonio Fallone, frutto di quasi tre anni di indagini e intercettazioni telefoniche e ambientali, ha duramente colpito la cupola di Cosa Nostra che comanda gli affari criminali nella Sicilia orientale. Nel mirino degli inquirenti sono finiti presunti affiliati alla cosca più potente del capoluogo eteneo, il clan Santapaola-Ercolano e le sue frange ramificate in alcune zone della provincia. A Paternò, in particolare, dove in manette sono finiti, oltre al capo cosca locale, Domenico Assinnata, anche l’assessore comunale ai Sevizi sociali, Carmelo Frisenna, eletto nelle liste di Forza Italia. Secondo quanto emerso dalle indagini, l'assessore sarebbe strutturalmente e organicamente inserito nel clan, come avamposto dell'organizzazione mafiosa all'interno dell'amministrazione comunale e, comunque, come riferimento strategico nel lucrativo settore dei pubblici impianti: un tramite con i responsabili di altri settori delle autonomie locali su cui la cosca intendeva investire.È il settore degli appalti edilizi, infatti, l’ambito dove la criminalità organizzata catanese, e i presunti affiliati indagati, avrebbero speculato coinvolgendo a vario titolo personaggi della pubblica amministrazione. E non solo: i capi d’accusa vanno dall’associazione mafiosa finalizzata a estorsioni, rapine e furti, all’acquisizione illegale di attività economiche, fino al controllo del libero esercizio del voto in occasione di competizioni elettorali. Tra gli arrestati, anche il capo clan di Bronte, Roberto Vacante, genero del defunto Salvatore Santapaola, fratello maggiore di 'Nittò, e il paternese Giuseppe Mirenna, storico appartenente della cosca dei Santapaola, specializzato nel settore degli appalti pubblici. L’operazione, denominata “padrini”, è il frutto di lunghe indagini avviate nel luglio del 2005, coordinate dal procuratore aggiunto di Catania, Giuseppe Gennaro, dal sostituto Agata Santanocito e dal magistrato della Direzione nazionale antimafia Carmelo Petralia, che hanno fatto luce anche sul movente di un agguato avvenuto a Paternò l’11 giugno del 2006, in cui vennero uccisi Roberto Faro e Giuseppe Salvia, e ferito gravemente il figlioletto di quest'ultimo, Alessio Salvia. I due sarebbero stati eliminati per avere compiuto ripetuti furti ai danni di imprese edili «tutelate» dal clan Santapaola. Per questo duplice omicidio sono già sotto processo, come esecutori materiali, Salvatore Assinnata, Alfio Scuderi, Giovanni Messina e Benedetto Beato, che vennero arrestati poco dopo il duplice omicidio e che dell’agguato non esitarono a sparare contro gli obiettivi, nonostante la presenza del figlio di Salvia, che allora aveva 7 anni.E mentre a Catania si chiude il cerchio intorno ai Santapaola-Ercolano, a Palermo la procura ha scoperto un’altra zona d’ombra della mafia siciliana, dalla quale potrebbero venire a galla nuovi intrecci tra Cosa Nostra e colletti bianchi. La polizia del capoluogo ha infatti arrestato cinque professionisti accusati di aver investito, per conto di boss palermitani, cospicue somme di denaro in borsa. Al centro delle indagini, che fanno luce sui meccanismi di riciclaggio del danaro sporco accumulato nelle casse della cupola, è finito anche il capomafia Antonio Rotolo. I cinque indagati arrestati sono accusati di associazione mafiosa, interposizione fittizia di beni e impiego di denaro o utilità di provenienza illecita. Si tratta di commercialisti e imprenditori i cui nomi erano già emersi durante le indagini che hanno portato in passato ai sequestri di beni dei boss locali.I provvedimenti cautelari, emessi dal gip del tribunale su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, testimoniano, ancora una volta, l’evoluzione della realtà mafiosa verso forme sempre più sofisticate di investimento e speculazione.
L'Unità, 27 Nov 2008

Io, che vivrò fino a 120 anni

di MASSIMO CALANDRI, MARCO CICALA e ALBERTO FIORILLO
Berlusconi lo ripete in continuazione: andiamo verso l'immortalità. Ma che cosa dice davvero la scienza? Che, sconfiggendo un nemico chiamato P66, ci si potrebbe quasi arrivare. Aprendo un'altra questione: che volto avrà una società in cui i vecchi saranno più numerosi dei giovani?
I vecchi non sono più quelli di una volta. Hanno generalmente meno acciacchi, tutti i neuroni al posto giusto, una regolare attività sessuale, spengono più candeline. La vita, a conti fatti, è sempre più abbondante e più sana, soprattutto quella degli italiani: tiriamo avanti, in media, fino a 80 anni 4 mesi e 26 giorni, tra i Paesi comunitari abbiamo il primato della longevità e una popolazione più attempata c'è solo in Giappone, Svizzera, Australia, Monaco e San Marino. Anche a livello globale, dal 1900 in poi, il tempo a disposizione di ogni essere umano è aumentato, in media del 30 per cento e ogni anno che passa allontana di 90 giorni l'appuntamento degli umani col camposanto: i neonati di oggi, in teoria, hanno davanti un secolo tondo tondo. Intanto la scienza scopre geni (come il P66) responsabili dell'invecchiamento e si attrezza a bloccarli. La lunga marcia verso Matusalemme, insomma, sembra inarrestabile. Eppure, secondo la maggior parte dei genetisti, il nostro corpo una data di scadenza ce l'ha, stampata da sempre nel nostro Dna: 120 anni. Una barriera insuperabile che valeva due millenni fa, quando si moriva intorno ai trenta, e che non si è spostata nemmeno adesso, nonostante l'aspettativa di vita sia quasi triplicata. Man mano che ci si avvicina a quel confine scatta una sorta di autolimitazione della specie e, anche in persone che godono di ottima salute, c'è un progressivo deterioramento di tutte le funzioni vitali, alcuni organi essenziali cominciano a lavorare male, gli apparati si inceppano. "A un certo punto il sistema collassa" spiega Luca Deiana, docente di biochimica e biologia molecolare all'Università di Sassari. "Ancora non c'è una completa ed esauriente spiegazione scientifica dei molteplici fattori che causano il processo di invecchiamento e la cosiddetta morte per cause naturali. È la statistica, non la genetica, a suggerirci che oltre una determinata soglia non si può andare. Tuttavia l'interruttore non scatta per forza a 120 anni esatti, e qualche rara eccezione c'è". Come quella di Jeanne Louise Calment, una francese morta nel 1997 a 122 anni e mezzo...

mercoledì 26 novembre 2008

Acquista il calendario "Libera Terra" 2009

Continua la campagna di sostegno a "Libera Palermo" per i lavori di ristrutturazione del bene confiscato a Piazza Politeama a Palermo dove verrà realizzata la "Bottega dei Sapori e dei Saperi della Legalità", la prima in Italia su un bene che apparteneva alla mafia. Come sai, lo stato attuale dell’immobile sequestrato dal 1994 e chiuso da circa 10 anni, ci obbliga a dover intervenire con urgenza per la sua ristrutturazione. In questi mesi in tanti ci hanno sostenuto ma moltissimo è ancora da fare.
Per le prossime festività natalizie scegli anche tu di sostenere questo progetto con l'acquisto del calendario "Libera Terra" 2009. Il calendario è stato realizzato con le immagini di terreni confiscati in Sicilia, Calabria e Puglia e gestiti dai soci dalle cooperative di "Libera Terra" nate per bando pubblico. Dodici mesi che iniziano con una riflessione di Luigi Ciotti e che raccontano tra fotografie di vigneti, terreni agricoli e strutture riutilizzate grazie alla legge 109/96 dell'impegno di quanti, da Corleone a Gioia Tauro, da Mesagne a San Giuseppe Jato lottano, grazie al sostegno della rete di "Libera", per una società più giusta. Ti ringrazio in anticipo perchè so che saprai sostenerci con impegno e generosità.
Umberto Di Maggio
Libera Palermo

Il calendario è realizzato grazie ad un contributo di Banca Etica, su 6 pagine fronte retro (1 mese per lato) in quadricromia, dimensioni 24x36, carta 200 gr patinata opaca, con le foto delle cooperative di "Libera" nate per bando pubblico e con frasi di Ciotti, Bello, Gatto, Calabrò, La Torre, Puglisi, Borsellino, Rizzotto, Dolci, Falcone. In allegato la prima pagina. Costo 10 euro. Informazioni e prenotazioni - umberto.dimaggio@libera.it - 333.3381624.

