“LEGAMI DI LEGALITÀ LEGAMI DI RESPONSABILITÀ”
Ogni anno, il 21 marzo, in coincidenza con il primo giorno di primavera, LIBERA si ritrova con la sua rete di associazioni, scuole e cittadini per celebrare la memoria delle vittime innocenti di tutte le mafie e per ribadire l’impegno quotidiano nella realizzazione di percorsi di legalità democratica e partecipazione civile. Nelle diverse edizioni fin qui svoltesi, la Giornata è stata ospitata da Roma, Niscemi (CL), Reggio Calabria, Corleone (PA), Casarano (LE), Torre Annunziata (NA), Nuoro, Modena, Gela (CL), ancora Roma, Torino, Polistena (RC), Bari e Napoli. La giornata tradizionalmente si tiene il 21 marzo, ma quest’anno in via eccezionale viene anticipata di un giorno per favorire la massima partecipazione di quanti arriveranno da ogni parte d’Italia.
L’APPUNTAMENTO QUEST’ANNO È A MILANO, SABATO 20 MARZO 2010.
LA GIORNATA
Il cuore della “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie” è un corteo durante il quale si tiene la lettura pubblica dei nomi di coloro che sono caduti per mano mafiosa, sia di coloro che sono stati uccisi perché si contrapponevano ai criminali per ragioni professionali (magistrati, esponenti delle forze dell’ordine e delle istituzioni), sia di quanti non si sono piegati al quieto vivere e hanno svolto il loro ruolo fino in fondo (giornalisti, imprenditori, sindacalisti, sacerdoti e tanti altri), ma anche di chi si è trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato ed è stato spazzato via dalla cieca violenza dei criminali. Nella lettura che dura ore, studenti e cittadini, familiari e personalità si alternano e per quanti partecipano il ricordo delle vittime diventa uno stimolo all’impegno. Nel pomeriggio sono previsti dei seminari che approfondiscono contenuti e tematiche per costruire percorsi di impegno a partire dalla memoria delle vittime.
PERCHÉ MILANO, PERCHÉ LA LOMBARDIA, PERCHÉ IL NORD
“Milano e la Lombardia rappresentano la metafora della ramificazione molecolare della ‘ndrangheta in tutto il nord, dalle coste adriatiche della Romagna ai litorali del Lazio e della Liguria, dal cuore verde dell’Umbria alle valli del Piemonte e della Valle d’Aosta… La Lombardia è da sempre retroterra strategico dei più importanti sodalizi criminali calabresi e gli eventi registrati offrono ulteriori riscontri per quanto concerne la massiccia presenza nella regione di soggetti legati alla ‘ndrangheta, con interessi principalmente nel settore del traffico di stupefacenti, nella gestione dei locali notturni e nell’infiltrazione all’interno dell’imprenditoria edilizia”.
Dalla relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, XV Leg., approvata all’unanimità
Come ci ricorda l’ultima relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, è ormai chiaro a tutti, nonostante smentite superficiali e sottovalutazioni pericolose, che il fenomeno delle mafie nel nostro paese non riguarda più e soltanto le tradizionali regioni di origine, ma è oggi un problema nazionale e internazionale. Le mafie sono presenti a Milano e in Lombardia, oggi.
LEGAMI DI LEGALITà, LEGAMI DI RESPONSABILITà
Una società civile e organizzata che voglia contrapporsi al potere delle mafie e della corruzione deve battersi perché la cittadinanza sia pratica vissuta e non sterile declamazione. I diritti sanciti dalla Costituzione devono essere pienamente fruibili, per tutti, nessuno escluso. La legalità per la legalità non basta, non è assolutamente sufficiente visto che negli ultimi anni si è visto tutto e il contrario di tutto essere spiegato in nome della legalità. Serve una maggiore responsabilità, serve un’assunzione concreta di responsabilità che interpella ciascuno di noi singolarmente, ciascun cammino associativo, ciascuna scelta istituzionale. Tutte Le relazioni, tutti i luoghi di democrazia, tutti i legami civili devono interagire tra loro, pena l’insuccesso nella battaglia contro la criminalità organizzata, la corruzione, l’illegalità e, in ultimo, la sfiducia nella possibilità di sortire insieme e collettivamente da problemi così complessi che minano la nostra democrazia. Sapranno i cittadini, non solo milanesi e lombardi, capire che la battaglia per le mafie è una battaglia per i diritti e che l’ipoteca delle cosche sulle vite, gli affari, i circuiti istituzionali è più insidiosi perché apparentemente meno visibile? “Legami di legalità legami di responsabilità” è lo slogan scelto per la giornata del 20 marzo per richiedere a ciascuno di noi uno scatto in avanti, un sano protagonismo che unito a quello degli altri è funzionale alla costruzione di “una comunità alternativa alle mafie”, saldamente ancorata alla Carta Costituzionale.
Aggiornamenti e informazioni sui siti www.libera.it e www.liberainformazione.org
domenica 24 gennaio 2010
Processo Talpe alla Dda, 7 anni a Cuffaro. Riconosciuto il favoreggiamento alla mafia
di Alessandra Ziniti
L'ex governatore: "Il verdetto non modifica il mio percorso politico"
Sette anni di carcere e l'aggravante di avere agevolato Cosa nostra. E' questa la condanna inflitta a Salvatore Cuffaro dalla terza sezione della Corte d'appello di Palermo. Un verdetto più pesante rispetto a quello pronunciato dai giudici di primo grado che all'ex governatore della Sicilia, oggi senatore dell'Udc, inflissero una pena di 5 anni senza l'aggravante del favoreggiamento alla mafia. In appello sono state modificate anche le altre condanne: all'ex manager della sanità privata Michele Aiello è stata inflitta una pena di 15 anni e 6 mesi per associazione mafiosa, in primo grado erano 14 gli anni di reclusione. Ed è stata modificata in concorso esterno all'associazione mafiosa la condanna per favoreggiamento all'ex maresciallo del Ros Giorgio Riolo, per lui 8 anni di carcere: in primo grado aveva avuto 7 anni. La Corte, infine, ha dichiarato prescritto il reato contestato ad Adriana La Barbera per morte dell'imputata. Per il resto la sentenza di primo grado è stata interamente confermata.
"So di non essere mafioso e di non avere mai favorito la mafia. Avverto, da cittadino, la pesantezza di questa sentenza che, però, non modifica il mio percorso politico", ha dichiarato Cuffaro, nell'aula bunker del carcere Pagliarelli subito dopo il verdetto di condanna. "Ciò non vuol dire - ha continuato - che le sentenze non debbano essere rispettate dal momento che sono espresse dalle istituzioni". Poi, in una nota, ha aggiunto: "So di non aver mai voluto favorire la mafia e di essere culturalmente avverso a questa piaga, come la sentenza di primo grado aveva riconosciuto. Prendo atto però della sentenza della corte di appello. In conseguenza di ciò lascio ogni incarico di partito. Mi dedicherò con la serenità che la Madonna mi aiuterà ad avere alla mia famiglia e a difendermi nel processo, fiducioso in un esito di giustizia". Nei confronti dell'ex presidente della Regione siciliana è scattata l'aggravante per il cosiddetto "episodio Guttadauro": l'attuale senatore dell'Udc avrebbe messo il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro in condizione di scoprire una microspia nel salotto di casa e questo è un fatto che, secondo l'accusa e secondo la terza sezione della Corte d'appello, presieduta da Giancarlo Trizzino, a latere il relatore Ignazio Pardo e Gaetano La Barbera, ha favorito l'intera associazione mafiosa.
(La Repubblica, 23 gennaio 2010)
L'ex governatore: "Il verdetto non modifica il mio percorso politico"
Sette anni di carcere e l'aggravante di avere agevolato Cosa nostra. E' questa la condanna inflitta a Salvatore Cuffaro dalla terza sezione della Corte d'appello di Palermo. Un verdetto più pesante rispetto a quello pronunciato dai giudici di primo grado che all'ex governatore della Sicilia, oggi senatore dell'Udc, inflissero una pena di 5 anni senza l'aggravante del favoreggiamento alla mafia. In appello sono state modificate anche le altre condanne: all'ex manager della sanità privata Michele Aiello è stata inflitta una pena di 15 anni e 6 mesi per associazione mafiosa, in primo grado erano 14 gli anni di reclusione. Ed è stata modificata in concorso esterno all'associazione mafiosa la condanna per favoreggiamento all'ex maresciallo del Ros Giorgio Riolo, per lui 8 anni di carcere: in primo grado aveva avuto 7 anni. La Corte, infine, ha dichiarato prescritto il reato contestato ad Adriana La Barbera per morte dell'imputata. Per il resto la sentenza di primo grado è stata interamente confermata.
"So di non essere mafioso e di non avere mai favorito la mafia. Avverto, da cittadino, la pesantezza di questa sentenza che, però, non modifica il mio percorso politico", ha dichiarato Cuffaro, nell'aula bunker del carcere Pagliarelli subito dopo il verdetto di condanna. "Ciò non vuol dire - ha continuato - che le sentenze non debbano essere rispettate dal momento che sono espresse dalle istituzioni". Poi, in una nota, ha aggiunto: "So di non aver mai voluto favorire la mafia e di essere culturalmente avverso a questa piaga, come la sentenza di primo grado aveva riconosciuto. Prendo atto però della sentenza della corte di appello. In conseguenza di ciò lascio ogni incarico di partito. Mi dedicherò con la serenità che la Madonna mi aiuterà ad avere alla mia famiglia e a difendermi nel processo, fiducioso in un esito di giustizia". Nei confronti dell'ex presidente della Regione siciliana è scattata l'aggravante per il cosiddetto "episodio Guttadauro": l'attuale senatore dell'Udc avrebbe messo il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro in condizione di scoprire una microspia nel salotto di casa e questo è un fatto che, secondo l'accusa e secondo la terza sezione della Corte d'appello, presieduta da Giancarlo Trizzino, a latere il relatore Ignazio Pardo e Gaetano La Barbera, ha favorito l'intera associazione mafiosa.
(La Repubblica, 23 gennaio 2010)
Cuffaro rischia un processo per mafia. Il 5 febbraio la decisione del Gup
di Alessandra Ziniti
Neanche il tempo di provare a riprendersi dal colpo inatteso e il 5 febbraio per Cuffaro ci sarà un altro giudice per un altro processo. Con un´imputazione ancora più pesante, quel concorso esterno in associazione mafiosa che fino ad ora la vecchia linea della Procura di Palermo aveva preferito abbandonare e che è stata riproposta all´insediamento alla guida dell´ufficio del procuratore Francesco Messineo che ha affidato l´inchiesta-bis a quello stesso magistrato, il sostituto Nino Di Matteo, che aveva lasciato il banco dell´accusa nel primo processo perché in disaccordo con la linea "al ribasso" scelta allora. E sarà proprio Di Matteo a sostenere davanti al giudice dell´udienza preliminare Vittorio Anania la richiesta di processare nuovamente Cuffaro, ma per concorso esterno in associazione mafiosa. Un´accusa che si baserà, per buona parte, su quanto già oggetto del processo conclusosi ieri in appello, con pochi "fatti nuovi" riferiti negli ultimi due anni da alcuni collaboratori di giustizia ma anche da qualche testimone imputato in altri processi di mafia. Come l´imprenditore Gaspare Romano, già condannato per favoreggiamento ai Brusca, che ha tirato fuori il racconto di un pranzo in campagna quindici anni fa che avrebbe visto Cuffaro seduto allo stesso tavolo con Santino Di Matteo, uno degli assassini di Falcone poi pentitosi, e con Emanuele Brusca, uno dei fratelli del boss di San Giuseppe Jato, e Rino Lo Nigro, uno dei superburocrati della Regione appena confermato da Lombardo il cui nome è recentemente comparso nell´inchiesta sull´arresto del boss Mimmo Raccuglia.
«La conviviale si tenne nelle campagne di Portella della Ginestra, quindici anni fa o forse più - ha raccontato Gaspare Romano - in quella occasione, che non era per fini elettorali, conobbi Cuffaro. C´era anche un tale Rino Lo Nigro, nella cui casa ho poi visto altre volte Cuffaro». Il verbale è finito dentro i sessanta fascicoli depositati dalla Procura a sostegno della nuova richiesta di rinvio a giudizio che il procuratore Messineo e il sostituto Di Matteo hanno così articolato: «Nella sua veste di esponente politico di spicco e di presidente della Regione, Cuffaro consapevolmente e fattivamente ha contribuito al sostegno e al rafforzamento dell´associazione Cosa nostra, intrattenendo, anche al fine della ricerca e dell´acquisizione di sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell´organizzazione». E cioè, Siino, Bonura, Rotolo, Aiello, Di Gati, Guttadauro, Campanella e Aragona. Nell´inchiesta-bis, i magistrati insistono sulle fughe di notizie già oggetto del primo processo. Scrivono i pm: «Cuffaro ha avvertito Francesco Campanella (esponente della famiglia di Villabate nonché ex consulente dello stesso Cuffaro e oggi collaboratore di giustizia) che nei suoi confronti erano in corso investigazioni». E poi alcune intercettazioni, le parole del boss Franco Bonura, recentemente condannato a 30 anni al processo Gotha: «Con Cuffaro ci siamo incontrati, siamo stati vicini».
(La Repubblica, 24 gennaio 2010)
Neanche il tempo di provare a riprendersi dal colpo inatteso e il 5 febbraio per Cuffaro ci sarà un altro giudice per un altro processo. Con un´imputazione ancora più pesante, quel concorso esterno in associazione mafiosa che fino ad ora la vecchia linea della Procura di Palermo aveva preferito abbandonare e che è stata riproposta all´insediamento alla guida dell´ufficio del procuratore Francesco Messineo che ha affidato l´inchiesta-bis a quello stesso magistrato, il sostituto Nino Di Matteo, che aveva lasciato il banco dell´accusa nel primo processo perché in disaccordo con la linea "al ribasso" scelta allora. E sarà proprio Di Matteo a sostenere davanti al giudice dell´udienza preliminare Vittorio Anania la richiesta di processare nuovamente Cuffaro, ma per concorso esterno in associazione mafiosa. Un´accusa che si baserà, per buona parte, su quanto già oggetto del processo conclusosi ieri in appello, con pochi "fatti nuovi" riferiti negli ultimi due anni da alcuni collaboratori di giustizia ma anche da qualche testimone imputato in altri processi di mafia. Come l´imprenditore Gaspare Romano, già condannato per favoreggiamento ai Brusca, che ha tirato fuori il racconto di un pranzo in campagna quindici anni fa che avrebbe visto Cuffaro seduto allo stesso tavolo con Santino Di Matteo, uno degli assassini di Falcone poi pentitosi, e con Emanuele Brusca, uno dei fratelli del boss di San Giuseppe Jato, e Rino Lo Nigro, uno dei superburocrati della Regione appena confermato da Lombardo il cui nome è recentemente comparso nell´inchiesta sull´arresto del boss Mimmo Raccuglia.
«La conviviale si tenne nelle campagne di Portella della Ginestra, quindici anni fa o forse più - ha raccontato Gaspare Romano - in quella occasione, che non era per fini elettorali, conobbi Cuffaro. C´era anche un tale Rino Lo Nigro, nella cui casa ho poi visto altre volte Cuffaro». Il verbale è finito dentro i sessanta fascicoli depositati dalla Procura a sostegno della nuova richiesta di rinvio a giudizio che il procuratore Messineo e il sostituto Di Matteo hanno così articolato: «Nella sua veste di esponente politico di spicco e di presidente della Regione, Cuffaro consapevolmente e fattivamente ha contribuito al sostegno e al rafforzamento dell´associazione Cosa nostra, intrattenendo, anche al fine della ricerca e dell´acquisizione di sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell´organizzazione». E cioè, Siino, Bonura, Rotolo, Aiello, Di Gati, Guttadauro, Campanella e Aragona. Nell´inchiesta-bis, i magistrati insistono sulle fughe di notizie già oggetto del primo processo. Scrivono i pm: «Cuffaro ha avvertito Francesco Campanella (esponente della famiglia di Villabate nonché ex consulente dello stesso Cuffaro e oggi collaboratore di giustizia) che nei suoi confronti erano in corso investigazioni». E poi alcune intercettazioni, le parole del boss Franco Bonura, recentemente condannato a 30 anni al processo Gotha: «Con Cuffaro ci siamo incontrati, siamo stati vicini».
(La Repubblica, 24 gennaio 2010)
venerdì 22 gennaio 2010
Corleone. L'ordine del giorno sulla viabilità approvato all'unanimità dal Consiglio comunale
Comune di Corleone
Ordine del giorno: “interventi urgenti di manutenzione sulla s.p 2 e s.p.4, tempi e modalità di esecuzione”.
Il consiglio comunale di Corleone
Premesso:
Che il Consiglio Comunale di Corleone con delibera n° 63 del 19/11/2007 ha approvato all'unanimità la mozione sulla strada Provinciale che collega Corleone – San Cipirello- Partinico denominata S.P 4 ed S.P. 2.
Che detta strada riveste un ruolo importantissimo per lo sviluppo e per l'economia della zona del Corleonese.
