Cari governanti, basta tagli alla scuola, alla cultura, al sapere, alla ricerca, allo spettacolo, all'istruzione, bisogna investire di più e meglio. I tagli andrebbero fatti, sulle spese militari, sulle armi, sugli sprechi clientelari, di consulenze e di appalti, subappalti, che fanno lievitare i costi a dismisura del lavoro e dei servizi, tagli su spese e sprechi di tanti dirigenti, di aziende di enti pubblici e privati, con stipendi d'oro, milionari. Poi ci vorrebbe una vera lotta all'evasione fiscale, alla fuga illegale di ingenti capitali all'estero, andrebbe messo in atto una strategia seria su tutto il territorio nazionale, per combattere tutte le forme di illegalità, entrerebbero nelle casse dello stato, soldi per poter investire nella produzione di cultura e di lavoro per i giovani. Qualcuno del governo in carica, ha detto che con la cultura non si mangia, io invece dico, che il miglior investimento per una società, per il proprio paese, per il proprio futuro, è nella cultura, nella scuola, nella formazione, nel sapere, nella ricerca.
Per quanto riguarda gli insegnanti di ogni ordine e grado, vanno trattati meglio da chi ci governa, i precari invece di licenziarli, andrebbero gradualmente passati di ruolo, garantendo il buon funzionamento di tutta la scuola, che ce ne siano un numero sufficiente di quelli di sostegno, in classi disagiate, che le classi non siano super affollate, massimo 25 studenti per classe. Lasciatemi che dica a lor signori che stanno al governo, che i precari è una parte migliore della società, le parti peggiori sono altre, le mafie, le corruzioni, il malaffare, le falsità, le disonestà.
Per gli insegnanti ci vogliono retribuzione più adeguate al loro impegno, va premiato il merito, programmi di lavoro su progetti obiettivi, premi di produttività, per chi si impegna di più e che si tiene aggiornato, chi mette in atto programmi per il diritto allo studio, che diano il massimo per promuovere la scuola, gli studenti, la formazione, il sapere , la cultura, l'istruzione, per far si che ci siano meno bocciati e meno abbandoni, con l'obiettivo di promuovere studenti con una preparazione sempre più elevata.
I genitori degli studenti, secondo me devono essere più protagonisti, all' interno degli organi collegiali della scuola. Partecipare di più, portare le proprie idee, le proprie proposte, suggerimenti, per contribuire a migliorare la scuola, il mondo della cultura, instaurare un confronto costruttivo e propositivo, con gli insegnanti. Gli organi collegiali della scuola, è uno spazio democratico conquistato, bisogna utilizzarlo al meglio, oltre che essere un arricchimento culturale personale, contribuirebbe a dare una mano per migliorare la scuola, sicuramente sarebbe un bene per i nostri figli.
Cari studenti di ogni ordine di scuola, siate attivi, siate protagonisti del vostro futuro, adoperate tutti i mezzi democratici a disposizione, per far sentire la propria voce, le vostre idee, le vostre proposte, le vostre ragioni, dialogo e confronto costruttivo con tutti, in T.V, radio, manifestazione pacifiche, stampa, internet, telefonini, dovete essere più impegnati all'interno del mondo della scuola, per costruire un futuro migliore, pieno di valori veri, di cultura, di sapere, di creatività, un mondo in cui finita la scuola, tutti possano avere un posto di lavoro dignitoso.
Cari cittadini, tutti insieme alziamola testa, facciamo sentire la nostra voce, se non ora quando?
Assieme alla società civile, alle associazioni di volontariato, ai sindacati, diamoci con coraggio da fare, con più impegno, con più responsabilità, la ricchezza della democrazia e la partecipazione, per contribuire a costruire una scuola, un istruzione, all'altezza di una società complessa e moderna, promuovere il diritto allo studio e sia garantito a tutti i cittadini, promuovere la cultura, il sapere, la ricerca, in tutte le direzioni, battersi perchè ci siano meno tagli e più investimenti, in ogni settore in ogni luogo della nostra bella Italia, come punto robusto e sano riferimento abbiamo la nostra meravigliosa costituzione italiana, che è una delle migliori del mondo.