E' Leo Criscione, emigrato, uno dei padri del medicamento più venduto della Novartis

Proponiamo ai lettori un'interessante intervista rilasciata da Leo Criscione al giornale "L'ECO" nel 2005.

La settimana scorsa la Novartis ha reso noto i dati dell’esercizio 2004. Al primo posto in assoluto dei medicinali venduti da questo colosso della farmaceutica nel 2004 figura il Diovan, che nel bollettino ufficiale è così caratterizzato: “il Diovan, è il primo al mondo nella classe dei sartani e secondo tra tutti i farmaci contro l'ipertensione. Nel 2004 ha realizzato vendite superiori a 3 miliardi di dollari”.
Certo, è impressionante venire a conoscenza che un singolo medicamento possa arrivare a essere venduto per una cifra così astronomica. Ma altrettanto interessante è stato per me apprendere qualcosa di sbalorditivo sulla storia di questa superstar delle vendite, cioè che tra i suoi scopritori vi è anche il “nostro” Dr. Leoluca Criscione, che per più di 25 anni è stato ricercatore e direttore di ricerca alla Ciba e poi alla Novartis. Ed infatti la prima pubblicazione scientifica sul Diovan, pubblicata sul rinomato giornale scientifico inglese “British Journal of Pharmacolgy” porta proprio la firma del Dr. Criscione. Scrivendo il Dr. Criscione anche lui per “L’Eco”, ho voluto rivolgergli alcune domande.
Caro Leoluca, come e quando è nato il Diovan?
Negli anni ottanta, nel gruppo di ricerca cardiovascolare dell'allora Ciba, un gruppo di biologi e di chimici si era dato come obiettivo di mettere a punto dei nuovi medicinali per ridurre la pressione del sangue. Partendo dalla conoscenza che una sostanza prodotta dal nostro corpo, detta angiotensina (“angio”, vuol dire vaso e “tensina”, appunto che tiene in tensione), quindi una sostanza capace di restringere le arterie e fare aumentare la resistenza nel sistema vascolare.
Con queste conoscenze l'idea era quella di produrre delle sostanze capaci di bloccarne l'effetto dell'angiotensina (cioè degli antagonisti). A tale scopo bisognava mettere a punto dei sistemi biologici adatti a potere dimostrare il meccanismo d'azione e l'efficacia di un potenziale antagonista dell’angiotensina.
Di che tipo di metodi si tratta?
L'aspetto più importante in un progetto di questo tipo è quello di potere dimostrare la specificità della sua azione e che la sostanza sia in grado di produrre l'effetto desiderato in vivo, cioè sulle cavie (in questo caso ridurre la pressione del sangue). Come descritto nella pubblicazione (in inglese) che descrive la farmacologia del Diovan, si tratta di metodi in provetta, che permettono di stabilire l'affinità del farmaco per il sito d'azione dell'angiotensina (recettore). Inoltre, lavorando su arterie di cavie isolate, che vengono precontratte con l'angiotensina artificiale, si può stabilire se la sostanza in questione è capace di antagonizzarne l'effetto, cioè di rilassare le arterie. Infatti, il rilassamento delle arterie, riduce la resistenza nel sistema vascolare e quindi anche la pressione. Successivamente poi, le sostanze più attive in provetta e anche più specifiche, vengono somministrate a delle cavie, alle quali si misura regolarmente la pressione del sangue prima e dopo della somministrazione. Anche in questo caso, l'obiettivo è quello di scegliere, tra le centinaia di sostanze sintetizzate dai chimici, quella più attiva e con meno effetti collaterali. Una volta identificata la sostanza “ideale” se ne studia l'efficacia nel tempo e anche il potenziale tossico (effetti collaterali). Una volta appurata l'efficacia e la tollerabilità, si fanno i primi studi sull'uomo.
In che tipo di malattia è usato?
Come accennato precedentemente, il Diovan è usato molto efficacemente nell'ipertensione (alta pressione del sangue). Recentemente, le autorità sanitarie di moltissimi paesi ne hanno permesso l'uso anche nella insufficienza cardiaca.
Quale è stato il tuo ruolo in questa scoperta?
Per portare avanti un progetto del genere, a livello di ricerca, a quei tempi c’era bisogno di una squadra composta da chimici (che generalmente sintetizzano negli anni centinaia di sostanze), di biochimici (per gli esperimenti in provetta) e di farmacologi (per gli esperimenti sulle arterie
isolate e sulle cavie). Da farmacologo, quest'ultima è stata pertanto la mia iniziale responsabilità. Quindi è stato proprio nei miei laboratori che abbiamo scoperto il potere rilassante del Diovan e il suo effetto sulla pressione del sangue. Una volta identificata la sostanza “giusta” (appunto il Diovan in questo caso), si affida la responsabilità ad uno della squadra di coordinare e dirigere tutte le attività per preparare gli studi clinici (il cosiddetto sponsor). Io sono stato il primo sponsor del Diovan (“first champion”, il primo campione, come dicono gli americani).
Come mai il Diovan è diventato il farmaco “number one” della Novartis?
Senza voler andare tanto lontano, ci sono due motivi molto semplici: la sua efficacia e la sua ottima tollerabilità.
Toglimi una curiosità: quanti milioni di dollari spettano da questo fatturato agli scopritori?
ZERO!! Questa domanda viene posta ormai da anni, non solo a me, ma anche a tutti i membri del team di ricerca, che hanno contribuito a scoprire e a caratterizzare il Diovan. Ebbene, per chiarire una volta per tutte, per contratto, tutte le scoperte fatte nel corso di un'attività di ricerca appartengono al datore di lavoro (Ciba/Novartis in questo caso). Questi contratti non prevedono alcuna percentuale sul fatturato del prodotto per gli inventori e scopritori di un nuovo farmaco.
Questa magari potrebbe essere una proposta da avanzare alle multinazionali farmaceutiche: far partecipare gli inventori al fatturato annuo del medicinale in questione (ad esempio lo 0.1 per mille). Nel caso del Diovan sarebbero stati più di 300 mila franchi (nel 2004), quindi circa 60 mila dollari l'anno a persona. La realizzazione di tale proposta potrebbe essere un incentivo per spronare ulteriormente la ricerca farmaceutica!
Peter Ferri, Economista
L’ECO, mercoledì 2 febbraio 2005
FOTO. Leo Criscione

Ecco la "mancia" del Governo!

Sono state convulse queste ultime ore. La riunione a Palazzo Chigi, che si è tenuta ieri sera tra il governo e le parti sociali, ha lasciato fredda la Cgil. Il sindacato, confermando lo sciopero generale indetto per il 12 dicembre, ha stroncato le proposte del governo con le parole del segretario Guglielmo Epifani, “esposizione generica e insufficiente”. Le richieste della Cgil sono le stesse di questi ultimi giorni: sospendere la detassazione degli straordinari che, in un periodo di recessione, è considerata inutile e detassare, invece, le tredicesime con lo scopo di far ripartire i consumi.Insomma, il piano del governo non ha convinto. Il bonus per i più bisognosi, per il mese di dicembre, dovrebbe ammontare più o meno a 120 euro. Non c’è da stupirsi se le vignette e i titoli dei giornali di oggi abbiano utilizzato, più o meno tutti, la parola “mancia”, sinistro presagio del Natale che ci attende.Riusciamo a bloccare telefonicamente Agostino Megale, segretario confederale della Cgil, proprio sulla porta di “Porta a Porta”, per farci raccontare quali sono le impressioni che ha riportato dalla riunione di ieri.
Ma è proprio una mancia quella del governo? Cosa pensi dell’incontro di ieri?
“Nell’incontro di ieri sono state avanzate ipotesi inadeguate e insufficienti, rispetto a quello che secondo noi richiede la situazione. Ora non ci resta che attendere il prossimo Consiglio dei ministri per vedere come le tradurrà in risorse investite. Solo così potremo capire l’impatto che queste misure potranno avere sulle famiglie e sui consumi, l’effetto che potranno esercitare su redditi e la copertura per i lavoratori”.
E lo sciopero generale?
“Quanto allo sciopero e a questa discussione che si è concentrata sulla possibilità di farlo o di cancellarlo, beh, mi è difficile capirla. Il direttivo ha stabilito che il 12 dicembre ci sarà lo sciopero generale. Non ho difficoltà a evidenziare che se il governo accoglierà una parte importante delle nostre proposte, noi, in quanto sindacato, potremmo ritornare sulla nostra decisione. Lo sciopero per noi è un mezzo per raggiungere determinati obiettivi. Se, dunque, i risultati ci saranno, prenderemo provvedimenti adeguati, altrimenti…”.
Altrimenti, come sembra ormai certo dall’atteggiamento del governo, sarà sciopero generale. Del resto, la conferenza stampa tenuta oggi in Corso Italia da Guglielmo Epifani non sembra lasciare nessuna speranza a chi ancora pensava che il governo potesse accogliere le proposte del sindacato. Gli uffici della Cgil hanno stabilito che servono due finanziarie per un totale di 23 miliardi di euro. "Una manovra pari allo 0,7% del pil per quest'anno e allo 0,7% per l'anno prossimo", ha detto Epifani. "E' una manovra grossa ma corrisponde a ciò che Gordon Brown sta proponendo per il suo Paese. E da subito avrebbe un effetto benefico sui consumi, ridurrebbe gli effetti di abbassamento del Pil, e tra quattro anni avrebbe una sostanziale parità". Una manovra grossa. Ben diverso dai pannicelli caldi che ha messo sul tavolo il governo.
Dal sito Sinistrademocratica

