giovedì 29 ottobre 2009

Manovre, piccoli intrighi, incontri. La caccia ai delegati per eleggere il segretario Pd in Sicilia

Manovre, piccoli intrighi, incontri, spartizioni: tutto gli ingredienti della politica politicante sono dentro il day after del Partito Democratico in Sicilia. Invece che mettersi finalmente insieme e costituire un solo partito – i gruppi parlamentari restano separati – la preoccupazione maggiore oggi è quella di trovare la quadra per ottenere il maggiore numero di delegati al congresso. Il ballottaggio previsto dalle regole, infatti, pretende che siano i delegati, eletti alle primarie, a scegliere il segretario regionale fra Giuseppe Lupo e Beppe Lumia. I due hanno in comune solo il nome, seppure declinato in modo diverso, per il resto niente: storie diverse, provenienze diverse, caratteri opposti, politiche, progetti e obiettivi differenti. Lumia ha ottenuto 55 delegati con una lista collegata al segretario nazionale, Bersani; Lupo, invece, può contare su 73 delegati, e parte perciò favorito, e la sua lista era collegata a Dario Franceschini, arrivato dietro a Bersani. Lumia proviene dai DS e nel suo pedigree ha la presidenza della commissione nazionale antimafia, è un assertore del voto aperto alla società civile e tiene le fila della battaglia antimafia, assieme a Salvatore Crocetta ed altri. Lupo arriva da una esperienza sindacale, è culturalmente popolare, viene dalla Margherita, è deputato regionale e in Assemblea si è fato notare per la sua intraprendenza e competenza. Lupo ha bisogno di 18 voti, Lumia molti di più. Per ottenerli i due candidati devono approvvigionarsi al “tesoretto” lasciato intonso da Bernardo Mattarella, classificatosi al terzo posto con 52 delegati. Mattarella, come Lupo, proviene dalle fila delle Margherita, ma a differenza di Lupo, ha scelto la mozione vincitrice, quella di Bersani. La logica vorrebbe che Mattarella consegnasse il suo patrimonio elettorale al candidato di Bersani che l’ha superato, Lumia, e non alla lista di Lupo, affiancato a Franceschini, perché le due mozioni hanno opzioni politiche diverse, invece sin dal primo momento, appena conosciuto l’esito, Mattarella e Lupo si sono incontrati e hanno cominciato a discutere sul da farsi con l’intenzione di dirigere insieme il partito. Quindi sono state messe sul tavolo le carte giuste, gli organigramma: nomi, condizioni e tutto ciò che normalmente si verifica in queste circostanza un poco ovunque. Nel frattempo, però, dalla capitale sono arrivati due input: l’uno a favore di Lumia, l’altro a favore di Lupo. Il primo è una nota che sembra asettica, ma non lo è, riguarda il comitato Bersani, che sollecita i candidati affini andati in ballottaggio nelle regioni in cui non si è arrivati al 51 per cento, a non tradire la volontà degli elettori. Che significa? Che coloro i quali sono stati eletti delegati con la mozione Bersani non possono votare per i candidati della mozione Franceschini. L’altro episodio è favorevole a Lupo. A Roma c’è stata un riunione – lo racconta Dario Miceli sulla Sicilia di Catania – fra D’Antoni, Capodicasa, Papania e Crisafulli, una quaterna molto ascoltata nel PD siciliano, la quale ha scodellato gli strumenti utili perché Lupo arrivi alla segreteria regionale. Siccome Crisafulli e Capodicasa vengono dai DS, ci si chiede quale sia il motore di questa mobilitazione. Risposte ce ne sono tante, e riguardano simpatie ed antipatie raccolte da Lumia, ma c’è anche altro: la Sicilia deve andare ad un ex della Margherita, c’è poco da fare. Questa ipotesi, se vera, confermerebbe ciò che molti paventano, che la separatezza fra le due aree non è stata affatto superata.
SiciliaInformazioni, 28 ottobre 2009

Massimo Ciancimino ha consegnato ai magistrati il papello originale: "Mi sono tolto un peso"

Per un'ora si è difeso davanti ai giudici d'appello che lo processano per riciclaggio. Poi, lasciando l'aula bunker di Pagliarelli, ha annunciato: "Mi sto recando in Procura". E lì Massimo Ciancimino ha tirato fuori dalla borsa un blocco di carte prelevate dal forziere di famiglia in una banca del Liechtenstein. Tra quelle carte c'era anche la versione originale del "papello". A occhio e croce, ma questo lo dirà una perizia, è la copia conforme del documento con le dodici richieste dei boss allo Stato in cambio della sospensione della stagione delle stragi. "Mi sono tolto un peso" ha poi detto ai cronisti. "Ora - ha aggiunto - tocca ai magistrati decidere cosa farne e come proseguire l'indagine. Io ho fatto solo il mio dovere". Il "papello", posto nel 1992 a base della presunta "trattativa" tra apparati dello Stato e i capi di Cosa nostra latitanti, non è però l'unico documento consegnato da Ciancimino ai pm Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e Paolo Guido. Il blocco di carte depositato comprende in tutto una quarantina di documenti. Tra cui una lettera dell'ex sindaco mafioso scritta dopo la strage di via d'Amelio nella quale Ciancimino traccia un singolare paragone tra sé e il giudice Paolo Borsellino. L'uno e l'altro accomunati da un destino avverso e vittime di "traditori": Borsellino per l'attentato in cui morì con cinque uomini della scorta; lui per l'arresto alla vigilia di Natale del 1992. L'ex sindaco era convinto di essere tornato in carcere proprio a causa del "tradimento" di persone che riteneva "amiche". In quel periodo aveva conosciuto una battuta d'arresto il dialogo avviato dagli uomini del Ros, l'allora colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno. Secondo Mori, che ne ha parlato nell'ambito del processo in cui deve rispondere di favoreggiamento della mafia per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, i colloqui con Ciancimino sarebbero cominciati il 5 agosto 1992 e si sarebbero bruscamente interrotti il 18 ottobre. Sarebbe stato lo stesso Ciancimino a chiudere la mediazione quando alla domanda "Chi siete, chi vi manda, che cosa offrite?" si sentì rispondere che ai boss disposti a consegnarsi e ai loro familiari sarebbe stato assicurato soltanto un trattamento umanitario. Due mesi dopo Ciancimino fu arrestato perché, dopo avere chiesto il passaporto, era sorto il sospetto che si stesse preparando alla fuga. Questa è stata almeno la motivazione posta a base del provvedimento che riportò l'ex sindaco in carcere. Secondo quanto si è appreso, nella lettera consegnata ora dal figlio, Ciancimino svolgeva sue riflessioni legate a circostanze che sono al centro dell'indagine sulla "trattativa". E' pure da valutare il nesso temporale tra la consegna dei nuovi documenti e l'incursione in casa denunciata da Massimo Ciancimino. Chi si è introdotto nella sua abitazione palermitana avrebbe portato via foto e lettere del padre. Il figlio dell'ex sindaco ha assicurato che il loro contenuto non aveva una "rilevanza penale" ma solo un valore affettivo. Se così fosse resterebbe da capire perché quelle lettere siano state portate via e cosa gli incursori cercassero. In ogni caso, il giorno dopo la scoperta del presunto furto Massimo Ciancimino si è subito presentato in Procura per consegnare il "papello" originale. Così almeno lo ha presentato.
SiciliaInformazioni, 29 ottobre 2009

martedì 27 ottobre 2009

Sicilia. Per la segreteria del Partito Democratico sfida finale tra Peppe Lumia e Giuseppe Lupo

di Massimo Lorello
I due al ballottaggio. Mattarella pronto all'accordo con il fedelissimo di Franceschini
Centottanta dirigenti del Partito democratico decideranno chi sarà il nuovo segretario regionale. I 190 mila siciliani che domenica hanno preso parte alle primarie hanno decretato che, al primo turno, non dovesse vincere né Giuseppe Lupo, né Giuseppe Lumia e nemmeno Bernardo Mattarella. Si andrà dunque al ballottaggio fra Lupo e Lumia che sono risultati i più votati: il primo ha messo assieme il 40 per cento dei consensi, il secondo ne ha conquistati il 31 per cento mentre Mattarella, che esce di scena dalla corsa per la leadership, si è fermato al 29 per cento. La sfida a due è stata fissata per il 14 novembre e da qui ad allora s´inseguiranno le trattative, gli accordi sulla parola e i calcoli sui voti che s´ipotizza potranno essere conquistati. Di certo, Lupo parte con un patrimonio di 73 delegati contro i 55 di Lumia. Ma bisogna capire su chi dei due si orienteranno i 52 dirigenti del Pd eletti all´assemblea nelle liste di Mattarella. Lupo su questo punto trasuda ottimismo anzi, si spinge di già a ipotizzare che la partita sia sostanzialmente chiusa: «Questo pomeriggio (ieri, ndr) ho incontrato Bernardo Mattarella per discutere del percorso che il Pd dovrà intraprendere in Sicilia - dice Lupo - Abbiamo convenuto, sulla spinta del grande risultato delle primarie, che sia necessario rilanciare il protagonismo del partito in Sicilia e rafforzare l´opposizione tanto al governo nazionale, quanto a quello regionale». Ma al momento, non è affatto chiaro se i delegati eletti con Mattarella sosterranno Lupo. L´operazione non è così semplice. Mattarella, infatti, si è candidato in collegamento con la mozione di Pier Luigi Bersani che, a sua volta, in Sicilia ha ottenuto un sostanzioso aiuto per la conquista della segreteria nazionale da una lista di dirigenti i quali in Sicilia hanno sostenuto Lumia.
Un intreccio complicato che però fa emergere il legame indiretto tra il nuovo segretario nazionale e i sostenitori di Lumia. Ma bisogna anche considerare che a Roma, dove il partito è in cerca di equilibri duraturi, i bersaniani stanno già valutando di cedere la segreteria siciliana agli uomini di Franceschini (cioè a Lupo) per bilanciare la forza delle correnti. «Sia chiaro: se Bersani tramite i delegati di Mattarella farà votare Lupo ci ritroveremo davanti all´ennesima lottizzazione della Sicilia», attacca Pino Apprendi, fra i dirigenti che hanno votato Lumia alla segreteria regionale e Bersani alla guida del partito nazionale. «Per troppe volte - aggiunge Apprendi - la Sicilia è stata terra di conquista, è arrivato il momento di dire basta». Lumia, intanto, annuncia di essere pronto al dialogo ma anche di volere ascoltare la sua base «prima di prendere qualsiasi decisione». Quanto a eventuali accordi preliminari tra correnti, chiarisce: «Lo statuto prevede il ballottaggio, e al ballottaggio si vota, non ci si accorda sottobanco». La partita è aperta e un ruolo determinante lo giocherà Antonello Cracolici, presidente del gruppo democratico all´Ars, che ha votato per Bersani a Roma e per Lumia in Sicilia. «Oggi pomeriggio (ieri, ndr) ho fatto visita a Lumia e poco dopo ho incontrato Lupo», racconta Cracolici ostentando equidistanza dai due candidati. «Prendo atto - aggiunge - che le primarie non sono state sufficienti a regalarci un nuovo segretario regionale. Ma è altrettanto vero che la grande partecipazione di popolo ha confermato il verdetto espresso un mese fa dagli iscritti che avevano votato le mozioni nei circoli». Insomma, si fa pretattica. In attesa che s´intavolino le trattative. Cracolici ha a cuore la propria riconferma alla guida del gruppo all´Ars cosa che l´area Franceschini gli concederebbe in cambio del sostegno a Lupo. Ma dello stesso parere non sembra la coalizione che ha sostenuto Mattarella. Soprattutto i dirigenti che progettavano un patto d´opposizione con l´Udc. Ipotesi mai presa in considerazione da Cracolici. Lo stesso Mattarella ieri non ha sciolto i dubbi: «Ora occorre un´ampia convergenza basata sull´opposizione al governo Lombardo». Acquisito il risultato delle primarie, Lupo forse avrà ripensato con rimpianto alla proposta di Enzo Bianco, uno dei suoi sostenitori più determinanti. Pochi giorni fa, Bianco aveva proposto ai candidati di infischiarsene della regola che assegna la vittoria solo a chi ottiene la metà più uno dei voti e di proclamare vincitore l´aspirante segretario che avesse ottenuto il maggior numero di preferenze indipendentemente dal quorum. Lumia (che sarebbe uscito sconfitto) era d´accordo, Lupo (che invece avrebbe vinto) ha detto di no.
(La Repubblica, 27 ottobre 2009)

