mercoledì 28 maggio 2008

Corleone. Crollano calcinacci dall'ex ospedale dei Bianchi. Tragedia sfiorata

Corleone. La caduta di calcinacci da un muro dell'ex ospedale dei Bianchi danneggia una macchina. Protestano gli abitanti della zona, ma i lavori di consolidamento del complesso ancora non partono

Ieri sera, intorno alle 19,30, se a passare da Via Firmaturi si fosse trovata una persona, poteva accadere di peggio. Fortunatamente, invece, i calcinacci caduti dal muro pericolante dell'ex ospedale dei Bianchi hanno colpito una Fiat Uno parcheggiata lì sotto, provocando qualche ammaccatura sul tettuccio dell'autovettura. «Non è la prima volta che accade – protesta Salvatrice Streva, dipendente comunale, che ha la casa d'abitazione proprio adiacente all'ex ospedale – ed ogni volta ci resta tanta paura, la preoccupazione che possa accadere di peggio e le vane promesse d'intervento da parte dell'amministrazione comunale. Io e mio marito non ne possiamo più, chiediamo che chi ha il dovere di farlo, intervenga subito per scongiurare qualche disgrazia!». Il complesso architettonico dell'ex Ospedale dei Bianchi dovrebbe essere di proprietà dell'omonima Opera Pia, anche se resta il dubbio che nel 1982 (come tutti i beni utilizzati da strutture sanitarie) questa avrebbe dovuto cederlo all'Unità Sanitaria Locale. Da tempo l'immobile è fatiscente, ma, nonostante il crollo del tetto, di diversi muri interni, del famoso scalone in marmo rosso di Scalilli, né l'opera pia, né la Curia di Monreale e nemmeno il Comune sono intervenuti concretamente per salvarlo. Per la verità, pur nell'incertezza della proprietà dell'immobile, tre anni fa il comune di Corleone riuscì ad ottenere un finanziamento statale per la messa in sicurezza dell'edificio, ma ancora oggi i lavori non sono partiti. Nel frattempo, qualche mese fa, ignoti ladri hanno rubato lo splendido pavimento in maiolica della cappella dello Spirito Santo, che si trova all'interno del complesso architettonico, dov'era raffigurato il transito di San Giuseppe (vedi foto sopra). Sembrerebbe una sorta di furto su commissione, su cui gli inquirenti dovrebbero indagare.


Ieri sera, in via Firmaturi, sono intervenuti i vigili del fuoco, la polizia municipale, gli agenti del commissariato di PS, i tecnici del comune e la protezione civile. Sono stati rimossi i calcinacci e una finestra pericolante, ma per ragioni di sicurezza il tratto di strada è stato transennato per impedirne sia il transito automobilistico che il transito pedonale.


28 maggio 2008


lunedì 26 maggio 2008

DELFINA LIBERA

di Luana de rossi
Chi vi scrive è una delfina ... non di quelle che seguivano il vostro CRAXI - ANDREOTTI ... neanche di quelle che sbaciucchiano i piedi di silvio quando vince... eccetera eccetera. Sono proprio una delfina... di pinne coda e tutto il resto... un bel musetto due grandi okkioni una gran voglia di vivere in questo mare che state incatramando. Sapevate ad esempio che quando ci tirano su con la rete... kilometri di rete dove per forza ci andiamo ad incastrare... non ci liberate in mare... no ... non ci liberate...eppure la nostra carne non è buona...è senza sapore...e allora ci mischiate con il tonno e ci infilate in quelle belle scatolette...ma ci dovrebbe essere sopra anche il nostro nome...TONNO E DELFINO potete tagliarlo con un grissino.

Quello che voglio fare è raccontarvi del mare... pinnetto pinnetto... il mare lo avete distrutto... di tutti i miei amici c´è rimasto il 50 per cento... l´altro 50 è quello che i miei nonni raccontano ... i vecchi da noi sono rispettati...e dicono solo verità...non come da voi che sono un peso...molti altri animali che volano in cielo stanno scomparendo...e ogni anno riaprite la caccia...le nuvole saranno buone da mangiare?

Da noi in mare c´è la caccia uno per volta...preda predatore... in troppi anche il mare diventerebbe aria fritta... solo quella cicciona della balena divora tanti gamberetti con una sniffata... ma quelli tutti insieme sono come le api...formano un corpo solo...e anche le api stanno morendo...si suicidano pur di non stare con voi.

Mi dicono le foglie degli alberi... che avete da poco ucciso un ragazzo...così per gioco...così dite... in realtà è per politica nazista...da noi non succedono queste cose...non si uccidono i ragazzi...se li prende il predatore li divora... uno... ne lascia sempre altri vivi in modo che la specie continui... da noi il nazismo non esiste... nessuna specie mai si è sognata di comandare il mare e tutti gli altri animali... sarebbe follia.

MA INFATTI E' FOLLIA...avete Israele che adotta politiche di destra loro che la destra l'hanno subita sulla pelle generazionale e storica...e a Roma votano non per sindaci di sinistra ma per quelli di destra...è come sei noi pesci votassimo i pescatori ...non è la mafia al potere ... l'economia delle banche...a regnare realmente è la mancanza di storia è la follia.

Da voi accadono cose strane... da noi MAI in quattro e senza senso... contro uno alto come te...e allora ci chiedevamo se non è per mancanza di cultura di amore per la specie...i vostri ragazzi che fanno?

Noi giochiamo... e facciamo il sesso come i genitori ci hanno spiegato...serve alla vita...ed è allegro e gustoso...da voi nelle scuole cosa si insegna? ... da noi a saltare in alto...da voi in basso?...anche il sesso lo fate di nascosto ...senza luce...lo comprate...lo svendete...ci ricavate profitti...noi non preghiamo ... amiamo il cielo notturno per quello che è... incastrato in chissà quale tavolozza e con tutte quelle cose che brillano... lo rispettiamo...da voi il cielo deve essere abitato da tanti altri omini uguali alle vostre teste... segno che come minimo manca la fantasia...se proprio devi creare il paradiso...crealo diversamente...e poi ultimamente questo vostro paradiso sembra la terra che avevate prima di distruggerla.

C´è qualcuno che dice che i vostri ragazzi non hanno il desiderio del futuro... per questo si pippano di piante che li fa sballare... bevono uva che voi fate diventare velenosa...gli piace stare male...si spiaccicano sugli alberi con dei ferri che corrono...da noi se assaggiamo qualcosa che fa schifo e ci far stare male ...passiamo parola... non la prendiamo... e non ci piace correre ma esprimere gioia...però un futuro di ragazzi che non vogliono il futuro significa che siete andati...insomma finiti.

Da noi non tutto il mare è pulito... quello dove ci siete voi NO...quello fa veramente schifo... mutande pipì... fazzoletti plastica...cacca... spesso muoriamo per quelle buste che ci si ficcano dentro mentre saltiamo felici...mi dicono addirittura che avete dei medici che importunano i bambini...da noi i bambini tutte le specie li rispettano...che fate viaggi assurdi per il vostro sesso...da noi la pedofilia come la chiamate non esiste...un bimbo è il futuro del mare...lo salvaguardiamo e gli insegniamo ad essere il futuro del mare.

La sentite l´onda?... che bella ... e quei schizzi di schiuma... miticiiiiiiiiiii ... e il rumore che fanno gli scogli... e le onde una dopo l´altra... che magia che incanto che passione...spesso ho fatto anche dei balli con l´uomo del mare...è grande davvero...gentile corretto... ho detto l´uomo DEL mare NON l´uomo NEL mare... c´è una grande differenza...

Da voi avete appena fatto un governo dove tutti sono poco chiari... da noi il governo è il mare e lui è chiaro...ad oscurarlo siete voi...il mare ci difende non ci sfrutta perchè non fate mai un governo così ?...avete addirittura messo un pescione che vuole la seccessione ...a fare le riforme ...e un altro che non le vuole a comandare gli eserciti.... Volete disintegrarvi ?

Da noi non ci sono guerre... MAI mille delfini attaccano altri mille delfini...tutto è di tutti... la natura provvede a darci cibo...e se non c´è amen...è meglio andare... che rubarlo ad altri uccidendoli...da noi insomma è tutto regolato ad arte...e il mare è molto più grande delle terre...e funziona a meraviglia... o meglio funzionava senza di voi.

Poi anche le terre erano regolate così...ma avete voluto controllare... non amare l´albero... controllarlo.

Ma lo senti? lo senti il vento?... spinnacchio spinnacchio ... ma non mi muovo da qui...più mi agito e più mi incastro...tanto vale gridare agli altri di non venire da queste parti... non c´è bel tempo da queste parti devo avvertirli...

Dopo le droghe al mondo la più venduta è la pinna dello squalo...siete così cretini che pensate sia un toccasana per la sessualità... li state sterminando...gli togliete la pinna che non ha sapore e lo rigettate in mare a farlo morire dissanguato...dite che siccome lo squalo non muore di tumore mangiando la sua pinna anche voi vi salverete...ma è una scemenza lo squalo è libero come noi...e infatti muore senza la sua pinna...quella non vi porterà bene.

Si si mangiateci pure... l´altro 50 per cento dei pesci rimasti sono inquinati dal vostro piombo... e che ci possiamo fare? respirano mare ... io no ma ci mangio...e se nel mare ci avete scaricato di tutto... che possiamo fare? ...sembra che il pesce sia velenosissimo ma non ve lo dicono mica...quindi se lo mangiate...prima noi... poi voi.

L´uomo del mare era diverso... una canna e un filo contro un pesce...si fuggiva si correva...se ci prendeva poi l´anno dopo pescava altro... per far popolare di nuovo il mare... lo rispettava insomma...e se prendevano i piccoli anche loro ... pensando ai loro figli... li rimettevano in libertà... insomma c´era il futuro in tutti i gesti dell´uomo del mare... ora avete bisogno di nulla e divorate tutto e tutti...non c´è futuro nei vostri figli non lo avete trasmesso... li lasciate annaspare davanti alle scatolette di vetro...niente vento niente sole niente luna... a non sapere di niente... con l´unico valore che tutto si può comprare...e gli insegnate questo anche quando siete poveri...APPROFITTA DEL PROFITTO... io dico ma siete scemi?

Pinno pinno... ma non mi muovo...ora mi tirano fuori dall´acqua...lo so me lo hanno detto i nonni...poi avrò solo una trentina di respiri... la pelle si secca... mi bastoneranno...perderò i sensi...

la vedi la luna ? ... guarda come brilla...è gialla gialla tonda tonda...che viene voglia di giocarci...