martedì 25 novembre 2008

Cittadinanza negata a Saviano, è polemica

Secondo i magistrati dell’Antimafia, il Comune è la «Platì del nord». Buccinasco: la proposta del consigliere dei Verdi non è passata, la maggioranza di centrodestra ha abbandonato l'aula. La proposta di Rino Pruiti, consigliere comunale dei Verdi nonché figlio di un poliziotto morto mentre prestava servizio, non poteva non scatenare un putiferio: nominare Roberto Saviano, l’autore di Gomorra, cittadino onorario di Buccinasco, nel Milanese. Sì, perché secondo i magistrati dell’Antimafia Buccinasco è la «Platì del Nord». Un posto dove «la presenza della ' ndrangheta è opprimente», ha detto il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, Enzo Macrì. E così la proposta, discussa in consiglio comunale lunedì sera, non è passata. Dopo un duro scontro, la maggioranza di centrodestra, guidata dal sindaco Loris Cereda, ha abbandonato l’aula, facendo mancare il numero legale. Stesso copione martedì: tredici esponenti della maggioranza non si sono proprio presentati. Formalmente dunque la questione è nuovamente rimandata al prossimo consiglio.
«Roberto Saviano ha manifestato l’intenzione di abbandonare il nostro Paese – si legge nell’ordine del giorno proposto da Pruiti insieme ai gruppi di opposizione del Pd e di Rifondazione Comunista e sottoscritta on line da trecento cittadini - Sentiamo il dovere sociale, morale e politico di non lasciare solo Saviano. La lotta alla criminalità organizzata è qualcosa che riguarda tutti noi». Appena si è aperto il dibattito, però, il sindaco Loris Cereda (Pdl) ha presentato una controproposta: «Saviano è una persona di cui già parla tutto il mondo e per questo può fare a meno della cittadinanza onoraria di Buccinasco. Mi impegno personalmente a scrivergli una lettera per fargli avere la nostra solidarietà e per chiedergli di indicarci una persona tra quelle che lui ha incontrato scrivendo il libro e che tutti i giorni lavora nell’ombra contro la mafia nel Casertano. La cittadinanza onoraria la daremo a lui».
Questa proposta, però, insieme a quella, avanzata dal gruppo consigliare di Forza Italia di rinviare la discussione a un altro consiglio comunale, per valutare anche altre candidature e stendere un regolamento per l’istituzione della cittadinanza onoraria (mai concessa nella storia di Buccinasco), non è stata accettata da Pruiti, che ha chiesto la votazione. A questo punto, la maggioranza ha abbandonato l’aula.
«L’opposizione ci ha sottoposto a un ricatto – accusa Luigi Iocca, consigliere di maggioranza del Pdl – Saviano è un ottimo candidato e molti di noi erano disposti a votare a favore. Ma non a queste condizioni, che lasciano intendere: o la votate o siete mafiosi». «Si voleva dare un segnale», ribatte Pruiti. Sul suo blog oggi è comparso un post a firma di Roberto Saviano: «Ogni voce che resiste mi rende meno solo».
Giovanna Maria Fagnani
Corriere della Sera, 25 novembre 2008

Il Vaticano: "Gramsci si convertì". Gli storici: "Non ci sono prove"

Monsignor De Magistris riapre il dibattito:"Accadde poco prima della morte". Beppe Vacca: "Non ve n'è traccia in alcun documento. Ma non sarebbe uno scandalo". Andreotti: "Una vicenda già nota, di cui non c'è alcuna certezza"
ROMA - Antonio Gramsci trovò la fede in punto di morte e ricevette i sacramenti cristiani. Monsignor Luigi De Magistris, propenitenziere emerito del Vaticano e conterraneo del fondatore del Pci, riapre il dibattito nel corso di una conferenza stampa a Roma. E torna ad affrontare una questione già aperta e controversa. Quella, cioè, del riavvicinamento al cattolicesimo da parte di Gramsci, poco prima della morte, nel 1937. Una vicenda spesso affrontata e sempre smentita o, comunque, mai confermata. Come ribadisce, anche questa volta, Giuseppe Vacca, filosofo, ex parlamentare comunista e presidente della Fondazione Istituto Gramsci. Ricordando che i documenti editi e inediti sulle ultime ore e sulla morte di Gramsci sono tanti, ma "da nessuno emerge la tesi della sua conversione. Ovviamente - precisa Vacca - non sarebbe uno scandalo né cambierebbe alcunché. Dico solo, semplicemente, che si tratta di un fatto che non trova alcun riscontro documentato". La vicenda spirituale di Gramsci è stata, a sorpresa, riportata alla luce oggi durante una conferenza stampa convocata a Radio Vaticana per presentare il primo catalogo di santini e immagini sacre per collezionisti. Proprio un santino, del resto, secondo il racconto del monsignore, avrebbe riacceso la passione religiosa dell'intellettuale morente. Così il racconto di De Magistris, in passato tra i responsabili del Tribunale vaticano della Penitenzieria Apostolica (il dicastero preposto alle indulgenze, ai perdoni e a controversie interne): "Il mio conterraneo Gramsci aveva nella sua stanza l'immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica dove era ricoverato portavano ai malati l'immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a Gramsci. Lui disse: Perché non me l'avete portato?. Allora gli portarono l'immagine di Gesù Bambino, e lui la baciò. E' morto con i Sacramenti, è tornato alla fede dell'infanzia. La misericordia di Dio santamente ci 'perseguita'. Il Signore non si rassegna a perderci".
Anche gli storici non si rassegnano alla versione del presule. E più documentata è la replica di Vacca. "Ci sono alcune lettere di Tania (la cognata di Gramsci, ndr) a Piero Sraffa - spiega - che descrivono dettagliatamente gli ultimi giorni di malattia e la morte di Gramsci, in cui non troviamo nulla al riguardo. Non ne parla nemmeno una del fratello Carlo a Togliatti, in cui si legge della volontà di Gramsci di essere cremato. Cosa che inizialmente trovò qualche ostacolo perché non era credente e perché il regime fascista temeva manifestazioni di piazza, essendo la vigilia del primo maggio". Il presidente della Fondazione parla anche di "documenti di polizia" che "non fanno alcun cenno di un suo avvicinamento alla fede, in più ci sono alcune lettere, ancora inedite perché raccolte da poco tempo, in cui Tatiana scrive con grande regolarità ai familiari sugli ultimi giorni di Gramsci. Si tratta di confidenze strettamente personali, nelle quali una notizia di tale portata sarebbe certamente emersa". Comunque, nessuna polemica. "Non conosco De Magistris - dice Vacca - ricordo solo che non è la prima volta che ne sento parlare. Già trenta o quaranta anni dopo la morte di Gramsci, un'anziana suora riferì di una sua conversione. Ripeto, non vi troverei nulla di scandaloso. Dico solo che dalle fonti d'archivio, dai tanti documenti a disposizione degli studiosi e da alcune lettere ancora inedite - conclude - tutto ciò non trova alcun riscontro". Sulla stessa linea lo storico Luciano Canfora. "Temo fortemente che non sia assolutamente vero che Gramsci si sia convertito in extremis. Posso assicurare comunque - dice ironicamente - che Pericle non si è convertito al confucianesimo". Studioso di letteratura classica e attento conoscitore della vita di Gramsci, Canfora ricorda che "tentativi in extremis, alla maniera degli avvoltoi, di arrivare a conversione sono stati tentati sia con Croce che con Concetto Marchesi. Non so se in questo caso ci sia stato un vero e proprio tentativo, ma - conclude - temo fortemente che non sia vero". "Non è una novità - commenta Giulio Andreotti - è un fatto di cui avevo già sentito parlare da almeno una ventina d'anni. E' una vicenda abbastanza conosciuta di cui è parlato più volte, anche se di questa conversione non vi è certezza e non è documentata. Sul fatto in sé - conclude il senatore a vita - preferisco non intervenire. Se c'è stata una conversione in punto di morte si tratta di un fatto di coscienza sul quale è meglio non fare commenti".