Il discorso d'apertura di Luigi Ciotti

Tre anni fa, concludendo la prima edizione di Contromafie, firmammo tutti insieme un “Manifesto” e prendemmo tre impegni: a) affermare nella nostra vita quotidiana i valori della pace, della solidarietà, della legalità democratica e della convivenza civile, contro ogni forma di violenza, d’illegalità, di violazione della dignità umana; b) promuovere e partecipare a tutte le iniziative, i progetti, le attività necessarie per “liberare” l’Italia dalle mafie; c) far vivere la memoria delle vittime delle mafie come testimonianza di un’Italia giusta, consapevole, coraggiosa e responsabile.
Abbiamo rispettato questi tre impegni? Prima di chiedere conto agli altri, alle forze politiche, alle istituzioni e a chi le rappresenta, dobbiamo, in questi giorni di lavoro comune, guardarci dentro e interrogarci su ciò che abbiamo fatto. E’ vero, in questi tre anni l’azione della “società responsabile” contro le mafie si è diffusa nel nostro Paese. Ogni anno, il 21 di marzo, giornata della memoria e dell’impegno, siamo stati sempre più numerosi: a Napoli eravamo oltre 150mila. E’ cresciuto il numero delle scuole e delle università che partecipano ai progetti di educazione alla legalità e alla responsabilità. Sono nate nuove cooperative che gestiscono beni confiscati. Oltre duemila giovani provenienti da ogni parte del mondo hanno lavorato questa estate nei campi sottratti ai clan. E quegli stessi beni, in tutta Italia, hanno fatto da palcoscenico alla musica e al cinema, con i concerti dei Modena City Rambles e la rassegna Cinemovel.

Grazie a LiberaInformazione, animata con passione e competenza dal nostro Roberto Morrione, diritto di cronaca e libertà di stampa hanno una forte voce in più. Si è costituita la rete europea di Flare (Libera internazionale): un impegno condiviso da associazioni presenti in oltre 30 paesi e che travalica lingue, culture e confini. Continua da oltre quindici anni il cammino della Carovana antimafie. Noi siamo quello che facciamo. E siamo qui anche per verificare il nostro fare. Un lungo elenco di iniziative, di progetti concreti, frutto di un lavoro straordinario che vede impegnate tante realtà: associazioni antiracket e antiusura, movimenti, fondazioni, ognuna con la sua storia e il suo valore.

Ma se avvertiamo, oggi più di ieri, il rischio di una società rinchiusa nell’individualismo, ostile alle regole della convivenza civile e della legalità, sempre più povera di valori, è anche responsabilità nostra Dobbiamo sentire, davvero, il “morso del più” nella nostra vita quotidiana, quello che ci fa essere consapevoli dei nostri limiti, delle nostre inadeguatezze e ci spinge a cercare, insieme, risposte migliori, energie nuove. Cercare insieme: lo diciamo da sempre. E' il “noi” il soggetto della lotta alle mafie, “noi” il soggetto del cambiamento sociale.

Costruire insieme: per interrogarci e interrogare, nel rispetto reciproco, nell'attenzione alle parole. Le parole sono importanti. Possono avvicinare o allontanare, incoraggiare o ferire, accogliere o emarginare. E' importante allora parlare, anche denunciare, ma con rigore, competenza, spirito costruttivo. Non per colpire le persone ma per rafforzare la ricerca di verità. Guai ad alimentare il disorientamento, la rassegnazione. Nel nostro cammino contano anche lo stile e il metodo. La credibilità e l'autorevolezza di un progetto non vengono misurate dalla risonanza pubblica o dall'attenzione mediatica ma dalla capacità di lasciare un segno duraturo nel tempo.

C'è un'Italia che ha compreso come il fenomeno mafioso sia un problema nazionale, non solo: internazionale. Da affrontare certo con l’intervento dei magistrati e delle forze dell’ordine. Ma che pretende, per essere risolto, una mobilitazione collettiva, un investimento educativo e culturale. Ce lo ricordava sempre anche il caro Nino Caponnetto quando diceva: «La mafia teme la scuola più della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa». Educazione, cultura, informazione. Sono da sempre i pilastri del nostro impegno contro l’individualismo insofferente delle regole, l’indifferenza al bene comune, la crescita della corruzione, degli abusi, dell’illegalità. Le mafie sono forti in una società diseguale, dove i privilegi hanno preso il posto dei diritti e le persone più fragili vengono lasciate ai margini, quando non colpevolizzate e penalizzate. Essere contro le mafie significa soprattutto riaffermare la corresponsabilità, la centralità delle persone e del legame sociale. Significa esserci per riaffermare che l’io è per la vita, non la vita per l’io. Sono i valori della Dichiarazione universale dei diritti umani, della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, della Carta dei diritti del fanciullo. Sono i valori della nostra Costituzione.

Noi questo “dovere” lo abbiamo preso sul serio. Prima di essere difesa da chi vuole cambiarla e snaturarla, la nostra Costituzione va vissuta e fatta vivere. Quei doveri e quei diritti non possono restare sulla carta, devono diventare “carne”, vita concreta delle persone. «Una democrazia si fonda su buone leggi e buoni costumi» diceva un grande filosofo della politica, Norberto Bobbio. Noi abbiamo bisogno di buone leggi, quindi abbiamo bisogno di una buona politica. Una politica vicina ai bisogni fondamentali delle persone, capace di dare dignità e opportunità a tutti, di non lasciare indietro nessuno. Una politica consapevole che solo includendo – riconoscendo e valorizzando le diversità – si costruisce un mondo più sicuro, più giusto, più umano. Una politica che sappia incontrare la partecipazione dei cittadini e farsene arricchire. Nella cittadinanza ci deve essere sempre più politica e nella politica sempre più cittadinanza. Libera, per quanto ci riguarda, non ha appartenenze di partito ma “fa politica”: vuol dire cittadini che sentono la responsabilità della democrazia e si schierano dalla parte della giustizia e dei diritti, al di là dei riferimenti culturali, politici, spirituali di ciascuno. Sì', spirituali. Libera vuol dire anche persone delle Chiese, (lo dico in senso ecumenico, di tutte le Chiese presenti nelle nostre realtà) che non si sottraggono all’impegno. Nei tanti credenti che si sporcano le mani rivivono forti le parole di don Tonino Bello: «La Chiesa è per il mondo, non per se stessa». E risuona il parlare chiaro di don Peppe Diana. Il suo invito a «risalire sui tetti, a riannunciare la Parola di vita». Ancora troppa neutralità, troppi eccessi di prudenza. Dobbiamo ribadirla con forza l’incompatibilità tra Vangelo e crimine organizzato. Non può esistere una “mafia devota”: non si può appartenere alle mafie, o anche solo esserne complici o conniventi, e al tempo stesso ritenersi parte della comunità cristiana.

E' con questa consapevolezza che, senza generalizzare e senza fare sconti a nessuno, valuteremo insieme ciò che è stato fatto in questi tre anni. C'è consapevolezza che, tra mille difficoltà, non è mai venuto meno l’impegno delle forze della Polizia e della magistratura. Lo dimostrano i numeri: quelli dei boss arrestati e dei beni sequestrati e confiscati. La Commissione ed il Parlamento Europeo hanno riconosciuto l’importanza dell’uso sociale dei beni confiscati. Altri risultati positivi sono stati raggiunti grazie all’impegno di Regioni ed Enti Locali. Ma basta confrontare, senza pregiudizi, l’elenco delle proposte che formulammo nel Manifesto con la realtà di oggi per affermare, semplicemente, che ancora non ci siamo. Continuiamo a chiedere l’istituzione di un’Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati e l’approvazione di un testo unico in materia di legislazione antimafia. Alcune modifiche sono state introdotte, ma senza quell'organicità che è un requisito fondamentale perché la normativa sia davvero efficace. Continuiamo a sollecitare l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale; Un nuovo modello del sistema di protezione dei testimoni di giustizia ed una maggiore attenzione alle richieste dei familiari delle vittime delle mafie, richieste che ascolteremo tra poco; Continuiamo a proporre l’istituzione di un’autorità indipendente contro il riciclaggio Continuiamo a chiedere di rafforzare la rete di sostegno alle vittime della tratta di esseri umani Continuiamo a sostenere che non c’è magistratura senza indipendenza Continuiamo a chiedere che le norme in vigore, che hanno permesso di fare indagini e di intervenire nei casi di crimini ed infiltrazioni, non vengano modificate ma rafforzate e applicate; Continuiamo a chiedere che sia “veramente” applicata la norma della finanziaria del 2006 che stabiliva l’uso sociale dei beni confiscati ai corrotti Abbiamo bisogno di risposte chiare e convincenti.

Una cosa è certa: non si possono contrastare le mafie se, contestualmente, non si rafforza lo Stato sociale; se non vengono promosse forti politiche sul lavoro; se non vengono costruite opportunità per le persone più deboli, per le famiglie più bisognose, se non si dedica un'attenzione autentica ai giovani. Non si può fare lotta alle mafie senza veri interventi economici mirati alla diffusione e alla tutela dei diritti, senza un'efficace tutela dell'ambiente contro chi lo inquina e lo saccheggia.

Vorrei fosse chiaro che muoviamo questi rilievi non “contro” la politica ma per amore della politica. Perché intendiamo spenderci per una politica migliore insieme a chi la vive nel senso più alto del termine: come servizio agli altri, come contributo al bene comune, come doppia istanza etica che lega l’impegno verso la propria coscienza a quello verso la collettività, nella coerenza tra comportamenti pubblici e comportamenti privati.

