Confesso qualche commozione molto poco professionale, e molto diversa dal cinismo che a volte noi giornalisti affettiamo, nell'ascoltare la network Fox, quella che disperatamente e sfacciatamente ha fatto campagna di calunnie e di montature contro Obama "il terrorista, marxista, mussulmano, radicale" e che mi sono crudelmente goduto per ore nel suo calvario, ha annunciato alle 23 di ieri che l'America avrebbe avuto, per la prima volta nella propria storia, un Presidente di etnia mista africana ed europea. Nella sua vittoria, e nella insurrezione nazionale e pacifica contro gli otto anni del peggior governo repubblicano che l'America avesse conosciuto dal quadriennio di Herbert Hoover, il padre della Grande Depressione, c'è il riscatto non della sinistra contro la destra, non dei "migliori" contro i "peggiori", perché in democrazia non ci sono "superiori" e "inferiori" e il voto del Rettore Magnifico conta quanto quello del fattorino che gli porta il caffè. Il successo di Barack Hussein Obama è anche qualcosa di più importante dell'ormai inevitabile riconoscimento che nel club più esclusivo del mondo, quello che ha visto ammessi soltanto 41 uomini bianchi (per 43 presidenze) in duecento vent'anni non potevano non entrare cittadini con volti, e domani con sesso, diversi e più simili al volto dell'America, è la rivincita dell'intelligenza e della preparazione sul mito dell'"uomo qualunque" e della banalizzazione delle istituzioni. Non sappiamo, e nessuno lo può dire, se Barack Hussein Obama sarà un buon presidente, se riacciufferà l'economia americana dall'abisso nel quale sta precipitando e dove trascinerebbe anche noi (la produzione industriale americana in ottobre è diminuita del 26%, un quarto, questo per coloro che ci ripetevano che la crisi della finanza non era la crisi dell'economia reale), se ritesserà la maglia di amicizia e di stima internazionale che Bush ha lacerato nonostante la piaggeria degli inutili cortigiani alla Berlusconi, se sarà una delusione come Carter o un successo come il vecchio, prudente Bush. Ma sappiamo che finalmente nello Studio Ovale siederà qualcuno che conosce la differenza fra un libro e una sega a motore, che non considera la cultura e la sintassi come espressioni di "fighettismo", secondo l'atroce neologismo caro ai duri e puri. Non uno "come me", ma uno migliore di me, capace di ascoltare, ma anche di riflettere e di circondarsi di persone delle quali non teme la concorrenza, perché non soffre di complessi di inferiorità. Molto abbiamo detto, scritto e ascoltato, da mesi ormai, sulla straordinaria novità di un presidente afro americano, insieme bianco (la parte di lui che sempre si dimentica) e nero, ed è ovvia la lezione - anzi, la sberla - che la democrazia americana ha dato ai miserabili sfruttatori delle paure razziali e del provincialismo identitario che oggi purtroppo spadroneggiano in Europa. O che fecero dire in un telegiornale de La7 al Presidente della Camera italiana, onorevole Gianfranco Fini, che l'America non avrebbe mai eletto "un nero". Ma la promessa di Obama è più della etnia, della storia personale, della capacità di superare l'handicap di un nome tremendo come Hussein, è la stessa che fece di Kennedy l'uomo che fermò il mondo a un passo dall'olocausto nucleare leggendo e rileggendo "I cannoni d'Agosto" il libro di una storica americana, Barbara Tuchman, che raccontava come la guerra sia la marcia della follia verso il disastro. E rispondendo di no ai generali che raccomandavano l'invasione dell'isola. L'elettorato americano ha punito il partito Bush, dando, insieme con la Casa Bianca, una schiacciante maggioranza di seggi si Democratici nella Camera e nel Senato. Ha respinto otto anni di mediocrità spacciata per grande visione morale, ha rifiutato offeso l'assurda candidatura di una governatrice di provincia che le donne americane hanno preso come un insulto, portato da chi - maschilisticamente - crede che le donne votino soltanto nel segno del loro genere e non nella scelta della persona migliore per loro stesse e le loro famiglie. Ma soprattutto ha detto che era stanco di essere trattato come un gregge di idioti contenti di essere governati da un compagno di bicchierate che li fa sentire meno stupidi. La democrazia non deve scegliere geni o premi Nobel ma neppure cadere nella tentazione del gioco al ribasso e all'instupidimento collettivo dei venditori di barzellette e di perline. God bless America. Sia benedetta l'America che ha ritrovato la forza per credere nella democrazia e la persona per raccogliere in maniera civile e intelligente l'onda dell'antipolitica che anche qui si era alzata.
(5 novembre 2008)
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