(La Repubblica, 25 novembre 2008)

Storia siciliana. Settanta anni di lotte con le bandiere del Partito Comunista Italiano

TANO GULLO
FEUDO E BOSS, UNA LOTTA LUNGA SETTANT´ANNI
Si presenta il volume di Elio Sanfilippo che ripercorre battaglie, scontri, successi ed errori strategici del partito nell´Isola: da Portella alla Primavera di Orlando. Una sfilata di personaggi che comprende Girolamo Li Causi, Pio La Torre Pancrazio De Pasquale e Danilo Dolci. Un percorso sempre accidentato fatto di povertà sfruttamento e ingiustizie dentro una cornice di vittorie e sconfitte nelle urne.
Eroismi e viltà, slanci e tradimenti, generosità e grettezze, sfide a viso aperto e subdole faide, ombrosi untori e combattenti solari. Ma soprattutto tante belle passioni. Idee che si incuneano nella mente. Quelle che magari rosicchiano il cervello ma che ci fanno sognare (e talora illudere) che è possibile allargare il mondo; aiutare gli uomini a liberarsi dalle zavorre per volare oltre le barriere; fortificare la natura contro i barbari della globalizzazione; inseguire l´eterno mito di quell´eguaglianza tra gli umani in cima ai pensieri di Marx e Gandhi. Sullo sfondo un territorio, la Sicilia, in cui il confine del bene si confonde con quello del male; dove, come recita un proverbio, «le vie dell´inferno sono lastricate di buone intenzioni». Ma senza «buone intenzioni» resteremmo smarriti nella giungla dominata dai più forti. Si legge come un romanzo "Quando eravamo comunisti" di Elio Sanfilippo. Il libro - pagine di storia dove si rincorrono gli avvenimenti che hanno condizionato le vite di milioni di uomini - sarà presentato oggi alle 17 nella Sala Basile di Villa Igiea da Emanuele Macaluso, che ne ha scritto la prefazione, e da Luigi Colajanni. Uno degli attori delle vicende narrate, Sanfilippo appunto, ritorna sui suoi passi e su quelli dei protagonisti che lo hanno preceduto sulla scena politica per ripercorrerne il cammino e fermarsi a pensare su ciò che è accaduto e su quant´altro sarebbe potuto accadere. Su quello che è rimasto e su quello che si è dissolto nel turbinio delle miserie umane dell´ultimo mezzo secolo. Curiosamente quando parla della sua attività, come segretario della federazione del Pci, come consigliere comunale e come esponente di primo piano dell´universo cooperativistico (e accade almeno una trentina di volte) Sanfilippo prende le distanze, citando se stesso come se si trattasse di altra persona. La storia come si sa è uno specchio che riflette il volto di chi la scrive. E non c´è qualsivoglia intenzione di imparzialità che tenga. Detto che l´autore di "Quando eravamo comunisti", Elio Sanfilippo, è dichiaratamente esponente dei "miglioristi", corrente riformista del Pci prima e delle sue tante mutazioni dopo (che storicamente ha avuto come riferimenti Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano oggi presidente della Repubblica), va aggiunto che il suo sforzo di fare parlare i fatti più che le opinioni è davvero titanico. La sua onestà intellettuale tiene a bada l´istinto partigiano che, si intuisce, qui e lì sovente vorrebbe esplodere.Le vicende dei comunisti sono intrecciate con quelle di tutti i personaggi che hanno animato la storia della Sicilia e dell´Italia dal dopoguerra in poi. Ma anche con i momenti topici che hanno scombussolato la geografia politica del mondo: missili a Cuba, rivelazione dei crimini di Stalin, crollo del muro di Berlino e quant´altro. Il libro (Edizioni di passaggio, 472 pagine, 25 euro) tra l´altro colma un vuoto di documentazione visto che è la prima opera che racconta cronologicamente e dettagliatamente gli ultimi settant´anni della Sicilia. Come sarebbe diversa la nostra Isola senza il cuore dei tanti comunisti che hanno profuso ogni energia per contrastare i signori dei feudi, i boss delle cosche, gli imprenditori senza scrupoli allergici a ogni regola, i politici e i burocrati dei tanti palazzi infetti, i predoni del cemento, i parassiti, intercettatori di ogni risorsa destinata da Roma o da Bruxelles allo sviluppo. Senza il sangue versato da decine di sindacalisti e militanti che armati delle loro idee non hanno avuto paura di contrastare la ferocia dell´intreccio mafioso-politico-affaristico. Con l´assillante tentativo, spesso frustrato, di trovare ascolto in quella borghesia strana che ha espresso Palermo. Nel bene e nel male, tra errori strategici e qualche debolezza, è grazie ai comunisti che la Sicilia non è stata soggiogata da quel famelico contropotere che continua a impastoiarla, restando ancorata a una speranza di civiltà.Il libro è una sfilata di titani, marxisti e non, del Novecento: da Stalin a Churchill, che definiva la Sicilia il «ventre molle» della fortezza d´Europa, da Gorbaciov a Kennedy, da Togliatti a Giovanni XXIII, da Berlinguer a Mitterrand. E tanti primattori isolani: Girolamo Li Causi, Pio La Torre, Pancrazio De Pasquale, Giuseppe Di Vittorio, Danilo Dolci, Achille Occhetto, Leoluca Orlando, il tris di "Giuseppi" democristiano - Alessi, La Loggia, D´Angelo - Leonardo Sciascia, Emanuele Macaluso, Mimì La Cavera, Silvio Milazzo. Questi ultimi tre protagonisti di una stagione di illusioni - il "milazzismo" appunto - volta ad affrancare l´economia dell´Isola dalle grinfie dei monopoli del Nord. Una pia intenzione naufragata anche per l´incapacità del personale politico del tempo a gestire la complessità di un cambiamento zavorrato dalle abissali diversità dei partiti coinvolti. Negli anni precedenti, sotto la guida di Mommo Li Causi, il partito aveva intessuto la sua rete per radicarsi nel territorio, cominciando così quel lungo cammino della speranza. Su un percorso sempre accidentato: povertà, sfruttamento, ingiustizie, arroganza, lupare, trame occulte. Dentro la cornice di vittorie e sconfitte nelle urne, di guerre di mafia, di grandiosi progetti economici e di successivi arretramenti, altrettanto grandiosi, di legislazioni progressiste e di gestioni partigiane e affaristiche di quelle stesse leggi, di farneticazioni separatiste e di fragili collegamenti internazionali, di speranze autonomistiche svuotate del loro potenziale dai soliti noti, un´élite addomesticatrice di storia, votata a prendere tutto per se, lasciando il popolo a bocca asciutta. E ancora: il fallimento dell´illusione industriale, il sacco edilizio nelle città e in tutto il periplo costiero. Tanti momenti negativi inframmezzati da pagine esaltanti scaturite dal cilindro magico di quel laboratorio politico che è stato per tanti anni l´Isola: qui, grazie alla lungimiranza dei leader comunisti, sono nati il primo centrosinistra, la commissione antimafia, le larghe intese, il coinvolgimento degli intellettuali nell´agone della politica), anche se qualche volta i risultati sono stati deludenti (e ci vengono in mente le candidature di Sciascia e Guttuso al Comune dei Palermo). Il Pci siciliano è stato sempre sull´altalena di spinte "movimentiste" - inevitabili in quel travagliato dopoguerra - e di posizionamenti riformisti. Gli stessi uomini (e pensiamo a Li Causi, a La Torre, ma anche a Occhetto) hanno di volta in volta incarnato entrambe le strategie, barcamenandosi nei vari scenari che il quadro complessivo proponeva. Poi le due visioni "ideologiche" hanno preso strade diverse. Una china perigliosa in cui è franato quel cemento ideale che faceva da collante tra uomini dalle diverse sensibilità. Dagli anni Ottanta in poi il racconto di Sanfilippo diventa impietoso, mettendo a nudo le faide che hanno coinvolto le due correnti che si sono delineate dentro il Pci, inquinando le successive trasformazioni. La sfida dentro il partito da confronto tra idee contrapposte è diventata guerra tra uomini. Effluvi di veleni che hanno disorientato militanti, simpatizzanti e cittadini non schierati, consegnando ai padroni di sempre armi acuminate con cui colpire il fronte progressista. Ricordiamo le insinuazioni farneticanti che hanno portato a ipotizzare una pista interna per l´assassinio di La Torre; al linciaggio a cui sono stati sottoposti i "miglioristi" (in quanto naturali interlocutori delle cooperative rosse, che sono calate in Sicilia a incettare lavori pubblici senza i necessari anticorpi che li avrebbero messi al riparo dai contagi con una realtà imprenditoriale fortemente compromessa), accusati di pericolose connivenze; al cannibalismo perpetrato da entrambe le correnti sul giornale "L´Ora", diventato terreno di scontro; alla leggerezza di alcuni dirigenti Pci come Michelangelo Russo - uomo probo - che si è spinto imprudentemente a sostenere che «non si poteva fare l´esame del sangue agli imprenditori» con cui si interagiva; "compagni di partito", da una parte e dall´altra, diventati "nemici" tout court. Vicende dolorose che tuttavia non hanno cancellato l´eroismo di tanti e la generosità di masse di contadini, impiegati, operai, uomini e donne, che hanno aggiunto il loro mattone nella costruzione delle pagine più belle della nostra storia. A dispetto dei narcisi che hanno scelto di mettere "se stessi" davanti alle "idee".
La Repubblica, 25 novembre 2008