Impegno e memoria, che vogliono dire innanzitutto essere sempre in cerca della verità. In questi giorni seguiamo tutti con trepidazione vicende che sono apparentemente lontane nel tempo. Leggiamo di trattative inconfessabili, di memorie smarrite e, finalmente, ritrovate. Noi, che della memoria abbiamo fatto una delle ragioni del nostro impegno, non possiamo che esserne lieti. E i familiari delle vittime delle mafie, che quell’impegno l'hanno fatto nascere dal dolore, chiedono verità e giustizia. E’ ancora senza nome la lapide di Rita Atria. Ma il nome di Rita – voglio rassicurare chi le ha voluto bene – è scritto dentro ciascuno di noi. Come sono dentro di noi i nomi che ripetiamo ogni 21 marzo. Loro non vogliono essere solo ricordati. Vogliono che continuiamo il loro impegno, che realizziamo le loro speranze. Ce lo ricordava proprio tre anni fa, qui, Giuseppina, compagna di Pio La Torre nella vita e nell'impegno, che ci ha “lasciato” lo scorso 30 settembre. Ce lo chiedono Francesco e Gabriele, agenti di polizia, morti nell’inseguimento di un’auto sospetta a Casapesenna, in provincia di Caserta. Ce lo chiedono Samuel, Alaj, Cristopher, Alex, Julius, Eric. Giovani immigrati uccisi a Castel Volturno, sempre nella terra schiacciata dalla camorra. In Italia cercavano la vita, hanno trovato la morte. Ce lo chiedono le oltre 40 vittime innocenti uccise in questi ultimi tre anni. Ce lo chiede don Cesare Boschin. Ucciso nel marzo 1995, denunciava l’ecomafia dei rifiuti nel Basso Lazio. La sua morte è rimasta senza colpevoli. Ce lo chiedono infine le speranze e la gioia di vivere di Domenico, detto Dodò. Una pallottola lo colpisce alla testa mentre durante una partita di calcio a Crotone. Dodò, 11 anni, muore il 20 settembre scorso dopo tre mesi di agonia. Voglio credere, con voi, che la sua giovane vita prosegua in quella di Antonino. Anche lui colpito da una pallottola indirizzata a un’altra persona a Melito Porto Salvo-Reggio Calabria. Dopo sette interventi chirurgici, Antonino è riuscito a salvarsi. Anche Antonino, un bimbo di soli 4 anni, ci chiede di non dimenticarlo, di costruire anche per lui un mondo migliore. Avremo modo in questi tre giorni, nei 17 gruppi di lavoro che si sono costituiti, di affrontare questioni e cercare risposte a interrogativi. Scriveremo insieme il nuovo "Manifesto" per un'Italia libera dalle mafie e glielo consegneremo nei prossimi giorni signor Presidente. Come vorremmo che fosse su tutti i tavoli di chi ha responsabilità politiche e istituzionali. Lo affliggeremo sui muri di tutte le città e lo faremo vivere nel nostro impegno quotidiano. Oggi ci vuole un nuovo impegno, ci vuole più forza, più coraggio. La forza per costruire un futuro diverso, capace di trasformare la paura, la fatica e la rabbia in speranza.

Roma, 24.10.2009

lunedì 26 ottobre 2009

Una bella giornata per la democrazia

di CURZIO MALTESE
Tre milioni di votanti, cinquantamila volontari in diecimila seggi, decine di milioni di euro raccolti. Se qualcuno nel Pd ha ancora dubbi sulle primarie è un pazzo. Sono l'elemento più identitario del partito, dal giorno della nascita. È stata una grande giornata per l'unico partito al mondo che coinvolga tanti cittadini nella scelta del segretario, ma soprattutto per la democrazia.
Il voto degli elettori ha confermato nella sostanza quello degli iscritti. Bersani è il vincitore, ma Franceschini e Marino non escono sconfitti. Il segretario uscente ha avuto proprio ieri la conferma d'aver svolto bene la missione di salvare il Pd nella stagione peggiore e oggi può consegnarlo al successo in ottima salute. Ignazio Marino è stata la sorpresa del voto popolare, a riprova che i temi del rinnovamento e della laicità sono assai avvertiti dalla base. La vera notizia è la partecipazione. Tre milioni non li aveva previsti nessuno. Tanto meno dopo l'ultimo desolante caso di Piero Marrazzo. Il popolo democratico ha invece reagito con un atto di generosità e responsabilità, qualità più rare ai vertici. La corsa alle primarie può segnare un punto di svolta nello stallo politico. È una scossa positiva per il Pd, in cerca d'identità da troppo tempo. Ed è una spallata al governo Berlusconi, già avvitato in un evidente declino. Una spallata vera e potente, che non arriva dalle élites e dai palazzi complottardi di cui favoleggiano i demagoghi, ma piuttosto da milioni d'italiani. Cittadini normali che si sono svegliati presto di domenica, messi in fila, versato un contributo, atteso i risultati fino a notte. Non perché Bersani, Franceschini o Marino siano leader di travolgente carisma, né sull'onda di un entusiasmante dibattito congressuale. Ma nella speranza d'infondere al principale partito d'opposizione la forza necessaria per mandare a casa il peggior governo della storia repubblicana.
Questo è il chiarissimo mandato che i tre milioni consegnano nelle mani del vincitore Bersani, ma anche a Franceschini e Marino, da oggi chiamati a collaborare come rappresentanti delle minoranze interne a un grande progetto. Si tratta di vedere se la nuova dirigenza saprà interpretarlo o, chiusi i gazebo, tornerà a rinchiudersi nelle stanze affumicate di strategie tanto sottili quanto perdenti. Come è sempre accaduto finora. Il nuovo leader democratico ha davanti compiti difficili e tempi strettissimi, da qui alle regionali. Il primo è rilanciare il Pd alla guida di un'opposizione seria nei toni, ma dura nella sostanza. Più dura di quanto non sia stata finora. Di "tregue" a Berlusconi, più o meno volontarie, il centrosinistra ne ha offerte già troppe in questi anni. Un'ulteriore resa a un Cavaliere a fine corsa, almeno nell'opinione mondiale, sarebbe interpretata come un tradimento degli elettori e si tradurrebbe in una catastrofe politica. Il secondo compito è quello di affrontare il rinnovamento interno al partito, che non sia la solita mano di bianco sulla nomenklatura. Nei confronti dei casi inquietanti segnalati qua e là, la base si aspetta da Bersani che agisca con rapidità e chiarezza. Per fare l'esempio più recente, che convinca Marrazzo, dopo l'opportuno gesto dell'autosospensione, a tagliare la testa al toro e rassegnare subito le dimissioni da governatore. Occorre certo un po' di coraggio, quello che è sempre mancato ai leader, davvero non al popolo di centrosinistra. Ma il coraggio, se uno non l'ha, milioni di voti glielo potrebbero pur dare. A Prodi e a Veltroni non erano bastati. Bersani ne ha presi molti meno, ma alla fine di primarie vere e combattute fino all'ultimo. Ora ha l'occasione di dimostrare nei fatti quanto aveva ragione a criticare i predecessori.
(La Repubblica, 26 ottobre 2009)

domenica 25 ottobre 2009

Don Luigi Ciotti a Contromafie: "Politica dei fatti per combattere la mafia"

di Claudia Fusani
Fa le scale di corsa, risponde agli sms che lo ringraziano «per la meravigliosa esperienza» («è una poliziotta» spiega), corre da una riunione all’altra, ieri ce ne sono state 17 in sedi diverse sui temi dell’antimafia che hanno coinvolto 2.500 persone. Vero uomo del fare, don Luigi Ciotti trova anche il tempo di passare dalla redazione dell’Unità, prima di preparare il Manifesto di Contromafie 2009, che verrà letto stamani giornata di chiusura degli Stati generali dell’Antimafia.
Don Luigi, è come se l’antimafia in questo paese dove la mafia è il primo dei problemi, dalla legalità all’economia, non fosse una priorità della politica ma una delega in bianco ad associazioni come Libera.
«Guai se fosse così. In questa lotta, che è prima di tutto culturale, è fondamentale il ruolo di tutti. Ci tengo a dire che in questi anni, pur tra mille difficoltà e molti silenzi, non è mai venuto meno l’impegno delle forze di polizia e della magistratura. Però, non basta: per combattere le mafie serve una politica più consapevole e uno Stato sociale più forte».
Quella che lei chiama «la buona politica»?
«Una politica che sappia incontrare la partecipazione dei cittadini e, soprattutto, farsene arricchire. Nella cittadinanza ci deve essere sempre più politica e nella politica sempre più cittadinanza. Essere contro le mafie significa riaffermare che l’io è per la vita e non la vita per l’io».
Quella di oggi sembra invece una società molto concentrata sull’Io. Qual è lo stato di salute della politica oggi in Italia?
«Preferisco parlare di cosa fa Libera, del recupero dei beni mafiosi, delle cooperative che danno un progetto di vita in tante zone del paese, dell’impegno a coltivare memoria, cultura, informazione. La credibilità e l’autorevolezza di un progetto non sono misurate dall’attenzione mediatica ma dalla capacità di lasciare un segno. Ognuno di noi è quello che fa».
Corruzione sulla bonifica dei terreni; assunzioni in cambio di soldi e voti; politici collusi che si candidano ai vertici delle istituzioni: le ultime inchieste giudiziarie raccontano di una diffusa cultura mafiosa. La mafia è anche un atteggiamento culturale?
Il primo nemico è l’atteggiamento culturale. E la prima mafia è quella delle parole, quella per cui tutti si riempiono la bocca di concetti come legalità, diritti e poi però si fa poco o nulla. Essere contro le mafie significa soprattutto riaffermare la corresponsabilità, la centralità delle persone e del legame sociale e agire in questa direzione. Rita Atria, la giovane testimone di giustizia suicida a 17 anni, nell’ultima pagina del suo diario, scrive: «La prima mafia da combattere è quella dentro ciascuno di noi. La mafia siamo noi». Ancora oggi la sua tomba, a Partanna, non riesce ad avere una lapide».
La maggioranza sembra avere un’unica ossessione: la giustizia. Che ne pensa delle riforme?
"Non c’è magistratura senza indipendenza e dico guai a toccare la norma sulle intercettazioni. Se bisogna fare delle riforme, ecco che cosa chiede Libera: applicare la norma della Finanziaria 2006, quella che stabiliva l’uso sociale dei beni confiscati ai corrotti; la nascita di un’Agenzia nazionale, non nominata dalla politica, per la gestione dei beni confiscati; un testo unico per le leggi antimafia perché dall’organicità delle norme dipende l’efficacia; l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale, un nuovo modello per il sistema di protezione dei testimoni». Improvviso ritorno delle inchieste sulle stragi del ’92-’93. Perché?
«Non so dire perché, Vedo che periodicamente alcune cose tornano in cima alla lista, urgenti. Facciano presto, abbiamo bisogna di verità. Di tante verità, un elenco lunghissimo».
Il boss Spatuzza, le cui rivelazioni un anno fa hanno dato impulso ai nuovi filoni di indagine, si è pentito dopo una crisi spirituale.
«Non è il solo. La parola del Vangelo è incompatibile con quella della mafia. Lo dico per chiarezza. Sa, anche Provenzano aveva il covo pieno di santini. Non esiste una mafia devota. E non si può appartenere alle mafie, o esserne conniventi, e ritenersi parte della comunità cristiana».
25 ottobre 2009

Don Gnocchi: fatto beato il sacerdote degli alpini

Per una domenica, Milano batte Roma, quanto alle folle radunate per ascoltare l'Angelus del Papa. Questa mattina, infatti, più di 50 mila fedeli - tra cui 15 mila ex alpini - erano radunati in piazza del Duomo per la beatificazione di don Carlo Gnocchi, presieduta dal card. Dioniogi Tettamanzi, quando - poco prima delle 12 - sui maxi schermi è comparso il Papa che dal sagrato della Basilica Vaticana ha guidato la preghiera dell'Angelus al termine della messa conclusiva del Sinodo Africano. Al tradizionale appuntamento con il Papa c'erano oggi a piazza San Pietro circa 40 mila persone. Dopo la preghiera, Benedetto XVI ha salutato la folla di Milano e, ricordando don Gnocchi, ha esortato a seguire il suo moto «Accanto alla vita sempre». I reduci di quel terribile inverno russo 1942/'43 in Piazza del Duomo a Milano non sono in molti. Quei pochi "veci" sopravvissuti ai congelamenti, alla fame e alle armi dei russi, e anche all'età, però, arrivano, con il cappello alpino in testa, per ricordare e rendere omaggio al loro sacerdote: quel don Carlo Gnocchi che li confortò durante la ritirata di Russia, raccolse le ultime parole di tante "penne mozze" - così si chiamano gli alpini caduti i battaglia - e che oggi è diventato beato. Delle 40mila persone che hanno prenotato un posto per partecipare alla cerimonia, 15 mila saranno alpini. Le "penne nere" sono state protagoniste di due momenti salienti della mattinata: quando l'urna con il corpo del sacerdote entrerà in piazza Duomo per essere deposta sul sagrato, il coro alpino ha intonato "Stellutis Alpinis" e alla fine "Signora delle nevi", due delle più belle e commoventi canzoni di montagna. La messa è stata celebrata dall'arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, con 200 concelebranti, tra i quali monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Il corteo con l'urna con il corpo di don Gnocchi, portata a spalle dagli alpini, è partito dalla chiesa di Santo Stefano fino a piazza Duomo. Numerose le autorità presenti in piazza: il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, il sottosegretario Ferruccio Fazio, il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, il sindaco di Milano Letizia Moratti e il presidente della Provincia, Guido Podestà. Una cerimonia che riporterà alla memoria il giorno dei funerali di don Gnocchi, nel febbraio 1956. Anche quel giorno la piazza era stracolma di alpini, di mutilatini accolti alla Pro Juventute e di tante persone, non necessariamente credenti ma che con la loro presenza intesero riservare un tributo al sacerdote che, anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale, si prodigò a consolare le madri, i padri e i figli dei caduti, dedicando il resto della sua vita a loro e ai bambini mutilati nel corso del conflitto e vittime della poliomielite. Giovanni Battista Montini, quando era arcivescovo di Milano, proprio parlando agli alpini disse: «Eroi eravate tutti; ma lui, per giunta, era un santo». Fece eco al futuro papa un mutilatino che emozionato disse: «Fino ad ora ti abbiamo chiamato don Carlo, ora sarai San Carlo». Oggi, la beatificazione, dopo un processo durato 22 anni, ma alpini e mutilatini auspicano, come Corrado Perona, presidente nazionale dell'Ana (Associazione nazionale alpini), che don Carlo Gnocchi possa presto diventare santo.
L'Unità, 25 ottobre 2009

sabato 24 ottobre 2009

Roccamena. Notte di paura a Roccamena per il maltempo:una tromba d'aria ha scoperchiato una casa