Che giornalmente numerosi cittadini la percorrono per raggiungere il proprio luogo di lavoro, ma anche per raggiungere l'Autostrada Palermo- Mazzara del Vallo e l'aeroporto Falcone e Borsellino;
Che rappresenta l'unico collegamento con il Presidio Ospedaliero di Partinico
Considerato:
Che la suddetta strada versa da tempo in pessime condizioni ulteriormente peggiorate a causa delle abbondanti piogge dell' ultimo periodo;
che il manto stradale è interessato da profonde buche che hanno già causato parecchi danni alle autovetture in transito;
le cunette di raccolta delle acque piovane sono in diversi tratti coperte da terra quindi l'acqua si riversa nella strada creando ulteriore pericolo per gli automobilisti;
che le diverse frane che interessano parecchi tratti delle strade hanno provocato pericolosi avvallamenti del fondo stradale e restringimenti della carreggiata;
che malgrado le numerose segnalazioni e sollecitazioni effettuate presso gli uffici della Provincia Regionale di Palermo affinchè venissero realizzati degli interventi di manutenzione e per rendere la strada più sicura, la stessa ad oggi continua a trovarsi in uno stato di degrado e di pericolosità per tutti coloro che la percorrono;
che il 30/06/2009 il Presidente della Provincia e L'Asessore alla viabilità della Provincia Regionale di Palermo in un incontro tenutosi a Corleone presso il Centro Multimediale di c/da S. Lucia hanno illustrato il Nuovo Piano della Viabilità della
Provincia di Palermo, dove hanno inserito un ambizioso progetto della strada Corleone - mare, che collega Corleone a Partinico, la cui realizzazione necessita tempi indefiniti;
che nello stesso incontro Il Presidente della Provincia e L'Assessore alla Viabilità hanno assunto precisi impegni in ordine ad alcuni lavori di manutenzione urgente e di messa in sicurezza da realizzare nella s.p 2 ed s.p 4 nello specifico entro il mese di Settembre 2009 avrebbe realizzato interventi per un somma complessiva di Euro 200,000, ed entro Dicembre 2009 avrebbe impegnato una somma pari ad euro 2 Milioni di Euro ;
che tali interventi ad oggi non sono stati realizzati e la strada rappresenta una seria minaccia per l'incolumità dei cittadini che la percorrono;
Ordine del giorno: “interventi urgenti di manutenzione sulla s.p 2 e s.p.4, tempi e modalità di esecuzione”.
Il consiglio comunale di Corleone
Premesso:
Che il Consiglio Comunale di Corleone con delibera n° 63 del 19/11/2007 ha approvato all'unanimità la mozione sulla strada Provinciale che collega Corleone – San Cipirello- Partinico denominata S.P 4 ed S.P. 2.
Che detta strada riveste un ruolo importantissimo per lo sviluppo e per l'economia della zona del Corleonese.
Che giornalmente numerosi cittadini la percorrono per raggiungere il proprio luogo di lavoro, ma anche per raggiungere l'Autostrada Palermo- Mazzara del Vallo e l'aeroporto Falcone e Borsellino;
Che rappresenta l'unico collegamento con il Presidio Ospedaliero di Partinico
Considerato:
Che la suddetta strada versa da tempo in pessime condizioni ulteriormente peggiorate a causa delle abbondanti piogge dell' ultimo periodo;
che il manto stradale è interessato da profonde buche che hanno già causato parecchi danni alle autovetture in transito;
le cunette di raccolta delle acque piovane sono in diversi tratti coperte da terra quindi l'acqua si riversa nella strada creando ulteriore pericolo per gli automobilisti;
che le diverse frane che interessano parecchi tratti delle strade hanno provocato pericolosi avvallamenti del fondo stradale e restringimenti della carreggiata;
che malgrado le numerose segnalazioni e sollecitazioni effettuate presso gli uffici della Provincia Regionale di Palermo affinchè venissero realizzati degli interventi di manutenzione e per rendere la strada più sicura, la stessa ad oggi continua a trovarsi in uno stato di degrado e di pericolosità per tutti coloro che la percorrono;
che il 30/06/2009 il Presidente della Provincia e L'Asessore alla viabilità della Provincia Regionale di Palermo in un incontro tenutosi a Corleone presso il Centro Multimediale di c/da S. Lucia hanno illustrato il Nuovo Piano della Viabilità della
Provincia di Palermo, dove hanno inserito un ambizioso progetto della strada Corleone - mare, che collega Corleone a Partinico, la cui realizzazione necessita tempi indefiniti;
che nello stesso incontro Il Presidente della Provincia e L'Assessore alla Viabilità hanno assunto precisi impegni in ordine ad alcuni lavori di manutenzione urgente e di messa in sicurezza da realizzare nella s.p 2 ed s.p 4 nello specifico entro il mese di Settembre 2009 avrebbe realizzato interventi per un somma complessiva di Euro 200,000, ed entro Dicembre 2009 avrebbe impegnato una somma pari ad euro 2 Milioni di Euro ;
che tali interventi ad oggi non sono stati realizzati e la strada rappresenta una seria minaccia per l'incolumità dei cittadini che la percorrono;
CHIEDE AL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA
1. un intervento per la messa in sicurezza della s.p 4 ed s.p 2 con la procedura della somma urgenza da realizzare immediatamente;
1. un intervento per la messa in sicurezza della s.p 4 ed s.p 2 con la procedura della somma urgenza da realizzare immediatamente;
2. l'assunzione di precisi impegni scadenzati nel tempo circa l'attuazione dei lavori di manutenzione 2. sull'intero tracciato viario;
giovedì 21 gennaio 2010
L'associazione Prociv Arci: una pericolosissima frana lungo la SP75, al KM 1+500
Ieri alle 15:30, siamo stati informati da alcuni cittadini che ci comunicavano di un movimento franoso che minacciava un fabbricato di proprietà privata, presso la strada Provinciale 75 al KM 1+500. Ci siamo attivati nell'immediato in maniera autonoma, andando a fare un sopralluogo con tecnici specializzati del nostro Gruppo di Volontari. Presenti sul luogo un Geometra, un operatore di movimento terra e il presidente dell'associazione. Giunti sul posto alle 16:00 abbiamo immediatamente notato l'ampiezza del fronte frana e la sua estensione a monte. La strada si presentava in modo dissestato e con diverse fratture del manto stradale, in certe zone erano presenti anche accavallamenti dello stesso.Vista la gravità della situazione, abbiamo allertato immediatamente la Sala Operativa Regionale di Protezione Civile e le autorità competenti (Provincia), i quali si sono messi in contatto telefonico con noi e fissato un appuntamento per la verifica per il giorno successivo, cioè oggi. Abbiamo diramato un comunicato stampa per allertare la popolazione, consigliando di non avvicinarsi alla suddetta strada e sconsigliato ai curiosi di giungervi, in quanto il movimento franoso è ancora in atto. Ribadiamo tale consiglio in quanto nel giro di 12 ore abbiamo avuto un ulteriore scivolamento di circa due metri a valle. Il comune di Corleone è stato anche informato dell'evento in quanto la frana insiste su territorio di Monreale ed interessa una strada di proprietà della Provincia, ma è ubicata a circa 4 Km dal nostro comune. Oggi alle ore 10:00, siamo ritornati sul posto, percorrendo la strada SP 75 nella direzione Quattro Finaide-Casale, a scendere. Abbiamo verificato la parte a monte della frana che risulta ancora più ampia. La strada interpoderale che abbiamo percorso per poter accedere ad un caseggiato ubicato a monte, è completamente scomparsa, vi sono dei tralicci di alta tensione che con il movimento franoso sono pericolosamente in trazione, abbiamo comunicato la situazione alla sala operativa, la quale ha attivato le squadre dell'Enel, questi, hanno già provveduto a togliere la corrente da tali cavi e a staccare anche l'allaccio presso il fabbricato a valle, anch'esso pericolosamente in trazione.
Il tecnico della Provincia, fatto il sopralluogo e periziato anche con delle foto, relazionerà il tutto ai suoi superiori. Abbiamo consigliato di verificare la SP 75 dal versante a monte, in quanto è presente anche lì qualche movimento franoso di minore entità e consigliando di far sistemare e livellare anche in modo provvisorio il fondo viario, in modo tale da dare la possibilità ai diversi allevatori e proprietari terrieri di poter raggiungere favorevolmente i propri poderi o attività.
Prociv Arci Corleone
Il tecnico della Provincia, fatto il sopralluogo e periziato anche con delle foto, relazionerà il tutto ai suoi superiori. Abbiamo consigliato di verificare la SP 75 dal versante a monte, in quanto è presente anche lì qualche movimento franoso di minore entità e consigliando di far sistemare e livellare anche in modo provvisorio il fondo viario, in modo tale da dare la possibilità ai diversi allevatori e proprietari terrieri di poter raggiungere favorevolmente i propri poderi o attività.
Prociv Arci Corleone
Mafia: indagato Cinà, il medico di Riina, consegnò il papello del boss a Ciancimino
di Salvo Palazzolo
Scatta il primo avviso di garanzia per la nuova inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo sul papello e la trattativa fra le stragi del 1992. È stato notificato al boss Antonino Cinà, il medico di Riina e Provenzano: il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guido sono andati a interrogarlo nel carcere di Parma l´8 gennaio scorso, ma il boss non ha aperto bocca. Adesso è accusato del reato di violenza e minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.Cinà avrebbe «provveduto personalmente a consegnare a Ciancimino» il papello. Massimo Ciancimino ha confermato quanto già il padre aveva messo a verbale nel 1993. Per questa ragione, già in passato Cinà era finito indagato (e archiviato) per lo stesso reato. Ma adesso, nell´inchiesta sulla trattativa ci sono anche «altri - così hanno scritto i pm nell´avviso di garanzia - taluni nella qualità di esponenti di vertice di Cosa nostra, altri quali pubblici ufficiali che hanno agito con abuso di poteri e con violazioni dei doveri inerenti una pubblica funzione». Tutto ciò potrebbe significare che adesso nel fascicolo sulla trattativa ci sono anche altri indagati dai nomi eccellenti, su cui però vige il più stretto riserbo della Procura. Dall´avviso di garanzia arriva solo un´altra indicazione: a Cinà è stata contestata l´aggravante di «aver commesso il fatto in più di dieci persone riunite». Nell´inchiesta figurerebbe il misterioso «signor Franco», l´agente dei servizi segreti di cui ha parlato Massimo Ciancimino. Sulla sua identità e sul ruolo che avrebbe svolto nel 1992 le indagini dei pm Ingroia, Di Matteo e Guido sarebbero a un passaggio cruciale. Ciancimino junior ha parlato di recente in Procura dei rapporti fra il signor Franco e Bernardo Provenzano. «Il giorno del funerale di mio padre, ai Cappucini, venne a trovarmi al cimitero per consegnarmi un biglietto del boss. Mi disse soltanto: "Questo te lo manda l´amico di tuo padre"».
Nei verbali di Ciancimino il misterioso agente dei Servizi entra ed esce in continuazione. Ora con il papello, ora con informazioni importanti sulle indagini antimafia, ora con velate minacce. «Della trattativa non devi parlare mai», avrebbe detto un giorno a Ciancimino junior. Che aggiunge: «Mio padre tutto quello che faceva informava il signor Franco». Intanto, arriva da Ferrara la notizia che il figlio dell´ex sindaco figura fra i venti indagati di un´inchiesta della Guardia di finanza che ipotizza i reati di truffa ai danni dello Stato, associazione a delinquere, falso e distruzione di documenti contabili. L´indagine ruoterebbe attorno al commercio dell´acciaio e a una gigantesca evasione dell´Iva, per un milione e mezzo di euro, messa in atto inizialmente con la società "Errelle" di Reggio Emilia (poi trasferita formalmente a Panama).Secondo la ricostruzione dei pm Nicola Proto e Barbara Cavallo, Ciancimino sarebbe stato assieme a un cinquantenne di Sassuolo l´amministrazione di fatto di un gruppo di società coinvolte nell´indagine. Dopo la notizia dell´inchiesta, diffusa dall´agenzia Ansa, Ciancimino ha replicato: «Ho collaborato solo con una o due società tra quelle interessate all´inchiesta, e soltanto nella qualità di trader. Non ho mai pensato di essere socio occulto, avendo agito con la Mc Trading, società individuale che porta il mio nome. Non è compito del trader conoscere gli obblighi fiscali delle ditta con cui collabora».Nel marzo scorso Ciancimino aveva già ricevuto un avviso di garanzia per questa inchiesta: «Da allora - spiega - ho interrotto i rapporti con la Errelle». Ciancimino sostiene addirittura di essere stato vittima di una truffa. La Procura di Ferrara sta invece cercando di verificare se dietro quella maxievasione fiscale ci sia un altro pezzo del tesoro dei Ciancimino.
(La Repubblica, 21 gennaio 2010)
Scatta il primo avviso di garanzia per la nuova inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo sul papello e la trattativa fra le stragi del 1992. È stato notificato al boss Antonino Cinà, il medico di Riina e Provenzano: il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guido sono andati a interrogarlo nel carcere di Parma l´8 gennaio scorso, ma il boss non ha aperto bocca. Adesso è accusato del reato di violenza e minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.Cinà avrebbe «provveduto personalmente a consegnare a Ciancimino» il papello. Massimo Ciancimino ha confermato quanto già il padre aveva messo a verbale nel 1993. Per questa ragione, già in passato Cinà era finito indagato (e archiviato) per lo stesso reato. Ma adesso, nell´inchiesta sulla trattativa ci sono anche «altri - così hanno scritto i pm nell´avviso di garanzia - taluni nella qualità di esponenti di vertice di Cosa nostra, altri quali pubblici ufficiali che hanno agito con abuso di poteri e con violazioni dei doveri inerenti una pubblica funzione». Tutto ciò potrebbe significare che adesso nel fascicolo sulla trattativa ci sono anche altri indagati dai nomi eccellenti, su cui però vige il più stretto riserbo della Procura. Dall´avviso di garanzia arriva solo un´altra indicazione: a Cinà è stata contestata l´aggravante di «aver commesso il fatto in più di dieci persone riunite». Nell´inchiesta figurerebbe il misterioso «signor Franco», l´agente dei servizi segreti di cui ha parlato Massimo Ciancimino. Sulla sua identità e sul ruolo che avrebbe svolto nel 1992 le indagini dei pm Ingroia, Di Matteo e Guido sarebbero a un passaggio cruciale. Ciancimino junior ha parlato di recente in Procura dei rapporti fra il signor Franco e Bernardo Provenzano. «Il giorno del funerale di mio padre, ai Cappucini, venne a trovarmi al cimitero per consegnarmi un biglietto del boss. Mi disse soltanto: "Questo te lo manda l´amico di tuo padre"».
Nei verbali di Ciancimino il misterioso agente dei Servizi entra ed esce in continuazione. Ora con il papello, ora con informazioni importanti sulle indagini antimafia, ora con velate minacce. «Della trattativa non devi parlare mai», avrebbe detto un giorno a Ciancimino junior. Che aggiunge: «Mio padre tutto quello che faceva informava il signor Franco». Intanto, arriva da Ferrara la notizia che il figlio dell´ex sindaco figura fra i venti indagati di un´inchiesta della Guardia di finanza che ipotizza i reati di truffa ai danni dello Stato, associazione a delinquere, falso e distruzione di documenti contabili. L´indagine ruoterebbe attorno al commercio dell´acciaio e a una gigantesca evasione dell´Iva, per un milione e mezzo di euro, messa in atto inizialmente con la società "Errelle" di Reggio Emilia (poi trasferita formalmente a Panama).Secondo la ricostruzione dei pm Nicola Proto e Barbara Cavallo, Ciancimino sarebbe stato assieme a un cinquantenne di Sassuolo l´amministrazione di fatto di un gruppo di società coinvolte nell´indagine. Dopo la notizia dell´inchiesta, diffusa dall´agenzia Ansa, Ciancimino ha replicato: «Ho collaborato solo con una o due società tra quelle interessate all´inchiesta, e soltanto nella qualità di trader. Non ho mai pensato di essere socio occulto, avendo agito con la Mc Trading, società individuale che porta il mio nome. Non è compito del trader conoscere gli obblighi fiscali delle ditta con cui collabora».Nel marzo scorso Ciancimino aveva già ricevuto un avviso di garanzia per questa inchiesta: «Da allora - spiega - ho interrotto i rapporti con la Errelle». Ciancimino sostiene addirittura di essere stato vittima di una truffa. La Procura di Ferrara sta invece cercando di verificare se dietro quella maxievasione fiscale ci sia un altro pezzo del tesoro dei Ciancimino.