lunedì 24 novembre 2008

Le cinque puntate del documentario della Bbc sui crimini di guerra italiani

PARTE I


PARTE II


PARTE III


PARTE IV


PARTE V

Giuseppe Lumia: "Riina Jr. diventi collaboratore di giustizia, se vuole rompere con la mafia"

di Gianluca Ricupati
Intervista con il sen. Lumia. L’ex presidente della Commissione Antimafia, tuona contro le intenzioni del figlio del capo dei capi di trasferirsi al nord dove una ditta gli ha già offerto un lavoro. Riina jr. sta seguendo la tradizione mafiosa nel tentativo di fare affari nel milanese, proprio come fece il corleonese Luciano Liggio.
Sen. Lumia, da giorni in risalto la notizia della richiesta di trasferimento al nord per lavoro di Giuseppe Salvatore Riina, terzogenito del Capo dei Capi: secondo lei, quale azienda potrebbe pensare di assumerlo?
Una ditta che naturalmente è disponibile ad avere rapporti con la mafia: può essere collusa, direttamente nelle mani di Cosa Nostra oppure ancora può esserne soltanto una “prestanome”. Dobbiamo comprendere che non c’è spazio per il figlio di Riina in nessuna parte d’Italia, non perché è il figlio del superboss corleonese, ma perché è legato all’organizzazione Cosa Nostra, che nega il lavoro ai giovani, che distrugge i diritti e che ha messo con le sue stragi, con i suoi delitti, con le estorsioni, con il controllo degli appalti e con la corruzione della politica, in seria crisi la nostra società, soprattutto nel Mezzogiorno, e in generale l’intera democrazia italiana.

Secondo lei, la partenza del Riina potrebbe portare alla costituzione di un nucleo affaristico mafioso del nord?
È sempre così: un boss quando vuol salire i gradini dell’organizzazione si reca a Milano, in quella realtà tenta di mettere le radici. Il figlio di Riina da boss che vuole crescere, che si vuole affermare nell’organizzazione, avverte l’esigenza di fare come nel passato hanno fatto gli stessi corleonesi, come Luciano Liggio. Anche Totò Riina e Provenzano hanno avuto sempre forti collegamenti con la realtà del milanese. Le sue intenzioni potrebbero essere quelle di costruire una rete per il riciclaggio o semplicemente dei rapporti finanziari che risollevino le sorti della famiglia mafiosa a cui lui fa riferimento.

In un realtà dominata dai nomi di Matteo Messina Denato e Mimmo Raccuglia, qual è il ruolo di Salvuccio Riina? Detiene un ruolo di prestigio o staziona ancora tra le seconde file?
Non sta nelle seconde file: il figlio di Riina sta dentro la vita forte di Cosa Nostra, accanto i capi attuali della mafia. Al di là delle sue capacità, l’essere figlio di Totò Riina e soprattutto l’aver già partecipato alla vita interna della mafia, come è stato più volte dimostrato, gli dà un forte ruolo. Voglio dire una cosa chiara e netta: per Riina non c’è spazio né a Corleone né in nessuna parte d’Italia. C’è una sola soluzione: se fa il boss, la galera; se invece vuole uscire fuori da Cosa Nostra, deve avere la funzione di collaboratore di giustizia. Deve avere il coraggio che ebbe Peppino Impastato di rompere con l’organizzazione, con la tradizione familiare, prendere le distanze dal padre e avere il coraggio di scrivere una pagina nuova della propria famiglia, stavolta non dalla parte della mafia, ma dalla parte dello Stato.

In cella con Provenzano tra santini e preghiere...