Roccamena - Notte di paura a Roccamena per il maltempo. Alle due e trenta della scorsa notte una tromba d’aria ha colpito il piccolo centro che dista quaranta chilometri da Palermo. La furia del vento, che ha soffiato con raffiche di cento chilometri orari ha scoperchiato il tetto di una casa, in Via Filippo Turati n°16 per fortuna non vi è stato nessun danno alle persone. L’edificio danneggiato, è di recente costruzione la concessione edilizia , infatti, risale al 2004, e sorge a poca distanza dalla sede del municipio alla periferia nord del paese. La palazzina a due eleavazioni fuori terra è di proprietà del signor Salvatore Diesi. Il tetto dell’immobile era stato realizzato in pannelli di “materiale coibentato”,La copertura dell’edificio era ancorata su tre lati così da determinare un “effetto vela” il vento ha sollevato il tetto che è stato catapultato a venti metri di distanza.Danneggiata dai detriti anche la macchina del proprietario dello stabile che era parcheggiata sotto casa. E’ stato subito dato l’allarme ai Vigili del Fuoco del distaccamento di Corleone che sono intervenuti con tempestività sul posto con una squadra, mettendo in sicurezza l’edificio e la zona circostante. La tempesta con pioggia e vento è durata sino alle quattro e mezza del mattino. Alle prime luci del giorno il sopralluogo dei tecnici comunali, dell’Ufficio di Protezione Civile che hanno appurato che non vi erano stati altri danni ad edifici della zona. Tra i primi a giungere sul posto il sindaco Salvatore Graffato che in mattina ha compiuto un sopralluogo per il centro abitato. “ Non è stato necessario emettere una ordinanza di sgombero dell’edificio – ha spiegato il primo cittadino – poiché il danno ha riguardato solo il tetto, ed in questo siamo stati confortati dalla relazione dei Vigili del Fuoco, dai tecnici comunali. e dai Vigili Urbani”. Nelle prossime ore sarà possibile avere anche un monitoraggio dei capannoni rurali e degli edifici che sorgono nelle campagne tra Roccamena e Corleone. La tromba d’aria della scorsa notte sembra, da una prima ricognizione avere solo sfiorato il centro abitato. “ La nostra mobilitazione continuerà nelle prossime ore – conclude il sindaco Salvatore Graffato - – e sino a quando non cesserà l’allarme meteo diramato ieri dalla protezione civile”. In tutto il tratto della Strada Provinciale 4 che collega Roccamena con Corleone e la SS.624 Palermo-Sciacca, numerosi i tabelloni abbattuti ed i rami divelti degli alberi che hanno invaso la sede stradale. La circolazione è tornata normale nel pomeriggio grazie all’intervento dei cantonieri dell’Anas e della Provincia Regionale di Palermo.
Cosmo Di Carlo
Nella foto (*co.di*): il tetto divelto dal passaggio della tromba d’aria, la palazzina di Via Filppo Turati n° 16, l’auto danneggiata.

Il pentito Gaspare Spatuzza accusa: "Berlusconi e Dell'Utri referenti di Cosa nostra"

Il pentito Gaspare Spatuzza, nei verbali depositati, racconta la soddisfazione dei boss: "Sono persone serie, non come quei 'crasti' dei socialisti". Secondo il braccio destro del capomafia Graviano, la trattativa con lo Stato esisteva e durò almeno fino al 2004
PALERMO - Il pentito Gaspare Spatuzza ha rivelato ai magistrati di Palermo che la trattativa tra la mafia e lo Stato durò almeno fino al 2003-2004 e i referenti politici della mafia sarebbero stati Berlusconi e Dell'Utri. Ad informarlo del dialogo aperto tra pezzi delle istituzioni e mafiosi era stato, ha precisato, un boss palermitano di spicco, Giuseppe Graviano. Graviano, di cui Spatuzza era braccio destro, riferì in due occasioni dell'esistenza della trattativa al pentito. La prima, dopo la strage di Firenze del '93, in un colloquio che i due ebbero a Campofelice di Roccella. "Voglio precisare - racconta Spatuzza in verbali depositati oggi al processo d'appello nei confronti del senatore Dell'Utri - che quell'incontro doveva essere finalizzato a programmare un attentato ai carabinieri da fare a Roma. Noi avevamo perplessità perchè si trattava di fare morti fuori dalla Sicilia. Graviano per rassicurarci ci disse che da quei morti avremmo tratto tutti benefici, a partire dai carcerati. In quel momento io compresi che c'era una trattativa e lo capii perchè Graviano disse a me e a Lo Nigro se noi capivamo qualcosa di politica e ci disse che lui ne capiva"."Questa affermazione - ha aggiunto - mi fece intendere che c'era una trattativa che riguardava anche la politica. Da quel momento io dovevo organizzare l'attentato ai carabinieri ed in questo senso mi mossi. Io individuai quale obiettivo lo stadio Olimpico". Il pentito si riferisce al progetto di attentato da fare fuori dallo stadio romano in cui sarebbero morti oltre 100 carabinieri, poi fallito.Il secondo incontro tra Graviano e Spatuzza, in cui si sarebbe parlato di rapporti tra mafia e politica è del gennaio del '94. I due si vedono nel bar Doney, in via Veneto a Roma. "Graviano - racconta Spatuzza - era molto felice, disse che avevamo ottenuto tutto e che queste persone non erano come quei quattro "crasti" dei socialisti. La persona grazie alla quale avevamo ottenuto tutto era Berlusconi e c'era di mezzo un nostro compaesano, Dell'Utri"."Io non conoscevo Berlusconi - aggiunge - e chiesi se era quello di Canale 5 e Graviano mi disse sì. Del nostro paesano mi venne fatto solo il cognome, Dell'Utri, non il nome. In sostanza Graviano mi disse che grazie alla serietà di queste persone noi avevamo ottenuto quello che cercavamo. Usò l'espressione ci siamo messi il Paese nelle mani".Dopo l'incontro Spatuzza ebbe il via libera per l'attentato all'Olimpico, che, secondo i pm, avrebbe dovuto riscaldare il clima della trattativa. L'attentato poi fallì e non si riprogrammò perchè i Graviano vennero arrestati. La prova che la trattativa sarebbe proseguita fino al 2004 Spatuzza la evince da un colloquio avuto con Filippo Graviano, fratello di Giuseppe, nel 2004. I due ebbero un incontro nel carcere di Tolmezzo, in cui erano detenuti. "Graviano mi disse - spiega - che si stava parlando di dissociazione, ma che noi non eravamo interessati. Nel 2004 ebbi un colloquio investigativo con Vigna, finalizzato alla mia collaborazione che, però, io esclusi. Tornato a Tolmezzo ne parlai con Graviano che mi disse: 'se non arriva niente da dove deve arrivare è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistratì".Secondo Spatuzza "fino al 2003-2004, epoca del colloquio a Tolmezzo con Graviano, era in corso la trattativa. Questo il senso della frase di Graviano". Il pentito, che collabora con i magistrati dall'estate del 2008, così giustifica il fatto di avere reso queste dichiarazioni solo nei mesi scorsi. "Non ho riferito subito le cose riguardanti Berlusconi perchè intendevo prima di tutto che venisse riconosciuta la mia attendibilità su altri argomenti ed anche per ovvie ragioni inerenti la mia sicurezza e per non essere sospettato di speculazioni su questo nome nella fase iniziale, già molto delicata, della mia collaborazione". Le dichiarazioni di Spatuzza, che riguardano anche il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, sono state depositate agli atti del processo d'appello in corso a Palermo, al parlamentare.
23/10/2009

Sicilia. La necessità di nuove elezioni

di Francesco Palazzo
Sia dalla parte avversa al governatore Lombardo, ossia i nemici che si ritrova nella sua maggioranza che non c´è, sia, timidamente a dire il vero, da parte dell´unica opposizione presente all´ARS, ovvero dal Partito Democratico, che domenica andrà alle urne nei gazebo, si chiedono nuove elezioni a primavera, quando voteranno le regioni a statuto ordinario.
Mentre, invece, un nuovo passaggio alle urne viene visto, dall´esecutivo regionale e da quella residua parte che lo sostiene nel parlamento siculo, come il fumo negli occhi. Eppure dovrebbe essere normale, quando si perde la maggioranza votata dagli elettori, ripresentarsi davanti ad essi. Negli ultimi quindici anni è accaduto due volte a livello nazionale La prima esperienza di Silvio Berlusconi, nel 1994, a causa dello sfilarsi della Lega, si concluse dopo pochi mesi e si andò alle urne nel 1996, cioè tre anni prima della scadenza prevista. L´ultima avventura di Romano Prodi, iniziata nel 2006, si è infranta sugli scogli di una coalizione litigiosa e inconcludente e si è andati alle urne, con i risultati che sappiamo, nel 2008. Insomma, per dirla con una battuta, anche nella seconda repubblica, che forse per alcuni aspetti è peggiore della prima, compagini governative nazionali, e anche regionali, per tutti citiamo il caso delle dimissioni di Cuffaro e quelle di Soru in Sardegna, non hanno esitato a dire la parola fine quando, per diversi motivi, si sono resi conto che non era più possibile andare avanti. Tra l´altro, va sottolineata pure la circostanza che le divisioni in Sicilia si registrano non solo nella rappresentanza parlamentare, all´inizio notevolissima e bulgara a favore di Lombardo, ma al contempo dentro lo stesso governo. Dopo il primo rimpasto che ha buttato fuori l´UDC, una bazzecola, erano stati solo gli elettori a sancire la loro piena appartenenza alla maggioranza lombardiana, si è infatti avuto più di uno scossone all´interno del gruppo di assessori che collabora oggi con il presidente della regione. Per ultimo, basta ricordare la polemica di qualche settimana addietro, sul caso della morte del giovane a Mazzarino. Con un assessore che è stato inviato, né più né meno, a farsi da parte. Poi tutto è rientrato, ma è abbastanza noto che la parte del PDL avversa a Lombardo, più di una volta e chiaramente, ha avanzato la proposta di tirare fuori dalla giunta i suoi due assessori. A tutto ciò vanno aggiunte le fibrillazioni, chiamiamole così, che si registrano dentro il PD. Tra chi schiaccia più di un occhio a Lombardo, e chi invece vorrebbe sposarsi con la ribelle UDC, sono volate, e volano, parole grosse. Ormai, anche su questo fronte, si è alla guerra aperta. Non sappiamo, ma ne dubitiamo molto, se il nuovo segretario regionale uscito dalle primarie saprà ricomporre tale tumultuoso scenario. I dubbi sono dovuti al fatto che ormai, a destra e a sinistra, i partiti, come li conoscevamo un tempo, quali aggregati d´idealità e d´iniziative politiche, che gli eletti non potevano che rappresentare, sono stati sostituiti, in tutto e per tutto, da coloro i quali, nei consigli comunali, provinciali e all´ARS, si trovano a rappresentare se stessi, o al massimo le proprie correnti e non i partiti. Piegando questi ultimi a meri ratificatori di scelte che si consumano nei luoghi dove si amministra il potere. Ad ogni modo, se le cose stanno per come le abbiamo descritte, i siciliani normali, da Catania a Messina, da Trapani a Palermo, hanno tutto da perdere da questa marmellata insapore, inodore, ma velenosissima, che è diventata la politica regionale. Ecco perché ci pare che le elezioni regionali a primavera potrebbero costituire lo sbocco chiarificatore per tutti. Contribuendo a generare chiarezza pure negli enti locali. Ognuno dei contendenti cercherebbe e troverebbe, abbandonando le attuali ambiguità, la propria collocazione dentro una delle coalizioni in campo. Il corpo elettorale, l´unico abilitato a decidere maggioranze e opposizioni, sarebbe messo nelle condizioni di scegliere da chi farsi governare. E´, questa, una strada semplice e lineare. Perciò ha davvero poche possibilità di essere percorsa. Sia in primavera che in autunno.
CENTONOVE del 23/10/2009