Francesco Lena
domenica 24 luglio 2011
giovedì 21 luglio 2011
Legalità economica: territorio, impresa e sviluppo. Il video della tavola rotonda: Lo Bello, Cantone, Ciotti, Sorrentino, Camusso
L'intervento di Ivanhoe Lobello
L'intervento di Raffaele Cantone, magistrato
L'intervento di Don Luigi Ciotti, presidente di Libera
L'intervento di Serena Sorrentino, segretaria CGIL
L'intervento di Susanna Camusso, segr. generale CGIL
L'intervento di Raffaele Cantone, magistrato
L'intervento di Don Luigi Ciotti, presidente di Libera
L'intervento di Serena Sorrentino, segretaria CGIL
L'intervento di Susanna Camusso, segr. generale CGIL
Legalità: la CGIL ha lanciato la campagna contro l'economia illegale e per rilanciare il Paese
Susanna Camusso |
Serena Sorrentino |
Una campagna che lancia una sfida particolarmente “impegnativa” in un momento di crisi economica e sociale, ma anche etica e morale come quello che sta attraversando l'Italia. Una crisi che verrà ancora una volta pagata dai “soggetti più deboli”, lavoratori e pensionati, come previsto dalla manovra correttiva, secondo la CGIL “ingiusta e iniqua”, che il Governo si appresta a varare in questi giorni. A tal proposito, Sorrentino reclama scelte diverse “che non producano riduzione dei diritti delle persone”, perchè con le risorse provenienti dall'economia illegale si potrebbe varare, sottolinea la dirigente sindacale “una manovra di segno diverso e che guardi allo sviluppo”. Tutto ciò, prosegue Sorrentino, sarebbe il segnale di “una svolta ideologica, culturale e politica che fa della legalità, del rispetto delle regole e dei diritti, un approccio diverso alle politiche di sviluppo e di crescita”. Ed è proprio questo uno dei principali impegni che la CGIL vuole assumere con la campagna sulla legalità: “lavorare per un'altra manovra economica che abbia un senso e un carattere maggiormente equitario e redistributivo”.
Quella che oggi la CGIL ha lanciato, sottolinea Sorrentino “non è uno 'spot', ma una vera e propria campagna, che si occupa dell'intero ciclo del processo economico” e con la quale si vuole aggredire, attraverso il rilancio della contrattazione aziendale, territoriale e nazionale quei fronti in cui “il controllo di legalità è più necessario e dove è più eversivo il processo di deregolazione e deregolamentazione che il governo in questi anni ha portato avanti”. Un processo che, avverte la dirigente sindacale “rende meno certi i diritti del lavoro, crea quelle 'zone grigie' in cui è più semplice la penetrazione delle organizzazioni criminali nel mondo dell'economia legale e rende le lavoratrici e i lavoratori meno liberi e i cittadini meno sicuri”.I bambini protagonisti della campagna sulla legalità economica della CGIL. Sono i volti di cinque bambini che pongono, a modo loro, delle “semplici domande” ai genitori sui temi della legalità, i protagonisti della campagna lanciata oggi. “Papà, ma il denaro sporco perchè non si lava?”, “Papà, perchè hai un caporale se non sei un soldato?” e ancora, “Mamma, ma i prodotti falsi dicono le bugie?”, questi sono alcuni degli interrogativi attraverso i quali i bambini affrontano con una “spiazzante ingenuità” temi di riflessione molto importanti. Secondo il sindacato infatti, è proprio dalle nuovissime generazioni che bisogna partire per guardare al fututo e costruire un paese diverso. I bambini, spiega Sorrentino, “sono la proiezione del nostro futuro, il cammino e l'approdo finale della nostra campagna”. Ma la dirigente sindacale sottolinea con forza come, soprattutto in questo momento, siano i lavoratori e le lavoratrici a dover costruire le basi per il cambiamento, mettendo in campo azioni concrete e coerenti rispetto all'assunzione della legalità come principio che fonda la nostra coesistenza civile e sociale, anche come risposta – conclude Sorrentino - alla politica degenerativa dei diritti che il governo porta avanti”.
Per queste ragioni la CGIL, in collaborazione con l'Istituto superiore per la formazione (ISF), avvierà un progetto formativo rivolto a circa 100 delegati sindacali con l'obiettivo di costituire un nucleo di esperti su norme, procedure e regolamentazioni in tema di legalità e avviare una prima ricognizione di tutta la contrattazione, accordi e protocolli di legalità. Uno strumento che, secondo il sindacato, può contribuire fattivamente alla lotta alle mafie e all’illegalità: “la scelta di esercitare in campo economico e produttivo trasparenza e legalità garantisce sul lungo periodo – afferma la Confederazione - qualità all’intero processo, che si declina in qualità del lavoro e delle produzioni”. Dunque quello che la CGIL vuole dare è un contributo per “rendere libero il lavoro dalle maglie dell’illegalità e occuparsi così del futuro del Paese”.
mercoledì 20 luglio 2011
Palermo ricorda Via D'Amelio. Fini: "Via i sospettati dai partiti"
Il presidente Fini commemora Borsellino |
La giornata si era aperta con la deposizione di alcune corone di fiori da parte del presidente della Camera, Gianfranco Fini e del ministro degli Interni Roberto Maroni.