(La Repubblica, 21 gennaio 2010)
A Corleone, la Provincia sott'accusa per l'abbandono della strada Corleone-San Cipirello-Partinico
Il presidente della Provincia Regionale di Palermo Giovanni Avanti e l’assessore alla viabilità Gigi Tomasino sono stati messi sott’accusa ieri sera dal consiglio comunale di Corleone, riunito in sessione straordinaria per affrontare l’emergenza viabilità. «Da anni – ha detto il presidente del consiglio, Mario Lanza, aprendo i lavori - sulla strada provinciale Corleone-San Cipirello-Partinico non viene speso un euro. Ormai l’intero asse viario è intransitabile e pretendiamo risposte certe dalla Provincia!». Il presidente Avanti e l’assessore Tomasino hanno cercato di uscire dall’angolo, comunicando al consiglio e alla giunta comunale di Corleone, ai sindaci e agli assessori della zona e al folto pubblico presente, che per la SP 4 e la SP 2 sono già stati consegnati i lavori per 300 mila euro, che serviranno a far fronte all’emergenza. Da lunedì saranno aperti i cantieri. Entro giugno, invece, cominceranno i lavori per la messa in sicurezza dell’intero asse viario Corleone-Partinico, per un importo di 3 milioni di euro. «Ma stiamo lavorando anche – hanno aggiunto – per definire il progetto di radicale ammodernamento della Corleone-Mare, per circa 300 milioni di euro». «Entro la scadenza del mio mandato, poseremo la prima pietra», ha voluto precisare Avanti. «Presidente, lei non è adatto a governare le emergenze della Provincia di Palermo. Lei e l’assessore Tomasino avete usato procedure “normali” e tempi lunghissimi per affrontare un’emergenza-viabilità, che avrebbe richiesto procedure straordinarie ed urgenti.», è stata l’accusa lanciatagli da Dino Paternostro, consigliere comunale di opposizione e segretario della Camera del lavoro. «La strada Corleone-San Cipirello-Partinico non c’è più – ha aggiunto - è una gruviera, dove ogni giorno i cittadini che sono costretti a percorrerla mettono a repentaglio la propria vita. Qualcuno c’è anche morto. E voi siete moralmente e politicamente responsabili per tutto questo». «Se non siete in grado di mettere subito in sicurezza la strada, allora è meglio che la chiudiate!», è stata la provocatoria conclusione di Paternostro. Una “provocazione” subito raccolta dal sindaco di Corleone, Nino Iannazzo, che ha minacciato di emettere lui un’ordinanza di chiusura al traffico veicolare della strada in questione, se si mette subito in sicurezza. «Ho il dovere – ha detto Iannazzo – di tutelare i miei concittadini!».
Nel dibattito sono intervenuti anche i consiglieri comunali Lillo Marino, Salvatore Schillaci, Franco Di Giorgio, Lea Savona e Calogero Di Miceli, che hanno duramente criticato il menefreghismo della Provincia. A difendere Avanti e Tomasino, entrambi dell’Udc, ci ha incredibilmente pensato il capogruppo (dell’Udc) Vincenzo Macaluso, contestato vivacemente dal pubblico. Sono intervenuti anche i consiglieri provinciali Mauro Di Vita, Tommaso Calamia, Teresa Piccione e Giusi Scafidi. È stato annunciato anche la costituzione del comitato cittadino “La StradaPromessa”, che nelle sue intenzioni dovrebbe vigilare sull’ammodernamento della SP4 ed SP2. Ma, a svuotarlo di significato rischiano di contribuire il Presidente Avanti e il capogruppo di AN verso il PDL, Mauro Di Vita, che hanno annunciato di far parte anche loro del Comitato, svolgendo contemporaneamente il ruolo di controllori e di controllati. A fine seduta, il consiglio comunale ha approvato all’unanimità un ordine del giorno, dove si chiede alla Provincia di provvedere immediatamente alla messa in sicurezza della SP4 e della SP2.
FOTO. Dall'alto: l'intervento del presidente Giovanni Avanti; il pubblico presente nella sala consiliare.
Nel dibattito sono intervenuti anche i consiglieri comunali Lillo Marino, Salvatore Schillaci, Franco Di Giorgio, Lea Savona e Calogero Di Miceli, che hanno duramente criticato il menefreghismo della Provincia. A difendere Avanti e Tomasino, entrambi dell’Udc, ci ha incredibilmente pensato il capogruppo (dell’Udc) Vincenzo Macaluso, contestato vivacemente dal pubblico. Sono intervenuti anche i consiglieri provinciali Mauro Di Vita, Tommaso Calamia, Teresa Piccione e Giusi Scafidi. È stato annunciato anche la costituzione del comitato cittadino “La StradaPromessa”, che nelle sue intenzioni dovrebbe vigilare sull’ammodernamento della SP4 ed SP2. Ma, a svuotarlo di significato rischiano di contribuire il Presidente Avanti e il capogruppo di AN verso il PDL, Mauro Di Vita, che hanno annunciato di far parte anche loro del Comitato, svolgendo contemporaneamente il ruolo di controllori e di controllati. A fine seduta, il consiglio comunale ha approvato all’unanimità un ordine del giorno, dove si chiede alla Provincia di provvedere immediatamente alla messa in sicurezza della SP4 e della SP2.
FOTO. Dall'alto: l'intervento del presidente Giovanni Avanti; il pubblico presente nella sala consiliare.
martedì 19 gennaio 2010
Medio Oriente: della guerra e d'altri delitti
di Agostino Spataro
E’ tempo di riflessioni e di bilanci- La storiella dell’islamista cattivo e delle bombe buone della Nato- Una terrificante novità- L’Occidente sconosce il dramma dei popoli arabi- Sotto le terre arabe le più grandi risorse, sopra le più grandi miserie- Maledetto petrolio!- In un vicolo cieco- Andreotti: anch’io sarei diventato un terrorista- Il gioco delle facili attribuzioni- Una conferenza di pace per il Medio Oriente.
E’ tempo di riflessioni e di bilanci
Kabul brucia mentre continuano le guerre “preventive” scatenate da Bush e soci in Medio Oriente. A quasi dieci anni dal loro inizio, è tempo di fare un bilancio per capire quali altri disastri ci riserva il futuro e soprattutto se e come uscire dal micidiale pantano nel quale si continuano a bruciare decine, centinaia di migliaia di vite umane ed enormi risorse finanziarie pubbliche.
I cittadini hanno diritto di chiederne conto e ragione ai governanti e questi hanno il dovere d’informare e provvedere alle necessarie correzioni. Un bilancio da fare, in primo luogo, in Parlamento che, davvero, non può continuare a tacere e a pagare il conto della crescente spesa per missioni impossibili e comunque dagli esiti deludenti. Mentre in Italia si chiudono fabbriche, scuole, ospedali, ecc. Le guerre continuano e non s’intravvede una conclusione. Anzi, in Afghanistan la coalizione Nato ha deciso d’inviare altri 40 mila uomini di rinforzo per “finire il lavoro”, come ha carinamente chiamato la guerra anche il presidente Barak Obama, neo premio Nobel per la Pace. Eppure, in queste ore, la capitale afghana è nella morsa dei micidiali attentati suicidi, sotto il tiro dei taleban cha pare abbiano raggiunto anche il palazzo presidenziale. In realtà, da tutte le parti si punta ad un' escalation del conflitto che, di fatto, coinvolge anche il Pakistan e potrebbe, da un momento all’altro, estendersi ad altri Paesi della regione. Nella lista nera c’è sempre l’Iran e, da qualche settimana, anche lo Yemen, a causa di un ragazzo nigeriano che non si sa bene come sia salito e cosa abbia combinato sopra quell’aereo per Detroit, il giorno di Natale. Nell’attesa di scoprirlo, è stata avviata la vendita di nuove, costose apparecchiature per la sicurezza aerea. Tutto ok? Non credo proprio. Se il pericolo è così grave e diffuso, la gente si chiede: perché metterle solo negli aeroporti e non anche sulle navi, sui treni, sugli autobus? Nessuno può escludere attentati contro questi altri mezzi di trasporto. A parte gli effetti nocivi sulla salute (da non sottovalutare), queste apparecchiature, se applicate su larga scala, potrebbero paralizzare i sistemi di trasporto, con tutte le conseguenze del caso.
La storiella dell’islamista cattivo e delle bombe buone della Nato
Ma dove si vuole arrivare? Quando finirà tutto questo? La faccenda è troppo seria per essere gestita sulla base dell’intrigo e della propaganda ingannevole. Anche perché non si possono più trattare i cittadini come bambini cui raccontare la storiella dell’islamista terrorista e cattivo e delle bombe buone, “intelligenti”, talvolta fin’anco “umanitarie”, della Nato che metteranno le cose a posto, in ogni parte del mondo. Così come non è indispensabile continuare ad agitarsi per rimarcare le differenze d’approccio fra destra e sinistra, fra neocon e liberal, per altro, così sfumate da risultare impercettibili.
Serve una presa di coscienza generale, in primo luogo dei popoli e delle classi dirigenti dei Paesi interessati dai conflitti, per trovare una via che conduca al più presto alla pace, nel rispetto dei diritti dei popoli all’autodeterminazione, alla sovranità e alla prosperità condivisa.
A tempo debito si dovranno valutare anche le responsabilità del disastro che è davvero immane.
Nel solo Iraq si parla di almeno 600mila vittime, in maggioranza civili inermi. E dire che Bush e la coalizione occidentale hanno fatto carte false (letteralmente) per occupare il Paese e impiccare Saddam Hussein accusato di avere gasato tre mila suoi concittadini sciiti! Se la vita degli uomini e i numeri hanno ancora un senso, bisogna prendere atto che il rimedio è stato molto più letale del male che si voleva curare. Perciò la gente comincia a riflettere sulla realtà e sulle conseguenze determinate da questi conflitti sanguinosi e inconcludenti che producono stragi e nuovo terrorismo. La guerra, infatti, sta agendo come moltiplicatore delle formazioni e delle attività terroristiche. A queste e ad altre questioni i responsabili sono chiamati a rispondere e soprattutto a chiudere il sanguinoso capitolo, per tornare alla pace e alla cooperazione economica e culturale col mondo arabo.
Una terrificante novità
Per altro, in queste guerre anomale, asimmetriche c’è una novità terrificante: il ricorso da parte dei movimenti islamisti ai cosiddetti attentati “kamikaze”, agli shahid o “bombe umane”.
Una forma inedita, inaccettabile, di terrorismo basata sul sacrificio umano e sull’assoluta imprevedibilità dell’azione. Perciò, è quasi impossibile prevenirla, fermarla in tempo utile.
Un’impotenza conclamata che mina il morale delle truppe e angoscia le popolazioni locali esposte agli attentati suicidi. In Occidente, nessuno riesce a capacitarsi del fatto che gli eserciti delle più grandi potenze non riescano a disinnescare l’unica “arma” davvero micidiale di cui dispongono gli islamisti radicali. Si tratta, infatti, di “un’arma” molto speciale, imprevedibile e devastante, il cui nucleo non è costituito da un sofisticato congegno tecnologico, ma da una persona umana. Nei conflitti mediorientali si sta sperimentando, cioè, una nuova tipologia di martirio che ha rari precedenti nella storia dell’Islam e di altre religioni. Un po’ si avvicina ai “kamikaze” giapponesi i quali, però, puntavano soltanto su obiettivi militari, ma è diverso da quello praticato dai primi cristiani il cui martirio era “passivo”, nel senso che subivano, senza reagire, la violenza del potere dominante. I nuovi shahid, invece, s’immolano per procurare la morte dei nemici e, talvolta, di chiunque si trovi nei paraggi.
L’Occidente sconosce il dramma dei popoli arabi
Una tipologia diversa perfino da quella dei fedayn ismailiti, appartenenti alla setta medievale degli “assassini”(assuntori di hascish), che il famoso Vecchio della Montagna inviava per i paesi del medio - oriente (e non solo) a compiere omicidi eccellenti, soprattutto politici.
In quel caso, infatti, il martire-fedayn aveva una pur minima speranza, qualche possibilità di uscire vivo dall’agguato, nel caso in esame, invece, nessuna poiché il primo a esplodere è l’autore dell’attentato. Insomma, per il neo-martire non c’è scampo. Riflettiamo su cosa possa provare, pensare un ventenne che s’appresta a compiere quest’atto devastante. Sì, certo, la causa, la fede, la ricompensa nell’Aldilà lo potranno sorreggere, confortare, ma fino a un certo punto. Ci sarà almeno un attimo di esitazione quando vedrà scorrere nella sua mente le sequenze di una vita sognata ed, ora, da lui stesso troncata. Terribile! Ancora di più se si pensa che la sua morte sarà causa della morte di tanta gente innocente. Eppure, aumenta il numero degli aspiranti e degli attentati sempre più clamorosi, micidiali. Questo fenomeno dovrebbe pur dire qualcosa ai promotori delle guerre preventive. Invece, in Occidente se ne parla poco, anche se tutti ci pensano e, nell’intimo, ne restano atterriti. Nemmeno i più patinati commentatori e analisti l’hanno vagliato a dovere, con obiettività e in profondità. Quasi lo si volesse rimuovere dall’immaginario collettivo per il timore che si possa scoprire, sotto questi atti irrazionali, la disperazione in cui si dibattano i popoli arabi e islamici, specie i ceti più poveri ed emarginati. Sotto le terre arabe le più grandi risorse, sopra le più grandi miserie. Alla base di questi gesti estremi, da meglio indagare ma da condannare senza esitazioni, infatti, non c’è solo la protesta contro l’occupazione straniera, comunque camuffata, ma anche per il diffuso malessere arabo, per le tante ingiustizie sociali irrisolte, per la mancanza di libertà e per la negazione dei diritti fondamentali. Non a caso la gran parte dei neo-martiri sono giovani disoccupati provenienti da famiglie povere. Purtroppo, da noi, quasi si sconosce la drammaticità della crisi del mondo arabo. Anche, nella conoscenza non c’è reciprocità. D’altronde, anche i media non aiutano a recuperare questo deficit di conoscenza, anzi danno una lettura adulterata, parziale di questo mondo, eternamente occupato a difendere il velo, il burqa contro l’invadenza delle mode parigine. Se si andasse a cercare si scoprirebbe che sotto le terre degli arabi si celano le più grandi risorse energetiche del pianeta, ma sopra quelle stesse terre prosperano le più grandi povertà. Specie nei paesi petroliferi, convivono ricchezze scandalose, lussi sfrenati con spaventose ingiustizie. Un mix male assortito che genera odio, risentimenti nelle masse escluse. La religione cerca di mediare, ma non sempre ci riesce. Da qui la rivolta in nome di Allah, sovente strumentalizzata da interessi economici e politici molto materiali, interni e internazionali. In assenza di un'ideologia laica del progresso, capace di mobilitare le masse e d’incanalare il malcontento verso obiettivi di confronto democratico e civile, nascono, e si diffondono, “forme di lotta” assurde e disperate, incomprensibili in Occidente.
Maledetto petrolio!
Nell’immaginario europeo e occidentale in genere, il vicino Oriente resta, dunque, un mondo cupo, arretrato, come una barriera tenebrosa che s’interpone fra l’Europa e l’estremo Oriente.
Una “terra” incognita dove s’incontrano sentimenti estremi e ciniche bramosie di potere. Agitando per bene questa miscela si hanno i neo-martiri e i nuovi emiri. Chi dovesse incappare in questo meccanismo sarà stritolato, senza pietà. Sì, perché in questa guerra la prima vittima è stata la pietà umana. Non c’è pietà per i bambini, per le donne, per i vecchi di Gaza, di Bagdad, dell’Afghanistan, del Pakistan, del Libano, ecc. Come non c’è stata pietà per le tremila persone sepolte sotto le “torri gemelle” di New York. Maledetto petrolio! Sta uccidendo il nostro bellissimo Pianeta, ha già ucciso la pietà e la solidarietà fra gli uomini.
Il vicolo cieco
In questi conflitti non si scontrano solo interessi economici e geo-politici contrapposti, ma anche valori, simboli e sentimenti, identità culturali e tendenze politiche. Il dato più drammatico, che però non fa riflettere abbastanza, è rappresentato dalle coorti di giovani (talvolta anche bravi padri di famiglia) che aspirano al martirio per contribuire a sconfiggere il nemico. In Occidente li chiamano, sbrigativamente, “terroristi”, in Oriente “shahid” ossia martiri della Fede, esempi da imitare. Insomma, anche in questo caso si manifesta una grave incomprensione culturale. Pigrizia intellettuale o arroganza di chi ritiene di non avere mai torto e d’imporre agli altri il suo punto di vista? Comunque sia, questa non è strada che spunta. Siamo in vicolo cieco, a un punto altamente critico delle relazioni fra Occidente e mondo arabo e islamico. E’ interesse di tutti bloccare i conflitti e tentare di tornare alla convivenza pacifica, alla cooperazione economica e culturale, reciprocamente vantaggiosa. In questa regione l’Europa ha suoi interessi precipui da tutelare che non sempre coincidono con quelli delle grandi oligarchie Usa. Perciò, non può appiattirsi, come oggi accade, sulle posizioni belliciste e unilateraliste dell’alleato, ma deve ricercare un suo ruolo specifico di pace e di cooperazione. Nessuno desidera la crisi dell’alleanza difensiva con gli Usa e con altri Paesi, si segnala soltanto il pericolo che, così comportandosi già dagli inizi di questa brutta faccenda, l’Italia, oltre a tanti bravi uomini in divisa, ci sta perdendo pure la faccia.