giovedì 22 ottobre 2009

Sicilia. Primarie Pd a rischio inquinamento

di Agostino Spataro
A che cosa, per quale progetto politico serviranno le primarie del Pd siciliano? Domanda per nulla oziosa giacché, come cercheremo di chiarire, nasce e si giustifica a fronte di talune ambiguità che la campagna elettorale, fino ad oggi, non ha del tutto eliminato.
Se per l’Italia è relativamente facile interpretare il senso delle primarie del 25 ottobre (Eugenio Scalfari su “La Repubblica”ne ha dato una lettura magistrale), per la Sicilia le cose si complicano. Come il solito, in questa benedetta regione anche lo svolgimento di una consultazione interna di un partito all’opposizione diventa un rebus intricato che va ben oltre gli scopi dichiarati della consultazione medesima. Il ragionamento di Scalfari credo non si possa applicare al Pd siciliano poiché qui si scontra con tendenze e aggregazioni intricate, anomale, al limite devianti, rispetto al contesto nazionale.
Gli elettori che domenica andranno alle urne ne avvertono tutto il disagio.
Molti, frastornati, si chiedono se il loro voto servirà solo a eleggere i delegati all’assemblea nazionale e il segretario regionale o se nel pentolone ci sia dell’altro.
Sopra queste primarie, infatti, si sentono aleggiare uno spirito di fronda, uno scontro fra correnti che va ben oltre lo schema dialettico nazionale e si proietta nel vivo della diatriba intorno alla sopravvivenza del Lombardo bis.
Vero o presunto che sia il sospetto, questo è il punto centrale del dibattito nel Pd siciliano e, al contempo, il suo pericoloso limite di fondo.
Voci insistenti e qualificate accreditano, infatti, come convitati eccellenti delle primarie talune componenti protagoniste dello scontro in atto nel centro-destra siciliano. Soprattutto, il governatore parrebbe interessato agli esiti delle primarie.
Insomma, la sensazione che si sta diffondendo è quella che le sorti del Lombardo - bis siano più legate a un certo corso politico del Pd che a un’improbabile ricomposizione della coalizione di centro-destra.
Fra qualche settimana o mese all’Ars si potrebbe andare alla conta, alla stretta finale. I ventinove deputati del Pd sono decisivi in un senso o nell’altro: possono assicurare la maggioranza per approvare una mozione di sfiducia a Lombardo o per respingerla.
Un passaggio cruciale, fondamentale direi, su cui si giocherà la credibilità del Pd, il suo ruolo politico per l’oggi e per il domani.
Perciò, secondo le scelta che domenica faranno gli elettori dipenderà il profilo del Pd siciliano: o di forza d’opposizione che lavora per aggregare un’alternativa al centro-destra o di supporto per avventurose manovre di potere.
In ciò sta l’anomala specificità della consultazione siciliana. Mentre a Roma il Pd si divide sul segretario ma si mostra unito (e si spera più deciso e propositivo) nell’opposizione a Berlusconi, a Palermo la divisione potrebbe continuare oltre le primarie e degenerare sul terreno delicatissimo dei rapporti col traballante governo regionale.
Se così stanno le cose, la situazione diventerebbe davvero preoccupante poiché alle manovre interne (talune, per altro, molto sconcertanti) si potrebbero sommare, affiancare manovre esterne miranti a influenzare, in un senso o nell’altro, gli esiti della consultazione.
D’altra parte, l’illogica procedura adottata per le primarie consente ampi spazi a tali manovre. Soprattutto nel voto del 25 ottobre al quale potranno partecipare gli “elettori” del Pd ossia chiunque, indistintamente, senza alcun filtro che li possa identificare e selezionare.
Lo statuto, infatti, lascia aperto un varco molto ampio a tutte quelle forze che per inconfessabili interessi lavorano per alterare il risultato delle primarie a loro favore.
E’ già successo in precedenti consultazioni. Non è da escludere, anzi è probabile, che succeda, e in termini più rilevanti, anche in questa occasione che è più importante delle precedenti.
In particolare, riguardo all’elezione del segretario regionale che dovrà essere scelto fra una troika (Lumia, Lupo e Mattarella) che parte da posizioni sostanzialmente paritarie.
Per chi votare, dunque? Non spetta a noi dare indicazioni. Ciascuno, iscritto o elettore vero del Pd, si esprima secondo coscienza, tenendo conto del sopracitato contesto politico e della funzione primaria di questo partito che non può, davvero, ridursi a succursale di questo o quell’altro gruppo di potere. Il voto dovrebbe dimostrare che anche in Sicilia il Pd si candida a divenire, coi fatti, la principale forza aggregante per un’alternativa di governo. Agli elettori la scelta più giusta, agli organizzatori la responsabilità di vigilare per chiudere il varco agli intrusi e ai lestofanti.

mercoledì 21 ottobre 2009

L'ESPRESSO: Tra mafia e Stato

di Lirio Abbate
Brusca rivela: Riina disse che il nostro referente nella trattativa era il ministro Mancino. Ma dopo l'arresto del padrino, i boss puntarono su Forza Italia e Silvio Berlusconi
E' la vigilia di Natale del 1992, Totò Riina è euforico, eccitato, si sente come fosse il padrone del mondo. In una casa alla periferia di Palermo ha radunato i boss più fidati per gli auguri e per comunicare che lo Stato si è fatto avanti. I picciotti sono impressionati per come il capo dei capi sia così felice. Tanto che quando Giovanni Brusca entra in casa, Totò ù curtu, seduto davanti al tavolo della stanza da pranzo, lo accoglie con un grande sorriso e restando sulla sedia gli dice: "Eh! Finalmente si sono fatti sotto". Riina è tutto contento e tiene stretta in mano una penna: "Ah, ci ho fatto un papello così..." e con le mani indica un foglio di notevoli dimensioni. E aggiunge che in quel pezzo di carta aveva messo, oltre alle richieste sulla legge Gozzini e altri temi di ordine generale, la revisione del maxi processo a Cosa nostra e l'aggiustamento del processo ad alcuni mafiosi fra cui quello a Pippo Calò per la strage del treno 904. Le parole con le quali Riina introduce questo discorso del "papello" Brusca le ricorda così: "Si sono fatti sotto. Ho avuto un messaggio. Viene da Mancino".L'uomo che uccise Giovanni Falcone - di cui "L'espresso" anticipa il contenuto dei verbali inediti - sostiene che sarebbe Nicola Mancino, attuale vice presidente del Csm che nel 1992 era ministro dell'Interno, il politico che avrebbe "coperto" inizialmente la trattativa fra mafia e Stato. Il tramite sarebbe stato l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, attraverso l'allora colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno. L'ex responsabile del Viminale ha sempre smentito: "Per quanto riguarda la mia responsabilità di ministro dell'Interno confermo che nessuno mi parlò di possibili trattative".Il contatto politico Riina lo rivela a Natale. Mediata da Bernardo Provenzano attraverso Ciancimino, arriva la risposta al "papello", le cui richieste iniziali allo Stato erano apparse pretese impossibili anche allo zio Binu. Ora le dichiarazioni inedite di Brusca formano come un capitolo iniziale che viene chiuso dalle rivelazioni recenti del neo pentito Gaspare Spatuzza. Spatuzza indica ai pm di Firenze e Palermo il collegamento fra alcuni boss e Marcello dell'Utri (il senatore del Pdl, condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa), che si sarebbe fatto carico di creare una connessione con Forza Italia e con il suo amico Silvio Berlusconi. Ma nel dicembre '92 nella casa alla periferia di Palermo, Riina è felice che la trattativa, aperta dopo la morte di Falcone, si fosse mossa perché "Mancino aveva preso questa posizione". E quella è la prima e l'ultima volta nella quale Brusca ha sentito pronunziare il nome di Mancino da Riina. Altri non lo hanno mai indicato, anche se Brusca è sicuro che ne fossero a conoscenza anche alcuni boss, come Salvatore Biondino (detenuto dal giorno dell'arresto di Riina), il latitante Matteo Messina Denaro, il mafioso trapanese Vincenzo Sinacori, Giuseppe Graviano e Leoluca Bagarella.
Le risposte a quelle pretese tardavano però ad arrivare. Il pentito ricorda che nei primi di gennaio 1993 il capo di Cosa nostra era preoccupato. Non temeva di essere ucciso, ma di finire in carcere. Il nervosismo lo si notava in tutte le riunioni, tanto da fargli deliberare altri omicidi "facili facili", come l'uccisione di magistrati senza tutela. Un modo per riscaldare la trattativa. La mattina del 15 gennaio 1993, mentre Riina e Biondino si stanno recando alla riunione durante la quale Totò ù curtu avrebbe voluto informare i suoi fedelissimi di ulteriori retroscena sui contatti con gli uomini delle istituzioni, il capo dei capi viene arrestato dai carabinieri.Brusca è convinto che in quell'incontro il padrino avrebbe messo a nudo i suoi segreti, per condividerli con gli altri nell'eventualità che a lui fosse accaduto qualcosa. Il nome dell'allora ministro era stato riferito a Riina attraverso Ciancimino. E qui Brusca sottolinea che il problema da porsi - e che lui stesso si era posto fin da quando aveva appreso la vicenda del "papello" - è se a Riina fosse stata o meno riferita la verità: "Se le cose stanno così nessun problema per Ciancimino; se invece Ciancimino ha fatto qualche millanteria, ovvero ha "bluffato" con Riina e questi se ne è reso conto, l'ex sindaco allora si è messo in una situazione di grave pericolo che può estendersi anche ai suoi familiari e che può durare a tempo indeterminato". In quel periodo c'erano strani movimenti e Brusca apprende che Mancino sta blindando la sua casa romana con porte e finestre antiproiettile: "Ma perché mai si sta blindando, che motivo ha?". "Non hai nulla da temere perché hai stabilito con noi un accordo", commenta Brusca come in un dialogo a distanza con Mancino: "O se hai da temere ti spaventi perché hai tradito, hai bluffato o hai fatto qualche altra cosa".
Brusca, però, non ha dubbi sul fatto che l'ex sindaco abbia riportato ciò che gli era stato detto sul politico. Tanto che avrebbe avuto dei riscontri sul nome di Mancino. In particolare uno. Nell'incontro di Natale '92 Biondino prese una cartelletta di plastica che conteneva un verbale di interrogatorio di Gaspare Mutolo, un mafioso pentito. E commentò quasi ironicamente le sue dichiarazioni: "Ma guarda un po': quando un bugiardo dice la verità non gli credono". La frase aveva questo significato: Mutolo aveva detto in passato delle sciocchezze ma aveva anche parlato di Mancino, con particolare riferimento a un incontro di quest'ultimo con Borsellino, in seguito al quale il magistrato aveva manifestato uno stato di tensione, tanto da fumare contemporaneamente due sigarette. Per Biondino sulla circostanza che riguardava Mancino, Mutolo non aveva detto il falso. Ma l'ex ministro oggi dichiara di non ricordare l'incontro al Viminale con Borsellino.Questi retroscena Brusca li racconta per la prima volta al pm fiorentino Gabriele Chelazzi che indagava sui mandanti occulti delle stragi. Adesso riscontrerebbero le affermazioni di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, che collabora con i magistrati di Palermo e Caltanissetta svelando retroscena sul negoziato mafia- Stato. Un patto scellerato che avrebbe avuto inizio nel giugno '92, dopo la strage di Capaci, aperto dagli incontri fra il capitano De Donno e Ciancimino. E in questo mercanteggiare, secondo Brusca, Riina avrebbe ucciso Borsellino "per un suo capriccio". Solo per riscaldare la trattativa.Le rivelazioni del collaboratore di giustizia si spingono fino alle bombe di Roma, Milano e Firenze. Iniziano con l'attentato a Maurizio Costanzo il 14 maggio '93 e hanno termine a distanza di 11 mesi con l'ordigno contro il pentito Totuccio Contorno. Il tritolo di quegli anni sembra non aver portato nulla di concreto per Cosa nostra. Brusca ricorda che dopo l'arresto di Riina parla con il latitante Matteo Messina Denaro e con il boss Giuseppe Graviano. Chiede se ci sono novità sullo stato della trattativa, ma entrambi dicono: "Siamo a mare", per indicare che non hanno nulla. E da qui che Brusca, Graviano e Bagarella iniziano a percorrere nuove strade per riattivare i contatti istituzionali.I corleonesi volevano dare una lezione ai carabinieri sospettati (il colonnello Mori e il capitano De Donno) di aver "fatto il bidone". E forse per questo motivo che il 31 ottobre 1993 tentano di uccidere un plotone intero di carabinieri che lasciava lo stadio Olimpico a bordo di un pullman. L'attentato fallisce, come ha spiegato il neo pentito Gaspare Spatuzza, perché il telecomando dei detonatori non funziona. Il piano di morte viene accantonato.In questa fase si possono inserire le nuove confessioni fatte pochi mesi fa ai pubblici ministeri di Firenze e Palermo dall'ex sicario palermitano Spatuzza. Il neo pentito rivela un nuovo intreccio politico che alcuni boss avviano alla fine del '93. Giuseppe Graviano, secondo Spatuzza, avrebbe allacciato contatti con Marcello Dell'Utri. Ai magistrati Spatuzza dice che la stagione delle bombe non ha portato a nulla di buono per Cosa nostra, tranne il fatto che "venne agganciato ", nella metà degli anni Novanta "il nuovo referente politico: Forza Italia e quindi Silvio Berlusconi".Il tentativo di allacciare un contatto con il Cavaliere dopo le stragi era stato fatto anche da Brusca e Bagarella. Rivela Brusca: "Parlando con Leoluca Bagarella quando cercavamo di mandare segnali a Silvio Berlusconi che si accingeva a diventare presidente del Consiglio nel '94, gli mandammo a dire "Guardi che la sinistra o i servizi segreti sanno", non so se rendo l'idea...". Spiega sempre il pentito: "Cioè sanno quanto era successo già nel '92-93, le stragi di Borsellino e Falcone, il proiettile di artiglieria fatto trovare al Giardino di Boboli a Firenze, e gli attentati del '93". I mafiosi intendevano mandare un messaggio al "nuovo ceto politico ", facendo capire che "Cosa nostra voleva continuare a trattare".
Perché era stata scelta Forza Italia? Perché "c'erano pezzi delle vecchie "democrazie cristiane", del Partito socialista, erano tutti pezzi politici un po' conservatori cioè sempre contro la sinistra per mentalità nostra. Quindi volevamo dare un'arma ai nuovi "presunti alleati politici", per poi noi trarne un vantaggio, un beneficio".Le due procure stanno già valutando queste dichiarazioni per decidere se riaprire o meno il procedimento contro Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, archiviato nel 1998. Adesso ci sono nuovi verbali che potrebbero rimettere tutto in discussione e riscrivere la storia recente del nostro Paese.
(L'Espresso, 21 ottobre 2009)