"I partiti sono tenuti a svolgere un'opera di pulizia al loro interno". Così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel corso della commemorazione della strage di via D'Amelio in cui 19 anni fa morirono il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Fini è intervenuto nell'aula magna del palazzo di giustizia di Palermo. "Nella battaglia contro la criminalità organizzata - ha detto - quello politico è un fronte decisivo. È un fronte che passa sia per l'attività di governo e per quella legislativa sia per la forza di mobilitazione dell'opinione pubblica. Passa soprattutto per la capacità degli stessi partiti di fare pulizia al proprio interno eliminando ogni ambigua zona di contiguità con la criminalità e il malaffare".
Anche il ministro degli Interni, Roberto Maroni, è giunto a Palermo per commemorare il magistrato. Il ministro ha deposto una corona di fiori degli uffici del reparto scorte della caserma Lungaro. Al termine della cerimonia Maroni ha incontrato in forma privata per alcuni minuti i familiari delle vittime della strage, la moglie Agnese e il figlio Manfredi Borsellino con la famiglia, e i parenti della scorta del magistrato.
La visita del ministro si è conclusa con un vertice in prefettura sul tema della sicurezza. All'incontro presenti, tra gli altri, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, il procuratore di Palermo Francesco Messineo, il presidente della Corte d'appello, Vincenzo Oliveri, il procuratore generale Luigi Croce, il presidente del tribunale Leonardo Guarnotta, il prefetto Umberto Postiglione, il questore Nicola Zito, il comandante generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli, i vice capo della polizia Nicola Izzo e Francesco Cirillo e i vertici provinciali e regionali dei carabinieri e della guardia di finanza.
Non si placa intanto la polemica tra i familiari del giudice e i rappresentanti delle istituzioni. Replicando alle critiche mosse sia dal figlio del magistrato ucciso, Manfredi Borsellino, che dal fratello Salvatore secondo cui non sarebbe opportuna la presenza di rappresentanti istituzionali "perché è stata una strage di Stato", il presidente della Camera Fini ha detto: "Sono qui perché sono alla ricerca della verità, altrimenti non sarei venuto". Poco prima in via D'Amelio era stato diffuso uno striscione dei giovani del movimento delle Agende rosse: "No corone di Stato per una strage di Stato".
"Sono qui perché ancora non è stata fatta giustizia e non è stata fatta luce sulla verità", ha detto Salvatore Borsellino in via D'Amelio. Anche il figlio di Paolo Borsellino, Manfredi ha chiesto verità sui depistaggi.
VIDEO Jovanotti ai ragazzi di Palermo: "Non dimenticate"
Il messaggio del presidente Napolitano. Questa mattina il presidente della Repubblicalica Giorgio Napolitano ha inviato alla signora Agnese Borsellino un messaggio, in cui ricorda che la strage rappresentò il culmine di una delle fasi più gravi della criminalità organizzata contro le istituzioni democratiche: "L'attentato volle colpire sia un simbolo della causa della legalità sia un uomo che stava mobilitando le migliori energie della società civile dando a esse crescente fiducia nello stato di diritto. A diciannove anni di distanza, il sacrificio di Paolo Borsellino richiama la magistratura, le forze dell'ordine e le istituzioni tutte a intensificare - con armonia di intenti e spirito di effettiva collaborazione - l'azione di contrasto delle mafie e delle sue più insidiose forme di aggressione criminale". Come i figli di Borsellino, anche Napolitano auspica una risposta di verità e giustizia su quanto accaduto.
FOTO Al tribunale il mosaico delle vittime della mafia
L'attentato. Era il 19 luglio. Quel giorno Borsellino, dopo avere pranzato con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, stava andando dalla madre, che abitava in via D'Amelio, a Palermo. Ad attenderlo c'era una Fiat 126 con circa 100 chili di tritolo. Una strage messa a segno 57 giorni dopo quella in cui perse la vita il suo amico e collega Giovanni Falcone.