Andreotti: anch’io sarei diventato un terrorista
Uno sforzo da compiere non solo per neutralizzare questa “arma” micidiale, ma principalmente per rispetto del principio di umanità che anche nella guerra deve valere.
Dentro quell’uomo che si lascia esplodere non ci sono fili e congegni meccanici, ma un turbinio di (ri) sentimenti, di dolore e di odio, di idealità frustrate, represse, di desideri mortificati, annullati. Dietro quegli atti, che disapproviamo, c’è la grande tragedia umana che vivono tanti popoli mediorientali, in primo luogo quello palestinese. Non dovrebbe essere difficile capire cause ed effetti di tale tragedia. Forse le parole non bastano. Per meglio capire questa realtà forse sarebbe il caso di provare a mettersi nei panni di un ragazzo, di un uomo o di una donna, che vivono negli inferni di Gaza, di Bagdad e di altre infelici città mediorientali e dopo giudicare i comportamenti di chi veste effettivamente quei panni. Credo che ci avrà provato perfino Giulio Andreotti quando, parlando della tragedia insoluta dei palestinesi, dichiarò, pubblicamente, che “se fossi nato in campo-profughi libanese, probabilmente, anch’io sarei diventato un terrorista”. (intervista alla “ Stampa” del 7 marzo 2005)
Il gioco delle facili attribuzioni
Il tempo, il nostro tempo, sembra essersi fermato. Dopo dieci anni di guerra si ha la sensazione di essere all’inizio delle ostilità. Si continua con la solita solfa degli attentati tutti attribuiti a una “Al Qaeda” quasi invincibile che scorazza da un capo all’altro del pianeta. Siamo all’assurdo. Se succede un furto d’acqua nel Sahel non c’è la mano di un uomo assetato, ma quella sanguinolenta di Bin Laden, il “fantasma” ubiquitario che appare e sparisce al momento opportuno. Si sfiora il ridicolo quando la Fbi - come scrive il quotidiano spagnolo El Mundo- per “aggiornare” l’immagine del capo terrorista, ha invecchiato la foto di Gaspar Llamazares, ex leader della Sinistra unita spagnola. Strano. Dopo gli allarmi e le severe reprimende, continuano errori, distrazioni, omissioni, ritardi, complicità, scambi illeciti, tangenti, ecc. Ogni cosa serve per alimentare il gioco perverso delle facili attribuzioni che fa comodo a tutti. Conviene ai servizi occidentali (e russi) che, scaricando ogni attentato su Al Qaeda, non devono faticare a cercare le vere responsabilità. Conviene ai governi e agli strateghi occidentali che possono giustificare le guerre, le missioni all’estero e la gran mole di spesa pubblica per finanziarle. Conviene, infine, ad Al Qaeda medesima che così vede accrescere il suo potenziale militare, il suo prestigio presso taluni settori popolari del mondo islamico. Una Conferenza di pace per il Medio Oriente. Ma quanto deve ancora durare questo gioco? E’tempo di smettere d’inseguire fantasmi e passare ad altro. Per esempio, a considerare, a riprendere l’ipotesi di una grande Conferenza di pace e di cooperazione fra Occidente e Medio-Oriente, con particolare riguardo ai punti più critici fra cui la questione palestinese che si trascina da oltre 60 anni. L’Italia, divenuta uno fra i paesi più coinvolti nei conflitti, dovrebbe essere fortemente interessata a tale ipotesi, per altro affacciata, durante il precedente governo, dal ministro degli esteri Massimo D’Alema. Se la caldeggiamo non è perché l’ha formulata D’Alema, ma perché ci sembra la via più giusta, e più saggia, per conseguire la pace e la cooperazione fra i popoli, per uscire con onore da queste guerre assurde e disastrose. Se ribadiamo la necessità della pace non è solo perche siamo contro la guerra, contro tutte le guerre, ma perché riteniamo che con la pace meglio si difendono i nostri veri interessi nazionali. Da non confondere con quelli di taluni gruppi che amano blandire le nostre Forze armate per contrabbandare per patriottismo le loro oscure manovre affaristiche. Infine. La pace è necessaria, urgente non solo perché queste missioni ci costano troppo in termini di vite umane (italiane, afghane e di altre nazionalità) e di spesa pubblica, ma perché la nostra partecipazione, comunque aggettivata, alle guerre contrasta con lo spirito e la lettera della Costituzione e con gli interessi veri del popolo italiano.
Agostino Spataro
(18 gennaio 2010)
E’ tempo di riflessioni e di bilanci- La storiella dell’islamista cattivo e delle bombe buone della Nato- Una terrificante novità- L’Occidente sconosce il dramma dei popoli arabi- Sotto le terre arabe le più grandi risorse, sopra le più grandi miserie- Maledetto petrolio!- In un vicolo cieco- Andreotti: anch’io sarei diventato un terrorista- Il gioco delle facili attribuzioni- Una conferenza di pace per il Medio Oriente.
E’ tempo di riflessioni e di bilanci
Kabul brucia mentre continuano le guerre “preventive” scatenate da Bush e soci in Medio Oriente. A quasi dieci anni dal loro inizio, è tempo di fare un bilancio per capire quali altri disastri ci riserva il futuro e soprattutto se e come uscire dal micidiale pantano nel quale si continuano a bruciare decine, centinaia di migliaia di vite umane ed enormi risorse finanziarie pubbliche.
I cittadini hanno diritto di chiederne conto e ragione ai governanti e questi hanno il dovere d’informare e provvedere alle necessarie correzioni. Un bilancio da fare, in primo luogo, in Parlamento che, davvero, non può continuare a tacere e a pagare il conto della crescente spesa per missioni impossibili e comunque dagli esiti deludenti. Mentre in Italia si chiudono fabbriche, scuole, ospedali, ecc. Le guerre continuano e non s’intravvede una conclusione. Anzi, in Afghanistan la coalizione Nato ha deciso d’inviare altri 40 mila uomini di rinforzo per “finire il lavoro”, come ha carinamente chiamato la guerra anche il presidente Barak Obama, neo premio Nobel per la Pace. Eppure, in queste ore, la capitale afghana è nella morsa dei micidiali attentati suicidi, sotto il tiro dei taleban cha pare abbiano raggiunto anche il palazzo presidenziale. In realtà, da tutte le parti si punta ad un' escalation del conflitto che, di fatto, coinvolge anche il Pakistan e potrebbe, da un momento all’altro, estendersi ad altri Paesi della regione. Nella lista nera c’è sempre l’Iran e, da qualche settimana, anche lo Yemen, a causa di un ragazzo nigeriano che non si sa bene come sia salito e cosa abbia combinato sopra quell’aereo per Detroit, il giorno di Natale. Nell’attesa di scoprirlo, è stata avviata la vendita di nuove, costose apparecchiature per la sicurezza aerea. Tutto ok? Non credo proprio. Se il pericolo è così grave e diffuso, la gente si chiede: perché metterle solo negli aeroporti e non anche sulle navi, sui treni, sugli autobus? Nessuno può escludere attentati contro questi altri mezzi di trasporto. A parte gli effetti nocivi sulla salute (da non sottovalutare), queste apparecchiature, se applicate su larga scala, potrebbero paralizzare i sistemi di trasporto, con tutte le conseguenze del caso.
La storiella dell’islamista cattivo e delle bombe buone della Nato
Ma dove si vuole arrivare? Quando finirà tutto questo? La faccenda è troppo seria per essere gestita sulla base dell’intrigo e della propaganda ingannevole. Anche perché non si possono più trattare i cittadini come bambini cui raccontare la storiella dell’islamista terrorista e cattivo e delle bombe buone, “intelligenti”, talvolta fin’anco “umanitarie”, della Nato che metteranno le cose a posto, in ogni parte del mondo. Così come non è indispensabile continuare ad agitarsi per rimarcare le differenze d’approccio fra destra e sinistra, fra neocon e liberal, per altro, così sfumate da risultare impercettibili.
Serve una presa di coscienza generale, in primo luogo dei popoli e delle classi dirigenti dei Paesi interessati dai conflitti, per trovare una via che conduca al più presto alla pace, nel rispetto dei diritti dei popoli all’autodeterminazione, alla sovranità e alla prosperità condivisa.
A tempo debito si dovranno valutare anche le responsabilità del disastro che è davvero immane.
Nel solo Iraq si parla di almeno 600mila vittime, in maggioranza civili inermi. E dire che Bush e la coalizione occidentale hanno fatto carte false (letteralmente) per occupare il Paese e impiccare Saddam Hussein accusato di avere gasato tre mila suoi concittadini sciiti! Se la vita degli uomini e i numeri hanno ancora un senso, bisogna prendere atto che il rimedio è stato molto più letale del male che si voleva curare. Perciò la gente comincia a riflettere sulla realtà e sulle conseguenze determinate da questi conflitti sanguinosi e inconcludenti che producono stragi e nuovo terrorismo. La guerra, infatti, sta agendo come moltiplicatore delle formazioni e delle attività terroristiche. A queste e ad altre questioni i responsabili sono chiamati a rispondere e soprattutto a chiudere il sanguinoso capitolo, per tornare alla pace e alla cooperazione economica e culturale col mondo arabo.
Una terrificante novità
Per altro, in queste guerre anomale, asimmetriche c’è una novità terrificante: il ricorso da parte dei movimenti islamisti ai cosiddetti attentati “kamikaze”, agli shahid o “bombe umane”.
Una forma inedita, inaccettabile, di terrorismo basata sul sacrificio umano e sull’assoluta imprevedibilità dell’azione. Perciò, è quasi impossibile prevenirla, fermarla in tempo utile.
Un’impotenza conclamata che mina il morale delle truppe e angoscia le popolazioni locali esposte agli attentati suicidi. In Occidente, nessuno riesce a capacitarsi del fatto che gli eserciti delle più grandi potenze non riescano a disinnescare l’unica “arma” davvero micidiale di cui dispongono gli islamisti radicali. Si tratta, infatti, di “un’arma” molto speciale, imprevedibile e devastante, il cui nucleo non è costituito da un sofisticato congegno tecnologico, ma da una persona umana. Nei conflitti mediorientali si sta sperimentando, cioè, una nuova tipologia di martirio che ha rari precedenti nella storia dell’Islam e di altre religioni. Un po’ si avvicina ai “kamikaze” giapponesi i quali, però, puntavano soltanto su obiettivi militari, ma è diverso da quello praticato dai primi cristiani il cui martirio era “passivo”, nel senso che subivano, senza reagire, la violenza del potere dominante. I nuovi shahid, invece, s’immolano per procurare la morte dei nemici e, talvolta, di chiunque si trovi nei paraggi.
L’Occidente sconosce il dramma dei popoli arabi
Una tipologia diversa perfino da quella dei fedayn ismailiti, appartenenti alla setta medievale degli “assassini”(assuntori di hascish), che il famoso Vecchio della Montagna inviava per i paesi del medio - oriente (e non solo) a compiere omicidi eccellenti, soprattutto politici.
In quel caso, infatti, il martire-fedayn aveva una pur minima speranza, qualche possibilità di uscire vivo dall’agguato, nel caso in esame, invece, nessuna poiché il primo a esplodere è l’autore dell’attentato. Insomma, per il neo-martire non c’è scampo. Riflettiamo su cosa possa provare, pensare un ventenne che s’appresta a compiere quest’atto devastante. Sì, certo, la causa, la fede, la ricompensa nell’Aldilà lo potranno sorreggere, confortare, ma fino a un certo punto. Ci sarà almeno un attimo di esitazione quando vedrà scorrere nella sua mente le sequenze di una vita sognata ed, ora, da lui stesso troncata. Terribile! Ancora di più se si pensa che la sua morte sarà causa della morte di tanta gente innocente. Eppure, aumenta il numero degli aspiranti e degli attentati sempre più clamorosi, micidiali. Questo fenomeno dovrebbe pur dire qualcosa ai promotori delle guerre preventive. Invece, in Occidente se ne parla poco, anche se tutti ci pensano e, nell’intimo, ne restano atterriti. Nemmeno i più patinati commentatori e analisti l’hanno vagliato a dovere, con obiettività e in profondità. Quasi lo si volesse rimuovere dall’immaginario collettivo per il timore che si possa scoprire, sotto questi atti irrazionali, la disperazione in cui si dibattano i popoli arabi e islamici, specie i ceti più poveri ed emarginati. Sotto le terre arabe le più grandi risorse, sopra le più grandi miserie. Alla base di questi gesti estremi, da meglio indagare ma da condannare senza esitazioni, infatti, non c’è solo la protesta contro l’occupazione straniera, comunque camuffata, ma anche per il diffuso malessere arabo, per le tante ingiustizie sociali irrisolte, per la mancanza di libertà e per la negazione dei diritti fondamentali. Non a caso la gran parte dei neo-martiri sono giovani disoccupati provenienti da famiglie povere. Purtroppo, da noi, quasi si sconosce la drammaticità della crisi del mondo arabo. Anche, nella conoscenza non c’è reciprocità. D’altronde, anche i media non aiutano a recuperare questo deficit di conoscenza, anzi danno una lettura adulterata, parziale di questo mondo, eternamente occupato a difendere il velo, il burqa contro l’invadenza delle mode parigine. Se si andasse a cercare si scoprirebbe che sotto le terre degli arabi si celano le più grandi risorse energetiche del pianeta, ma sopra quelle stesse terre prosperano le più grandi povertà. Specie nei paesi petroliferi, convivono ricchezze scandalose, lussi sfrenati con spaventose ingiustizie. Un mix male assortito che genera odio, risentimenti nelle masse escluse. La religione cerca di mediare, ma non sempre ci riesce. Da qui la rivolta in nome di Allah, sovente strumentalizzata da interessi economici e politici molto materiali, interni e internazionali. In assenza di un'ideologia laica del progresso, capace di mobilitare le masse e d’incanalare il malcontento verso obiettivi di confronto democratico e civile, nascono, e si diffondono, “forme di lotta” assurde e disperate, incomprensibili in Occidente.
Maledetto petrolio!
Nell’immaginario europeo e occidentale in genere, il vicino Oriente resta, dunque, un mondo cupo, arretrato, come una barriera tenebrosa che s’interpone fra l’Europa e l’estremo Oriente.
Una “terra” incognita dove s’incontrano sentimenti estremi e ciniche bramosie di potere. Agitando per bene questa miscela si hanno i neo-martiri e i nuovi emiri. Chi dovesse incappare in questo meccanismo sarà stritolato, senza pietà. Sì, perché in questa guerra la prima vittima è stata la pietà umana. Non c’è pietà per i bambini, per le donne, per i vecchi di Gaza, di Bagdad, dell’Afghanistan, del Pakistan, del Libano, ecc. Come non c’è stata pietà per le tremila persone sepolte sotto le “torri gemelle” di New York. Maledetto petrolio! Sta uccidendo il nostro bellissimo Pianeta, ha già ucciso la pietà e la solidarietà fra gli uomini.
Il vicolo cieco
In questi conflitti non si scontrano solo interessi economici e geo-politici contrapposti, ma anche valori, simboli e sentimenti, identità culturali e tendenze politiche. Il dato più drammatico, che però non fa riflettere abbastanza, è rappresentato dalle coorti di giovani (talvolta anche bravi padri di famiglia) che aspirano al martirio per contribuire a sconfiggere il nemico. In Occidente li chiamano, sbrigativamente, “terroristi”, in Oriente “shahid” ossia martiri della Fede, esempi da imitare. Insomma, anche in questo caso si manifesta una grave incomprensione culturale. Pigrizia intellettuale o arroganza di chi ritiene di non avere mai torto e d’imporre agli altri il suo punto di vista? Comunque sia, questa non è strada che spunta. Siamo in vicolo cieco, a un punto altamente critico delle relazioni fra Occidente e mondo arabo e islamico. E’ interesse di tutti bloccare i conflitti e tentare di tornare alla convivenza pacifica, alla cooperazione economica e culturale, reciprocamente vantaggiosa. In questa regione l’Europa ha suoi interessi precipui da tutelare che non sempre coincidono con quelli delle grandi oligarchie Usa. Perciò, non può appiattirsi, come oggi accade, sulle posizioni belliciste e unilateraliste dell’alleato, ma deve ricercare un suo ruolo specifico di pace e di cooperazione. Nessuno desidera la crisi dell’alleanza difensiva con gli Usa e con altri Paesi, si segnala soltanto il pericolo che, così comportandosi già dagli inizi di questa brutta faccenda, l’Italia, oltre a tanti bravi uomini in divisa, ci sta perdendo pure la faccia.
Andreotti: anch’io sarei diventato un terrorista
Uno sforzo da compiere non solo per neutralizzare questa “arma” micidiale, ma principalmente per rispetto del principio di umanità che anche nella guerra deve valere.