Le infiltrazioni camorristiche in Toscana

di LUCA D'ONOFRIO
Ieri, 20 ottobre, presso il polo didattico “Carmignani” dell’ Università di Pisa, si è tenuto un seminario sulle infiltrazioni camorristiche in Toscana. Sinistra Per...Giurisprudenza, lista studentesca universitaria organizzatrice dell’evento, già da anni contribuisce al dibattito sulle associazioni criminali di tipo mafioso. Il contributo di “Sinistra Per...Giurisprudenza” nella diffusione di una cultura di legalità e di contrasto ai sodalizi mafiosi ha visto la luce nel 2006 con una iniziativa dal titolo “L’impegno della società civile nel contrasto a Cosa Nostra”, nella quale si è puntata l’attenzione sulla confisca dei patrimoni mafiosi e sul loro riutilizzo (l. 109/96). L’iniziativa ebbe come protagonisti Calogero Parisi, presidente di “Lavoro e non solo”, cooperativa che attualmente gestisce beni confiscati alla mafia nei territori di Corleone (PA) e Canicattì (AG), e Maurizio Pascucci, dirigente ARCI Toscana e coordinatore del progetto “Liberarci dalle Spine”.
Nel 2007 è stata dedicata una conferenza alla criminalità calabrese (‘ndrangheta): in essa, con la collaborazione di storici (Prof. Paolo Pezzino, docente di storia dell’Università di Pisa) e giuristi (Prof. Alberto Di Martino, docente di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna) si è cercato di delineare il contesto del recente omicidio dell’ On. Francesco Fortugno, nonché le nuove strategie di potere messe in atto dalla ‘ndrangheta.
Quest’anno abbiamo puntato l’attenzione sulla camorra e sulle sue infiltrazioni in terra toscana, essendo la Toscana uno dei territori del centro-nord in cui i clan campani hanno trovato complicità e presupposti per il proprio radicamento.
Numerose inchieste giudiziarie (quella denominata “Marata” o la recentissima “Botero”), e relazioni di associazioni operanti nel sociale, hanno dimostrato come negli ultimi anni, sul nostro territorio, la camorra sia tra le associazioni criminali più attive nell’ambito di usura, estorsione, ricettazione, riciclaggio, truffa e narcotraffico.

L’iniziativa di ieri ha voluto tenere alta l’attenzione su queste tematiche.
Il dibattito si è articolato in 2 momenti:
la mattina ha avuto come protagonisti Giovanni Conzo della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, Pietro Suchan della Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, Domenico Notaro,docente di diritto penale dell’Università di Pisa.
Attraverso il contributo di esperti abbiamo dato certezza ad un fenomeno tristemente diffuso sul territorio;
la seconda parte del seminario, concentrata nel pomeriggio, ha avuto come protagonisti Maurizio Pascucci dell’ ARCI toscana, don Armando Zappolini dell’associazione “Libera nomi e numeri contro le mafie” e Rosaria Capacchione giornalista de “il Mattino” di Caserta.
Prezioso è stato il contributo dei relatori nella seconda parte in particolar modo come messaggio lanciato ai giovani. La giornalista ha spiegato la difficoltà del proprio mestiere in terra di camorra, come attraverso la parola cerca di raccontare fatti e stimolare le coscienze. Armando Zappolini ha illustrato il progetto “terre di don Peppino Diana” che ha la finalità di sostenere una cooperativa che a Castel Volturno, in provincia di Napoli, gestisce un immobile confiscato ai “casalesi”.
Infine, Maurizio Pascucci che con la sua concretezza ha snocciolato evento dopo evento tutte le problematiche presenti sul territorio e rispondendo alle numerose domande fatte dagli studenti ha concluso con un importante dato di fatto: la Toscana non è terra di mafia ma la mafia c’è.

Unici assenti l’On. Giuseppe Lumia e Silvia Della Monica per urgenti impegni in Commissione Antimafia e Federico Gelli, vicepresidente della Regione Toscana, per impegni sopraggiunti.
Consapevoli che il dibattito politico su questi temi è fondamentale, continuiamo nel nostro impegno, sicuri del contributo di esponenti politici al dibattito avviato.

Un ringraziamento particolare va a Maurizio, Lampadiere di tanti giovani, con la quale condivido, da ormai tanto tempo, un impegno di antimafia sociale e con cui continuo a candividere tante incertezze consapevole di un suo incoraggiamento.
NELLA FOTO: Maurizio Pascucci, don Armando Zappolini, Luca D'Onofrio

Corleone, la Consulta giovanile a fianco degli agricoltori in lotta...