E il mare?...guarda che bello il mare...e prima o poi lo rincontrerò...ci sarà anche l´uomo del mare...ecco il rumore...tirano tirano...mi spetta il peggio...

Me lo hanno insegnato...non morire così silenziosa... dimmi...

Lo vedi? ... lo vedi il mare ?

Si ...per sempre.

A nicola tommasoli - carlo giuliani - federico aldrovandi - gabriele sandri - e tanti altri ...di pinne e di salti ...di gioia e fantasia... finiti in questa rete senza mai rinnegare il futuro... malgrado voi.

Palermo. Accoltella il figlio: "E' gay"

Palermo, diciottenne ferito durante una lite furibonda, arrestato il padre: "L'ho fatto per una questione di onore e vergogna"
PALERMO
- I carabinieri di Palermo hanno arrestato un uomo di 53 anni perché accusato di avere accoltellato il figlio di 18 anni, ferendolo in vari punti del corpo, in quanto "non sopportava che fosse gay". L'aggressione è avvenuta in via Messina Marine, alla periferia della città, dove i militari sono intervenuti in un appartamento in cui era in corso una furibonda lite scoppiata perchè l'uomo mal sopportava la condizione di omosessualità del figlio. Ai carabinieri l'arrestato, accusato di maltrattamenti in famiglia e lesioni, ha detto che ha aggredito il figlio per una "questione di onore e vergogna". Il giovane è stato ferito all'avambraccio e alla mano destra e ha subito un trauma cranico facciale. Il diciottenne è stato medicato in ospedale.

26/05/2008

LE REAZIONI - L'Italia è in preda a un raptus di omofobia

Denuciano il presidente regionale di Arcigay Sicilia, Paolo Patanè, e la presidente di Agedo Palermo Francesca Marceca "In Sicilia gli episodi di violenza e odio nei confronti delle persone omosessuali,lesbiche e transessuali si stanno intensificando con una frequenza gravissima e preoccupante,sia in ambiti privati che pubblici". "L'accoltellamento del ragazzo palermitano, da parte del padre, - proseguono - segue di pochi giorni la denuncia di violenza da parte di un altro giovane in Provincia di Agrigento". "Chiediamo al presidente dell'Ars e a tutte le autorità preposte - concludono - di non lasciare che prevalga un clima di odio in una terra come la Sicilia, che negli ultimi anni si è distinta per importanti sforzi di crescita, su questi temi, da parte della società civile. Oggi potevamo rischiare di piangere un morto. La politica non chiuda più gli occhi".

Secondo il presidente nazionale Arcigay, Aurelio Mancuso, si tratta di omofobia nazionale: "L'Italia è in preda a"un raptus di omofobia, alimentata negli ultimi anni soprattutto dalla gerarchia cattolica e da alcuni settori della destra politica e sociale italiana. Ci sono responsabilità morali evidenti - spiega Mancuso - che incitano nei fatti chi non ha gli strumenti culturali necessari, chi fa parte di gruppi dell'estrema destra a sentirsi autorizzati ad aggredire le persone lgbt". "È accaduto nel raid di qualche giorno fa contro le prostitute trans sul Prenestino, è proseguito con la spedizione punitiva contro il giornalista Christian Floris, picchiato selvaggiamente sotto casa. Negli ultimi due anni la lunga lista di omicidi, violenze, discriminazioni si allunga spaventosamente, nella totale inerzia della classe politica italiana". "Ci stiamo incamminando verso una strada pericolosa, che fa percepire a milioni di omosessuali italiani che vivere nel loro paese sta diventando una colpa, un'impresa impossibile". "Se questa ondata violenta d'omofobia non sarà fermata - avverte - l'Italia rischia un ulteriore arretramento sociale, dalle conseguenze ora non ancora prevedibili".

Lotta alla mafia. Lo storico Francesco Renda chiede una commissione parlamentare d’inchiesta sulla cosiddetta zona grigia

di Norma Ferrara

Istanze di cambiamento talvolta inascoltate, nuove generazioni che cercano e trovano un varco per sovvertire lo status quo mafioso e parti della società civile che fanno loro eco. Nascono dall’osservazione di questa società cangiante e imprevedibile le conversazioni in Sicilia di Antonio Riolo, sindacalista della Cgil e dello storico Francesco Renda. Il risultato è custodito in un libro dal titolo “Liberare l’Italia dalle mafie” presentato ieri all’Auditorium Rai di Palermo. All’incontro moderato da Salvatore Cusimano (ex cronista giudiziario Rai, oggi direttore dell’Auditorium) hanno partecipato fra gli altri il procuratore della repubblica di Palermo, Francesco Messineo, Italo Tripi della Cgil Sicilia, Enrico Colajanni (presidente Libero futuro) e l’attuale parlamentare Giuseppe Lumia.

La mafia come un virus che si è diffuso nell’aria e contro il quale abbiamo dimostrato di non avere ancora anticorpi in grado di difenderci. E’ questa l’immagine che Renda sceglie per far capire quanto essenziale sia ancora oggi parlare di mafie e quanto ancor di più sia l’influenza di Cosa nostra sulla società, sugli apparati e le istituzioni, sul sistema Paese, tanto che 1/3 dell’Italia è governata dalla criminalità organizzata. “Questo libro nasce da un dato – dichiara Renda – intorno a noi continuavamo a registrare richieste di cambiamento, segnali chiari che andavano raccolti e sostenuti; Era necessaria una nuova fase di riflessione sull’aspetto infettivo di Cosa nostra, tutto il libro è un ragionamento metodologico e concreto su come fermare questo “veleno” mafioso ma anche un appello affinché la società prenda coscienza di questo, perché sin ad oggi è stato un dato fortemente sottovalutato, trascurato, ridimensionato”. Tre in particolare, secondo gli autori, sono i punti chiave dai quali bisognerebbe ripartire in questa nuova fase per la liberazione dalle mafie.

Il primo riguarda la necessità di un nuovo eu-topos, un’utopia che per farsi davvero concreta deve propagarsi ed essere agita in tutti gli ambiti della società italiana, anche attraverso una posizione trasparente e di responsabilità della politica stessa, ovvero l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta su questa “influenza mafiosa”. Il secondo riguarda la società civile che deve promuovere comportamenti di rottura, come quelli già in atto. Inoltre, conclude Renda, da troppi anni “viviamo in un meridione in cui la lotta alla mafia è solo meridionale” mentre è giunta l’ora di capire che la lotta alle mafie non è più solo una “cosa nostra”. Quelli già trascorsi sono stati anni di lotte – dichiara il procuratore della repubblica di Palermo Francesco Messineo – di contenimento e d’emergenza fra le Istituzioni e la mafia, volti soprattutto a sconfiggerne l’ala militare. Oggi la situazione è decisamente cambiata, abbiamo più elementi per capire analizzare ed intervenire, anche se non sappiamo ancora abbastanza e la lotta contro Cosa nostra, anche sotto l’aspetto miliare, non è ancora vinta. In merito alla zona grigia – commenta il procuratore - non credo nella teoria della borghesia mafiosa; bensì proprio il mancato sviluppo di una vera borghesia ha consentito a Cosa nostra di nascere e crescere all’ombra del nostro mercato economico e non solo”. Un’economia che come testimonia Antonio Riolo, coautore del libro, sta iniziando a dare segni di ripresa incontrovertibili.

Ci sono stati esempi virtuosi che consentono oggi di sperare: dai ragazzi di Addiopizzo, movimento di giovani per il consumo critico a Libero futuro, associazione antiracket presieduta da Enrico Colaianni, alle cooperative come La Placido Rizzotto che coltiva terre e produce prodotti sui terreni confiscati a Cosa nostra. Ce ne sono tanti altri, invisibili, che ogni giorno hanno luogo nelle scuole o nelle associazioni e soprattutto queste diventano il tramite quotidiano per ricostruire quel rapporto interrotto fra i giovani e la cosa pubblica.

Alla resa dei conti nella lotta alle mafie la grande assente sembra sempre lei, la politica, la stessa dichiara Italo Tripi della Cgil Sicilia, “capace di concentrare l’attenzione di tutti in breve tempo, come sta accadendo con la questione immigrati e Rom, e produrre risultati concreti. A giudicare dalla percezione dei cittadini e dagli effetti ottenuti solo se si mettesse la mafia al centro del dibattito con la stessa forza si potrebbero auspicare interventi efficaci”. Ed è l’unico politico presente in sala a prendere la parola a spiegare i perché di tanta ritrosia nel farlo: “la politica – dichiara Giuseppe Lumia – fa una fatica immensa perché se mettesse la questione mafie al centro dell’agenda nazionale dovrebbe metter in discussione se stessa, in primis, ecco perché non lo fa. La buona politica invece non dovrebbe aver paura di farlo perché questa diventa parimenti unica via per riformarsi e fare quel salto di innovazione che altrimenti non riuscirà a fare. Infine - chiosa Lumia - trovo ragionevole la proposta di Renda e posso già dire che mi impegnerò a proporre alla prossima commissione antimafia l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla cosiddetta zona grigia.

Dalle conversazioni in Sicilia contenute nel libro a quattro mani di Riolo – Renda, definito dal presidente di Libero Futuro, Enrico Colajanni “un nuovo manifesto per chi oggi si occupa di lotta alle mafie e al racket”, guardando ad un’utopia necessaria, indispensabile per operare nel quotidiano partono da Palermo i primi “ragionamenti – proposte”, verso un’Italia libera dalla cultura mafiosa e una nuova fase della lotta a tutte le mafie.