Dentro quell’uomo che si lascia esplodere non ci sono fili e congegni meccanici, ma un turbinio di (ri) sentimenti, di dolore e di odio, di idealità frustrate, represse, di desideri mortificati, annullati. Dietro quegli atti, che disapproviamo, c’è la grande tragedia umana che vivono tanti popoli mediorientali, in primo luogo quello palestinese. Non dovrebbe essere difficile capire cause ed effetti di tale tragedia. Forse le parole non bastano. Per meglio capire questa realtà forse sarebbe il caso di provare a mettersi nei panni di un ragazzo, di un uomo o di una donna, che vivono negli inferni di Gaza, di Bagdad e di altre infelici città mediorientali e dopo giudicare i comportamenti di chi veste effettivamente quei panni. Credo che ci avrà provato perfino Giulio Andreotti quando, parlando della tragedia insoluta dei palestinesi, dichiarò, pubblicamente, che “se fossi nato in campo-profughi libanese, probabilmente, anch’io sarei diventato un terrorista”. (intervista alla “ Stampa” del 7 marzo 2005)
Il gioco delle facili attribuzioni
Il tempo, il nostro tempo, sembra essersi fermato. Dopo dieci anni di guerra si ha la sensazione di essere all’inizio delle ostilità. Si continua con la solita solfa degli attentati tutti attribuiti a una “Al Qaeda” quasi invincibile che scorazza da un capo all’altro del pianeta. Siamo all’assurdo. Se succede un furto d’acqua nel Sahel non c’è la mano di un uomo assetato, ma quella sanguinolenta di Bin Laden, il “fantasma” ubiquitario che appare e sparisce al momento opportuno. Si sfiora il ridicolo quando la Fbi - come scrive il quotidiano spagnolo El Mundo- per “aggiornare” l’immagine del capo terrorista, ha invecchiato la foto di Gaspar Llamazares, ex leader della Sinistra unita spagnola. Strano. Dopo gli allarmi e le severe reprimende, continuano errori, distrazioni, omissioni, ritardi, complicità, scambi illeciti, tangenti, ecc. Ogni cosa serve per alimentare il gioco perverso delle facili attribuzioni che fa comodo a tutti. Conviene ai servizi occidentali (e russi) che, scaricando ogni attentato su Al Qaeda, non devono faticare a cercare le vere responsabilità. Conviene ai governi e agli strateghi occidentali che possono giustificare le guerre, le missioni all’estero e la gran mole di spesa pubblica per finanziarle. Conviene, infine, ad Al Qaeda medesima che così vede accrescere il suo potenziale militare, il suo prestigio presso taluni settori popolari del mondo islamico. Una Conferenza di pace per il Medio Oriente. Ma quanto deve ancora durare questo gioco? E’tempo di smettere d’inseguire fantasmi e passare ad altro. Per esempio, a considerare, a riprendere l’ipotesi di una grande Conferenza di pace e di cooperazione fra Occidente e Medio-Oriente, con particolare riguardo ai punti più critici fra cui la questione palestinese che si trascina da oltre 60 anni. L’Italia, divenuta uno fra i paesi più coinvolti nei conflitti, dovrebbe essere fortemente interessata a tale ipotesi, per altro affacciata, durante il precedente governo, dal ministro degli esteri Massimo D’Alema. Se la caldeggiamo non è perché l’ha formulata D’Alema, ma perché ci sembra la via più giusta, e più saggia, per conseguire la pace e la cooperazione fra i popoli, per uscire con onore da queste guerre assurde e disastrose. Se ribadiamo la necessità della pace non è solo perche siamo contro la guerra, contro tutte le guerre, ma perché riteniamo che con la pace meglio si difendono i nostri veri interessi nazionali. Da non confondere con quelli di taluni gruppi che amano blandire le nostre Forze armate per contrabbandare per patriottismo le loro oscure manovre affaristiche. Infine. La pace è necessaria, urgente non solo perché queste missioni ci costano troppo in termini di vite umane (italiane, afghane e di altre nazionalità) e di spesa pubblica, ma perché la nostra partecipazione, comunque aggettivata, alle guerre contrasta con lo spirito e la lettera della Costituzione e con gli interessi veri del popolo italiano.
Agostino Spataro
(18 gennaio 2010)
Corleone. Si è costituito il Comitato "LaStradaPromessa"
Il 16 Gennaio 2010 si è costituito ufficialmente, presso la Sede del Rotary Club di Corleone, il comitato “La Strada Promessa”. Scopo di tale comitato, è quello di creare uno strumento a disposizione dei cittadini finalizzato a portare avanti con determinazione una battaglia di civiltà per la soluzione dei gravi problemi della viabilità del Corleonese. Il comitato, non fa riferimento a nessun colore politico, e si propone di essere rispettoso delle persone e delle istituzioni. Lo stato di degrado e pericolosità in cui versa gran parte della rete stradale provinciale, e in particolare la strada provinciale Corleone – San Cipirello – Partinico, sta mettendo a dura prova i cittadini di questo entroterra da sempre penalizzato negli investimenti relativi alla viabilità e dal susseguirsi di promesse mai mantenute. Il mancato avvio dei lavori di messa in sicurezza del tratto stradale Corleone – Ponte Aranci, ha già causato notevoli danni alle autovetture che giornalmente vi transitano e mette a repentaglio l’incolumità degli stessi cittadini ormai esasperati. La “Corleone-mare”, riveste un ruolo importantissimo per la vita e lo sviluppo dell’entroterra corleonese; basti pensare che grazie alla intersezione con la Palermo-Sciacca, consente di raggiungere il capoluogo in tempi più contenuti, permette di raggiungere l’aeroporto e rappresenta l’unica possibilità di decollo dell’area industriale Ponte Aranci. E’ indispensabile pertanto, che aldilà dei problemi di manutenzione, si sviluppi un serio piano di ammodernamento della strada che la renda compatibile con le esigenze del territorio. Occorre inoltre provvedere alla manutenzione delle strade che servono le zone agricole. L’agricoltura, già investita da una grave crisi, nel nostro territorio deve fare i conti con una viabilità disastrosa. Il comitato è disponibile ad interagire con tutte le Istituzioni che sono interessate alle problematiche della viabilità, ma se necessario non esiterà a intraprendere le iniziative che riterrà opportune per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Corleone, 16 gennaio 2010
Corleone, 16 gennaio 2010
domenica 17 gennaio 2010
Istruzione, ambiente, occupazione: Sicilia fanalino di coda del Paese
di Salvo Intravaia
L´Istat dipinge il deserto siciliano. Il quadro d´insieme degli aspetti economici, sociali, demografici e ambientali presentato pochissimi giorni fa dall´istituto di statistica, per la prima volta descrive in maniera precisa la distanza che intercorre tra la Sicilia, il resto delle regioni italiane e l´Europa. "Noi Italia", la pubblicazione che contiene 100 statistiche sul nostro Paese, può aiutare a comprendere quanto l´Isola sia lontana dalle realtà più sviluppate e quali siano i temi e gli ambiti sui quali sono necessari gli interventi più urgenti.
Ecco, divisa per capitoli, l´impietosa fotografia della Sicilia rispetto all´Italia e in alcuni casi all´Europa scattata dalla ricerca comparativa dell´Istat.
Istruzione. Il gap in materia di istruzione della popolazione, uno degli obiettivi strategici dell´Unione europea, è ancora imbarazzante. La percentuale di giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni che abbandonano prematuramente gli studi in Sicilia sono ancora troppi: più del 26 per cento. La media nazionale è di 6 punti inferiore, 20 per cento circa, quasi metà quella europea: il 14,9 per cento. E ne risente il livello di istruzione della popolazione. La quota di adulti (25/64 anni) con al più la licenza media, dalle nostre parti, supera ancora la quota di diplomati e laureati. Il 56,2 per cento di siciliani che hanno conseguito come massimo titolo di studio la licenza media è quasi doppio della percentuale dei paesi Ue: il 28,5 per cento. Anche per numero di laureati in ambito scientifico-tecnologico siamo al palo: appena 8,6 uomini ogni mille abitanti fra i 20 e i 29 anni. Ma in tema di scuola il divario parte da lontano: in Sicilia solo il 32,8 per cento dei Comuni ha attivato il servizio di asilo nido, un dato che se non si discosta troppo dalla media nazionale (37,6 per cento), risulta invece molto lontano da quella di altre regioni autonome come il Friuli Venezia Giulia (56,2 per cento) e Valle d´Aosta (64,9).
Lavoro. Le cose non migliorano se si volge lo sguardo al mercato del lavoro. La Sicilia è in testa alla lista delle regioni italiane per tasso di disoccupazione. Ma quello che preoccupa maggiormente è la quota di giovani (15/24 anni) in cerca di una occupazione: quasi 4 su 10. I giovani veneti in cerca di una occupazione sono poco più del 10 per cento. Valori simili in Lombardia e Emilia Romagna. A livello nazionale se ne contano 21 su cento, quasi metà. Ancora meno (il 15 per cento) in ambito europeo. Anche la cosiddetta disoccupazione di lunga durata (senza lavoro e paga per 12 mesi o oltre) è da record in Sicilia. Quasi 6 disoccupati siciliani su 10 sono fermi da oltre un anno. Nel 2008, anno di riferimento del confronto, in Italia se ne contavano 45 su 100 e "appena" 37 su 100 in Europa. Ed ecco spiegati i tanti trasferimenti al Nord o all´estero in cerca di lavoro. Anche perché, quando va bene e il lavoro c´è, una volta su 5 è in nero: niente contributi, diritto alla malattia e con una misera paga.
Attività produttive. Del resto, in Sicilia ci sono poche imprese (appena 47,4 ogni mille abitanti). Ma, soprattutto, ci sono poche aziende e imprese innovatrici: quelle cioè che sono capaci di lanciare sul mercato prodotti innovativi in grado di vincere la concorrenza. E il turismo, quella che dovrebbe essere l´industria elettiva dell´Isola? Pochi posti-letto e strutture ricettive: appena 36 posti letto ogni mille abitanti. Nulla in confronto ad altre realtà nazionali. In media, tra stanze d´albergo, campeggi, agriturismo, bed & breakfast in Italia ci sono 75 posti letto ogni mille abitanti. Ma in Calabria e Sardegna, tanto per rimanere al Sud se ne contano rispettivamente 97 e 113. E come numero di posti letto per mille abitanti anche la Basilicata ci surclassa. Il dato sull´occupazione nel settore turistico la dice lunga: in Sicilia sono il 4,4 per cento del totale, meno della media nazionale del 5 e di altre regioni a vocazione turistica come la Sardegna (6,4 per cento) e la Toscana (6,8).
Economia. In un contesto di desolazione economica, i redditi familiari sono risicati e tanti siciliani si ritrovano invischiati nel baratro della povertà. Un aspetto, quest´ultimo, davvero preoccupante. Un individuo su tre, dalle nostre parti, vive in una famiglia povera. Un gruppo familiare che per tirare avanti può contare su meno di mille euro al mese. In questo contesto, il divario con il resto del paese è inquietante. E, le ultime notizie in termini di aziende che decidono di delocalizzare la produzione, non lasciano intravedere un futuro roseo. In Lombardia i "poveri relativi" sono pochissimi: 5 su 100.
Servizi. Anche i servizi offerti dalle amministrazioni locali ai cittadini lasciano spesso a desiderare. Meno di un anziano siciliano su 100 riesce a fruire del servizio di Assistenza domiciliare integrata. Ma, senza una adeguata politica della raccolta differenziata, ferma a percentuali da farmacisti rispetto alla media nazionale (6,1 per cento del totale dei rifiuti urbani rispetto a una media nazionale del 27,5: solo il Molise fa di peggio), siamo alle prime posizioni per quantità di rifiuti smaltiti in discarica. Un dato che non incide positivamente sulla qualità dell´ambiente, nonostante l´Isola primeggi per spesa pro capite nei settori ambientali: ben 321,7 euro rispetto alla media nazionale di 265,2 euro.
Tempo libero. Il quadro di desolazione complessiva si ripercuote nel tempo libero. Pochi libri e giornali in casa e poca voglia di fare attività fisica. Solo un siciliano su tre ha dichiarato di avere letto almeno un libro in un anno nel 2009. E meno di metà (il 44 per cento) si aggiorna e segue le vicende locali e nazionali attraverso i quotidiani. I siciliani non sembrano troppo attenti neppure alla salute. Coloro che praticano sport o qualche attività fisica sono ancora pochi: poco più di uno su 5.
(17 gennaio 2010)
L´Istat dipinge il deserto siciliano. Il quadro d´insieme degli aspetti economici, sociali, demografici e ambientali presentato pochissimi giorni fa dall´istituto di statistica, per la prima volta descrive in maniera precisa la distanza che intercorre tra la Sicilia, il resto delle regioni italiane e l´Europa. "Noi Italia", la pubblicazione che contiene 100 statistiche sul nostro Paese, può aiutare a comprendere quanto l´Isola sia lontana dalle realtà più sviluppate e quali siano i temi e gli ambiti sui quali sono necessari gli interventi più urgenti.
Ecco, divisa per capitoli, l´impietosa fotografia della Sicilia rispetto all´Italia e in alcuni casi all´Europa scattata dalla ricerca comparativa dell´Istat.
Istruzione. Il gap in materia di istruzione della popolazione, uno degli obiettivi strategici dell´Unione europea, è ancora imbarazzante. La percentuale di giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni che abbandonano prematuramente gli studi in Sicilia sono ancora troppi: più del 26 per cento. La media nazionale è di 6 punti inferiore, 20 per cento circa, quasi metà quella europea: il 14,9 per cento. E ne risente il livello di istruzione della popolazione. La quota di adulti (25/64 anni) con al più la licenza media, dalle nostre parti, supera ancora la quota di diplomati e laureati. Il 56,2 per cento di siciliani che hanno conseguito come massimo titolo di studio la licenza media è quasi doppio della percentuale dei paesi Ue: il 28,5 per cento. Anche per numero di laureati in ambito scientifico-tecnologico siamo al palo: appena 8,6 uomini ogni mille abitanti fra i 20 e i 29 anni. Ma in tema di scuola il divario parte da lontano: in Sicilia solo il 32,8 per cento dei Comuni ha attivato il servizio di asilo nido, un dato che se non si discosta troppo dalla media nazionale (37,6 per cento), risulta invece molto lontano da quella di altre regioni autonome come il Friuli Venezia Giulia (56,2 per cento) e Valle d´Aosta (64,9).
Lavoro. Le cose non migliorano se si volge lo sguardo al mercato del lavoro. La Sicilia è in testa alla lista delle regioni italiane per tasso di disoccupazione. Ma quello che preoccupa maggiormente è la quota di giovani (15/24 anni) in cerca di una occupazione: quasi 4 su 10. I giovani veneti in cerca di una occupazione sono poco più del 10 per cento. Valori simili in Lombardia e Emilia Romagna. A livello nazionale se ne contano 21 su cento, quasi metà. Ancora meno (il 15 per cento) in ambito europeo. Anche la cosiddetta disoccupazione di lunga durata (senza lavoro e paga per 12 mesi o oltre) è da record in Sicilia. Quasi 6 disoccupati siciliani su 10 sono fermi da oltre un anno. Nel 2008, anno di riferimento del confronto, in Italia se ne contavano 45 su 100 e "appena" 37 su 100 in Europa. Ed ecco spiegati i tanti trasferimenti al Nord o all´estero in cerca di lavoro. Anche perché, quando va bene e il lavoro c´è, una volta su 5 è in nero: niente contributi, diritto alla malattia e con una misera paga.
Attività produttive. Del resto, in Sicilia ci sono poche imprese (appena 47,4 ogni mille abitanti). Ma, soprattutto, ci sono poche aziende e imprese innovatrici: quelle cioè che sono capaci di lanciare sul mercato prodotti innovativi in grado di vincere la concorrenza. E il turismo, quella che dovrebbe essere l´industria elettiva dell´Isola? Pochi posti-letto e strutture ricettive: appena 36 posti letto ogni mille abitanti. Nulla in confronto ad altre realtà nazionali. In media, tra stanze d´albergo, campeggi, agriturismo, bed & breakfast in Italia ci sono 75 posti letto ogni mille abitanti. Ma in Calabria e Sardegna, tanto per rimanere al Sud se ne contano rispettivamente 97 e 113. E come numero di posti letto per mille abitanti anche la Basilicata ci surclassa. Il dato sull´occupazione nel settore turistico la dice lunga: in Sicilia sono il 4,4 per cento del totale, meno della media nazionale del 5 e di altre regioni a vocazione turistica come la Sardegna (6,4 per cento) e la Toscana (6,8).
Economia. In un contesto di desolazione economica, i redditi familiari sono risicati e tanti siciliani si ritrovano invischiati nel baratro della povertà. Un aspetto, quest´ultimo, davvero preoccupante. Un individuo su tre, dalle nostre parti, vive in una famiglia povera. Un gruppo familiare che per tirare avanti può contare su meno di mille euro al mese. In questo contesto, il divario con il resto del paese è inquietante. E, le ultime notizie in termini di aziende che decidono di delocalizzare la produzione, non lasciano intravedere un futuro roseo. In Lombardia i "poveri relativi" sono pochissimi: 5 su 100.