Gli interventi. Nel corso delle celebrazioni il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha deposto una corona sulla lapide in memoria degli agenti uccisi dalla mafia al reparto scorte della caserma Lungaro di Palermo.
Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha rievocato le doti del magistrato: la grande dedizione, la passione civile, l'ostinata coerenza; doti che hanno rafforzato la volontà di chi vuole proseguire nel cammino di legalità da lui tracciato.
Bersani. "La memoria di Borsellino è viva negli italiani", così Pier Luigi Bersani, segretario del Partito democratico. "Siamo tutti consapevoli - spiega - che Borsellino servì lo Stato con onestà e rigore, a difesa dei valori della legalità e della giustizia. Una comunità che si dovesse privare di questi valori, finirebbe con il minare le fondamenta della nazione".
"Nei momenti più difficili e tragici della sua storia - prosegue Bersani - il nostro Paese ha spesso trovato la via per emanciparsi, tributando in quel modo il migliore omaggio ai propri caduti. Anche oggi dobbiamo trovare questa forza e l'esempio di Borsellino ci sostiene. Non c'è altra possibilità - aggiunge - se non quella di ristabilire le basi del vivere civile: onestà, legalità, giustizia. E' necessario uno scatto della classe dirigente per ricostruire un tessuto sociale drammaticamente indebolito e perciò maggiormente esposto al crimine organizzato".
Il segretario del Pd chiede poi gratitudine per il "lavoro della magistratura, delle forze dell'ordine e di tutti coloro che sono in prima fila nella lotta alle tante mafie che continuano ad esercitare la loro ipoteca sul futuro del Paese. Non riesco a vedere altro modo per rispettare la memoria di uomini come Paolo Borsellino. Concludo rivolgendo un pensiero partecipe e commosso alle famiglie dei caduti in via D'Amelio".
Vendola. "'Il tritolo di Cosa nostra squarciò il cuore della democrazia italiana rivelò la capacità delle organizzazioni mafiose di ipotecare pesantemente la vita pubblica e sociale del nostro Paese. È necessario dare una risposta chiara", lo ha dichiarato il segretario di Sinistra ecologia e libertà, Nichi Vendola. "Senza questa opera di verità - ha aggiunto - e di conseguente bonifica morale, le commemorazioni degli eroi dell'antimafia, sono solo processioni di parole inutili e di retorica melensa".
La Repubblica, 19 luglio 2011
martedì 19 luglio 2011
Lettera a Borsellino di Antonio Ingroia: “Caro Paolo, ti scrivo…”
Antonio Ingroia |
A 19 anni da via D'Amelio, i magistrati che hanno lavorato con Borsellino hanno letto in pubblico le loro lettere al collega ucciso da Cosa Nostra: "Se tu vedessi l'Italia di oggi resteresti impressionato per il puzzo del compromesso morale, ma saresti felice dei tanti giovani liberi che vogliono verità"
Caro Paolo, sono passati 19 anni da quel maledetto 19 luglio 1992. 19 anni che mi manchi, che ci manchi, che non ti vedo più, che non ti incontriamo più. E mi colpisce che 19 sono anche gli anni che ci dividevano: infatti ora ti ho raggiunto, ho la tua stessa età. Gli stessi 52 anni che avevi tu quando sei morto ed è singolare, un segno del destino beffardo, il fatto che mi ritrovo alla tua stessa età, nello stesso posto da te ricoperto (Procuratore Aggiunto alla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo). Del resto, in questi 19 anni non ho fatto altro che inseguirti: inseguire la tua ombra, inseguire le tue orme, inseguire il tuo modello, inseguire la tua carriera (insieme a Marsala ed insieme da Marsala a Palermo, e poi fino al posto di Procuratore Aggiunto a Palermo), ma la cosa che ho più inseguito di te è stata un'altra: la Verità sulla tua morte.
Cercando di ispirarmi ai tuoi insegnamenti: inseguire la Verità, cercarla, lottare per trovarla, senza mai rassegnazione, anzi quasi con ostinazione. Perché non posso rassegnarmi all'ingiustizia di una verità dimezzata e quindi incompiuta, e perciò negata. Perché la piena verità sulla tua morte terribile è sempre stata negata. Finora.