Accanto, sempre sullo scrittoio, ci sono due santini della Madonna, dei fogli di carta bianca, e un paio di buste. Il padrino di Cosa Nostra sorride solo con la bocca, tra il timido e il beffardo; gli occhi restano immobili a scrutare l´ospite. Il fisico asciutto, leggermente smagrito, gli occhiali a montatura grossa. Indossa una tuta grigio chiaro e, - siccome «sono freddoloso» - un giaccone verde con tasche e cerniera. Parla a voce bassa: «Lo vede come si sta qui dentro? Io sento arrivare l´inverno prima degli altri». Indica il finestrone in alto nel muro, ci ha appeso l´accappatoio. Parla degli spifferi. «Lo tengo sempre chiuso, altrimenti si fa corrente». La cella dove è detenuto "zu Binu" è la numero 4, l´ultima nell´ "area riservata" del reparto 41 bis del carcere di Novara. Due sono vuote, l´altra è riadattata a ambulatorio medico. Apposta per lui. Ma forse, nonostante le due operazioni alla prostata (una da latitante a Marsiglia nel 2003) e alla tiroide, e una patologia renale, non ce ne sarebbe bisogno se persino il medico del penitenziario dice: «Alla sua età ha un fisico invidiabile, ed è un salutista». Per la prima volta da quando è in carcere (11 aprile 2006) il boss di Corleone accetta di incontrare un parlamentare: ad Antonio Misiani, deputato del Pd, Provenzano "apre" le porte della sua stanza tre metri per uno e ottanta, un angolo super blindato dove - fino a un anno fa - abitava il capo della nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo (c´è stato uno scambio di celle, oggi Cutolo è a Terni dove prima c´era "don Bernardo"). Quanto ci faccia è difficile capirlo, ma a 75 anni Binnu u tratturi (Bernardo il trattore, per la violenza con cui falciava le vite dei suoi nemici) si presenta con l´aspetto quasi ascetico di chi dice di vivere di fede e di preghiera. Che per uno come lui - 43 anni di latitanza, una sfilza di ergastoli e altri procedimenti in corso - sembra un paradosso. Devoto della Madonna, in effetti Provenzano passa le sue giornate a pregare, a leggere la Bibbia e a scrivere lettere alla moglie Saveria Palazzolo e ai due figli, Angelo e Paolo. «La fede è tutto» è il concetto che il detenuto più sorvegliato d´Italia consegna al suo interlocutore. «E´ incredibile, a vederlo così sembra una specie di monaco - racconta Antonio Misiani - mi ha impressionato». Come i pizzini coi quali dava ordini dal suo ultimo rifugio prima che lo arrestassero (la masseria di Montagna dei Cavalli, nella campagna di Corleone), ogni lettera, ogni biglietto, per quanto breve possa essere, termina - riferiscono fonti carcerarie - sempre con la stessa formula: «Vi benedica il Signore e vi protegga». Identico è sempre l´incipit: «Con l´augurio che la presente vi trovi tutti in ottima salute. Come, grazie a Dio, al momento posso dire di me». Insomma, tutte le missive spedite dal detenuto Provenzano Bernardo si aprono e si chiudono col nome di Dio. Quasi un´ossessione, la religiosità. Come quella per il cibo. Sul lato sinistro della cella, nell´armadio a muro senz´ante dove sono ordinate felpe e maglioni, appoggiata su una mensola ecco la dispensa del "salutista". Sei panini all´olio lasciati seccare - "don Bernardo" li inzuppa a colazione nel latte tiepido - e un cestino di mandaranci. Il vassoio del pranzo gli viene consegnato tra le 11,45 e mezzogiorno. Un pasto che esce dalle stesse cucine dove si confezionano gli altri 164 vassoi per i detenuti del carcere novarese. "Zu Binu" mangia pochissimo. E sull´alimentazione non sgarra. Un giorno si è scusato con gli agenti spiegando che lui il fritto non lo sfiora nemmeno. Niente alcol, niente caffè, niente sigarette. Acqua naturale, e rigorosamente del rubinetto. Un´autodisciplina ferrea. La stessa che si impone per le sacre letture e per la frenetica attività di scrittura. Su un altro ripiano della cella ci sono la Bibbia, un libro di preghiere e un dizionario della lingua italiana, a quanto pare molto frequentato. Oltre a comunicare con la famiglia e con gli avvocati, il padrino, soprattutto la sera, dedica parecchio tempo alla televisione. L´informazione lo appassiona. Non si perde i telegiornali e non disdegna qualche programma di approfondimento. Specie quelli che in qualche modo lo riguardano. Quando Misiani gli chiede se è a conoscenza della decisione del governo di inasprire ulteriormente il regime 41 bis, il cosiddetto "carcere duro", Provenzano non sembra essere troppo preoccupato: «Per me è la stessa cosa, lo era prima e lo è adesso». Glaciale, imperturbabile, e proprio per questo, allo stesso tempo, sfrontato. La stessa aria flemmatica di quando lo arrestarono dopo quasi mezzo secolo vissuto da fantasma. La giornata tipo dell´ex superlatitante inizia alle 6 del mattino. Doccia (in cella), pulizia della stanza, colazione. Detenuto in regime di isolamento, "zu Binu" non ha diritto alla socialità. Per lui è previsto solo il "passeggio", rigorosamente da solo. Due ore al giorno, una la mattina a una al pomeriggio. Per sgranchirsi, controllato dalle telecamere che lo inquadrano 24 ore su 24, dalla cella si sposta nella "voliera", un cortile chiuso da quattro mura e da una griglia di ferro. Alla direzione carceraria e agli agenti del Gom (Gruppo operativo mobile) che lo perquisiscono più volte al giorno - le stesse ispezioni vengono eseguite nella cella - il boss non ha mai chiesto nulla e non ha mai protestato. Un atteggiamento diverso da quello di altri carcerati sottoposti al 41 bis. Nell´area riservata è detenuto anche Francesco Bidognetti, detto "Cicciotto ?e Mezzanotte", boss del clan dei casalesi. Anche lui è sorvegliato dagli uomini del Gom. Il "monaco" Provenzano forse non sa nemmeno chi sia, o forse sì. tratto da: la repubblica COMUNICATO STAMPA - INDIGNATI PER VISITE A PROVENZANO di Giovanna Maggiani Chelii- 23 novembre 2008 Esprimiamo indignazione davanti alle continue visite in carcere da parte della politica, a uomini del calibro di Bernardo Provenzano. Il Deputato del PD Antonio Misiani, ci dica perché ha sentito l’esigenza di andare a parlare delle nuove norme in discussione in Parlamento, in merito alla materia del “41 bis”, con il capo di “Cosa nostra”. I rapporti della politica con la mafia lasciano sempre perplessi quelli come noi, che a causa di barbari come Provenzano abbiamo versato lacrime e sangue e a causa della politica distratta e menefreghista siamo ancora oggi in alto mare con le cause civili intraprese contro la mafia. Chiediamo al Deputato del PD Antonio Misiani, perchè non è venuto in strada in via dei Georgofili dal febbraio all’Aprile del 2008, a cercare di capire perchè tutti noi della strage del 27 Maggio 1993 eravamo sul luogo dell’attentato con gli striscioni in mano a chiedere giustizia. Chiedevamo giusto al Governo al quale apparteneva il deputato del PD Misiani attenzione per le vittime di via dei Georgofili, giustizia per il massacro di donne e bambini da parte di Bernardo Provenzano, e la politica era latitante come sempre da 15 anni a questa parte nei nostri confronti.
La Repubblica, domenica 23 novembre 2008

Corleone, si correrà il 6 e 7 dicembre il 28°Rally Conca d’Oro, unica gara su terra di tutto il sud

Già iscritte la Peugeot 207 S2000 del veneto Pesavento, primo nel 2006, le Mitsubishi di Pierangioli, Di Miceli, Vintaloro, Cutrera, Parisi e Mogavero e le Subaru di Lunardi e Di Sclafani - Partenza da Ficuzza ed arrivo a Corleone - 14 le Prove Speciali in programma – Lunedì 1 dicembre lo stop alle iscrizioni.
Corleone (Palermo), 24 novembre 2008 – Torna a disputarsi a dicembre, come in altre due edizioni del passato, il classicisimo Rally Conca d’Oro, giunto alla 28° edizione ed unica gara su sterrato di tutto il Sud. La gara, inizialmente in calendario per settembre, presenta diverse novità: innanzitutto lo svolgimento come “Rally Internazionale” e quindi su due frazioni con l’obiettivo di ottenere l’inserimento nei campionati CSAI 2009, e poi la partenza da Ficuzza dinanzi la residenza Reale.
Il 28° Rally Conca d’Oro-Trofeo Franco Vintaloro, indetto dall’A.C. Palermo ed organizzato dal Comune di Corleone e da Italia Grandi Eventi si preannuncia come interessante e spettacolare passerella di fine stagione catalizzando anche l’interesse di diversi equipaggi d’oltrestretto. A pochi giorni dalla chiusura delle iscrizioni, fissata per lunedì 1 dicembre, hanno già confermato la partecipazione il vicentino Paolo Pesavento, vincitore dell’edizione 2006, che si schiererà con una Peugeot 207 Super 2000, le Mitsubishi Lancer Evo 9 del toscano Pierangioli, dei corleonesi Di Miceli, Vintaloro, Cutrera e Di Lorenzo, di Parisi, Mogavero, Dolce e Marino e le Subaru Impreza di Lunardi, vincitore dello Challenge 8° Zona, e Di Sclafani. Contatti sono pure in corso con il sammarinese Alex Broccoli (Renault Clio R3).
Il percorso di gara sarà imperniato su 5 Prove Speciali diverse, la “lunga” “Lucia” di oltre 16 km che sarà affrontata due volte sabato pomeriggio dopo il via da Ficuzza, e poi le “Scalilli”, “San Loe”, Maranfusa” e “Casale” che saranno teatro di tre passaggi ciascuna nella giornata conclusiva. Complessivamente il tracciato misura ben 342 km, 121 dei quali costituiti dalle 14 Prove Speciali. Cinque i Parchi Assistenza, che saranno ospitati nella Zona Industriale di Corleone, ed altrettanti i Riordinamenti. Il 28° Rally Conca d’Oro-Trofeo Franco Vintaloro scatterà sabato 6 dicembre alle 18,01 da piazza Colonnello Russo a Ficuzza e si concluderà domenica 7 alle ore 18,30, come consuetudine in piazza Falcone e Borsellino a Corleone. Le verifiche sportive avranno luogo sabato dalle ore 11 alle 16,30 a Ficuzza, che ospiterà anche la Direzione di Gara. La cartina del percorso, gli orari della gara e tutte le altre informazioni sono già in rete sul sito http://www.siciliarally.com/.
Gianfranco Mavaro
FOTO: la Peugeot 207 S2000 del veneto Pesavento