23.05.2008

venerdì 23 maggio 2008

Strage di Capaci. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricorda Giovanni Falcone: "Il suo impegno non può fermarsi"

Migliaia di studenti nell'aula bunker di Palermo per l'anniversario della strage di Capaci. Messaggio del capo dello Stato: "Non è consentito ridurre il livello di attenzione". Alla commemorazione anche il ministro Alfano e il procuratore Grasso.
PALERMO - Da un lato il dolore e la commozione per la perdita immensa, dall'altro la gioia per la speranza rappresentata dai tanti giovani accorsi nell'aula bunker di Palermo.
E' tutto in questi due stati d'animo il senso delle commemorazioni per il 16 anniversario della morte di Giovanni Falcone in corso oggi nel capoluogo siciliano. "C'e' una generazione nuova, diversa dalle altre perché ha non solo la speranza del riscatto ma la fiducia nel successo", ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano riferendosi alle migliaia di ragazzi provenienti da tutta Italia assiepati nell'aula bunker del carcere Ucciardone. "Andiamo avanti nella lotta alla mafia. I primi passi sono già stati fatti in Consiglio dei Ministri e altri ne faremo ancora per combattere i boss", ha proseguito il Guardasigilli. Il presidente della Repubblica non è presente alla cerimonia, ma ha fatto recapitare a Maria Falcone, presidente della Fondazione 'Giovanni e Francesca Falcone' un suo messaggio. Sedici anni fa, il "barbaro agguato di Capaci", in cui furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della sua scorta, ricorda il capo dello Stato, segnò "un terribile attacco alle istituzioni dello Stato" da parte della mafia. Al quale però lo Stato "seppe reagire adeguatamente" nel segno dell'unità. "L'impegno e la partecipazione di allora - sottolinea ancora Napolitano - non possono subire flessioni, non è consentito ridurre il livello di attenzione rispetto" alla mafia, "un fenomeno pervasivo, pronto ad attuare le strategie più sofisticate per insinuarsi nella società minandone la vita democratica, la coesione e il progresso". Insieme ad Alfano, per ricordare la strage di Capaci, è presente all'Ucciardone anche il procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso. "Dobbiamo essere noi a preparare il terreno ai giovani che saranno la classe dirigente del domani, noi col nostro esempio di impegno e legalità e dobbiamo tenere ancorati i ragazzi alla nostra terra", ha sottolineato il magistrato. "Rivivere giorni come questi - ha aggiunto - significa tornare a provare rabbia e disperazione, ma anche ricordare un amico con la speranza che oggi ha rischiararci sia una luce diversa". Tra i presenti alla cerimonia, anche Maria falcone, la sorella del giudice. "Gli ultimi successi della magistratura dimostrano che siamo a buon punto nella lotta a Cosa Nostra", ha detto. "Da più di sei anni - ha proseguito - provo sempre una grande emozione nel trovarmi qui a ricordare Giovanni e Paolo (Borsellino, ndr), quest'aula rappresenta per tutti noi italiani la caduta del mito dell'invulnerabilità della mafia e dell'impunibilità dei mafiosi". Successivamente è arrivato in Sicilia anche il ministro dell'Interno Roberto Maroni. Appena giunto a Capaci, davanti la stele dell'autostrada che ricorda la strage, il reponsabile del Viminale, accompagnato dal capo della polizia Antonio Manganelli, ha deposto una corona di fiori ed ha osservato un minuto di raccoglimento mentre una tromba intonava il silenzio. Un tributo alla memoria dei magistrati uccisi dalle cosche l'aveva rivolto ieri anche Jovanotti nel concerto tenuto al Velodromo di Palermo. Il cantante ha letto una sua riflessione scritta subito dopo la notizia della strage di Capaci. Una vera e propria invettiva contro Cosa Nostra, con un "vaff.. ai mafiosi", mentre sul megaschermo del palco veniva proiettata l'immagine divenuta ormai famosa di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sorridenti.
(23 maggio 2008)

Il ministro Matteoli spinge: "Riavviare l'iter per il ponte sullo stretto di Messina"

Il ministro alle Infrastrutture e dei Trasporti ha inviato una lettera al presidente della Società Stretto di Messina, Pietro Ciucci, che ha ribadito l'impegno del Governo per la realizzazione dell'opera.
ROMA - "Il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria è tra le infrastrutture che rivestono carattere prioritario e la sua realizzazione ha già costituito oggetto di affidamento al contraente generale. È pertanto necessario porre in essere nei tempi più brevi tutte le condizioni per la ripresa delle attività inerenti alla costruzione del manufatto"."Nell'affermare l'impegno del Ministero concedente a fare a tal fine tutto quanto di propria competenza, si conviene in particolare sull'esigenza di un'immediata revisione della convenzione di concessione e del piano economico-finanziario in essere e si invita la Società Stretto di Messina ad avviare gli adempimenti istruttori a ciò occorrenti".È il contenuto della lettera che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, ha inviato a Pietro Ciucci, presidente della Società Stretto di Messina. Nella missiva, il ministro Matteoli ribadisce l'impegno in favore della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina da parte del Governo e del presidente del Consiglio al momento dell'insediamento del nuovo Esecutivo.Il Ponte sullo Stretto non è un'opera pubblica che al momento serve all'Italia. Proprio nel giorno in cui il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, invita a riavviare le procedure per la realizzazione dell'opera, Mario Sarcinelli, presidente di Dexia Crediop, istituto che ha come core business proprio il finanziamento delle opere pubbliche (oltre 54,4 miliardi di attività totali consolidate nel 2007) frena sul progetto."Le opere pubbliche necessarie all'Italia sono i trasporti - ha detto a margine di un convegno svoltosi a Roma - ma tra queste non c'è, certamente, il Ponte di Messina".
23/05/2008

mercoledì 21 maggio 2008

Nel giorno di Giovanni Falcone

I siciliani antimafiosi, nel giorno di Falcone, fanno manifestazioni e ricordi, dispiaciuti perché Falcone non c'è più. Sono circa un quarto della popolazione. I siciliani mafiosi, che sono più o meno altrettanti, festeggiano fra di loro e ne hanno buoni motivi: è stato cancellato il principale apporto giuridico di Falcone (l'unitarietà di Cosa Nostra, con tutto ciò che ne consegue), è stato riportato in Cassazione il giudice che dava a Falcone del credino (il giudice Carnevale), è stato trionfalmente eletto un governo che considera eroe, invece di Falcone, un "uomo di panza" che ha eroicamente rispettato l'omertà, il grande Mangano. E i siciliani mezzi-mezzi, la maggioranza, quelli che non hanno il cinismo di appoggiare la mafia ma neanche il coraggio di combatterla? Per loro, il problema principale è l'ignoranza. "Mi faccio i fatti miei". Non hanno la minima idea di quanto il sistema mafioso gli ruba individualmente ogni giorno, in termini di denaro. Non sospettano che potrebbero essere, se non ricchi, almeno benestanti, in una regione ricca come questa, se non ci fosse la mafia. Sono onestamente convinti che mafia e antimafia siano questioni ideali (e dunque, per la cultura paesana, irrilevanti) e non materiali. "Mi faccio i fatti miei". L'informazione mafiosa, che un tempo serviva a dire "la mafia non esiste", adesso serve a dire che la mafia esiste sì ma è una cosa che riguarda solo mafiosi e giudici e non la gente normale. Una cosa da diavoli o da eroi, insomma. Buona per i dibattiti e le fiction, ma non per la vita normale. Perciò il lavoro principale che c'è da fare oggi in Sicilia è principalmente d'informazione. Non solo sulle notizie delle singole malefatte (il che è già tanto, perché qui i malfattori comandano ai giornali), ma soprattutto sul quadro generale, sull' "atmosfera", sui problemi concreti che vivere in un paese mafioso comporta anche per chi non pensa a ribellarsi. Non lo si può fare alla meno peggio (raccontare una società è un lavoro abbastanza complesso) e non lo si può fare a suon di slogan (non c'è un prodotto da vendere ma una mentalità da trasformare).

Però, quando si riesce a farlo come Dio comanda, funziona. E' stato così che a Palermo per alcuni anni ha avuto assai peso l'antimafia e a Catania si è riusciti a scacciare i cavalieri.
Questo lavoro, i grossi giornali non lo faranno mai: non puoi fare un grosso giornale senza avere grosse imprese alle spalle; e nessuna grossa impresa, ormai,può sopravvivere senza far patti col diavolo (il caso Repubblica a Catania insegna). I giornali piccoli (come noi) possono tentare di farlo sì, ma, salvo eccezioni, possono concludere poco (e le eccezioni si pagano con vite umane).
E allora chi? I giornali piccoli, magari piccolissimi (tipo quello che puoi fare anche tu, nella tua scuola o nel tuo paese) però in rete: scambiandosi le notizie, organizzandosi insieme, e usando per tutto questo l'internet, cioè la rete più rete di tutte. Questo richiede tempo, richiede pazienza a non finire (tenere insieme dei siciliani, con rete o senza, è un'impresa da Giobbe,e ne sappiamo qualcosa), però, tutto sommato, può funzionare.

In una rete di questo tipo bisogna lavorare molto: certo, è più divertente che sotto padrone (non è mai divertente lavorare per qualcun altro) ma il problema è che l'obbiettivo è molto alto: non si
tratta di fare una cosa simpatica per sentirsi appagati, ma di far concorrenza ai giornali dei padroni, con l'obiettivo finale di spazzarli via dal mercato e dare un'informazione libera alla maggior parte della gente. Non un'operazione di nicchia (o di ghetto), insomma, ma il tentativo consapevole di costruire un'egemonia.

Fra vent'anni, Peppino Impastato dovrà pesare molto di più di Berlusconi, come comunicazione di massa. "Si, vabbe'..." dici tu. Eppure, trent'anni fa,in Italia le radio di base sono arrivate molto prima di Mediaset; e non erano poche: duecentocinquanta, in tutta Italia, con una copertura globale non indifferente.

E allora com'è che ha vinto Berlusconi? Per tre motivi precisi:
1) erano ognuna per conto suo, e Radio Firenze - ad esempio - non sapeva cosa faceva Radio Aut a Cinisi;
2) non parlavano in italiano (cioè la lingua che usano gli italiani) ma in politichese, perché i loro leader così si sentivano più importanti;
3) non capivano che stavano usando delle radio libere - cioè una cultura e una tecnica completamente nuove - e non dei ciclostili o dei bollettini di partito. Così Peppino è rimasto solo.
* * *

Adesso la situazione è sostanzialmente la stessa. Tanti gruppi diversi (moltissimi che stanno internet) ma ognuno per conto suo. Tanti linguaggi "ideologici" (cioè del ceto medio acculturato) e pochissimo intervento nei quartieri. Tanti siti, blog, giornaletti e giornali, ma tutti rassegnati alla solitudine, ad essere voci locali e non anelli di rete.