di Angela Listì*
La consulta giovanile scende in piazza!!! Lo statuto della consulta prevede che si componga di tutte le associazioni rappresentanti i giovani corleonesi... e rispettando tale principio vogliamo dare voce, o meglio inchiostro, a tutti quei giovani che hanno deciso di investire professionalmente il loro futuro sulle terre corleonesi. Corleone come per altro l’intera regione basa la sua economia sull’ agricoltura e l’ allevamento, quello che dalle scuole elementari ci hanno insegnato a chiamare settore primario!
Il 2009 è stato parecchio caratterizzato da uno stato di crisi socio economica a livello mondiale che ha interessato tutti i settori, dalla” General Motors”, colossal americano con filiali in tutti i continenti, alle piccole industrie a conduzione familiari di molte nazioni. Ciò ha provocato un effetto domino, i giochi di potere degli investitori e banchieri americani hanno travolto grandi e medie imprese e da lì un disequilibrio produzione-richiesta, una produzione di beni di consumo eccessivi per un mercato fatto da famiglie in cui almeno uno dei membri della famiglia si è visto cassa integrare o ancora peggio licenziato in tronco.
I nostri capi di governo ci assicurano che il peggio è passato... eppure qui da noi al sud, dove tutto si avverte con un po’ di ritardo il fenomeno della crisi non accenna a scomparire.
Corleone, fatto di piccole aziende per lo più a carattere familiare e di piccole imprese, aveva già negli anni passati risentito negativamente del mercato globale. In questa logica di mercato il prodotto è tanto più competitivo quanto il suo prezzo è basso. Noi purtroppo però, come molte regioni del sud d’Italia, non siamo riusciti a cavalcare l’onda, non sostenendo i prezzi richiesti dal mercato. Come si fa del resto a mantenere bassi i prezzi di vendita delle materie prime se le spese di produzione aumentano?! E che succede se il grano, l’uva, la carne, il latte sono venduti a prezzi che non corrispondono neanche al 50% delle spese affrontate per la loro produzione? ...beh la conclusione è scontata! Il mercato si ferma e con esso Corleone e le sue famiglie! A ben mostrarlo ci stanno pensando i nostri agricoltori che da giorno 15 ottobre hanno fermato i loro trattori, per eccellenza mezzi di lavoro agricolo, davanti al comune di Corleone. In realtà questa dimostrazione fa parte di un ampio ventaglio di manifestazioni, non violente ma dimostrative, che il movimento siciliano sta mettendo in atto. Questa protesta nasce dalla coesione di tutti gli agricoltori accomunati dalle stesse problematiche, non sotto una bandiera di colore politico, ne tanto meno sotto quella sindacale da cui ci spiegano, si aspettavano molto già da tempo come dice Giuseppe: ”... erano già state avviate trattative tra sindacati e regione senza giungere ad alcun accordo.” Ci raccontavano di essere composti da (CSA) Comitati Spontanei di Agricoltori Siciliani, dal (CODIFAS) Consorzio della Difesa dell’Agricoltura Siciliana, un movimento fatto di gente che vogliono affermare la valenza dei nostri prodotti tutelando anche gli interessi dei consumatori che troppo spesso devono scegliere prodotti di provenienza estera, con ciò che comporta, perché preferiti dal mercato! Gli agricoltori hanno scelto come sede coordinativa della protesta la città di Caltanissetta, poiché il nisseno è il baricentro della nostra regione, ossia raggiungibile da tutte le province. I giovani e meno giovani, agricoltori corleonesi che il 16 ottobre hanno partecipato a una riunione coordinativa a Caltanissetta hanno distribuito la “PIATTAFORMA RIVENDICATIVA”, ossia un elenco di richieste dirette al Governo Nazionale, prima tra tutte la richiesta alla Conferenza Stato Regioni di riconoscere lo stato di crisi che differisce da quello di calamità. Tale dichiarazione è necessaria affinché non sia compensato solo il mancato usufrutto, ma siano assunti provvedimenti straordinari anche in deroga alle vigenti regole comunitarie; provvedimenti come già sta accadendo in molti paesi della comunità europea che prevedono risorse finanziare ed economiche aggiuntive, di pronta funzione, per far fronte alla prima causa d’indebitamento e chiusura delle aziende qual è l’annosa mancanza di reddito delle imprese. Ciò che molti ragazzi vedono come uno degli obiettivi necessari non solo per arginare la situazione attuale ma che serve soprattutto per il domani, facente sempre parte della piattaforma, è di predisporre e realizzare, anche in concerto alle Istituzioni Comunitarie, un piano urgente di tutela e di rilancio di tutte le produzioni del mediterraneo che restituiscano dignità e giusta remunerazione a tutti gli operatori del settore. Al tempo stesso si predisponga un efficace sistema di sicurezza alimentare a tutela della Salute del Consumatore.
Naturalmente quelli sovra elencati sono soltanto le più impellenti delle richieste del settore che invece esige ancora di parecchie garanzie e agevolazioni.
I ragazzi forti dei loro diritti in accordo con le altre province siciliane, hanno intenzione di continuare la loro pacifica protesta e come i conterranei vogliono presidiare uno degli snodi cardine della viabilità regionale, l’uscita di San Giuseppe sulla Palermo Sciacca, non tanto per ostruire il traffico ma per informare i numerosi automobilisti di tale tratta stradale.
Massima disponibilità gli agricoltori hanno trovato nel nostro presidente del consiglio il dott. Mario Lanza che si è mostrato molto sensibile al disagio denunciato dagli agricoltori, che sta cerando a sua volta di coinvolgere e coordinare i consigli dei comuni del circondario, inoltre con solerzia è stato da lui convocato un consiglio eccezionale ai fini di aggiornare i recenti sviluppi.
Sperando che le richieste degli agricoltori corleonesi e siciliani trovino al più presto risposta in primis dall’ Ente Regionale dell’agricoltura e dagli Enti competenti è necessario il sostegno della cittadinanza intera in quanto tutti ne siamo coinvolti non solo per le comuni origini basate sul nobile lavoro della terra ma anche perché è detto comune che ognuno di noi sia ciò che mangia... è il caso di rifletterci su!
* Rappresentante universitaria della consulta giovanile

martedì 20 ottobre 2009

Trattativa Stato-mafia, Genchi: "Io testimone vivente dei rapporti tra Ciancimino jr e le istituzioni"

"Sono testimone vivente dei riscontri originali sui rapporti fra Massimo Ciancimino, il ministero dell'Interno e il ministero della Giustizia". Lo ha detto l'ex consulente informatico di diverse procure, Gioacchino Genchi, in un'intervista rilasciata al programma KlausCondicio. "Ero - ha ricordato Genchi - nel team investigativo di un'indagine a Palermo su mafia e appalti, un'indagine importante che secondo me rappresenta un punto di riferimento importante anche nella causale della strage di via d'Amelio. Segnalai alla procura di Palermo l'acquisizione e lo sviluppo di un cellulare di Ciancimino, quindi sono testimone vivente di quei riscontri originali sui rapporti di Ciancimino con altissimi livelli delle istituzioni. Non solo - ha aggiunto - della politica, ma anche dello Stato e io trovai contatti con utenze del ministero dell'Interno, con utenze della Giustizia, incontri a Roma, contatti telefonici romani che, purtroppo, non sono mai stati chiariti e che, secondo me, costituiscono uno dei riscontri più importanti alle dichiarazioni di Ciancimino per quanto riguarda le entrature negli apparati dello Stato". L'ex consulente ha anche riferito che il ministero dell'Interno fece trasferire il superpoliziotto Arnaldo La Barbera - che indagava sulle stragi di Capaci e via D'Amelio - quando si imboccò la pista "dei servizi segreti, delle collusioni interne alle istituzioni". Genchi ha infine spiegato che "l'esplosivo di via D'Amelio viene utilizzato in ambito militare, in ambito di guerriglia, cioé in contesti e circuiti che non costituiscono appannaggio, diciamo, di Cosa Nostra". Gli attentati a San Giorgio al Velabro e a San Giovanni in Laterano a Roma nel 1993 erano un avvertimento agli allora presidenti di Camera e Senato, Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, ha aggiunto Genchi. Perché, ha osservato l'ex consulente, "non li hanno fatti a Santa Maria Maggiore, a San Paolo, che per esempio è in una zona isolata o a San Pietro, che avrebbe avuto ancora più risalto? Perché non li hanno fatti all'Ara Pacis o al Colosseo? Perché proprio San Giovanni e San Giorgio? Lei sa che significa Giorgio e Giovanni, chi erano Giorgio e Giovanni? Giovanni era Giovanni Spadolini, che era il presidente del Senato, la seconda carica dello Stato mentre Giorgio era Giorgio Napolitano, presidente della Camera, terza carica dello Stato che poi è diventato ministro dell'Interno e ora fa il presidente della Repubblica".
SiciliaInformazioni, 20.10.2009
NELLA FOTO: Gioacchino Genchi

Corleone. I campi di lavoro antimafia stanno terminando. Adesso bisogna commercializzare i prodotti con la vitamina "L" della Legalità

L’edizione 2009 dei campi di lavoro e di studio “LiberArci dalle spine”, promossi da Arci e cooperativa Lavoro e Non Solo, tra pochi giorni si concluderà. Tantissimi volontari e volontarie, oltre cinquecento in questo solo anno, hanno intrapreso con noi questo lungo, faticoso ma appassionante viaggio per condividere un impegno concreto di antimafia sociale. Un viaggio iniziato il primo maggio che si concluderà il 23 ottobre. Grano, ceci, lenticchie, pomodori, mandorle, uva, peperoni e melanzane sono stati raccolti. Oggi sono farina, passata di pomodoro, caponata, vino, antipasto di peperoni, sughi aromatizzati. Adesso dovranno entrare nelle case e portare gusto di legalità e giustizia sociale. Noi auspichiamo che questo possa avvenire nei prossimi mesi, in modo anche da poter consentire alla cooperativa di guadagnare il denaro necessario per fare impresa in modo solido e trasparente e quindi permettere ai ciascun socio lavoratore di avere uno stipendio dignitoso. I nostri prodotti vengono coltivati nei terreni delle grandi battaglie per i diritti, che iniziarono con il movimento dei Fasci Siciliani della fine dell’Ottocento e continuarono con quelli del Movimento Contadino dagli anni ‘50. Sono stati feudi delle famiglie di Riina, Provenzano e Liggio. La nostra cooperativa che oggi li gestisce in nome e per conto dello Stato, nasce dal progetto associativo dell’Arci Sicilia. E’ composta da tredici soci ( di cui cinque cosiddetti “svantaggiati” e tre “sovventori”) e ha attualmente in affidamento:- 130.00 ha di terreno, di cui 58.00 ha nel territorio di Corleone e 72.00 ha nel territorio di Monreale;- Un edificio su 3 elevazioni di circa 150,00 mq per piano (Confiscato ai Flli Grizzafi, nipoti di Totò Riina);- Un laboratorio per il confezionamento di legumi.- Un edificio su 3 elevazioni di circa 70,00 mq per piano (Confiscato a Bernardo Provenzano).- 19.00 ha di terreno a Canicattì.Ora serve la tua/vostra disponibilità a condividere con noi la promozione e la diffusione dei prodotti alimentari che hanno certamente un buon sapore perché sono biologici, fatti con autenticità e semplicità e soprattutto con una vitamina in più: la Vitamina L della Legalità. I listino con l’elenco dei nostri/vostri prodotti potete vederli sul nostro nuovo sito web www.lavoroenonsolo.org/. Per gli acquisti vi potete rivolgere al nostro addetto commerciale Franco Ancona (cell. 338 2592635; fax 0587 714530; email commerciale@lavoroenonsolo.org. Tutto ciò che potrete fare per farli conoscere di più, sarà davvero prezioso.
Calogero Parisi
Presidente della Cooperativa “Lavoro e Non Solo”

lunedì 19 ottobre 2009

Lavoro, la svolta del ministro dell'economia Tremonti: "Il posto fisso base della società"

Il ministro dell'Economia 'abbandona' il modello americano. "La mobilità fu imposta dalla globalizzazione, ma da noi non va bene"
Milano - I tempi dell'elogio della mobilità e dell'esempio americano sono passati. Anche il ministro Tremonti torna a elogiare il posto fisso, al punto da individuarlo come "la base della stabilità sociale". Il ministro dell'Economia ha espresso la sua tesi a Milano, al convegno promosso dalla Bpm sulla partecipazione dei lavoratori all'azionariato delle imprese. Al convegno erano presenti anche i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. "Non credo - ha detto il ministro - che la mobilità sia di per sé un valore. Per una struttura sociale come la nostra, il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia. La stabilità del lavoro è alla base della stabilità sociale". A imporre forme di lavoro più flessibili, secondo Tremonti, è stata la globalizzazione che "non ha trasformato il quantum di lavoro ma la qualità di lavoro, passato da fisso a mobile. Era inevitabile fare diversamente". Tremonti ha poi analizzato le diverse strutture di welfare elencando le criticità del modello statunitense: "Un conto è avere un posto di lavoro fisso o variabile in un contesto di welfare come quello europeo, un conto è avere uno stipendio senza sanità e servizi. Negli Stati Uniti i fondi pensione dipendono da Wall Street, e se le cose vanno male ti ritrovi a mangiare kit kat in una roulotte e neghi la scuola ai tuoi figli". Caustico, sulle dichiarazioni di Tremonti, il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani: "Le farei commentare a confindustria", ha detto Epifani. Positivamente sorpresa la reazione di Luigi Angeletti, leader della Uil: "Dalle cose che ha detto, è come se fosse un nostro iscritto - ha commentato Angeletti -: non so se gli farà piacere ma è così". "Le parole di Tremonti sull'esigenza di avere posti di lavoro stabili - ha detto invece il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni - sono sicuramente condivisibili. E' un obiettivo che inseguiamo anche noi. Oggi il problema è quello di superare l'idea distorta di flessibilità. Chi è precario o flessibile deve essere pagato di più e avere più tutele e garanzie degli altri. Questo è un punto su cui la Cisl insiste da tempo". Il ministro Tremonti ha parlato anche della Costituzione repubblicana, giudicandola "ancora valida", ma "non del tutto applicata". Secondo Tremonti, nella nascita della Costituzione c'era "il confronto fra le tre diverse culture chiave che animavano lo spirito di quel tempo: quella cattolica, quella comunista e quella liberale e la sintesi di queste diverse visioni sta nell'articolo sulla proprietà industriale. Quel passaggio - ha aggiunto il ministro - dove si dice che la Repubblica tutela, regola e disciplina il risparmio, identificando nell'industria del credito una realtà che favorisce l'accesso alla proprietà, all'azionariato popolare, ai grandi complessi produttivi del Paese, è fondamentale". "La Costituzione però - ha aggiunto Tremonti - non è stata pienamente applicata, perché se uno la legge si rende conto che c'è un grande favore per la proprietà, per l'azionariato popolare, per i titoli di proprietà industriale e questa è un po' la sintesi del compromesso fra le varie ideologie. Quello che è successo nella sua applicazione - ha proseguito Tremonti - è stata un po' una rotazione rispetto a quei principi. Se la Costituzione diceva questo, la sua applicazione e la legislazione hanno detto l'opposto. Si è organizzato per un decennio un sistema che in qualche modo ha sfavorito i titoli di proprietà e favorito quelli di debito. Giusto criterio per cui la grande proprietà industriale doveva essere in qualche modo controllata dal sistema bancario. Credo che un ritorno alla Costituzione - ha concluso - possa portare a concrete e non poche remote riflessioni".
(La Repubblica, 19 ottobre 2009)

domenica 18 ottobre 2009

Le trattative tra Stato e mafia, tante le questioni irrisolte. Polemiche tra Violante e Grasso