Servizi. Anche i servizi offerti dalle amministrazioni locali ai cittadini lasciano spesso a desiderare. Meno di un anziano siciliano su 100 riesce a fruire del servizio di Assistenza domiciliare integrata. Ma, senza una adeguata politica della raccolta differenziata, ferma a percentuali da farmacisti rispetto alla media nazionale (6,1 per cento del totale dei rifiuti urbani rispetto a una media nazionale del 27,5: solo il Molise fa di peggio), siamo alle prime posizioni per quantità di rifiuti smaltiti in discarica. Un dato che non incide positivamente sulla qualità dell´ambiente, nonostante l´Isola primeggi per spesa pro capite nei settori ambientali: ben 321,7 euro rispetto alla media nazionale di 265,2 euro.
Tempo libero. Il quadro di desolazione complessiva si ripercuote nel tempo libero. Pochi libri e giornali in casa e poca voglia di fare attività fisica. Solo un siciliano su tre ha dichiarato di avere letto almeno un libro in un anno nel 2009. E meno di metà (il 44 per cento) si aggiorna e segue le vicende locali e nazionali attraverso i quotidiani. I siciliani non sembrano troppo attenti neppure alla salute. Coloro che praticano sport o qualche attività fisica sono ancora pochi: poco più di uno su 5.
(17 gennaio 2010)
sabato 16 gennaio 2010
I sindaci del Belice a Roma per chiedere il ompletamento della ricostruzione
Chiudere la partita dei finanziamenti per la ricostruzione dei comuni della Valle del Belice distrutti dal terremoto. A 42 anni dal sisma del 14 gennaio 1968, tornano di attualita' i danni subiti dai comuni compresi nel triangolo Agrigento-Trapani-Palermo. Oggi una delegazione composta da 21 sindaci dei paesi investiti dal terremoto si sono presentati a Roma, armati di buona volonta' e di una candela per "chiedere che si faccia luce sulla realta' della ricostruzione che non si e' ancora conclusa", ha spiegato di fronte alla Camera il portavoce dei sindaci, Vito Bonanno, primo cittadino di Gibellina, uno dei comuni maggiormente danneggiati dal terremoto. In ballo ci sono qualcosa come 533 milioni di euro, 400 destinati all'edilizia privata e 133 (ma la cifra andrebbe rivalutata fino a 140 mln) per l'urbanizzazione e il completamento delle opere pubbliche. "Lo Stato -ha dichiarato ancora Bonanno- aveva quantificato in 800 milioni la spesa compessiva per completare la ricostruzione. Noi, come sindaci delle zone colpite, abbiamo unilateralmente stabilito di ridurre le pretese, dimezzando la cifra preventivata. Abbiamo portato una candela per fare luce sulla realta' del Belice. Nel 1968 ci furono 363 morti. Il terremoto fu devastante e oggi la ricostruzione non si e' ancora completata. E' un fatto molto grave. Per questo chiediamo che vengano rispettati i principi di parita' di condizioni con altre popolazioni e altre regioni colpite, nel corso di questi anni, da analoghe catastrofi naturali". "Chiediamo l'attenzione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi -ha continuato Bonanno- che ha dimostrato sul campo la sua capacita' e l'efficenza sua e del governo nel recente sisma dell'Abruzzo. Chiediamo che il governo rispetti gli accordi che vennero sottoscritti in precendenza, a partire dal 2006, vagliati anche dal Parlamento. Chiediamo che nel giro di due anni si chiuda la pagina della ricostruzione: si tratta di somme concordate con il governo e con il Parlamento e, sopratutto, vogliamo che si cominci a parlare di sviluppo, per evitare che le nostre terre vengano abbandonate, soprattutto dai giovani che non trovano lavoro e sono privi di prospettive". "I finanziamenti non ci sono, sono somme da stanziare e si deve fare uno sforzo per trovare le risorse necessarie. E' vero che ci sono delle difficolta' economiche ma la crisi e i vincoli di bilancio che non possono essere pagati dal Sud e in particolare dai comuni colpiti dal terremoto. Abbiamo chiesto di essere ricevuti dal sottosegretario Gianni Letta -conclude Bonanno- ora aspettiamo un segnale dal governo". La fiaccolata dei sindaci dei comuni del Belice 'incrocia' lo shopping del presidente della Camera Gianfranco Fini, che ascolta le richieste dei primi cittadini del Belice. Il presidente della Camera ascolta e poi osserva: "state sollecitando un decreto attuativo per lo stanziamento dei finanziamenti. Allora non e' qui che dovete manifestare. Dovete andare un po' piu' la'", aggiunge con un sorriso indicando Palazzo Chigi. Lo scambio di battute si conclude con la proposta dei sindaci di trasmettere al presidente della Camera un dossier sulla ricostruzione, sui lavori da completare e sulle risorse necessarie. "Vi faccio il mio in bocca al lupo per il vostro impegno", conclude Fini. La Presidenza del Consiglio dei Ministri potrebbe approvare a breve un decreto per lo stanziamento di circa 80 milioni di euro per il completamento della ricostruzione nel Belice. Lo ha riferito il presidente della commissione Ambiente e Territorio del Senato, Antonio D'Ali, a margine della manifestazione dei sindaci del Belice di fronte a Montecitorio. "I Fondi per il Belice sono inseriti nel comma 250 della Finanziaria, che prevede nel complesso - ha ricordato D'Alì - uno stanziamento di circa 380 milioni per alcune voci". Il Fondo per il Belice, ha sottolineato il senatore Pdl, "fa parte di un provvedimento accantonato in passato e poi cancellato. Si tratta di 80 milioni, se poi potranno essere di più tanto meglio. L'importante a questo punto è avere riaperto questo capitolo; del resto il Belice - ha proseguito D'Alì - ha avuto molto meno rispetto ad altre zone colpite da terremoti, e questo é stato riconosciuto anche, dall' '83 al '97, da varie commissioni parlamentari". "In ogni caso sono felice che nell'ultima Finanziaria - ha concluso il senatore del Pdl - sia stato riaperto il capitolo dei Fondi per definire la ricostruzione del Belice".
Schillaci, capogruppo Pd a Corleone: "La Provincia deve mantenere gli impegni di ammodernamento della strada Corleone-S.Cipirello-Partinico
NON SI PUO’ LASCIARE LA COMUNITA’ CORLEONESE IN STATO DI ABBANDONO. IL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA ASSIEME AI SUOI CONSIGLIERI DELLA ZONA E ALL’ASSESSORE ALLA VIABILITA’ SONO VENUTI IN POMPA MAGNA IL 30 DI GIUGNO DEL 2009 A PROMETTERE E GARANTIRE INTERVENTI IMMEDIATI LUNGO LA S.P. 2 ED SP4 CHE COLLEGA CORLEONE A SAN CIPIRELLO E PARTINICO. HANNO GARANTITO CHE ENTRO SETTEMBRE AVREBBERO SPESO 200.000 MILA EURO PER INTERVENTI DI MANUTENZIONE ED ENTRO DICEMBRE 2 MILIONI DI EURO PER RIFARE L’INTERO MANTO STRADALE. QUESTI INTERVENTI DOVEVANO SERVIRE PER METTERE IN SICUREZZA E RENDERE TRANSITABILLE LA S.P.2 E LA S.P.4 IN ATTESA CHE SI REALIZZASSE IL PROGETTO FARAONICO DI CIRCA 300 MILIONI DI EURO CHE AMMODERNERA’ TUTTO IL TRATTO VIARIO CHE COLLEGA CORLEONE A PARTINICO. QUESTE LE PROMESSE.
I FATTI
NESSUN LAVORO E’ INIZIATO. NEL FRATTEMPO IL MANTO STRADALE IN PIU’ PUNTI E’ COLLASSATO, SONO STATI APPOSTI DEI LIMITI DI VELOCITA’ DI 10 KM ORARI, (COME DIRE CHE LA STRADA E’ CHIUSA ), SONO ACCADUTI MOLTISSIMI INCIDENTI. CI ASPETTIAMO QUESTA VOLTA CHE GLI AMMINISTRATORI PROVINCIALI, PRESIDENTE IN TESTA, PARTECIPINO ALLA SEDUTA DEL CONSIGLIO COMUNALE STRAORDINARIO VOLUTA DAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI CORLEONE E DA TUTTI I CAPI GRUPPO CONSILIARI, CHE SI TERRA’ MERCOLEDI PROSSIMO, CHE IN TALE SEDUTA IL PRESIDENTE AVANTI ASSUMA PRECISI IMPEGNI DI FRONTE ALLA CITTA’ FINALIZZATI A GARANTIRE IMMEDIATAMENTE L’INIZIO DI QUEGLI INTERVENTI PROMESSI E NON REALIZZATI.
15 Gennaio 2010
ll Capogruppo del PD
Salvatore Schillaci
I FATTI
NESSUN LAVORO E’ INIZIATO. NEL FRATTEMPO IL MANTO STRADALE IN PIU’ PUNTI E’ COLLASSATO, SONO STATI APPOSTI DEI LIMITI DI VELOCITA’ DI 10 KM ORARI, (COME DIRE CHE LA STRADA E’ CHIUSA ), SONO ACCADUTI MOLTISSIMI INCIDENTI. CI ASPETTIAMO QUESTA VOLTA CHE GLI AMMINISTRATORI PROVINCIALI, PRESIDENTE IN TESTA, PARTECIPINO ALLA SEDUTA DEL CONSIGLIO COMUNALE STRAORDINARIO VOLUTA DAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI CORLEONE E DA TUTTI I CAPI GRUPPO CONSILIARI, CHE SI TERRA’ MERCOLEDI PROSSIMO, CHE IN TALE SEDUTA IL PRESIDENTE AVANTI ASSUMA PRECISI IMPEGNI DI FRONTE ALLA CITTA’ FINALIZZATI A GARANTIRE IMMEDIATAMENTE L’INIZIO DI QUEGLI INTERVENTI PROMESSI E NON REALIZZATI.
15 Gennaio 2010
ll Capogruppo del PD
Salvatore Schillaci
In Sicilia la bandiera dell'autonomia non ci salverà dal tracollo socio-economico
di Francesco Palazzo
L´amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, stavolta da Detroit, è stato più chiaro e meno caustico dell´ultima volta. Qualche settimana fa aveva chiosato che tutto si poteva risolvere spostando la Sicilia e portandola vicino al Piemonte e alla Lombardia. Adesso ci dice che spesso i produttori non fanno sino in fondo i conti con la crisi, al posto di chiudere gli impianti li tengono aperti in cambio di fondi pubblici. Ha parlato di nazionalismo economico. Nel caso della Regione siciliana, che ha già sventolato sotto il naso della Fiat un assegno da quattrocento milioni di euro, da investire in infrastrutture, per scongiurare la chiusura dello stabilimento di Termini, si può parlare di regionalismo economico guidato dalla mano pubblica. Su questo la politica regionale si trova sempre tutta d´accordo. Ne è una prova l´ordine del giorno che dà mandato al governatore di andare a Roma e provare a fermare le intenzioni, pare definitive, che provengono da Torino. Sembra l´ennesima puntata della fiction sulla Sicilia offesa e umiliata dal Nord, dopo che noi abbiamo dato braccia e menti negli anni dell´emigrazione. Che per la verità non sono finiti. E certo non per colpa della Fiat. Un flusso inarrestabile di giovani che vanno via, spesso con percorsi scolastici eccellenti. A quante fabbriche chiuse equivale tutto questo? Difficile fare una stima, si tratta di numeri comunque elevatissimi. Solo che siccome il fenomeno avviene goccia a goccia, e non in maniera traumatica come nel caso di Termini, nessuno se ne fa carico. Quando i nodi verranno tutti al pettine, perché prima o poi accade qualcosa, un punto di non ritorno, come il niet di Marchionne, e ci ritroveremo sempre più lontani dalle regioni più produttive, potremo sempre affermare che da Roma, dal Nord, da chissà dove, siamo sfruttati e lasciati a noi stessi. Ora abbiamo ritirato fuori dalla soffitta la nostra bella bandiera autonomistica. Che se ne faranno gli operai di Termini e le ragazze e i ragazzi che vanno via, di questo particolarismo anacronistico, retorico e sprecone, è facile immaginarlo. Non gliene può importare di meno. La politica siciliana, ovviamente, fa finta di non accorgersene, come quei passeggeri che ballavano mentre la nave affondava. Se ne esce tirando fuori la moneta sonante e non capisce che non possono essere risolti sempre così i problemi. Lo puoi fare per decenni e affondare le casse pubbliche per salvare questo e quello, ma principalmente per salvare una politica indecente. Il gioco riesce quasi sempre. Tuttavia, a un certo punto ti trovi davanti uno che ragiona da imprenditore e ti dice, né più né meno, che non può sostituirsi alla mano pubblica nel creare o conservare il lavoro. Ma la politica siciliana non vuole sentire ragioni. Sbraita, si sbraccia, protesta, si appella, marcia a fianco dei lavoratori. Come se fosse la spettatrice e non la causa di questo deserto. Dall´altra parte ancora niente. Insomma, ogni tanto qualcuno ci ricorda che stiamo affondando. Oggi è Marchionne a farlo, domani accadrà qualcos´altro, dopodomani ancora un´altra sberla di questo tipo. Abbiamo l´impressione che, d´ora in poi, accadrà sempre più spesso. E la classe dirigente di quest´isola, come quel pugile dal volto tumefatto dai cazzotti che non vuole ammettere la sconfitta, rimarrà sempre sul ring. Progettando Partiti del Sud, Pdl Sicilia, Pd a vocazione regionalista e quant´altro occorre a fare di noi, più che un laboratorio, quasi macchiette nel panorama politico nazionale. Maggioranze che si sciolgono, opposizioni che ondeggiano, governi che passano, senza problema alcuno, dalla fase uno a quella due per approdare a un bell´esecutivo di minoranza che cercherà di sopravvivere qualche mese. Non è vero che tutto ciò avviene per salvaguardare gli interessi della Sicilia. Perché, come dimostra la chiusura di Termini, gli interessi della nostra regione stanno andando a farsi benedire. Quello di cui abbiamo bisogno non è più Sicilia, ma più Italia e più Europa. Poiché, però, sul ponte di comando la festa deve continuare, nessuno si rende conto che la bandiera della Sicilia vittima ormai è un inutile passatempo di società. Che serve a raccogliere qualche voto e a far appassionare ancora molti ingenui. Ma che alla fine è il lacero vessillo della nostra inadeguatezza sociale, economica e politica.
La Repubblica, 16 gennaio 2010
giovedì 14 gennaio 2010
Prizzi. Nostra intervista all'ex assessore Rosetta Faragi: "Il Comune è in una situazione di stallo!"
di Maura Tuzzolino
Qual è il suo giudizio sull’attuale situazione politica all’interno del Comune di Prizzi?
Ritengo che si stia assistendo ad una situazione di stallo assoluto dovuta, sia alla mancanza di scelte politiche chiare e precise, sia alla mancanza di una salda maggioranza consiliare.
Perché secondo lei all’interno del Comune di Prizzi si assiste a questo immobilismo politico?
Perché l’attuale Sindaco è ricattato da alcune forze politiche e da alcuni personaggi che non hanno a cuore l’interesse generale del Paese ma semplicemente curano interessi particolari.
Cosa ha spinto secondo lei l’attuale Sindaco a fare un rimpasto di Giunta in piena estate?
I motivi vanno ricercati in un cambiamento della politica, all’interno dell’amministrazione. Probabilmente a qualcuno, volto alla salvaguardia di posizioni personali, dava fastidio che certe iniziative portate avanti da me e dagli altri due assessori defenestrati, potessero mettere in discussione certi equilibri pregressi. In altre parole, a qualcuno, il nuovo dava fastidio. Si è preferito puntare sui piccoli favori e non puntare ad un progetto politico innovatore di più ampio respiro.
Questa crisi sembra stia creando problemi all’interno del suo partito: il PD.
Lei ha perfettamente ragione. Dopo il successo alle primarie della corrente che fa riferimento al Senatore Lumia e al Segretario Bersani, gli sconfitti, che rappresentano il vecchio, hanno pensato di rifarsi, penalizzando quelle figure all’interno del partito che portavano avanti, con forza, un progetto di rinnovamento nella legalità. Il fatto stesso che la segretaria del circolo, nonostante le varie richieste di convocare una assemblea e di aprire il partito alle nuove forze emergenti, non abbia dato, fino ad ora, alcuna risposta, dimostra che il vecchio gruppo dirigente ha paura del rinnovamento.
Cosa ha provato ad essere “dimissionata” nonostante, a detta della gente, lei abbia svolto un buon lavoro?
Ho, chiaramente, provato profonda amarezza anche se comprendo che quando si lavora e si porta avanti un progetto politico innovativo, si possono pestare i piedi a qualcuno. Il fatto di essere stata “dimissionata” da queste persone, per me è un onore, perché significa che ho fatto pienamente il mio dovere nell’interesse del Paese.
Esclude un suo eventuale ritorno in Giunta?