Bene, tutto ciò non vuol dire niente, non c'è nulla d'irreparabile. Dipende tutto da noi, esclusivamente da noi. Certo, a volte verrebbe voglia di sbattersi la testa al muro. Casablanca chiusa per mandanza di poche migliaia di euri, Graziella Proto lasciata sola - dalla sinistra illustre, ma anche da un po' di società civile isolana - a combattere la sua guerra, come se fosse stata una guerra sua personale. E anche ora, qui a Catania, almeno due (forse tre, non si sa ancora) liste distinte della società civile locale, ognuna per sé e Dio per tutti. Credo che pure Giobbe bestemmierebbe. Però, tutto sommato, avrebbe torto. In fondo, si tratta solo di problemi di crescita. C'è molta più unità che negli altri anni (le legnate quantomeno servono a questo); "Facciamo un giornale-rete tutti insieme" ormai suscita solo dei "Sì però" perplessi e non dei "No!" secchi e brutali come qualche anno prima. Ci sono degli ottimi gruppi di quartiere, e l'ultima generazione di ragazzi - se non la rovinano i vecchi - sta crescendo bene. Persino qui alle elezioni, che sono la cosa più avida e avara che ci sia, è mancato solo un pelo a fare la lista unica di base, e non è detto che la prossima volta non ci si riesca.

riccardo orioles
La Catena di San Libero 21 maggio 2008 n. 364

martedì 20 maggio 2008

LA SINISTRA E IL LOFT. Cosa ho detto a Walter...

di CLAUDIO FAVA

Il mio incontro di ieri con il segretario del PD Veltroni aveva due punti all'ordine del giorno. Il primo: la legge elettorale. Una falsa priorità per il nostro paese e per l'Europa, uno strumento surrettizio per reintrodurre il principio del voto utile attraverso soglie proibitive di sbarramento. Non mi interessava discutere sulla bontà del 3% proposto dal PD in contrapposizione al 5% preteso dal governo: mi interessava contestare l'idea stessa d'una nuova legge elettorale.Cosí è stato, così ho fatto. Ottenendo che questa discussione venga congelata, messa da parte, espunta dal tavolo delle presunte priorità istituzionali. E se in futuro si dovesse riaprire il dibattito, abbiamo convenuto che vi partecipino, con pari dignità politica, tutti i soggetti interessati, senza limitarsi a una conversazione da caminetto tra Pd e Pdl....
Secondo obiettivo: il centrosinistra. Cioè il superamento del falso mito elettorale dell'autosufficienza del Partito Democratico. Partendo da un ragionamento di onestà politica: l'Unione è stata una infelice stagione di coalizione e di governo, ma altrettanto infelice sarebbe l'idea che ciascuno adesso coltivi la propria solitudine. Esiste davvero la disponibilità del Pd a confrontarsi a sinistra non su titoli astratti ma sulle scelte politiche concrete, avendo come punto d'arrivo la costruzione di un nuovo centrosinistra? La risposta di Veltroni, modificando radicalmente l'asse della prospettiva politica del suo partito, è stata sì. Adesso si tratta di vedere se all'annuncio, come chiedono anche i compagni di Rifondazione, seguiranno i fatti. Cioè la costruzione di un terreno concreto di confronto e di reciproca autonomia tra il Pd e le forze della sinistra che a questo confronto siano disponibili.
Terzo punto, che è stato utile ribadire anzitutto ad uso della stampa: Sinistra Democratica ha fatto una scelta di percorso politico e di prospettiva, in tempi non sospetti. Una scelta chiara, netta, coerente, contenuta nella nostra stessa ragione sociale: fuori, con profonda convinzione, dal progetto moderato del Pd; dentro, con altrettanta convinzione, al progetto di un cantiere della nuova sinistra. Che oggi vogliamo condividere con chi sceglie di non arroccarsi nella ridotta simbolica dell'identità comunista. Noi siamo in campo per la Costituente di sinistra: che vuol'essere la nostra ragione, la nostra passione e il nostro contributo al paese.
Premessa necessaria, per chi ne avesse perso memoria e per chiarire cosa vuol dire per noi "confronto" con il Pd: vuol dire politica, capire se esiste un terreno su cui misurarsi per un progetto di governo del paese e per un'idea forte e reale di opposizione. Allo stato dei fatti, questa terreno è sdrucciolevole, fragilissimo, in ripida pendenza. Di tenere fermo l'asse di una opposizione - politica e sociale - al governo Berlusconi se n'è dovuta far carico solo la sinistra. Nelle Camere tutto è sfumato nelle formule di cortesia con cui è stato accolto il discorso di investitura di Berlusconi.
Detto ciò, noi continueremo a impegnarci per fare opposizione, nelle forme e con gli strumenti che avremo. Ma al tempo stesso vogliamo comprendere se vi è spazio tra la sinistra (non solo Sinistra democratica!) e il Pd per ricostruire un'idea diversa di centrosinistra. Di cui questo paese ha maledettamente bisogno se non vogliamo abbandonarlo all'egemonia della destra per i prossimi cinquant'anni. Tutto ciò passa attraverso un punto di verità politica: nessuno è autosufficiente. Né il Pd né la sinistra. Le "separazioni consensuali" hanno regalato a Berlusconi questo paese: è un vizio d'egoismo che non possiamo più permetterci.
L'incontro di ieri con Veltroni è servito essenzialmente a questo: a ricostruire il terreno di un confronto politico sul merito delle cose da fare e da dire a questo paese. Se ci saranno le condizioni perchè questo confronto possa produrre esiti utili, non saremo certo noi a impedirlo. Adesso tocca al Pd dimostrare che il tempo dell'autosufficienza è davvero concluso. Se così non fosse, andrebbe rivisto l'intero impianto politico del nostro confronto, a partire dai territori in cui la sinistra e il Pd insieme sono forza di governo.
Secondo obiettivo: il centrosinistra. Cioè il superamento del falso mito elettorale dell'autosufficienza del Partito Democratico. Partendo da un ragionamento di onestà politica: l'Unione è stata una infelice stagione di coalizione e di governo, ma altrettanto infelice sarebbe l'idea che ciascuno adesso coltivi la propria solitudine. Esiste davvero la disponibilità del Pd a confrontarsi a sinistra non su titoli astratti ma sulle scelte politiche concrete, avendo come punto d'arrivo la costruzione di un nuovo centrosinistra? La risposta di Veltroni, modificando radicalmente l'asse della prospettiva politica del suo partito, è stata sì. Adesso si tratta di vedere se all'annuncio, come chiedono anche i compagni di Rifondazione, seguiranno i fatti. Cioè la costruzione di un terreno concreto di confronto e di reciproca autonomia tra il Pd e le forze della sinistra che a questo confronto siano disponibili.
Terzo punto, che è stato utile ribadire anzitutto ad uso della stampa: Sinistra Democratica ha fatto una scelta di percorso politico e di prospettiva, in tempi non sospetti. Una scelta chiara, netta, coerente, contenuta nella nostra stessa ragione sociale: fuori, con profonda convinzione, dal progetto moderato del Pd; dentro, con altrettanta convinzione, al progetto di un cantiere della nuova sinistra. Che oggi vogliamo condividere con chi sceglie di non arroccarsi nella ridotta simbolica dell'identità comunista. Noi siamo in campo per la Costituente di sinistra: che vuol'essere la nostra ragione, la nostra passione e il nostro contributo al paese.
Premessa necessaria, per chi ne avesse perso memoria e per chiarire cosa vuol dire per noi "confronto" con il Pd: vuol dire politica, capire se esiste un terreno su cui misurarsi per un progetto di governo del paese e per un'idea forte e reale di opposizione. Allo stato dei fatti, questa terreno è sdrucciolevole, fragilissimo, in ripida pendenza. Di tenere fermo l'asse di una opposizione - politica e sociale - al governo Berlusconi se n'è dovuta far carico solo la sinistra. Nelle Camere tutto è sfumato nelle formule di cortesia con cui è stato accolto il discorso di investitura di Berlusconi.
Detto ciò, noi continueremo a impegnarci per fare opposizione, nelle forme e con gli strumenti che avremo. Ma al tempo stesso vogliamo comprendere se vi è spazio tra la sinistra (non solo Sinistra democratica!) e il Pd per ricostruire un'idea diversa di centrosinistra. Di cui questo paese ha maledettamente bisogno se non vogliamo abbandonarlo all'egemonia della destra per i prossimi cinquant'anni. Tutto ciò passa attraverso un punto di verità politica: nessuno è autosufficiente. Né il Pd né la sinistra. Le "separazioni consensuali" hanno regalato a Berlusconi questo paese: è un vizio d'egoismo che non possiamo più permetterci.
L'incontro di ieri con Veltroni è servito essenzialmente a questo: a ricostruire il terreno di un confronto politico sul merito delle cose da fare e da dire a questo paese. Se ci saranno le condizioni perchè questo confronto possa produrre esiti utili, non saremo certo noi a impedirlo. Adesso tocca al Pd dimostrare che il tempo dell'autosufficienza è davvero concluso. Se così non fosse, andrebbe rivisto l'intero impianto politico del nostro confronto, a partire dai territori in cui la sinistra e il Pd insieme sono forza di governo.

Rifiuti, la Regione cancella 18 Ato

Il presidente Lombardo ha firmato un decreto che sancisce la liquidazione delle società d'ambito entro ottobre. Le nuove direttive prevedono l'aumento della raccolta differenziata, il miglioramento dei parametri economici e degli impianti di smaltimento in Sicilia PALERMO - Il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, ha firmato il decreto di riduzione degli Ato, che passeranno da 27 a 9, con l'aggiunta di un decimo che si occuperà delle isole minori.

Il provvedimento indica un crono-programma secondo il quale entro la fine di ottobre dovranno costituirsi i nuovi consorzi di ambito; un mese dopo dovranno insediarsi i consigli di amministrazione; entro il 31 dicembre le attuali società d'ambito dovranno essere liquidate.
Dal primo gennaio 2009, pertanto, i nuovi soggetti, costituiti da consorzi di Comuni, diventeranno i titolari delle competenze che prima appartenevano alle società d'ambito, nonchè dei rapporti giuridici attivi e passivi relativi alla gestione integrata dei rifiuti.
Al decreto seguirà un provvedimento che fisserà le direttive alle quali gli Ato dovranno attenersi per raggiungere alcuni obiettivi riguardanti, tra l'altro: l'aumento della percentuale di raccolta differenziata; il miglioramento dei parametri economici; l'impiantistica realizzata o in costruzione.
Le direttive riguarderanno essenzialmente il divieto di assunzione di personale, la riduzione dei componenti dei Cda, l'adozione di strumenti finanziari finalizzati a risolvere la situazione di crisi e al raggiungimento di elevati standard qualitativi.
Nel corso di questo periodo di transizione sarà necessaria una maggiore sinergia tra le attuali società d'ambito e i sindaci dei relativi comuni, in vista del raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei costi di gestione del servizio e dell'incremento della raccolta differenziata.