domenica 23 novembre 2008

Palermo, scoperto un bunker della mafia

Individuato un rifugio segreto nel quartiere Zen, a Palermo: trovati munizioni, droga ed un poligono di tiro sotterraneo. Il covo sarebbe stato utilizzato da boss e latitanti per sfuggire ai controlli delle forze dell'ordine
PALERMO - La polizia ha scoperto un bunker sotterraneo all'interno del quale era stata realizzato un poligono di tiro: nel locale sono state trovate munizioni e diverse dosi di cocaina pronte per la vendita. Secondo gli inquirenti, attraverso la complessa rete di cunicoli che porta all'ambiente, boss latitanti potrebbero essere riusciti a sfuggire alla cattura.Il covo sotterraneo si trova nel quartiere Zen, ex feudo dei capimafia di S. Lorenzo Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Al rifugio gli agenti del Commissariato San Lorenzo sono giunti seguendo le tracce di un pregiudicato: Antonino Grimaldi, 29 anni.Perquisendo la sua abitazione, la polizia ha scoperto il passaggio segreto che portava direttamente al locale attraverso una serie di cunicoli e botole. L'uomo è stato arrestato e deve rispondere di detenzione di munizioni e spaccio di sostanze stupefacenti. Al rifugio si accedeva attraverso gli scantinati di uno dei tanti palazzoni del rione popolare palermitano. Impossibile l'ingresso agli estranei che dovevano superare un cancello azionabile solo attraverso un telecomando e poi una porta blindata. Nella stanza, ampia una ventina di metri quadrati con comodi divani, aria condizionata e lettori dvd, sono state trovate anche 100 dosi di cocaina confezionata per la vendita per un valore di 10mila euro e 7000 euro in contanti.Ad una decina di metri di profondità è stato persino scoperto un poligono di tiro fai da te: sulle pareti buchi di proiettili e, a terra, ancora i bossoli sparati. Per la polizia che l'ha scoperto durante un blitz a casa di Antonio Grimaldi sarebbe stato utilizzato per testare le armi. Forse anche dai sicari di Cosa Nostra."Complimenti al questore ed alla polizia di Palermo per la brillante operazione che scopre ed elimina un punto riferimento nel quartiere Zen": queste le parole del sen. Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali e componente della commissione Antimafia."Se qualcuno ne avesse dubitato, oggi c'è la conferma che, ancora, zone della città di Palermo - aggiunge - sono presidiate da una mafia che predispone di nascondigli, covi, vie di fuga ed un poligono sotterraneo di tiro. Dobbiamo tenere la guardia alta - conclude Vizzini - perché lo scontro è ancora duro e la vittoria finale passa per la cattura di tutti i latitanti, l'inasprimento del carcere duro e la confisca di tutti i beni dei mafiosi".
La Sicilia, 23/11/2008

PIETRO MILAZZO. Lettera aperta al Signor QUESTORE di PALERMO, MARANGONI

Caro Signor Questore,
non ho avuto, ancora il piacere di conoscerLa personalmente, e Lei, non ha avuto modo di conoscermi e conoscere la mia storia, se non attraverso le fredde carte e documentazioni che qualcuno Le ha predisposto. Le indirizzo questa lettera aperta, non per polemica e per un segno di indisponibilità al dialogo da parte mia, ma perché comunque essendosi iniziata, in forma, non proprio piacevole, una relazione fra noi, ciò credo mi autorizzi ad usare questa forma comunicativa, con la speranza d’ottenere una risposta non formale.
Lei mi ha fatto notificare, per il tramite dei suoi funzionari del Commissariato Libertà, in data 26 settembre scorso, un avviso orale ai sensi dell’art 4 della legge 27.12.1956, n. 1423, quella che regola le misure di prevenzione, avvertendomi che a mio carico esisterebbero sospetti di appartenenza ad una delle categorie di persone descritte dall’art.1 della medesima legge: si tratta di persone dedite a traffici delittuosi, che vivono dei proventi di essi, o che attentano, gravemente, all’ordine, alla sicurezza, alla salute pubblica.
Inoltre mi si avvisa di cambiare condotta, adeguandola a norma di vita onesta e laboriosa, avvertendomi che, in caso contrario, potrei essere proposto al Tribunale competente per l’applicazione di una misura di prevenzione. Qui, già, mi pare di rilevare un’incongruità della legge. Infatti in un prima parte si parla di “sospetti” d’appartenenza a categorie dai comportamenti delittuosi e, dunque, siamo nel campo della presunzione, ma, subito dopo, solo in base ai suddetti sospetti si passa ad un avviso formale, che se non ha immediate conseguenze fattuali, ma mette in mora per tre anni ed è atto propedeutico al possibile ricorso al Tribunale per le misure di prevenzione…
Signor Questore, io in generale sono grato, a chi mi avverte, considerando questo un atteggiamento utile e affettuoso, segnale di attenzione da parte di chi ha a cuore i miei destini e la mia vita,
ma, ovviamente, in questo caso, non mi sento d’esprimere un tale sentimento, non ravvisando un simile atteggiamento costruttivo. Anzi devo dirLe, con grande franchezza, che ho provato un moto di incredulità, prima, di grande sconcerto e senso di amarezza, poi, misto al rifiuto per quella che vivo come una grande ingiustizia e un affronto grave.
Ho deciso, dunque, di dare la massima pubblicità a quest’atto e Lei sa quello che è accaduto.
Sono stato letteralmente inondato da attestati di solidarietà e di affetto, da parte degli ambienti più disparati: politici di vari orientamenti, anche opposti ai miei, sacerdoti, sindacalisti, avvocati, intellettuali, attivisti di associazioni, artisti, ma, soprattutto, donne, uomini, giovani, persone semplici ed anonime, lavoratori, studenti, senza casa, immigrati.
Questi ultimi, senza retorica, sono i messaggi che ho più a cuore..! Lascio che per me parlino queste centinaia di attestati..Sono la migliore testimonianza che io potevo sperare di ottenere e, non Le nascondo, che su alcune di queste frasi e parole ho versato lacrime di commozione.
Da questo punto di vista, ma solo da questo, non posso che ringraziarLa, signor Questore, perché mi ha dato l’opportunità, non cercata, di constatare che comunque niente va perduto, che le azioni umane scavano un solco nel cuore e nella memoria di coloro che si intrecciano con la Tua vita.
Ma rimane l’amarezza e la voglia di non accettare un torto subito.
Lei Signor Questore, essendosi insediato da poco in questa città, non poteva conoscere direttamente la mia storia ed il mio percorso.
La mia storia è quella di un semplice militante politico ed un attivista sociale che ha avuto il solo merito di avere ostinatamente proseguito, da circa quarant’anni, senza mai smettere, un percorso di impegno, cercando di dare il suo modesto contributo ad un processo di crescita sociale e politica di una realtà, devastata e devastante, come Palermo.
Ho pensato che quel piccolo patrimonio di opportunità che la vita mi ha concesso avevo l’obbligo di restituirlo, innanzitutto, a coloro, e sono tanti nella nostra situazione, che non hanno avuto dalla sorte nessuna opportunità, condannati fin dalla nascita ad una vita, fatta di miseria e degrado.
Ho fatto una scelta di campo. Stare dalla parte dei diseredati, degli oppressi, dei dannati della terra.
Stare e combattere con loro, sapendo di andare a cozzare con gli interessi e l’ostilità dei potenti di turno. Rivendico, con orgoglio, questa scelta, che mi porta a militare nel sindacato CGIL e nei movimenti sociali che si battono, qui e in tutto il mondo, per la libertà, l’eguaglianza, la fraternità,
e proseguirò questa strada sino alla fine, a qualunque prezzo. E’ il mio modo di dare senso e dignità all’esistenza, e, tutto ciò non me lo farò togliere da nessuno, potente quanto possa essere. Comprendo, che possa esserci qualcuno che pensa, sbagliando, di poter farmi pagare un prezzo, per le mie “malefatte”, e che qualcuno possa, come dice la bella poesia di B.Brecth, che le ho indirizzato, avere le sue “buone ragioni”, per colpirmi.
L’amico Dino Paternostro, coraggioso sindacalista e giornalista di una terra di frontiera, come Corleone, in un articolo sul quotidiano La Sicilia del 5 ottobre 2008, pigliando spunto dalla vicenda che mi riguarda, ricordava come negli anni ’40 e ’50, provvedimenti simili a quello che mi ha colpito erano indirizzati ai sindacalisti della CGIL che giravano i paesi del feudo per organizzare le lotte contadine. Anche allora c’erano tanti che avevano, da loro punto di vista, molte “buone ragioni” per tentare di frenare la sacrosanta lotta per i diritti dei lavoratori della terra.
Caro Signor Questore lei, per comminare il provvedimento che mi ha fatto notificare, si è basato sulle carte e sulle documentazioni dei suoi collaboratori locali.
Questo, forse, non può che fare, nel suo ruolo e nella Sua posizione istituzionale, ma, Signor Questore, mi consenta una pacata critica: trattandosi di un provvedimento pesante, che colpisce gravemente nella sua dignità ed identità personale, anche solo per essere stato emesso, l’”avvisato”,
credo che sarebbe stato necessario un supplemento di conoscenza, una istruttoria più lunga, in cui Lei si rendesse personalmente conto del merito della questione e della personalità del soggetto da avvertire, anche in ossequio ad un principio di precauzione e rispetto, dovuto a ogni cittadino, che non sarò certo io ad insegnarLe!
Ciò non è stato fatto. Le posso suggerire di riguardare meglio le carte e di ricostruire il mio percorso, Signor Questore? Ho la presunzione di credere che si renderà conto facilmente che se anche qualcuno aveva delle “buone ragioni” per ostacolarmi, questo non ha nulla a che fare con il dispositivo che è stato messo in moto e, soprattutto con il sospetto di appartenenza alle fattispecie criminali, indicate dall’art1 della legge. Dunque, per tutte queste “buone ragioni”, in ragione del diritto formale che mi viene concesso ai sensi dell’art. 5 della legge 327, Le chiedo, con questa lettera aperta e con un dispositivo, che le verrà notificato, la revoca dell’avviso.