In politica, mai dire mai, tuttavia ribadisco, che la mia eventuale presenza in una nuova Giunta, può avvenire, esclusivamente , in alternativa a certi personaggi. Vorrei ricordare inoltre che anche se il Sindaco mi avesse riconfermata al mio posto, difficilmente sarei rimasta, perché, col cambiamento di linea politica, veniva tradito l’originario progetto politico, inoltre, certamente, non avrei condiviso certi progetti faraonici assegnati ai “tecnici”, tipo l’istituzione dell’assessorato “Grandi Eventi” ,con le annesse promesse finanziarie, in un momento di profonda depressione economica.
Che cosa pensa dell’attuale politica culturale del Paese, dopo la sua esperienza?
Dopo il mio “dimissionamento”, credo, non si sia portato avanti nessun progetto culturale degno di questo nome. Non per niente, l’assessore che mi aveva sostituito, si è dimesso, senza lasciare alcun rimpianto.
Tra le sue numerose iniziative, qual è quella a cui lei tiene particolarmente?
Certamente avere riproposto la figura e l’opera del poeta prizzese Vito Mercadante ed avere consegnato al Paese l’archivio delle sue principali opere, molte delle quali inedite. Per questo ringrazio sentitamente il preside Vito Mercadante Junior, per la fiducia accordatami. Terrei a ricordare, inoltre, che da questa esperienza è stato pubblicato un volumetto in collaborazione con gli storici Vaiana e Scalabrino e un opuscolo del Poeta “ L’Omu e la Terra” da me rielaborato, rievocativo del terremoto di Messina.. Se lei permette, brevemente, gradirei ricordare altre iniziative particolarmente significative: “Il Pagliaio di San Giovanni”, “La scuola ieri e oggi attraverso il ricordo dei suoi protagonisti”, “I premi agli studenti meritevoli”, “ Due mostre pittoriche” “ La cittadinanza onoraria all’artista R.M.Ponte” con annesso dipinto, lasciato in dotazione per la sala consiliare , le attività ed il CD in ricordo di “Padre Ennio Pintacuda”, etc…
Un solo rammarico: aver perso una serie di eventi culturali che erano stati programmati per il mese di Settembre e già finanziati e che avrebbero portato Prizzi alla ribalta culturale dell’isola.
NELLA FOTO: Rosetta Faragi
Qual è il suo giudizio sull’attuale situazione politica all’interno del Comune di Prizzi?
Ritengo che si stia assistendo ad una situazione di stallo assoluto dovuta, sia alla mancanza di scelte politiche chiare e precise, sia alla mancanza di una salda maggioranza consiliare.
Perché secondo lei all’interno del Comune di Prizzi si assiste a questo immobilismo politico?
Perché l’attuale Sindaco è ricattato da alcune forze politiche e da alcuni personaggi che non hanno a cuore l’interesse generale del Paese ma semplicemente curano interessi particolari.
Cosa ha spinto secondo lei l’attuale Sindaco a fare un rimpasto di Giunta in piena estate?
I motivi vanno ricercati in un cambiamento della politica, all’interno dell’amministrazione. Probabilmente a qualcuno, volto alla salvaguardia di posizioni personali, dava fastidio che certe iniziative portate avanti da me e dagli altri due assessori defenestrati, potessero mettere in discussione certi equilibri pregressi. In altre parole, a qualcuno, il nuovo dava fastidio. Si è preferito puntare sui piccoli favori e non puntare ad un progetto politico innovatore di più ampio respiro.
Questa crisi sembra stia creando problemi all’interno del suo partito: il PD.
Lei ha perfettamente ragione. Dopo il successo alle primarie della corrente che fa riferimento al Senatore Lumia e al Segretario Bersani, gli sconfitti, che rappresentano il vecchio, hanno pensato di rifarsi, penalizzando quelle figure all’interno del partito che portavano avanti, con forza, un progetto di rinnovamento nella legalità. Il fatto stesso che la segretaria del circolo, nonostante le varie richieste di convocare una assemblea e di aprire il partito alle nuove forze emergenti, non abbia dato, fino ad ora, alcuna risposta, dimostra che il vecchio gruppo dirigente ha paura del rinnovamento.
Cosa ha provato ad essere “dimissionata” nonostante, a detta della gente, lei abbia svolto un buon lavoro?
Ho, chiaramente, provato profonda amarezza anche se comprendo che quando si lavora e si porta avanti un progetto politico innovativo, si possono pestare i piedi a qualcuno. Il fatto di essere stata “dimissionata” da queste persone, per me è un onore, perché significa che ho fatto pienamente il mio dovere nell’interesse del Paese.
Esclude un suo eventuale ritorno in Giunta?
In politica, mai dire mai, tuttavia ribadisco, che la mia eventuale presenza in una nuova Giunta, può avvenire, esclusivamente , in alternativa a certi personaggi. Vorrei ricordare inoltre che anche se il Sindaco mi avesse riconfermata al mio posto, difficilmente sarei rimasta, perché, col cambiamento di linea politica, veniva tradito l’originario progetto politico, inoltre, certamente, non avrei condiviso certi progetti faraonici assegnati ai “tecnici”, tipo l’istituzione dell’assessorato “Grandi Eventi” ,con le annesse promesse finanziarie, in un momento di profonda depressione economica.
Che cosa pensa dell’attuale politica culturale del Paese, dopo la sua esperienza?
Dopo il mio “dimissionamento”, credo, non si sia portato avanti nessun progetto culturale degno di questo nome. Non per niente, l’assessore che mi aveva sostituito, si è dimesso, senza lasciare alcun rimpianto.
Tra le sue numerose iniziative, qual è quella a cui lei tiene particolarmente?
Certamente avere riproposto la figura e l’opera del poeta prizzese Vito Mercadante ed avere consegnato al Paese l’archivio delle sue principali opere, molte delle quali inedite. Per questo ringrazio sentitamente il preside Vito Mercadante Junior, per la fiducia accordatami. Terrei a ricordare, inoltre, che da questa esperienza è stato pubblicato un volumetto in collaborazione con gli storici Vaiana e Scalabrino e un opuscolo del Poeta “ L’Omu e la Terra” da me rielaborato, rievocativo del terremoto di Messina.. Se lei permette, brevemente, gradirei ricordare altre iniziative particolarmente significative: “Il Pagliaio di San Giovanni”, “La scuola ieri e oggi attraverso il ricordo dei suoi protagonisti”, “I premi agli studenti meritevoli”, “ Due mostre pittoriche” “ La cittadinanza onoraria all’artista R.M.Ponte” con annesso dipinto, lasciato in dotazione per la sala consiliare , le attività ed il CD in ricordo di “Padre Ennio Pintacuda”, etc…
Un solo rammarico: aver perso una serie di eventi culturali che erano stati programmati per il mese di Settembre e già finanziati e che avrebbero portato Prizzi alla ribalta culturale dell’isola.
NELLA FOTO: Rosetta Faragi
Le riflessioni di un socialista nel decennale della morte di Bettino Craxi...
di PIETRO ANCONA
Il 12 luglio del 1976 mi trovavo a Roma per una riunione della CGIL. Saputo che all'Albergo Midas era riunito il Comitato Centrale del PSI decisi di andarci. Nella Hall dell'albergo c'erano i socialisti che passeggiavano a gruppetti forse in una pausa dei lavoro. Solo, seduto su un divano, c'era Francesco De Martino che rosicchiava nervosamente uno stecchino. Era di un pallore che tralignava nel giallo. I maggiorenti socialisti che fino a ieri si piegavano in due per ossequiarlo gli camminavano davanti come se fosse parte della tappezzeria. Mi fece davvero una fortissima impressione questa scena dal vivo di una congiura di palazzo con defenestrazione del Segretario del Partito. Francesco De Martino aveva guidato il Partito con grande onestà personale ma altrettanta indolenza. Era troppo uomo di studi per farsi assorbire completamente dai gravosi impegni della sua carica. Gli piaceva andare a caccia allevare canarini ed insegnare storia del diritto romano di cui era uno dei più grandi cultori. Negli ultimi anni forse si era convinto della inutilità della esistenza di due partiti della sinistra, il grosso pci ed il nervoso psi. Forse si era convinto che il centro-sinistra fosse una esperienza in perdita a fronte della predominanza dc. Inoltre, il PCI e la DC tendevano a colloquiare " ad inciucire" come si direbbe oggi sulla testa dei socialisti. Credo che considerasse esaurita l'esperienza del PSI difronte alla notevole trasformazione in senso socialdemocratico del PCI. La parola d'ordine della sua ultima campagna elettorale fu: "mai più al governo senza i comunisti". Il PSI naturalmente perdette quote consistenti di elettorato riducendosi sotto il 10% soglia allora considera pericolosa per la sua stessa sopravvivenza. Rispetto al 68 il PSI perdeva quasi un terzo del suo elettorato. Il putsh fu voluto da Giacomo Mancini ed ebbe come protagonisti Bettino Craxi, Claudio Signorile ed Enrico Manca. Tre giovani colonnelli. Signorile rappresentava l'ala sinistra del PSI, Craxi l'ala automista e Manca era Gano di Magonza, il demartiniano che pugnalava alla schiena il suo maestro e benefattore. Poi lo scoprimmo uomo della P2. Al Congresso di Torino del 79, dove ebbi l'amarissima sorpresa di trovare il simbolo dei Partito (falce, martello, sole nascente e libro) sostituito dal funereo Garofano, Craxi si era giù liberato di Manca e si accingeva a governare da solo relegando Signorile al ruolo di capo della opposizione interna. Aveva già le idee chiare sul da farsi. Prima di tutto liquefare il Partito con l'abolizione del Comitato Centrale che era un organismo di vero controllo e decisione a favore di un Consiglio Nazionale dove imbarcò molti cosidetti rappresentanti della società civile, una sorta di arca di noè di predisposti allo abbandono della nave in caso di pericolo ma di profittarne per saccheggiarne la cambusa ed i mari circostanti. Cinque anni dopo, al Congresso di Verona trasformato in una sorta di corrida di pretendenti a tutto, alle cariche, alle ricchezze, ai posti, con una platea di fanatizzati che batteva minacciosamente i piedi su un tavolato che rimbombava sinistramente, attaccava il Parlamento come "parco buoi", fischiava Berlinguer, mandava oscuri e cifrati messaggi ai capi della DC, dava una rappresentazione della politica corsara di "Ghino di Tacco" il bandito malandrino che si appostava per derubare i passanti. Il Congresso era dominato da simboli massonici fin troppo eclatanti. Vi fece la comparsa anche la Piramide con Occhio in quello di Palermo. Il glorioso partito socialista era finito forse per sempre. Sopravvivevano persone limpidissime come Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti. Altri erano stati cacciati via dopo essere stati insultati come "intellettuali dei miei stivali." La bellissima figura di Tristano Codignola ed i tanti come lui che davano lustro al socialismo italiano nella scuola e nella cultura venivano sbeffeggiati ed allontanati. I nuovi astri tutti personaggi interpreti di una politica senza valori e di mero potere come De Michelis, Martelli,la Ganga e tanti tanti altri. Lo stesso Signorile divenne la sinistra "ferroviaria" un modo per descrivere le sue prevalenti attenzioni correntizie. Le idee divennero un puro orpello. L'ossessione del potere e dello "spazio vitale" dei socialisti divenne la paranoia prediminante nel Partito di Craxi. I risultati furono assai modesti. Non si recuperarono mai il 15% del 68. Il massimo fu un 14,2 che spingeva sempre di più il PSI nel vicolo cieco del partito indispensabile per fare maggioranza ma niente di più. La cosa peggiore del suo governo fu la cancellazione del tratto laico del PSI. Rinnovò e peggiorò i patti lateranensi mal consigliato da Gennaro Acquaviva un uomo del Vaticano che esercitò una influenza nefasta su di lui e sul PSI. Gli accordi del 1984 hanno stabilizzato un dominio della Chiesa nelle cose italiane che durerà ancora per molto riducendo la sovranità dell'Italia a paese concordatario. Sono peggiorativi di quelli stipulati da Mussolini anche se la religione cattolica non è più ufficialmente religione dello Stato. Il PSI fu rivoltato da Craxi come un calzino. Divenne un partito liquido controllato spesso dall'esterno da personaggi in alleanza trasversale con gruppi dei potere politico ed economico. Tutti i punti della riforma che Berlusconi vuole imporre all'Italia sono stati indicati da Craxi. L'assetto della Repubblica Presidenziale craxi-berlusconiana è naturalmente di destra, di una destra degradata più vicina alle esperienze delle repubbliche sudamericane di una volta che alla destra europea. Nella Repubblica di Craxi o di Berlusconi conta soltanto la volontà del Capo. La democrazia è una perdita di tempo. Craxi ha distrutto il socialismo italiano. Mussolini ne fu espulso e, nonostante i venti anni della sua dittatura, dopo di lui il PSI è tornato primo partito dell'Italia moderna. Dopo Craxi il socialismo italiano non esiste più se non nella nostalgia di un reducismo patetico o incarnandosi profondamente nel berlusconismo ad opera di personaggi come Stefania, Boniver, Sacconi, Tremonti, ed altri. Il socialismo italiano non tornerà mai più a vivere fino a quando non si sarà liberato del tutto della esperienza del quindicennio craxiano. Le celebrazioni di questi giorni, ampiamente usate dal regime berlusconiano, si svolgono in un clima del tutto negativo per il PSI. Da un lato i berlusconiani celebrano in Craxi il loro Maestro e Martire, dall'altro i detrattori ne oscurano anche taluni degli aspetti positivi e recuperabili della sua politica quali l'amicizia con Arafat ed i palestinesi, una malcelata insofferenza per il giogo statunitense. Sarebbe stato meglio per la sua memoria e tutti noi se non si fosse insistito tanto nella forzatura di farne un martire a tutti i costi. Non era un martire. Il suo discorso alla Camera "siamo tutti colpevoli" non lo assolve. Il socialismo italiano se vorrà tornare ad essere quello che era dovrà liberarsi del suo ricordo r rinunziare per sempre alla sua eredità. L'eredità di Craxi appartiene a Berlusconi e nell'ideologia e nel modo di gestire la politica. Le sue idee hanno infettato e contaminato il PCI oggi PD. Il leaderismo, il partito liquido, la menzogna della fine della lotta di classe, l'accettazione del liberismo come dogma sostitutivo del comunismo, fanno del PD di oggi un Partito privo di anima e di identità. Le idee di Craxi, sviluppate da Berlusconi, hanno dato vita ad una forte destra con forte identità. Accolte con invidia dal PCI lo hanno scompaginato e disorientato. I socialisti dobbiamo riprendere da dove lui ha cominciato. Un metro prima da dove lui comincia.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/ www.spazioamico.it
Pietro Ancona
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Col contributo di studiosi siciliani, nel Congo nascerà un Museo storico ed antropologico dell'Africa
Un ponte culturale legherà la Sicilia al cuore dell’Africa. Lo stanno costruendo studiosi siciliani di archeologia, con il patrocinio della Regione Siciliana, in sintonia con la Repubblica democratica del Congo. Tra i promotori, l’Archeoclub Corleonese, con il supporto dell’unione dei comuni del corleonese Il progetto, denominato “ArcheoAfrica”, ha come obiettivo la costruzione a Kinshasa di un grande museo di Archeologia, storia ed arte, che sarà chiamato “ Historic and Antropologic Pan African Museum”. La prima missione di scavi sul territorio congolese è partita nel giugno del 2008, la seconda avrà inizio il prossimo 3 febbraio. Parallelamente alle iniziative archeologiche e squisitamente culturali, sono previsti scambi commerciali ed attività solidali. La Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) ha enormi giacimenti minerari di petrolio, oro, argento diamanti, rame, cobalto, uranio, manganese, ed importa da noi macchinari, generi alimentari, prodotti per l’edilizia, l’informatica e le alte tecnologie. Il progetto scientifico, che partirà fra qualche settimana, prevede scavi archeologici nel distretto di Mbanza Ngungu, nell’area di Kinshasa, e la realizzazione della prima Cartografia. Archeologica Congolese. “Siamo il luogo di frontiera tra l’occidente, l’Europa e l’Africa che chiede aiuto – ha scritto Nicolò Leanza nell’opuscolo di presentazione del progetto lo scorso 10 dicembre 2009 - La cultura può aiutare le giovani democrazie africane a costruire ponti di pace” . Della delegazione di studiosi siciliani fanno parte Angelo Vintaloro, coordinatore generale del progetto, il professor Sebastiano Tusa, coordinatore scientifico, Elisabetta Viola, delegata dell’Archeoclub per l’estero, l’architetto Leopoldo Repola dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. “Sarà per noi tutti un onore essere ricevuti dal presidente della Repubblica democratica del Congo Joseph Kabila, che inaugurerà l’inizio della progettazione del Museo Panafricano – spiega Angelo Vintaloro - L’iniziativa avrà come vetrina l’Expo 2015 di Milano, dove saranno allocati diversi stands ed è in calendario una giornata di studi sul progetto che allora sarà in fase di realizzazione”. “Il costo complessivo previsto per la realizzazione del Pan African Museum - spiega l’ingegnere Alfredo Carmine Cestari, console del Congo - è di 60 milioni di euro e le procedure relative sono state avviate con la World Bank e la Banca di Sviluppo Africana, che ha sede a Tunisi”.