20/05/2008

Legambiente: "Erano carrozzoni mangiasoldi"

PALERMO - "Esprimiamo soddisfazione la decisione del governo regionale di risolvere una situazione gravissima generata dal proliferare degli Ato che, in questi anni, sono stati, nella gran parte dei casi, dei carrozzoni mangia soldi". E' quanto ha affermato il presidente di Legambiente Sicilia, Mimmo Fontana commentando la decisione della giunta di cancellare gran parte delle società di ambito territoriale. "Auspichiamo però - continua - che questa riduzione prenda spunto dalla necessità di premiare quelle poche realtà virtuose che si sono contraddistinte nell'aver portato avanti delle buone pratiche di gestione. E non in un azzeramento totale anche di quelle esperienze che in questi anni sono cresciute positivamente". "Un esempio su tutti - conclude - è l'Ato Belice Ambiente Tp2 che ha avviato la raccolta porta a porta superando livelli di raccolta differenziata superiori al 70 per cento".

20/05/2008

Rifiuti, Cracolici (PD): la riduzione degli Ato in Sicilia è primo un passo nella giusta direzione, ma chi pagherà i debiti? Serve una svolta incisiva, amministratori unici al posto dei cda

“Il primo passo sembra andare nella giusta direzione. Ma si tratta, appunto, di un primo passo: bisogna capire se e come, nel concreto, gli Ato riusciranno a raggiungere gli obiettivi prefissati, e soprattutto bisogna capire chi pagherà il corposo debito generato dalla gestione scellerata di questi anni”.

Lo dice Antonello Cracolici (PD), a proposito della firma da parte del presidente della Regione, Raffaele Lombardo, del decreto che determina la riduzione degli Ato rifiuti in Sicilia. “La riduzione degli Ato – aggiunge – l’avevamo invocata a gran voce, e finalmente sembra concretizzarsi. Ma questa svolta deve essere incisiva: i nuovi Ato dovrebbero essere gestiti da amministratori unici e non più da consigli di amministrazione, che nella maggior parte dei casi servono solo ad offrire poltrone di sottogoverno. In ogni caso – conclude Cracolici - attendiamo di vederne gli effetti pratici prima di esprimere giudizi su un provvedimento che, è bene sottolinearlo, guardiamo con grande interesse”.

Meno male che c’è l’Europa

Antonio Padellaro

Il cinismo del tanto peggio tanto meglio non ci appartiene e davanti alla vergogna senza fine dei rifiuti a Napoli anche noi speriamo che il governo Berlusconi riesca a combinare qualcosa prima che la città affondi. Ogni giorno che passa colpisce tuttavia il contrasto tra i festosi proclami elettorali della destra e la dura realtà dei problemi, che purtroppo non si governano a colpi di spot. Abbiamo ancora nelle orecchie le grida leghiste sui clandestini che su due piedi sarebbero stati accompagnati alla frontiera da apposite ronde. Poi però gli statisti del carroccio hanno appreso che gli irregolari da cacciare erano qualcosa come 700mila, di cui 300mila badanti indispensabili ad altrettante famiglie (anche padane), e si sono presi una pausa di riflessione.

Per non parlare di quel sindaco di Roma che si è fatto eleggere annunciando l’immediata evacuazione di una settantina di campi nomadi e di ventimila rom facendo finta di non sapere che per distinguere gli esseri umani dai pacchi esistono oltre ad apposite leggi, una Costituzione repubblicana e le direttive di una istituzione chiamata Europa. Come ha già notato sulla Stampa Carlo Bastasin mentre a Roma un nuovo spirito di armonia modera i toni, la verifica severa dell’azione di governo si sposta a Bruxelles. Dai ritardi sulla questione Alitalia ai rifiuti non c’è priorità su cui la Commissione europea non sia intervenuta.

Ma è sulla cosiddetta politica della sicurezza che l’Europa è in forte allarme tanto da costringere il Parlamento di Strasburgo a un dibattito straordinario sulle misure “antirom” di un’Italia sospettata di xenofobia. Vedremo se il governo sarà indotto a più miti consigli. Ma se nella destra dovesse farsi largo la mai sopita insofferenza antieuropea, il Pd non potrà restare a guardare. Meno male che c’è l’Europa.

L’Unità , 20.05.08

Progetto Liberarci dalle Spine 2008: Viveri e prodotti necessari:

Questi i viveri e i prodotti necessari per l'edizione 2008 dei campi di lavoro sui terreni confiscati alla mafia di Corleone, Monreale e Canicattì, affidati alla cooperativa sociale "Lavoro e non solo":

Igiene personale
Spazzolini da denti 2000 pz
Dentifricio 200 pz
Carta igienica 400 rotoli
Saponette 400 pz
Shampo 200 pz
Bagno schiuma 200 pezzi

Alimentari
Vino 400 lt
Caffè 50kg
Acqua 4000 lt
Succhi di frutta 600 lt
Salumi 100 pz
Formaggi 400 kg
Latte 800 lt
Cioccolato 20 kg
Marmellata 30 kg
Zucchero 100 kg
Bibite varie 800lt
Riso e pasta 400 kg
Olio 160 lt
Carne in scatola 200kg
Biscotti dolci e salati 800 pz
Fagioli 80 kg
Farro 80 kg
Sale 40 kg
Pepe 20 kg
Tovaglioli di carta 4000 pz
Tonno 400kg
Verdure in scatola 400 pz
Scottex 800pz
Aceto 30 lt
Caramelle 1000pz
Birra 1000 pz

Saponi
Sapone per piatti 200lt
Detergente per vestiti 50kg
Sapone per pavimenti 80 pz
Sapone per sanitari 80 pz
Cerotti 300 pz
Fazzoletti di carta 2000 pz
Ammorbidente 40 pz

utensili
brocche 40
tovaglie 200 pz
pentole varie 30 assortite
macchine per caffè 12pz
ventilatori 20 pz
ferro da stiro con tavola 4pz
torce con pile 20pz

Varie
Quaderni 280 pz
Penne 400 pz
Asciugamani 200 pz
Lenzuoli 200 pz
Federe 200 pz
Piatti bio 8400
Posate bio 4200

Arnesi da lavoro
100 zappe
20 roncole
2 motosega 65 cc
2 decespugliatore
1 trivella a motore

Arredamento
30 materassi
10 armadi
50 sedie
20 scaffali
1 lavatrice
1 lavastoviglie
2 cucine con forno
4 frighi

Mezzi
2 furgoni 9 posti
2 auto


Importantissimo!!
Prima di provvedere all’invio del pacco comunica il quantitativo , la tipologia della donazione e la destinazione a Maurizio Pascucci tramite e-mail pascucci@arci.it o via fax al numero 055 26297233.

Progetto Liberarci dalle Spine: Campi di lavoro 2008 a Corleone, Monreale e Canicattì

L’Arci e la Coop Lavoro e Non Solo di Libera Terra con Libera , la Cgil e la LegaCoop promuovono 12 campi di lavoro sui terreni confiscati alla mafia nei Comuni di Corleone, Monreale e Canicattì e assegnati alla Coop Lavoro e Non Solo.
Un’iniziativa rivolta ai giovani tra i 16 e i 30 anni che per 2 settimane lavoreranno fianco a fianco con i 12 soci-lavoratori della Coop. Sociale Lavoro e Non Solo. I campi di lavoro saranno organizzati nel periodo 1 giugno /30 ottobre . A Corleone e Monreale l’attività di volontariato consisterà nel piantare i pomodori , nella mietitura del grano, la raccolta dei pomodori e di mandorle e la vendemmia. A Canicattì ci sarà da vendemmiare .
Durante i campi di lavoro non mancheranno momenti di incontro con associazioni del territorio e visite a luoghi simbolici della storia della mafia e dell’antimafia del territorio. Il protagonismo dei volontari contribuirà alle attività di animazione territoriale fondamentali per il potenziamento delle relazioni e della rete sul territorio. L'obiettivo principale è quello di diffondere una cultura fondata sulla legalità e sul senso civico che possa efficacemente contrapporsi alla cultura della violenza, del privilegio e del ricatto che contraddistingue i fenomeni mafiosi nel nostro paese dimostrando che, anche in quei luoghi dove la mafia ha spadroneggiato, possibile ricostruire una realtà sociale ed economica fondata sulla sul rispetto della persona e sulla pratica della cittadinanza attiva e della solidarietà.
Noi pensiamo che questa avventura che vedrà protagonisti 300 giovani , possa essere condivisa e sostenuta dalla società civile (associazioni, gruppi di volontariato, singoli, sindacati, centri sociali, parrocchie) che potrà partecipare a questa iniziativa inviando direttamente alle cooperative viveri (clicca qui per conoscere la tipologia di viveri necessari) che verranno consumati durante i periodi dei campi.
L’invio dovrà essere effettuato, via posta o corriere, e indirizzato a:
Coop Sociale Lavoro e Non Solo presso
Salvatore Ferrara
Via Misericordia 16
90034 Corleone

Per chi vuole inviare un sostegno economico lo può fare facendo un versamento su:

Banca Etica Popolare - Filiale di Palermo - C/C 117898 - Intestato a Cooperativa Lavoro e Non Solo “Liberarci dalle Spine” campi 2008 - ABI 05018 - CAB 12100

A tutti sarà inviato un cd contenente immagini dei campi di lavoro.
Sarà questo un modo concreto per condividere e sostenere questa esperienza di formazione nei confronti dei valori di legalità e antimafia e l’impegno quotidiano di libertà e democrazia delle cooperative. Questa iniziativa comunicherà alla mafia locale e a quanti hanno deciso di “conviverci” che i giovani siciliani hanno l’appoggio dell’Italia viva, legale e solidale.
Quei pacchi in arrivo all’ufficio postale di Corleone sarà la testimonianza che questi giovani siciliani non sono “soli” e che il loro impegno quotidiano è condiviso da molti.