Signor Questore, io ho fiducia nella sua integrità, correttezza professionale e onestà intellettuale e non dubito che Lei saprà valutare obiettivamente l’entità della questione che mi riguarda e che quindi vorrà revocare il provvedimento nei miei confronti, che io considero ingiusto, nel metodo e nel merito. Quali sono, infatti, i comportamenti delittuosi che mi si attribuiscono?
Sono la mia attività, sociale e politica, fatta alla luce del sole e sempre assumendomene in pieno la responsabilità? Se i comportamenti delittuosi di cui sono sospettato sono quelli che indicavo prima, Le chiedo, formalmente, Signor Questore di non revocare l’avviso e di deferirmi, IMMEDIATAMENTE, al tribunale per le misure di prevenzione.. poiché io non riconosco e non mi riconosco in una descrizione fattuale che identifica in queste mie azioni, comportamenti criminali o nocivi per la sicurezza e l’integrità pubblica. Sono assolutamente convinto e motivato a proseguire, la mia azione, nel medesimo modo con cui l’ho condotta sino ad oggi ed a questo scopo sono disposto a pagare tutti i prezzi che saranno necessari. Agli eventi futuri il giudizio conclusivo…
La ringrazio, sin d’ora. Con la speranza, dunque, che ci si possa confrontare direttamente e serenamente, concludo questa lettera aperta riportando due brevi testi, nei quali mi riconosco ed identifico. Non li indirizzo, a Lei, direttamente, ma a quegli ambienti che certamente hanno ispirato questo provvedimento e che non smettono mai di portare avanti l’abitudine proterva di considerare pericolosi e dannosi coloro che si ostinano a non volere accettare e subire un ordine sociale ingiusto e disumano, avendo l’ardire, persino, di spingere gli altri ad organizzarsi e lottare per affermare i loro diritti sacrosanti.

****

A testa alta

«Nei paesi più poveri della terra i bambini, per imparare a vivere, devono frequentare la “scuola del mondo alla rovescia”, dove apprendono che la povertà è il giusto castigo per l’inefficienza; che la disuguaglianza è una legge naturale che ha come corollari il razzismo e il maschilismo; che la realtà è quella che si vede in televisione; che il crimine è nero o giallo o di altri colori, ma - quasi mai - bianco e così via… Il piano di studi prevede corsi obbligatori di impotenza, amnesia e rassegnazione, grazie ai quali gli oppressi del pianeta imparano a subire la realtà invece di cambiarla, a dimenticare il passato per permettere ai dittatori di ogni tempo di restare impuniti, ad accettare passivamente il futuro, perché immaginarsene uno diverso è un vizio che viene regolarmente punito…».


Da “A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia” di Eduardo Galeano.

____________________________________________
Per buone ragioni

Io son cresciuto figlio di benestanti.
I miei genitori mi hanno messo un colletto ed educato nelle abitudini di chi è servito
e istruito nell’arte di dare ordini. Però
quando fui adulto e mi guardai intorno
non mi piacque la gente della mia classe, né dare ordini né essere servito.
E io lasciai la mia classe e feci lega con la gente del basso ceto.

Così hanno allevato un traditore, istruito nello loro arti; e costui li tradisce al nemico.

Sì, dico in giro segreti. In mezzo al popolo
sto e spiego
come ingannano, quelli, e predico quel che verrà, perchè io sono introdotto nei loro piani.
Il latino dei loro preti venali lo traduco parola per parola in lingua volgare, dove si rivela un imbroglio. La bilancia della loro giustizia la tiro giù e mostro i falsi pesi.
E le loro spie riferiscono che siedo con i depredati quando tramano la rivolta.

Essi m’han diffidato e m’hanno tolto
quel che col mio lavoro ho guadagnato, e quando non mi sono emendato
mi hanno dato la caccia;
ma ormai in casa mia soltanto scritti c’erano, che svelavano le loro trame contro il popolo.
Così m’han perseguito con un mandato di cattura
che mi imputa una mentalità degradata, cioè la mentalità dei degradati.

Dove giungo, sono un marcato a fuoco per tutti i possidenti; ma i nullatenenti
leggono il mandato di cattura e mi concedono un rifugio. Quelli, io sento dire a loro,
per cacciarti avevano buone ragioni.”

Da “Poesie e Canzoni” di Bertolt BRECHT (1939)

sabato 22 novembre 2008

Graffito a Palermo chiede la scarcerazione di Riina

Le reazioni dal mondo politico

Francesco Cascio, presidente dell'Ars
"È un grave gesto sul quale è importante che si faccia al più presto chiarezza. Episodi come questo oltre ad essere inquietanti offendono anche la città di Palermo, che ha intrapreso da tempo un virtuoso percorso di riscatto".
Lo afferma il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Francesco Cascio commentando le scritte apparse oggi su un muro di Palermo che chiedono la scarcerazione del capomafia Totò Riina.

Giuseppe Lumia (Pd), componente dell'Antimafia
"Per una strana coincidenza queste scritte inquietanti sono apparse nello stesso giorno in cui si viene a sapere che uno dei figli di Riina ha 'miracolosamente' trovato un posto di lavoro in Lombardia". L'ha detto il senatore Giuseppe Lumia (Pd), componente dell'Antimafia, commentando le scritte riferite al boss corleonese apparse oggi sui muri di Palermo. "A questo - ha continuato - bisogna aggiungere l'allarme del pm Nino di Matteo sul pericolo che ci sia un ritorno di Cosa nostra ad azioni violente contro i magistrati di Palermo, minacciati ma non sotto protezione. Questi tre segnali devono far riaccendere l'attenzione sulle mosse di Cosa nostra, è ormai in carcere quasi tutto il vertice storico, e questo sta sicuramente portando a tensioni interne che possono trovare sfogo in direzioni diverse". "Mentre magistratura e forze dell'ordine riportano importanti successi - ha concluso - è determinante che anche la politica non faccia calare la tensione"

Carlo Vizzini, presidente della Commissione Affari costituzionali
"Arresteremo anche voi e inaspriremo il 41 bis. Questa è l'unica risposta possibile a chi, nascondendo il volto, scrive questi messaggi devastanti anonimamente". Lo dice il senatore Carlo Vizzini, presidente della Commissione Affari costituzionali e componente della commissione Antimafia, in merito alle scritte apparse questa mattina su un muro di Palermo che chiedono la scarcerazione del capomafia Totò Riina. "Mi sembra un pessimo messaggio di una mafia alla ricerca di un nuovo capo ma rimpiange il vecchio - dice - sono scritte disperate alle quali risponderemo con le catture, le leggi e con le confische di tutti i beni dei mafiosi".

21 novembre 2008