Ma a quella verità ho diritto come tuo allievo e come tuo amico, e ne hanno ancor più diritto i tuoi figli, tua moglie, i tuoi fratelli. E non solo i tuoi parenti, anche gli italiani onesti, di ieri e di oggi. E quella verità – lo sento – si avvicina, anno per anno, momento per momento. La verità rende liberi, ma bisogna essere liberi per poter conquistare la verità. Tu avevi un'ossessione per la verità, specie sulla fine di Giovanni Falcone, il tuo migliore amico, quasi un fratello, e anch'io ho una specie di ossessione – lo confesso – per la verità sulla tua morte. Certo, se tu vedessi l'Italia di oggi resteresti impressionato per il puzzo del compromesso morale, ma saresti felice dei tanti giovani liberi che vogliono verità. Dai quindi a loro e a noi ancora più energia e convinzione per vincere, per prevalere su chi non è libero, su chi non vuole la verità.
Noi possiamo dirti, ed io in particolare ti assicuro che faremo, che farò di tutto per trovarla questa verità. E con la verità verrà la giustizia. Il tuo esempio, il tuo modello ci aiuterà, così farai giustizia attraverso tutti noi. Sarà un modo di averti sempre fra noi, perché così, fra noi, ti abbiamo sentito in questi 19 anni, ed ancor più ti sentiremo, convinti di poterti sentire, da domani in poi, in un'Italia più giusta, in un'Italia più uguale. Più libera nella verità. Perché la verità rende liberi. La giustizia rende eguali. E noi vogliamo come te un'Italia più libera e più giusta. Un'Italia senza mafie e senza corruzione. Per rivederti sorridere. Per rivedere sul tuo volto quel tuo sorriso inconfondibile, il sorriso con il quale mi salutasti l'ultima volta che ci incontrammo, quel pomeriggio di metà luglio in Procura. Lo stesso sorriso che hai regalato ai tanti che ti hanno conosciuto, ti hanno apprezzato, ti hanno amato. I tanti dell'Italia migliore.
Hanno letto in via D'Amelio, a pochi passi dal luogo in cui un'autobomba lo uccise il 19 luglio del 1992, una lettera dedicata a Paolo Borsellino. Quattro magistrati che hanno lavorato con Borsellino, che lo hanno conosciuto, che hanno imparato da lui i primi segreti delle indagini antimafia, la voce rotta dall'emozione, e spesso interrotti dagli applausi, hanno raccontato il loro Borsellino privato e pubblico.
Antonio Ingroia, il "pupillo", che da giovane magistrato ha lavorato prima a Marsala e poi a Palermo, fino a quel maledetto 19 luglio, ha raccontato i suoi primi passi da "giudice ragazzino" fino ad oggi, procuratore aggiunto a Palermo, l'incarico che il suo maestro aveva quando venne ucciso.
Nino Di Matteo, oggi sostituto procuratore titolare della delicata inchiesta sulla trattativa tra Cosa nostra e pezzi dello Stato - che sta portando alla riscrittura di parte della verità su quella strage- ha ricostruito i suoi primi giorni da magistrato a Caltanissetta, titolare delle indagini sulla strage di via D'Amelio dove vennero uccisi pure i cinque poliziotti della scorta di Borsellino.
L’Espresso, 19 luglio 2011
mercoledì 13 luglio 2011
Successo di vendite del libro "Addio Mafia"
Il libro Addio Mafia, dopo il successo di vendite, torna in tutte le edicole della provincia di Agrigento e approda anche nelle province di Palermo e Trapani.
Dopo lo straordinario successo di vendite dei primi mesi torna in edicola e in libreria la seconda edizione di “Addio Mafia. Luigi Putrone racconta se stesso”. Il libro-intervista al collaboratore di giustizia, scritto dai giornalisti Gerlando Cardinale e Gero Tedesco, torna in tutte le edicole della provincia di Agrigento e approda anche nelle edicole delle province di Palermo e Trapani. Il libro, edito da Fuoririga, contiene due prefazioni di eccezione firmate dal giornalista e scrittore Gaetano Savatteri, caposervizio del Tg5, e da Antonio Nicaso, giornalista e saggista ritenuto uno dei maggiori esperti al mondo di criminalità organizzata.Addio Mafia si può acquistare anche su internet all’indirizzo www.fuoririga.com.
In “Addio mafia – Luigi Putrone racconta se stesso” viene ripercorsa la storia di Cosa nostra agrigentina: si parla di vecchi e nuovi boss, delle guerre tra mafia e stidda che hanno insanguinato la provincia, dei primi pentiti agrigentini, dell’operazione Akragas, di boss e killer latitanti. Ma soprattutto viene analizzata a fondo la storia di Luigi Putrone, intervistato dai due cronisti in una località segreta. L’ex killer di Cosa Nostra racconta le tappe della sua vita: dall’affiliazione alla latitanza per finire con l’arresto, la detenzione in carcere, dove si trova tuttora, e la scelta di collaborare con la giustizia.