Maurizio Pascucci
Esecutivo Arci Toscana
Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine

lunedì 19 maggio 2008

Anche a Palermo la "Bottega dei sapori della legalità"

Il 22 maggio 2008 alle 11.00 si terrà la cerimonia di consegna a Libera da parte del Comune di Palermo del bene confiscato di piazza Castelnuovo 13, dove aprirà la bottega 'I sapori della legalità'. Dopo le botteghe di Roma e Napoli, sarà il terzo negozio in Italia a distribuire solo prodotti Libera Terra, provenienti dalle diverse realtà realizzate sui terreni agricoli liberati dalle mafie e restituiti alla società. Interverranno alla cerimonia il Presidente Nazionale di Libera Don Luigi Ciotti, il Sindaco di Palermo Diego Cammarata, il Commissario straordinario di Governo per la gestione dei beni confiscati alle mafie Antonio Maruccia, il prefetto Giancarlo Trevisone, il questore Giuseppe Caruso, il colonnello Teo Luzi del comando provinciale dei Carabinieri, il generale Francesco Carofiglio della Guardia di Finanza, rappresentanti dell’associazione Libera e delle cooperative sociali impegnate sui beni confiscati e del Consorzio Sviluppo e Legalità. Una novità importante in questo panorama riguarderà la creazione nei locali di uno spazio didattico per scuole e le associazioni, nonché di uno spazio laboratoriale sulla mafia e sull'antimafia. Questa bottega di Palermo rafforza la rete già esistente e operante per costruire percorsi di legalità e mette in giusto risalto il sudore, la passione ed il coraggio dei ragazzi delle cooperative che hanno detto No alla mafia e che ogni giorno, superando mille difficoltà, lavorano la terra e lottano contro il crimine organizzato. A Palermo, tutti i protagonisti delle esperienze di riutilizzo sociale dei beni confiscati, che svolgono una azione straordinaria di promozione sociale, culturale ed economica, raggiungono questo nuovo traguardo proprio alla vigilia dell'anniversario della strage di Capaci. La novità della bottega è davvero importante sul piano strategico: fare impresa in modo limpido ed efficace rende al territorio un esempio di buona pratica, in grado di influenzare positivamente soprattutto sul piano educativo. Libera promuove imprenditorialità ovunque in Italia se ne presenti l’opportunità, attivando risorse e tutele da parte di soggetti pubblici e privati competenti. La legge che regola la confisca dei beni oltre che rappresentare delle finalità pratiche di grande importanza, ha anche valore simbolico perché non soltanto permette di colpire le mafie nei loro interessi economici, ma contemporaneamente permette di ridistribuire alla collettività le ricchezze illegali, favorendo la costruzione di un tessuto sociale attivo, deterrente naturale contro il potere e l’economia mafiosa, favorendo modelli alternativi di sviluppo sociale ed economico della legalità.

In ricordo della strage di Capaci

A sedici anni dalla strage di Capaci siete tutte e tutti invitati a partecipare a questa grande iniziativa, per ricordare l'impegno e il coraggio di Giovanni Falcone e della moglie Francesca Morvillo, ma anche e soprattutto dei loro angeli custodi: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo. Di seguito il programma dell'iniziativa a Capaci ed Isola delle Femmine presso il Giardino della Memoria nei pressi della stele sull'autostrada Palermo-Trapani.


Programma: Ore 10:00 La "Q.S.15", il gruppo di scorta di Giovanni Falcone, incontra i ragazzi delle scuole Ore 12:00 arrivo del "Gruppo Ciclistico Questura di Palermo" Ore 15:30 Esposizione delle opere di giovani artisti. Performance dei writers Vincenzo Pisano "Hishis"" - Michele Zingales. Ore 18:00 gruppo Agesci "Isola delle Femmine I" - Karol Wojtya e Capaci I. A seguire l'attore David Simone VInci interpreta la poesia "Lentamente muore" Ore 19:00 i ragazzi della "Q.S.15" e Tina Montinaro ricordano Antonio, Rocco e Vito Ore 20:00 coro di voci bianche del Conservatorio di Musica di Stato "V. Bellini" - Palermo, diretto da Antonio Sottile - pianista Antonio Fiorino. Ore 21:00 ringraziamenti alle autorità intervenute Ore 23:00 Don Luigi Toma, Don Calogero Governali e Don Luigi CIotti celebrano la Santa Messa in memoria di Antonio, Rocco e Vito. Interventi musicali del "Quintetto della Banda della Polizia di Stato".

"Le tragedie, la mia tragedia, cambiano le nostre vite a volte in maniera irreversibile...ma a volte no. Ho trovato negli occhi dei bambini, nello sguardo dei miei figli, la forza di continuare a pretendere un futuro diverso, giusto. Per questo lotto ogni giorno. Insieme a chi non ha conosciuto il dolore come me, ma che come tanti crede nel giusto, voglio trovare la forza di vivere, comunque vivere con rabbia, con la forza del ricordo, con l'impegno nel quotidiano, per affermare che la legalità è vita. Sempre". Tina Montinaro

domenica 18 maggio 2008

QUANTO TIRA LA CLASSE OPERAIA.

di Loris Campetti
Ate
ssa (Chieti) «Il proletariato non è soltanto una classe che soffre... La vergognosa situazione economica nella quale si trova lo spinge irresistibilmente in avanti e lo incita a lottare per la sua emancipazione definitiva». Così scriveva nel 1840 Friedrich Engels nella sua magistrale «Indagine sulla condizione della classe operaia in Inghilterra». E' un'idea semplice quanto straordinaria quella di Engels e Marx, che ha mosso centinaia di milioni di uomini e donne in tutto il pianeta nel corso dei due secoli alle nostre spalle. Un'idea che ha cambiato il mondo, emancipando grandi masse da una condizione di miseria e subalternità attraverso la lotta di classe, il «motore della storia».

A che punto è la storia, 170 anni dopo l'indagine di Engels? Questa domanda ci è sorta spontanea al termine della nostra inchiesta sul consumo e la diffusione delle droghe nelle fabbriche italiane, e siamo andati a risfogliare i testi classici, memori delle operaie tessili di Manchester poco più che bambine, costrette ad avvelenarsi con «cherry, porto e caffè» per reggere un ritmo di lavoro disumano per 15-16 ore al giorno. Nel 2008 ci sono realtà industriali importanti in cui addirittura il 50% dei lavoratori si fa di cocaina e, in misura minore, di eroina e di ogni sostanza capace di rendere più tollerabile una «vita di merda», o meglio, di far sognare un'improbabile fuga da essa. Di merda è il lavoro così come la normalità delle relazioni in paesi privi di vita sociale, che concedono ben poco alle speranze di futuro e di cambiamento, ci raccontano le tute blu. Ci si fa per lavorare, per sballare, per fare l'amore. Ci si fa alla catena di montaggio, in discoteca con gli amici, a letto con la moglie per migliorare le prestazioni sessuali; poi arriva la dipendenza e con essa lo spaccio per pagarsi la dose. Operai e operaie, capi e sorveglianti, adescati in fabbrica da altri operai: una «pista» nei cessi della fabbrica tanto per provare, l'esaltazione e il cuore che batte a mille, l'adrenalina che all'inizio fa persino aumentare la produzione, infine la consuetudine. Si lavora di notte per guadagnare trecento euro in più, 1.400 invece di 1.100 euro buoni per affrontare l'astinenza e la crisi della quarta settimana. La notte ci sono meno controlli, «tu fai i picchi di produzione e i capi non ti rompono il cazzo». Qualche ragazza può persino arrivare a prostituirsi per pagarsi la dose, per fortuna casi sporadici.

Dall'officina al muretto

Dalla fabbrica la droga arriva nei paesi di provenienza dei lavoratori in una spirale perversa di cui, oltre alle forze dell'ordine, si occupano in pochi: operatori sociali, Ser.T, qualche livello istituzionale. Le aziende nascondono finché possono il fenomeno per salvare la faccia; quando un caso esplode, magari dopo l'ennesimo blitz dei carabinieri, scelgono la repressione attraverso il licenziamento o le «dimissioni spontanee», a volte aiutano il recupero dei tossicodipendenti. I sindacati, anch'essi, rimuovono, cosa che non riescono più a fare i delegati il cui impegno rischia di cambiare natura, assorbito dal lavoro di aiuto ai ragazzi finiti nella spirale. Ragazzi - anche iscritti al sindacato, persino delegati - che non vivono, se non molto parzialmente, il lavoro come emancipazione, come veicolo per costruirsi un futuro, ma come pura fonte di introito per continuare a sniffare coca o a iniettarsi eroina, oppure a fumarla «come fa un gruppo di ragazze del mio turno», dice Arturo che da anni prova a disintossicarsi e ci ricade ogni volta, nonostante il suo appuntamento quotidiano al Ser.T di Pescara. Lui dal sindacato (è iscritto alla Fiom) si aspetta «solo un aiuto per difendermi dai capi che mi ricattano, mi perseguitano, mi danno giorni e giorni di sospensione per poi tenerli nel cassetto e tirarli fuori ogni volta che provo ad alzare la testa». Arturo alterna lavoro in fabbrica, assenze per malattia e molto d'altro per tirare avanti. Ha abbandonato l'università in seguito a un grande trauma, il terremoto al suo paese, San Giuliano di Puglia, e ha cominciato a farsi.