L'indagine della Procura di Palermo sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia e i riscontri sull'attendibilità del documento con le richieste che avrebbe fatto Cosa nostra, il "papello", consegnato in fotocopia ai magistrati da Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso, accendono le polemiche politiche. Molti sono gli interrogativi che rimangono aperti: la fotocopia con le 12 richieste di Cosa nostra è quello che viene definito il papello? E se non è quello, di quali altre carte è in possesso Massimo Ciancimino? E se davvero esiste il 'papello', chi lo ha scritto materialmente, Totò Riina o Vito Ciancimino? E quando, a cavallo delle stragi di Capaci e via D'Amelio o dopo? Chi sembra non avere dubbi è l'ex presidente della Camera Luciano Violante: "Quel documento pubblicato è una bufala: dico quello pubblicato, perché altri magari no". Secondo Violante si tratta di una falso perché nel documento "si fa riferimento a cose come il 41 bis o la dissociazione, che è un tema che verrà fuori molto tempo dopo" e occorre, quindi, "capire perché è uscito quel documento che è fasullo e che cosa voleva dire". Non solo. Violante ipotizza scenari più oscuri. "Ho l'impressione - avverte - che il documento che la magistratura ha in mano sia diverso da quello pubblicato. Sta ai magistrati capire cosa è successo: sta a noi spingere senza interpretazioni di parte, perché la verità venga fuori". Ma la trattativa, secondo il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, c'é stata e ha salvato la vita a molti ministri. "Per la verità le indagini precedenti avevano in qualche modo accertato l'esistenza di un tentativo di Cosa nostra di entrare in contatto col potere politico - dice Grasso - E' processuale il contatto degli ufficiali del Ros, Mori e De Donno, con Vito Ciancimino. Ed è processualmente accertato che alla mafia, in cambio della resa dei vertici, fu offerto 'un ottimo trattamento per i familiari', un 'ottimo trattamento carcerario' e una sorta di 'giusta valutazione delle responsabilita''". E "anche via D'Amelio - sospetta Grasso - potrebbe essere stata fatta per 'riscaldare' la trattativa. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Claudio Martelli, Giulio Andreotti, Carlo Vizzini e forse mi sfugge qualche altro nome. Cambiano obiettivo probabilmente perché capiscono che non possono colpire chi dovrebbe esaudire le loro richieste. In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici". Per Antonio Di Pietro (Idv) e Gianpiero D'Alia (Udc), Violante deve riferire in commissione Antimafia, mentre il senatore Vizzini (Pdl), replica: "Sono certo che Grasso intenda riferirsi alla mia persona esclusivamente come minacciato di morte e non come possibile trattativista e lo invito su questo punto a precisare il suo pensiero". Intanto in un'intervista a La Storia Siamo Noi, in onda domani sera su RaiDue, Agnese Borsellino, vedova del magistrato ucciso nella strage di via D'Amelio, rivela: "Stranamente negli ultimi giorni che precedettero via d'Amelio, mio marito mi faceva abbassare la serranda della stanza da letto, perché diceva che ci potevano osservare dal Castello Utveggio". Il castello Utveggio si trova sul monte Pellegrino e domina dall'alto la città di Palermo; secondo alcuni esperti di mafia sarebbe stato un punto di osservazione da parte di apparati dei servizi segreti.
SiciliaInformazioni, 18 ottobre 2009

Sicilia. Il Governo Lombardo è senza una maggioranza e senza un'opposizione

di Agostino Spataro
Suolo e sottosuolo della politica
Come in natura così in politica ci sono un suolo e un sottosuolo. Sopra il suolo si agitano i figuranti sotto il suolo tramano i potenti di ogni ordine e grado. C’è, insomma, un mondo occulto (ma non tanto) nel quale confluiscono, scontrandosi e/o accordandosi, “poteri forti” e ambizioni politiche, carriere ed affari leciti e illeciti. Congiunzioni anomale che stanno svuotando la nostra democrazia, i suoi stessi istituti rappresentativi, a vantaggio di sodalizi elitari, riservati e trasversali. Il Parlamento è stato ridotto ad organo di mera finzione democratica, di legittimazione di decisioni extra istituzionali. Se qualcuno osa ribellarsi è condannato al pubblico ludibrio o al limbo del gruppo misto e la prossima volta non sarà ricandidato.

La situazione è sfuggita di mano ai responsabili
Se questo, grosso modo, il contesto nazionale, in Sicilia la questione presenta aspetti più preoccupanti poiché più debole è il tessuto democratico e più invasivo il ruolo dei poteri occulti e delle organizzazioni illegali. Lo vediamo, in questi giorni, segnati dalla frantumazione del centro-destra siciliano e del suo principale partito di riferimento: il PdL. Un dissesto dovuto all’alta litigiosità della coalizione? Non solo. Siamo oltre la solita crisi politica quella, per intenderci, che si può ricomporre con i famosi “chiarimenti” ossia con nuove spartizioni di poltrone e di prebende. In Sicilia, infatti, sono stati superati i limiti entro i quali la situazione può definirsi “sotto controllo”. Tutti gli indicatori dicono che è sfuggita di mano ai responsabili, divenendo ingovernabile e molto imprevedibile. Da ciò, le angosce, gli intrighi e la paralisi parlamentare e di governo. Anche la disastrata amministrazione si sta sfilacciando vanificando risorse importanti (compresi i fondi comunitari) e frustrando le residue riserve di fiducia che gli investitori riponevano nell’Isola.

Le Olimpiadi come diversivo
Fiducia che, certo, non potrà essere recuperata con la trovata propagandistica dell’eccentrico assessore al Turismo il quale sembra atteggiarsi come un comandante che mentre vede affondare la (sua) nave promette agli eventuali superstiti una crociera di lusso nei mari del Sud ossia le Olimpiadi a Palermo, senza nemmeno informare il sindaco della città baciata da cotanta stravaganza. A tutto c’è un limite, anche all’esuberanza, se non si vuole scadere nel grottesco.
Non che Palermo non potrebbe aspirare a tanto. Oggi, purtroppo, la sua aspirazione è frustrata da una condizione di generale decadenza per colpa di questo centro-destra che la propone, anche a costo d’apparire ridicolo. Ma nulla nasce per caso. Probabilmente, la trovata è stata concepita come un diversivo per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dalla gravità della crisi alla regione. Magari sperando nella bagarre, in una sorta di pre - olimpiade siciliana tra favorevoli e contrari. Se questo era l’intento, come pare, il giochetto è già fallito e si dovrà ritornare al pantano da cui, furbescamente, ci si voleva allontanare.

I foschi colori della congiura
Pessimismo? Semmai è la realtà ad essere pessima. Come si può definire, se non pessima, una situazione in cui i partiti, che dovrebbero governare, si fanno la guerra da mattina a sera, bloccano il parlamento e le amministrazioni regionale e territoriali? Per altro, c’è da rilevare che la conflittualità intestina è giunta ad un livello inquietante e, sempre più, si tinge dei foschi colori della congiura. Più di una volta, Lombardo ha accusato i suoi alleati-nemici d’intrigare in quel sottosuolo, infido e oscuro, della politica dove tutte le ombre sembrano irriducibili nemici. Il presidente avrà le sue buone ragioni che però sfuggono all’opinione pubblica. Dopo i sospetti sugli strani accumuli d’immondizia a Palermo, l’altro ieri ha parlato di una gelida “manina” che è andata a (ri)pescare nel tribunale di Catania un’indagine dormiente a suo carico che se dovesse avere corso potrebbe rivelarsi davvero devastante. In Sicilia sta accadendo di tutto. Tutti stanno entrando nella mischia, anche personalità istituzionali e governative nazionali.

La crisi del centro-destra rischia di travolgere il Pd
La crisi è nel centro-destra, ma rischia di tracimare nel Pd, unico partito, ufficialmente, all’opposizione. A differenza del Pd nazionale, le cui diverse anime si dividono per l’elezione del segretario ma giurano d’essere unite nell’opposizione a Berlusconi, qui la divisione è più profonda e incomprensibile, poiché alcune componenti si sono lasciate irretire dalla manovra lombardiana. Perciò, la confusione è al massimo. La giunta regionale resta sospesa nel nulla, senza maggioranza e senza opposizione. La gente non capisce e soprattutto non intravvede una via d’uscita. Molti si domandano: cos’altro dovrà accadere per prendere atto dell’irreversibilità della crisi e comportarsi di conseguenza? Quale futuro attende la Sicilia da qui a qualche mese? Basta guardarsi intorno per accorgersi che l’Isola continua a crollare, letteralmente. Città e paesi sono in preda a frane, a montagne d’immondizia che non si riesce a smaltire, mentre si persevera con tagli, talvolta necessari tal’altra interessati, ed anche con sprechi e clientelismi che deprimono i livelli d’efficienza dei servizi pubblici, a danno dei cittadini e delle imprese.

Non si può continuare così per altri tre anni.
La Sicilia è a rischio implosione a causa della consunzione di una formula, e di un’esperienza di governo senza strategia, nata ambigua e sviluppatasi all’insegna della furbizia e del tatticismo di corto respiro. Tutto ciò è insopportabile per una realtà già provata da tanti malanni. Non si possono scaricare le conseguenze dell’incapacità e della litigiosità di certa politica sulla società e sul suo già debole tessuto economico e sociale. Se questo è il quadro, allora il problema non è solo quello di descriverlo, ma di vedere cosa fare per risanarlo o superarlo, per riportare la situazione sotto controllo. Per come si sono messe le cose, il centro-destra non può farcela. Le ammucchiate, gli accordi sottobanco non servono. Anzi, sono sempre stati più dannosi del danno cui si voleva porre rimedio. D’altra parte, non si può continuare per altri tre anni in questo marasma “autonomista”. Non sta a noi indicare soluzioni. Per ora l’unica idea prospettata è quella del capogruppo del Pd: ”meglio andare tutti a casa”. Non sarebbe una tragedia. Si potrebbe votare, con altre 13 regioni italiane, nella primavera del 2010. Come dire: 13 + 1 =14.