Di particolare interesse, per sfatare il “mito” del boss, l’intervista realizzata da Cardinale e Tedesco a Luigi Putrone che, dopo essere stato uno spietato killer e anche carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo, avviò e sancì quella che secondo gli autori è “una redenzione sincera”, con il boss che rinnega il suo passato. Putrone, catturato in Repubblica Ceca dopo molti anni di latitanza, nel libro lancia precisi messaggi contro la mafia e invita i giovani a non accettare qualsiasi lusinga dal turpe mondo della criminalità organizzata. È un volume che dalla viva voce del famigerato protagonista racconta un pezzo della storia di Cosa Nostra siciliana, ma fa venire fuori principalmente un messaggio sociale positivo: con l’invito agli italiani a non prestare il fianco alla mafia in alcun modo. L’incontro fra gli autori del libro e l’ex boss di Cosa Nostra ha avuto il consenso del Servizio Centrale di Protezione e la positiva e preziosa collaborazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Si tratta di un’opera, quindi, di una grande importanza storica e sociale.
“Nel libro di Gero Tedesco e Gerlando Cardinale, Putrone – scrive nella prefazione Antonio Nicaso – ricostruisce gli anni del terrore e del sangue in provincia di Agrigento, ma soprattutto chiarisce le ragioni per le quali ha deciso a parlare con la giustizia. Ora chiede perdono. E la sua testimonianza assume un valore rilevante, perché contribuisce a spazzare i tanti luoghi comuni sulla mafia e sui mafiosi. Tedesco e Cardinale non si limitano a dare voce all’ex boss di Cosa nostra, ma guidano anche il lettore attraverso la storia vissuta da Putrone, raccontandone fatti e misfatti, senza indulgenza, né accondiscendenza, ma con la lucidità dei veri cronisti. È un libro che aiuta a capire il grande inganno delle mafie, le false illusioni, i miti dell’uomo d’onore e la retorica del rispetto”.
“L’intervista a Luigi Putrone fatta da Tedesco e Cardinale è agghiacciante – scrive Gaetano Savatteri nella sua prefazione -. Ancor di più, dopo averne riletto il profilo criminale. Quest’uomo dagli occhi freddi, dalle mani grandi e dal passato carico di omicidi è stato, purtroppo, uno dei protagonisti della storia sociale della nostra provincia. Non è stato il solo: tanti altri nomi di killer, di trafficanti, di boss si allineano in questo libro. E’ un libro che aiuta a tenere a mente, sempre, qual è la scelta giusta”.
Dopo lo straordinario successo di vendite dei primi mesi torna in edicola e in libreria la seconda edizione di “Addio Mafia. Luigi Putrone racconta se stesso”. Il libro-intervista al collaboratore di giustizia, scritto dai giornalisti Gerlando Cardinale e Gero Tedesco, torna in tutte le edicole della provincia di Agrigento e approda anche nelle edicole delle province di Palermo e Trapani. Il libro, edito da Fuoririga, contiene due prefazioni di eccezione firmate dal giornalista e scrittore Gaetano Savatteri, caposervizio del Tg5, e da Antonio Nicaso, giornalista e saggista ritenuto uno dei maggiori esperti al mondo di criminalità organizzata.Addio Mafia si può acquistare anche su internet all’indirizzo www.fuoririga.com.
In “Addio mafia – Luigi Putrone racconta se stesso” viene ripercorsa la storia di Cosa nostra agrigentina: si parla di vecchi e nuovi boss, delle guerre tra mafia e stidda che hanno insanguinato la provincia, dei primi pentiti agrigentini, dell’operazione Akragas, di boss e killer latitanti. Ma soprattutto viene analizzata a fondo la storia di Luigi Putrone, intervistato dai due cronisti in una località segreta. L’ex killer di Cosa Nostra racconta le tappe della sua vita: dall’affiliazione alla latitanza per finire con l’arresto, la detenzione in carcere, dove si trova tuttora, e la scelta di collaborare con la giustizia.