Abbiamo iniziato il nostro viaggio alla Sevel di Atessa, Val di Sangro, Abruzzo. Assegneremo nomi di fantasia a molti interlucutori, ragazzi e ragazze che usano sostanze stupefacenti, delegati sindacali che chiedono l'anonimato, operatori delle forze dell'ordine impegnati nell'antidroga. La Sevel è la principale fabbrica italiana della Fiat per numero di addetti dopo Mirafiori. Vi si costruiscono i furgoni Ducato per la multinazionale torinese e per la francese Psa (Peugeot e Cytroen), un prodotto che non sta risentendo della crisi internazionale dell'automobile. Dalla nascita, nel 1980, la Sevel ha progressivamente aumentato la sua capacità produttiva e oggi dà lavoro a 6.500 persone sui tre turni, mattino, pomeriggio, notte, a cui si aggiungono quasi duemila operai di ditte esterne che operano nel perimetro dello stabilimento e migliaia di addetti dell'indotto. Solo in Val di Sangro sono 10 mila le famiglie che vivono di Sevel, tra i 10 e i 15 milioni di euro al mese che rappresentano la principale fonte di reddito della valle. Inutile dire che al peso economico dell'azienda si aggiunge quello politico. Una situazione per molti aspetti analoga a quella determinatasi in Basilicata con l'arrivo della Fiat-Sata. L'azienda procede con assunzioni massicce - ci racconta la nostra guida, il delegato Fiom Antonio Di Tonno - grandi infornate di ragazzi e ragazze diciottenni selezionati alla bell'e meglio. Il bacino primario ormai non è più sufficiente a soddisfare la domanda Fiat e sono sempre più numerose le assunzioni effettuate in tutto il Chietino, il Pescarese, il Molise, la Puglia, la Campania. Età media bassissima, alto turnover perché qui «si fatica sodo»: «I giovani vivono in modo estraniante il rapporto con la fabbrica e il sindacato, per non parlare della politica. Pensano al pallone, alla pizza, alla discoteca. E alla cocaina. C'è chi fa di tutto per non farsi confermare al termine del periodo di prova, così da poter dire ai genitori: "io ho provato, non è colpa mia se non mi hanno preso". Vuoi per questo atteggiamento, vuoi per una diffusione della droga fuori controllo, adesso la Sevel sta assumendo persone un po' più grandi, tra i 25 e i 28 anni». Tanto i delegati quanto un ufficiale dell'antidroga che in fabbrica è di casa, con blitz notturni alla ricerca quasi sempre fruttuosa di sostanze, valutano che un dipendente su due sia coinvolto con maggiore o minore frequenza e dipendenza nel giro della cocaina. Fino a poco tempo fa, dosi massicce di droga venivano trovate negli armadietti degli operai. Ci raccontano di sequestri di molte dosi di coca, di eroina e mattoni fino a un chilo di peso di hashish. In tanti sono stati beccati, ora tutti si sono fatti più accorti.

Il silenzio è d'oro

Non sempre i rapporti delle forze dell'ordine con la sicurezza aziendale sono idilliaci, così ai blitz interni allo stabilimento si aggiungono quelli fuori, a colpo sicuro. Perché tossici e spacciatori sono ricattabili, ed è da loro che arrivano le soffiate a Ps e Cc. E all'azienda, che talvolta utilizza le spiate per poi compromettere gli spioni facendo a sua volta spiate ai i loro compagni di lavoro. Ci sono stati arresti, ma tutto resta sotto traccia, e la stampa, anche quella locale, tace. La Procura si muove con i piedi di piombo, a volte neanche sostiene il lavoro dei Pm che autorizzano l'utilizzo delle cimici nel tentativo di arginare il fenomeno. «In fabbrica - dice Antonio - è saltato l'ordine. E l'azienda, dopo aver lavorato con costanza a neutralizzare il sindacato, ora lamenta la mancanza di un'interlocuzione con noi, nel senso che non siamo più un interlocutore forte di una conoscenza approfondita della fabbrica, degli operai, dei problemi».

Questi giovani operai e operaie sono completamente diversi dalla classe operaia che conosciamo e raccontiamo. I «vecchi» con vent'anni e più di servizio in Sevel, sono furiosi con le nuove generazioni in tuta blu: «Se le cercano, non vogliono fare un cazzo, ti contattano solo per farsi spostare in postazioni migliori. Sono individualisti e non ci rispettano, la droga li ha svuotati dentro. Invece del lavoro - dicono - hanno in testa la cocaina». Su una cosa vecchi e giovani sembrerebbero uniti: votano in maggioranza a destra, per Fini e Berlusconi, o non votano, anche molti di quelli che avevano investito sul governo Prodi e sono rimasti delusi. Anche qualche iscritto ai sindacati, persino un po' di delegati possono votare a destra: «Con la tessera difendono il salario dal padrone, con il voto a destra lo difendono dallo stato che ci massacra con le tasse». «La fabbrica è diventato un supermercato, si vende di tutto: puoi acquistare un motore Alfa, un paracarro, uno stereo, ogni tipo di droga proveniente soprattutto da Napoli attraverso i camionisti che portano in fabbrica componenti e materiale necessario alla produzione dei furgoni. La roba finisce in mano agli spacciatori interni e, di mano in mano, raggiunge tutti i reparti, poi esce dalla fabbrica e arriva nei paesi dove tutti consumano droghe leggere e tanti, forse addirittura l'80%, si fanno di coca, dai 14 ai 40 anni», racconta un addetto alla repressione esterna e ci confermano i ragazzi con cui parliamo, nonché il segretario della Fiom abruzzese, Marco Di Rocco: «Una piaga sociale».

Ma il processo di trasformazione culturale riguarda innanzitutto la fabbrica: ci si fa sulla linea di montaggio, si sniffa nelle pause vicino all'armadietto e al cesso ci si buca. Qualche volta, ci dice un ufficiale, «sono stati beccati dei ragazzi esaltati che facevano l'amore dentro i furgoni che costruiscono». I furti negli armadietti non si contano, «riescono a svuotarne così tanti perché operano in squadre organizzate», ci dice un altro delegato. Ma spariscono anche i sifoni dei bagni, gli specchi. «Tutto per quattro soldi, per un quartino». Il quartino è una dose da un quarto di grammo di coca, con una ventina di euro te la porti a casa o alla catena. Il suo prezzo, da Napoli ad Atessa, può anche triplicare.

Ricatti e minacce

Perché lo fanno? «Perché sono uguali ai loro coetanei che studiano o vivacchiano in paese. Qualcuno - ci dice chi si occupa di droga nel territorio di Lanciano - all'inizio tira coca per reggere un lavoro molto pesante, ma non è questa la motivazione prevalente. Lo fanno soprattutto la notte perché la sorveglianza è minore. E se chi spaccia è ricattabile, i sorveglianti interni non hanno strumenti per intervenire e vengono minacciati». Giulietta e Romeo sono due operai in trattamento da qualche anno al Ser.T. Eroinomani, ora vivono con la loro dose quotidiana di metadone e giurano di esserne fuori. Giulietta ha ereditato un'epatite C dal tempo in cui si bucava, è stata trasferita dalla linea a un posto più umano solo dopo quattro svenimenti. Ora lavora in verniciatura, che non è l'ideale per chi ha il fegato compromesso. Il nostro delegato Fiom si impegna di fronte a noi ad aiutarla a farsi trasferire in un posto compatibile con il suo stato di salute. Questo fanno i delegati, spesso chiamati a «dare una mano» con i capi, per ottenere turni o postazioni migliori: «Mi arrivano in casa - dice Antonio - i genitori di ragazzi finiti nella spirale. Chiedono aiuto». Molti sono giovani con contratti atipici. Si subisce il turno di notte perché sei precario e ricattabile, o lo si sceglie per guadagnare 300 euro in più, o perché «ci si può drogare senza troppe rotture di coglioni». I «pipistrelli» spesso vivono la notte come un «regalo», e lavorano a testa bassa per difenderlo.

Il Ser.T di Lanciano ha 220 utenti, la metà sono operai Sevel. «Non ci si fa per reggere la fatica. Molti arrivano in fabbrica già legati alla coca o all'eroina. All'inizio può darti un po' di carica, se la controlli ti aiuta ma se ne fai un uso eccessivo non riesci più a lavorare. Il fisico regge meglio l'eroina - sostiene Romeo - che dà assuefazione solo psicologica. Con l'ero e poi passando al metadone riesci a fare la tua vita. Con la coca è peggio, 30 euro al giorno per la dose è tutto quello che cerchi. Si sente dire che al montaggio c'è stato qualche caso di ragazze che si prostituivano per tirar su i soldi». Questo è un tabù, anche chi è disposto a raccontarti tutto finge di non sapere, di non aver capito la domanda. Si sa «ma non si dice, sono solo voci che corrono». Corrono in fretta. Ripeti la domanda e allora la risposta è obbligata: «Una volta succedeva, adesso meno e solo a fine mese quando lo stipendio è finito». Rimozione o pudore? Forse entrambe le cose. Giulietta dice di dover ringraziare un capo che l'ha aiutata quando era ridotta molto male e pesava 38 chili: «Ero arrivata a consumare anche 80 euro al giorno per l'eroina, e a quel punto non ti resta che spacciare», se di prostituirti non vuoi sentir parlare. Che cos'è il lavoro per questi ragazzi? Per Romeo «è la cosa principale, mi dà un senso, un'identità» e invece per Giulietta «non è possibile identificarsi con questo lavoro. Se potessi me ne andrei domani. Ma non in un'altra fabbrica, tutto sommato la Sevel è il miglior posto di lavoro in zona. Vorrei fare altro nella vita». E il sindacato? «Ho un buon rapporto, è importante il sindacato. Però - ammette Romeo - raramente partecipo agli scioperi». E Giulietta: «Io non ho rapporti, i miei delegati sono pappa e ciccia col padrone. Solo la Fiom si salva. Però agli scioperi aderisco, almeno a quelli di otto ore così mi risparmio la fatica di andare in fabbrica». Perché vi fate? «Prova tu a vivere in questi paesi, poi lo capisci e ti fai anche tu». Non ha dubbi Giulietta. Ora riesce a vivere decentemente insieme al suo compagno. «Ormai siamo fuori. Ma non dal metadone, quello te lo porti dietro tutta la vita». Romeo non ha rinunciato all'idea di liberarsi anche del metadone, «una volta ci ho provato, forse proverò ancora». Sono due utenti modello, da cinque anni non si bucano e riescono a farsi le vacanze fuori: prima però passano al Ser.T, si portano le dosi quotidiane e poi via, alla ricerca di una vita normale. Con chiunque parli ti senti ripetere che con la cocaina non c'è problema, «puoi smettere quando vuoi». Fatto sta che non smettono. In pochi ammettono di essere tossicodipendenti. Lo raccontano a noi o a se stessi?