Cosmo Di Carlo
Nella foto scattata nel villaggio del distretto di Mbanza Ngungu, durante la prima missione in Africa, da sinistra: Sebastiano Tusa , l’antropologo Abele Mbuga, Angelo Vintaloro, Il capo Villaggio Samuel Divanga Mbuta, Joseph Divanga Mbuta, Elisabetta Viola, Giuseppe Guerrera.
Nella foto scattata nel villaggio del distretto di Mbanza Ngungu, durante la prima missione in Africa, da sinistra: Sebastiano Tusa , l’antropologo Abele Mbuga, Angelo Vintaloro, Il capo Villaggio Samuel Divanga Mbuta, Joseph Divanga Mbuta, Elisabetta Viola, Giuseppe Guerrera.
LETTERA APERTA al sindaco, agli assessori e ai consiglieri comunali di Corleone
Propongo a voi, di accogliere qualcuno degli sfollati di Rosarno, offrirgli un lavoro, una possibilità di vita dignitosa. Sarebbe un’occasione in più, io credo, di collegare il nome del nostro paese a un’azione, concreta, di solidarietà. Di unire a Corleone, in un abbraccio ideale, nord e sud del mondo.
Gentili sindaco, assessori, consiglieri comunali, sono Maria Di Carlo, e sono corleonese. Benché io non conosca parecchi di voi, alcuni soltanto di vista, pochi altri un po’ meglio, ho pensato di rivolgermi a voi (e non, per esempio, al sindaco della città in cui abito, Palermo, pressoché invisibile ai suoi concittadini) innanzi tutto in quanto rappresentanti di istituzioni democratiche ma anche, non lo nego, in virtù della base, sia pur minima, di conoscenza diretta che intercorre fra alcuni di noi.
Il motivo che mi spinge a scrivervi questa lettera aperta sono i notori, tristissimi, fatti di Rosarno. Non mi dilungherò in analisi politiche o sociologiche sul fenomeno delle migrazioni, argomento su cui non ho particolare competenza, ma su cui vorrei comunque pronunciarmi in qualità, semplicemente, del mio essere persona pensante. Indipendentemente dalle nostre visioni politiche, vorrei rivolgermi a voi, da persona che parla a persone.
Ho sempre ritenuto che qualsiasi nostra azione che abbia anche una minima ricaduta di carattere sociale, è un’azione politica. Da “cane sciolto”, mai iscritta ad un partito, credo di aver operato politicamente, pur nel mio piccolo. Chi mi conosce un poco, quindi sa o intuisce quali possano essere le mie idee. La mia caratterizzazione, però, non mi ha mai impedito di connettermi ad altre persone con tendenze diverse dalle mie, di ricercare e talvolta trovare un terreno comune su cui operare. A prescindere quindi, dalla diversità di fondo che distingue ognuno di noi da ciascun altro, mi permetto di formularvi una proposta “politica”.
Ho osservato, negli anni, la tenacia con cui Corleone ha voluto collegare il suo nome (che la maggior parte dell’opinione pubblica prima associava solo a fatti di mafia) alla sua tradizione migliore. Questo processo è avvenuto in molti corleonesi ed è stato anche incentivato dalle amministrazioni che si sono avvicendate nel tempo. Un terreno comune, a prescindere dalle diversità di partito, è stato, ad esempio, quello di riconoscere la qualità dell’opera di personaggi quali Bernardino Verro e Placido Rizzotto, come oggi il fare fronte comune contro la vendita degli immobili confiscati alla mafia. Oggi, di norma, si fa appello alla Memoria, al non dimenticare, al ricordare episodi, personaggi, lotte, che hanno costruito, giorno dopo giorno, la nostra storia migliore.
Proprio facendo appello alla memoria, al nostro essere stati migranti, e di quelli poveri, fino a qualche decennio fa (oggi lo siamo ancora, ma si tratta di una migrazione di altro tipo) credo sia possibile costruire una base comune che ci consenta oggi, in tempi difficilissimi, di saper guardare sempre al nostro prossimo col rispetto che non può essere negato a nessun essere. Ho letto di recente di un massacro di emigrati italiani accaduto in Belgio a fine ‘800. Gli epiteti e i pregiudizi attribuiti agli italiani emigrati di allora (non solo del sud, ma soprattutto veneti!) erano del tutto simili a quelli attribuiti agli odierni pària del mondo, ai nuovi schiavi, quelli da cui ci sentiamo invasi, dimenticando o sconoscendo che i civilizzati del Primo mondo hanno sfruttato e sfruttano le risorse delle loro terre d’origine. Ci sentiamo, ad esempio, invasi dalle nigeriane (prostituite a maschi italiani!) dimenticando di stare sfruttando il loro petrolio e di stare inquinando selvaggiamente il delta del fiume Niger, causando morìa di pesci, inquinamento dell’acqua, incendi, disboscamento, e quindi impoverimento dei nigeriani.
Corleone è diventata da qualche anno meta di danesi, biondi e con gli occhi azzurri, in vena di matrimoni in territorio forse per loro “esotico”. Ed è comunque bello che ci si colleghi, anche solo idealmente, a questo pezzo del nord del mondo. Allo stesso modo, e con la stessa accogliente semplicità riservata ai danesi (la cui morfologia, dal punto di vista estetico, è per noi più “digeribile”) allo stesso modo penso che il Comune di Corleone possa accogliere delle persone di pelle nera, magari proprio qualcuno degli sfollati di Rosarno. Ho sentito dire spesso, in questi giorni, “non sono immigrati, sono clandestini”, etichetta artatamente costruita per chiudere la porta in faccia a chi raccoglie le briciole cadute dalle nostre tavole. Siamo ricchi Epuloni di fronte a questa gente, anche il più povero di Corleone è ricco di fronte a questi nuovi schiavi, ed è soprattutto libero anche solo di spostarsi nella nazione in cui desidera andare, senza diventare “clandestino” mai.
Circa sei anni fa, fra le tante che approdano o che affondano, arrivò alle nostre coste un’imbarcazione con dentro, fra i vivi, anche diciotto morti. Una ragazza neanche ventenne fu trovata sotto il cumulo dei morti e creduta morta anch’essa. Invece, aiutata, sopravvisse. Fu un caso clamoroso, fra i tanti che purtroppo sono diventati di routine per noi, che ascoltiamo distrattamente notizie alla tv durante i pasti. Molti si fecero avanti per accogliere i superstiti. Fra questi anche l’Istituto valdese, a Palermo. La ragazza, che non sapeva leggere né scrivere, lo imparò sedendo nei banchi di scuola fra bambini di sei anni, fra cui mio figlio. Io penso che vedere la sua faccia magrissima e poi, via via, più rifiorita, sentire il racconto della sua storia, accoglierla come persona fra persona (e non respingendola come “clandestina” fra cittadini!) sia stata fra le migliori lezioni di vita che mio figlio, i suoi compagni di scuola, i suoi insegnanti, noi genitori, abbiamo potuto avere.
Allo stesso modo, come ha già fatto il Comune di Riace, sempre in Calabria, propongo a voi, di accogliere qualcuno degli sfollati di Rosarno, offrirgli un lavoro, una possibilità di vita dignitosa. Sarebbe un’occasione in più, io credo, di collegare il nome del nostro paese a un’azione, concreta, di solidarietà. Di unire a Corleone, in un abbraccio ideale, nord e sud del mondo. Di essere, possibilmente, da esempio per altri comuni che a questo gesto potrebbero far seguire gesti analoghi. Di non perdere la memoria di ciò che anche noi siamo stati. E soprattutto, qualunque sia il nostro colore politico, di non perdere il nostro senso di umanità, dimostrandolo.
Maria Di Carlo
via Mura di s. Vito 5
90134 Palermo
12 gennaio 2010
nrocca@neomedia.it
L’influenza A/H1N1 ha fatto un gran bene. Alle aziende farmaceutiche di tutto il mondo
E’ cominciata così, con una notizia che ha tenuto in ansia il mondo intero: più di 170 i casi di influenza suina accertati, larghissima parte dei quali concentrati in Messico, unico Paese dove il nuovo virus ha provocato la morte. 1.650 sono le persone ricoverate in ospedale con i sintomi del virus A/H1N1. Poi è arrivato l’altro allarme: il virus si espande, è arrivato in Europa, dopo avere superato, nelle Americhe, i confini del Messico per toccare California, Texas e Kansas. Da allora si è scatenato il putiferio. Governi a caccia del vaccino, investimenti ingenti, preoccupazione, polemiche anche aspre. Ed un bollettino quotidiano di morti e persone ricoverate in ospedale. Titoli a tutta pagina sui giornale: “L’influenza miete un’altra vittima…”. E titoli su una colonna il giorno successivo per correggere: “… è deceduto perché era affetto da gravi patologie”. Qualche giorno fa si è scoperto che il vaccino restato negli scaffali delle strutture sanitarie, in Italia, Francia, Germania e altri Paesi, è enorme.
E’ stato speso un sacco di soldi inutilmente. Pochi si sono vaccinati e l’influenza non ha affatto creato i guai che erano stati previsti, anzi si è rivelata molto meno pericolosa di altre pandemie, forse la più lieve delle influenze stagionali. I morti? Non c’è influenza che non abbia la sua coda velenosa, perché fra la popolazione colpita, ci sono soggetti deboli, predisposti, o addirittura messi male a prescindere dal virus. Com’è potuto accadere, se perfino moltissimi medici si sono rifiutati di vaccinarsi e non hanno consigliato di prevenire il virus a meno che non fosse strettamente necessario. Tirando le somme si può affermare che l’Organizzazione mondiale della Sanità, i governi e l’informazione hanno sopravvalutato i danni dell’influenza. I medici invece non l’hanno fatto, assumendosi talvolta serie responsabilità. Sappiamo di sicuro che a guadagnarci sono state le industrie farmaceutiche che hanno prodotto il vaccino, ed a creare l’allarme è stata l’informazione, in ogni parte del mondo. La manipolazione, in buona o cattiva fede, è cominciata proprio dal Messico, dove è cominciata la favola dell’influenza “spagnola” o quasi.
I morti crescevano giorno dopo giorno, i titoli in prima pagina e gli allarmi dell’Organizzazione mondiale della sanità pure. Siccome non ci capiva niente nessuno, le notizie sudamericane sono state tenute in prima pagina parecchi giorni, fino a contagiare l’allarme in ogni angolo della terra. La paura, e non l’influenza, ha contagiato il mondo, rivelandone la debolezza culturale sulle questioni sanitarie. Sarebbe bastato che le notizie dal Messico venissero spiegate convenientemente, che si riferisse sulle condizioni igieniche, l’intensità, il clima in cui è nato e si è espanso il virus; che si illustrasse la normalità dei casi di morte accertati in casi di influenza. Se fosse stata offerta una informazione corrette, non ci sarebbe stata la corsa dei governi all’acquisto dei vaccini. Una volta entrata in prima pagina, l’influenza ha fato fatica ad uscirne. Ogni ricovero in ospedale, in Italia, si è trasformato in un terribile evento. La morte di un paziente “influenzato”, a prescindere dalla causa vera, ha fatto scattare una serie di misure preventive che per la loro eccezionalità hanno ancora di più aggravato le preoccupazioni. Oggi l’Organizzazione mondiale della sanità, invece che spiegare ciò che è accaduto, magari facendo il mea culpa, avverte che potrebbe esserci un altro scampolo di pandemia fra qualche mese. Inutile precisare che le informazioni non incontrano l’attenzione di alcuno e lasciano fredde le autorità sanitarie nazionali. Perché gridando “al lupo, al lupo”, quando il lupo arriva non ci crede più nessuna. Ed è uno degli aspetti più inquietanti dell’evento sanitario più “reclamizzato” degli ultimi cinquanta anni, dopo la cosiddetta mucca pazza.
Nella catena di contagio mediatico, la filiera dei medici di famiglia si è rivelata la più resistente, quella dell’informazione la più fragile. E’ quindi il mondo dell’informazione che si deve interrogare sulle responsabilità che si è assunto in questa circostanza. Responsabilità così gravi da suscitare sospetti e allusioni. Una volta tanto i governi, che hanno aperto i cordoni della borsa, hanno subìto il contagio mediatico. Che cosa avrebbero potuto fare le autorità sanitarie nazionale e i governi di fronte all’incalzare delle notizie inquietanti, alla crescita esponenziale dei contagi, alla conta dei morti e dei ricoverati, se non attrezzarsi e affastellare vaccini. Certo, è possibile che nei Palazzi qualcuno sapesse come stavano veramente le cose e che sia stato particolarmente, ed ingiustificatamente, sensibile al problema, assumendo decisioni sproporzionate. Ma la tempestività, in queste circostanze, è essenziale. Ed a determinarla sono due fattori: la pressione dell’opinione pubblica, sollecitata dai media, e i responsi dell’autorità sanitaria, qualche volta sollecitata dalle case farmaceutiche. Non sarebbe male vederci chiaro in questa vicenda, a cominciare dall’Italia, dove i soldi sono stati spesi. E pure tanti.
Da SiciliaInformazioni.it
E’ stato speso un sacco di soldi inutilmente. Pochi si sono vaccinati e l’influenza non ha affatto creato i guai che erano stati previsti, anzi si è rivelata molto meno pericolosa di altre pandemie, forse la più lieve delle influenze stagionali. I morti? Non c’è influenza che non abbia la sua coda velenosa, perché fra la popolazione colpita, ci sono soggetti deboli, predisposti, o addirittura messi male a prescindere dal virus. Com’è potuto accadere, se perfino moltissimi medici si sono rifiutati di vaccinarsi e non hanno consigliato di prevenire il virus a meno che non fosse strettamente necessario. Tirando le somme si può affermare che l’Organizzazione mondiale della Sanità, i governi e l’informazione hanno sopravvalutato i danni dell’influenza. I medici invece non l’hanno fatto, assumendosi talvolta serie responsabilità. Sappiamo di sicuro che a guadagnarci sono state le industrie farmaceutiche che hanno prodotto il vaccino, ed a creare l’allarme è stata l’informazione, in ogni parte del mondo. La manipolazione, in buona o cattiva fede, è cominciata proprio dal Messico, dove è cominciata la favola dell’influenza “spagnola” o quasi.
I morti crescevano giorno dopo giorno, i titoli in prima pagina e gli allarmi dell’Organizzazione mondiale della sanità pure. Siccome non ci capiva niente nessuno, le notizie sudamericane sono state tenute in prima pagina parecchi giorni, fino a contagiare l’allarme in ogni angolo della terra. La paura, e non l’influenza, ha contagiato il mondo, rivelandone la debolezza culturale sulle questioni sanitarie. Sarebbe bastato che le notizie dal Messico venissero spiegate convenientemente, che si riferisse sulle condizioni igieniche, l’intensità, il clima in cui è nato e si è espanso il virus; che si illustrasse la normalità dei casi di morte accertati in casi di influenza. Se fosse stata offerta una informazione corrette, non ci sarebbe stata la corsa dei governi all’acquisto dei vaccini. Una volta entrata in prima pagina, l’influenza ha fato fatica ad uscirne. Ogni ricovero in ospedale, in Italia, si è trasformato in un terribile evento. La morte di un paziente “influenzato”, a prescindere dalla causa vera, ha fatto scattare una serie di misure preventive che per la loro eccezionalità hanno ancora di più aggravato le preoccupazioni. Oggi l’Organizzazione mondiale della sanità, invece che spiegare ciò che è accaduto, magari facendo il mea culpa, avverte che potrebbe esserci un altro scampolo di pandemia fra qualche mese. Inutile precisare che le informazioni non incontrano l’attenzione di alcuno e lasciano fredde le autorità sanitarie nazionali. Perché gridando “al lupo, al lupo”, quando il lupo arriva non ci crede più nessuna. Ed è uno degli aspetti più inquietanti dell’evento sanitario più “reclamizzato” degli ultimi cinquanta anni, dopo la cosiddetta mucca pazza.
Nella catena di contagio mediatico, la filiera dei medici di famiglia si è rivelata la più resistente, quella dell’informazione la più fragile. E’ quindi il mondo dell’informazione che si deve interrogare sulle responsabilità che si è assunto in questa circostanza. Responsabilità così gravi da suscitare sospetti e allusioni. Una volta tanto i governi, che hanno aperto i cordoni della borsa, hanno subìto il contagio mediatico. Che cosa avrebbero potuto fare le autorità sanitarie nazionale e i governi di fronte all’incalzare delle notizie inquietanti, alla crescita esponenziale dei contagi, alla conta dei morti e dei ricoverati, se non attrezzarsi e affastellare vaccini. Certo, è possibile che nei Palazzi qualcuno sapesse come stavano veramente le cose e che sia stato particolarmente, ed ingiustificatamente, sensibile al problema, assumendo decisioni sproporzionate. Ma la tempestività, in queste circostanze, è essenziale. Ed a determinarla sono due fattori: la pressione dell’opinione pubblica, sollecitata dai media, e i responsi dell’autorità sanitaria, qualche volta sollecitata dalle case farmaceutiche. Non sarebbe male vederci chiaro in questa vicenda, a cominciare dall’Italia, dove i soldi sono stati spesi. E pure tanti.
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