Di particolare interesse, per sfatare il “mito” del boss, l’intervista realizzata da Cardinale e Tedesco a Luigi Putrone che, dopo essere stato uno spietato killer e anche carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo, avviò e sancì quella che secondo gli autori è “una redenzione sincera”, con il boss che rinnega il suo passato. Putrone, catturato in Repubblica Ceca dopo molti anni di latitanza, nel libro lancia precisi messaggi contro la mafia e invita i giovani a non accettare qualsiasi lusinga dal turpe mondo della criminalità organizzata. È un volume che dalla viva voce del famigerato protagonista racconta un pezzo della storia di Cosa Nostra siciliana, ma fa venire fuori principalmente un messaggio sociale positivo: con l’invito agli italiani a non prestare il fianco alla mafia in alcun modo. L’incontro fra gli autori del libro e l’ex boss di Cosa Nostra ha avuto il consenso del Servizio Centrale di Protezione e la positiva e preziosa collaborazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Si tratta di un’opera, quindi, di una grande importanza storica e sociale.
“Nel libro di Gero Tedesco e Gerlando Cardinale, Putrone – scrive nella prefazione Antonio Nicaso – ricostruisce gli anni del terrore e del sangue in provincia di Agrigento, ma soprattutto chiarisce le ragioni per le quali ha deciso a parlare con la giustizia. Ora chiede perdono. E la sua testimonianza assume un valore rilevante, perché contribuisce a spazzare i tanti luoghi comuni sulla mafia e sui mafiosi. Tedesco e Cardinale non si limitano a dare voce all’ex boss di Cosa nostra, ma guidano anche il lettore attraverso la storia vissuta da Putrone, raccontandone fatti e misfatti, senza indulgenza, né accondiscendenza, ma con la lucidità dei veri cronisti. È un libro che aiuta a capire il grande inganno delle mafie, le false illusioni, i miti dell’uomo d’onore e la retorica del rispetto”.
“L’intervista a Luigi Putrone fatta da Tedesco e Cardinale è agghiacciante – scrive Gaetano Savatteri nella sua prefazione -. Ancor di più, dopo averne riletto il profilo criminale. Quest’uomo dagli occhi freddi, dalle mani grandi e dal passato carico di omicidi è stato, purtroppo, uno dei protagonisti della storia sociale della nostra provincia. Non è stato il solo: tanti altri nomi di killer, di trafficanti, di boss si allineano in questo libro. E’ un libro che aiuta a tenere a mente, sempre, qual è la scelta giusta”.