La crisi della comunità

L'impressione che si trae da questo primo giro è che la «diversità» operaia sia finita, i giovani in tuta sono uguali a quelli senza perché la fabbrica non è più una comunità, un luogo identitario, di aggregazione. Si condivide una stessa condizione di lavoro ma è più facile mettersi insieme per sniffare che per lottare contro il padrone. La fabbrica è sempre più un luogo di transito per i giovani. E un luogo di consumo, di spaccio. (1/continua)

dal manifesto

venerdì 16 maggio 2008

Io chiedo scusa

DON LUIGI CIOTTI

Cara signora,ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae. Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa. Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati, e l´altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie. Accanto a Lei la figura di un uomo, di spalle: suo marito, presumo. Nel suo volto, signora, si legge un´espressione di imbarazzo misto a rassegnazione. Vi stanno portando via da Ponticelli, zona orientale di Napoli, dove il campo in cui abitavate è stato incendiato. Sul retro di quel furgoncino male in arnese - reti da materasso a fare da sponda - una scritta: "ferrovecchi".Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti. Nel nostro Paese si parla tanto, da anni ormai, di sicurezza. È un´esigenza sacrosanta, la sicurezza. Il bisogno di sicurezza ce lo abbiamo tutti, è trasversale, appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo. È il bisogno di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità e collaborazione nel nostro prossimo. Per tutelare questo bisogno ogni comunità, anche la vostra, ha deciso di dotarsi di una serie di regole. Ha stabilito dei patti di convivenza, deciso quello che era lecito fare e quello che non era lecito, perché danneggiava questo bene comune nel quale ognuno poteva riconoscersi. Chi trasgrediva la regola veniva punito, a volte con la perdita della libertà. Ma anche quella punizione, la peggiore per un uomo - essendo la libertà il bene più prezioso, e voi da popolo nomade lo sapete bene - doveva servire per reintegrare nella comunità, per riaccogliere. Il segno della civiltà è anche quello di una giustizia che punisce il trasgressore non per vendicarsi ma per accompagnarlo, attraverso la pena, a un cambiamento, a una crescita, a una presa di coscienza.Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando. Sta franando di fronte alle paure della gente. Paure provocate dall´insicurezza economica - che riguarda un numero sempre maggiore di persone - e dalla presenza nelle nostre città di volti e storie che l´insicurezza economica la vivono già tragicamente come povertà e sradicamento, e che hanno dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore. Cercherò, cara signora, di spiegarmi con un´immagine. È come se ci sentissimo tutti su una nave in balia delle onde, e sapendo che il numero delle scialuppe è limitato, il rischio di affondare ci fa percepire il nostro prossimo come un concorrente, uno che potrebbe salvarsi al nostro posto. La reazione è allora di scacciare dalla nave quelli considerati "di troppo", e pazienza se sono quasi sempre i più vulnerabili. La logica del capro espiatorio - alimentata anche da un uso irresponsabile di parole e immagini, da un´informazione a volte pronta a fomentare odi e paure - funziona così. Ci si accanisce su chi sta sotto di noi, su chi è più indifeso, senza capire che questa è una logica suicida che potrebbe trasformare noi stessi un giorno in vittime. Vivo con grande preoccupazione questo stato di cose. La storia ci ha insegnato che dalla legittima persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità, alla criminalizzazione del popolo, della condizione esistenziale, dell´idea: ebrei, omosessuali, nomadi, dissidenti politici l´hanno provato sulla loro pelle.Lo ripeto, non si tratta di "giustificare" il crimine, ma di avere il coraggio di riconoscere che chi vive ai margini, senza opportunità, è più incline a commettere reati rispetto a chi invece è integrato. E di non dimenticare quelle forme molto diffuse d´illegalità che non suscitano uguale allarme sociale perché "depenalizzate" nelle coscienze di chi le pratica, frutto di un individualismo insofferente ormai a regole e limiti di sorta. Infine di fare attenzione a tutti gli interessi in gioco: la lotta al crimine, quando scivola nella demagogia e nella semplificazione, in certi territori può trovare sostenitori perfino in esponenti della criminalità organizzata, che distolgono così l´attenzione delle forze dell´ordine e continuano più indisturbati nei loro affari. Vorrei però anche darLe un segno di speranza. Mi creda, sono tante le persone che ogni giorno, nel "sociale", nella politica, nella amministrazione delle città, si sporcano le mani. Tanti i gruppi e le associazioni che con fatica e determinazione cercano di dimostrare che un´altra sicurezza è possibile. Che dove si costruisce accoglienza, dove le persone si sentono riconosciute, per ciò stesso vogliono assumersi doveri e responsabilità, vogliono partecipare da cittadini alla vita comune.La legalità, che è necessaria, deve fondarsi sulla prossimità e sulla giustizia sociale. Chiedere agli altri di rispettare una legge senza averli messi prima in condizione di diventare cittadini, è prendere in giro gli altri e noi stessi. E il ventilato proposito di istituire un "reato d´immigrazione clandestina" nasce proprio da questo mix di cinismo e ipocrisia: invece di limitare la clandestinità la aumenterà, aumentando di conseguenza sofferenza, tendenza a delinquere, paure.Un´ultima cosa vorrei dirLe, cara signora. Mi auguro che questa foto che La ritrae insieme ai Suoi cari possa scuotere almeno un po´ le nostre coscienze. Servire a guardarci dentro e chiederci se davvero questa è la direzione in cui vogliamo andare. Stimolare quei sentimenti di attenzione, sollecitudine, immedesimazione, che molti italiani, mi creda - anche per essere stati figli e nipoti di migranti - continuano a nutrire. La abbraccio, dovunque Lei sia in questo momento, con Suo marito e le Sue bambine. E mi permetto di dirLe che lo faccio anche a nome dei tanti che credono e s´impegnano per un mondo più giusto e più umano.

Presidente del «Gruppo Abele» e di «Libera - associazioni, nomi e numeri contro le mafie»

L'Unità, 16.05.08

giovedì 15 maggio 2008

Quei "tranquilli" ragazzi di Niscemi

di LIDIA RAVERA

La fotografia di Lorena Cultraro, sulle prime pagine dei giornali, è la stessa che sua madre ha mostrato in televisione, quando ancora sperava che sua figlia, quattordici anni, fosse scappata di casa, magari per amore. Si assomigliano, la madre e la figlia, stesso ovale allungato, stesso sguardo intenso e malinconico. La fotografia che riproduce la madre nell’atto di chiedere aiuto a «Chi l’ha visto?», lascia intravedere, sullo sfondo, i pensili in legno chiaro di una cucina come tante, ci sono fiori nei vasi, è un interno italiano, decoroso e comune.La fotografia che riproduce la figlia non può più essere guardata con il distacco dell’oggettività: è la fotografia di una ragazzina morta ammazzata, strangolata, bruciata e quindi gettata, con due pietre legate alla vita, in un pozzo, in mezzo ai rifiuti. Allora ecco che quel sorriso appena accennato, sulle sue labbra, appare più come il frutto di una decisione faticosa, quella di sembrare una ragazzina serena. Un’adolescente come tutte le altre, con i capelli neri e gli occhi grandi, con i genitori affettuosi e l’immancabile «fidanzatino». Non è così. Lorena non era un’adolescente spensierata. Era un’adolescente costretta (o cooptata) ad una promiscuità piuttosto squallida, e, forse, era incinta, senza averlo voluto. Era una quasi bambina minacciata dalla maternità come quella del film «Juno» che ha tanto commosso Giuliano Ferrara? Non esattamente. Nel film l’adorabile ragazzina Juno, messa incinta da un coetaneo dolcemente citrullo, decideva di tenersi il frutto del precoce e distratto rapporto sessuale ma, non avendo l’età per sentirsi madre, lo regalava ad una bella signora senza figli, così, per non eliminare il frutto dell’incontro felice fra un ovulo e uno spermatozoo. Nella realtà, l’adorabile ragazzina Lorena, invece, veniva, pare, costretta a fare sesso con gli amici del suo ragazzo, tre apprendisti criminali che, presumibilmente, se la passavano nel più assoluto disprezzo del suo corpo, della sua sensibilità, dei suoi sentimenti. Nel film tutto finisce bene: la madre adottiva è contenta, il bebè è tanto carino, la ragazzina è felice e suona una canzone d’amore , chitarra acustica e duetto di voci, con il padre del bambino partorito e regalato. Sulla nascita dell’amore adolescente scorrono i titoli di coda. Nella realtà i titoli di coda scorrono su un cadavere carbonizzato, su tre giovani disgraziati in una stanza della caserma di Niscemi, in provincia di Caltanissetta, che confessano: «ha detto: sono incinta di uno di voi... abbiamo perso la testa».Hanno perso la testa, loro. Lei, Lorena, ha perso la vita. Se era davvero incinta, o se lo temeva soltanto, lo stabilirà l’autopsia. Magari esagerava la portata di quei pochi giorni di ritardo in un flusso mensile a cui non aveva ancora avuto il tempo di abituarsi. Magari voleva soltanto chiedere di non essere trattata come un pezzo di carne in cui scaricare a turno le proprie tempeste ormonali, i propri «bisogni» sessuali. Voleva parlare e voleva essere ascoltata. Infatti ci è andata volontariamente, in motorino con quello dei tre che si faceva passare per il suo ragazzo, sul luogo delitto, gli altri due erano su un altro motorino. Come le altre volte? Avrebbe detto: oggi no, oggi non si fa, oggi vi devo dire una cosa importante. Si aspettava, magari, perfino, finalmente, un po’ di considerazione. In quella sub-cultura, fra i maschi siculi, si sa, le donne valgono come orifizi che forniscono piacere. Contano come madri. Rompono se restano gravide e nessuno le vuole. Se rischiano di produrre bambini non voluti, se svelano la tresca con una pancia che cresce, diventano un peso, vanno scaricate. Tali i padri tali i figli: vergini o mignotte, tutte puttane tranne mia madre. Tutte troie tranne mia sorella. È questo il brodo di coltura in cui nuotano i giovani maschi dell’entroterra siciliano. Certo, ci saranno delle eccezioni, ma la maggioranza si forma lì. Nel più perfetto e stagnante maschilismo troglodita.Ma, naturalmente, si tratta pur sempre di ragazzi italiani, ragazzi nati in Sicilia, la nostra bella isola, culla di civiltà e generosa riserva di voti per il centrodestra. Così nessuno arma battaglie, chiede la pena di morte, marcia armato sui luoghi dove vivono gli assassini, propone espulsioni. Così i titoli dei giornali non escono a caratteri di scatola, anzi, la notizia dell’orrendo crimine (una ragazzina violentata ripetutamente, strozzata, bruciata e buttata in un pozzo) incomincia in prima e finisce in cronaca (pagina 18), senza eccessivo clamore, un fatto di nera, come tanti. Così i colpevoli vengono chiamati «balordi», che è un modo minimalista di nominare i criminali. E c’è da aspettarsi tutta la clemenza che riserviamo ai nostri figli: che sono pur sempre dei minorenni... che sono esseri umani ancora in via di formazione... che vanno puniti, ma per educarli... che magari la ragazza era anche consenziente... E comunque sono nati in provincia di Caltanissetta. E le donne le violentano e le ammazzano a casa loro. Quindi fanno meno paura?www.lidiaravera.it
L'Unità, 15.05.08