martedì 12 luglio 2011
ECCO L'ELENCO ARRESTATI
Di Gaetano Vincenzo, un altro arrestato |
03. ABBATE Luigi, nato Palermo 12 lug 74, capo della famiglia mafiosa di “Borgo Vecchio”;
04. ADAMO Giovanni, nato Palermo 20 mag 71;
05. ANNATELLI Vincenzo, nato Liegi 04 mag 78;
06. BARONE Francesco, nato Palermo 10 giu 84;
07. BELLINO Giuseppe A. Domenico, nato Palermo 09 apr 75;
08. BERTOLINO Antonino, nato Palermo 19 nov 55;
09. BERTOLINO Michele, nato Palermo 29 mar 81;
10. CASTELLO Giovanni, nato Torino 02 giu 75;
11. COSTA Alessandro, nato Palermo 16 ago 84;
12. D’AMBROGIO Salvatore, nato Palermo 05 lug 68;
13. GIARDINA Luigi, nato Palermo 04 apr 83;
14. LA MATTINA Giuseppe, nato Palermo 16 ago 73;
15. LAREDDOLA Maurizio, nato Palermo 13 mag 63;
16. LONGO Alessandro, nato Palermo 19 giu 83;
17. MARTORANA Gioacchino, nato Palermo 24 apr 62;
18. MIRINO Salvatore, nato Palermo 18 mar 67;
19. MORFINO Mariano, nato Palermo 18 ago 67;
20. OROFINO Giuseppe, nato Palermo 08 feb 81;
21. DI GAETANO Vincenzo, nato Palermo 18 feb 54;
22. SANSONE Alessandro, nato Palermo 10 ago 89;
23. SASSO Raffaele, nato Palermo 17 giu 67;
24. TARANTINO Giovanni, nato Palermo 04 gen 62;
25. SCOZZARI Giampiero, nato Palermo 23 gen 74;
26. SULEMAN Paolo, nato Palermo 20 lug 76;
27. VIVIANO Marcello, nato Palermo 14 dic 73;
28. ZIZO Giuseppe, nato Palermo 12 lug 74;
29. CHIARELLO Francesco, nato Palermo 05 mag 80;
30. LA TORRE Nunzio, nato Palermo 26 set 86;
31. VULLO Vincenzo, nato Palermo 31 mag 74;
32. PUCCIO Gianfranco, nato Palermo 21 set 73;
33. MENDOLA Valerio Marco, nato Palermo 27 lug 83;
34. DOLCE Serafino, nato Palermo 22 mar 81;
35. PARISI Gaspare, nato Palermo 29 giu 77;
36. PARRINO Ivano, nato Palermo 02 lug 79;
37. INGRASSIA Salvatore, nato Palermo 04 giu 65, in atto detenuto;
38. BURGIO Filippo, nato Palermo 14 gen 72, in atto detenuto;
39. BONGIORNO Carmelo, nato Palermo 29 nov 89, in atto detenuto.
PASOLINI E LA TELEVISIONE
Pierpaolo Pasolini |
AA. VV. PASOLINI E LA TELEVISIONE. A cura di Angela Felice. Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia. Marsilio Editori, Venezia 2011, pp.263.
Il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia, in stretta collaborazione con l’Associazione Fondo Pasolini della Cineteca di Bologna, ha organizzato nel 2009 un Convegno per mettere a fuoco un tema particolarmente attuale che ha occupato gran parte dell’opera di uno dei più grandi intellettuali del secolo scorso. Il volume intitolato Pasolini e la televisione, pubblicato da Marsilio nel maggio scorso, oltre a raccogliere gli Atti del memorabile Convegno, offre una ricca e, in parte, inedita documentazione che può diventare la base di un serio rilancio del dibattito intorno alla controversa figura del poliedrico autore che sarebbe ora di liberare dal suo personaggio, come giustamente auspicato dalla curatrice del libro, Angela Felice, nella sua incisiva presentazione:
icona e mito che si presta all’agiografia acritica da santino, come pure allo scavo voyeuristico nella biografia dell’uomo. Occorrerà invece ricorrere a lui, e alla sua debordante militanza e creatività di scrittore , artista, pensatore e cineasta – anima e corpo da intellettuale radicale e mai chierico traditore – come a una monumentale testimonianza recuperabile in assenza di lui. E che perciò ci parla e ci interroga: perché sottolinea ancora di più il vuoto del presente e quello che avremmo potuto essere, anche con la sua ispirazione, e che invece non siamo diventati e non siamo. ( A. Felice, op. cit., pag.7)
Basta dare un’ occhiata all’indice del libro per farsi un’idea della profondità e dell’ampiezza dei contributi critici presenti e del carattere inedito di alcuni documenti pubblicati. La prima parte del volume affronta di petto il rapporto dialettico avuto da Pasolini, fin dagli anni cinquanta, con la televisione. Nella prima sezione studiosi di formazione diversa si confrontano su un tema tipicamente pasoliniano: Televisione e omologazione. Nella seconda si scandaglia, in modo inconsueto, lo sguardo critico dello scrittore sulla televisione. Particolarmente lucidi ed originali gli interventi di Bruno Voglino, che svela l’ amore negato tra il poeta e la TV, e di Gian Paolo Gri che individua nel metodo dell’ osservazione partecipante e nel rimpianto per l’ origine punti di contatto tra Pasolini e Lèvi-Strauss.
Oltremodo interessante, dal nostro punto di vista, la terza sezione che mette a fuoco l’influenza avuta dalla televisione nella mutazione della lingua italiana. Vincenzo Orioles, Alberto A. Sobrero, Michele A. Cortelazzo ricostruiscono sapientemente il contesto che contribuì a generare il saggio pasoliniano Nuove questioni linguistiche dell’autunno del 1964. Vincenzo Oriales, in specie, si sofferma ad analizzare uno degli ultimi interventi pubblici di Pasolini, generalmente trascurato dalla critica, la lezione-dibattito tenuta al Liceo Palmieri di Lecce intitolata Il volgar eloquio, oggi disponibile anche nel suo formato sonoro.
Le altre tre sezioni analizzano puntualmente tutti gli interventi televisivi di Pasolini, dal suo dialogo con Ezra Pound all’intervista di Enzo Biagi, compresi i suoi sporadici interventi nella televisione francese e tedesca. Un capitolo è dedicato, inoltre, all’analisi del modo in cui la televisione italiana ha rappresentato il delitto Pasolini. Particolarmente ricca l’ultima sezione dedicata alle testimonianze e agli sguardi in diretta; quì spicca, su tutti, l’intervento di Giuseppe Bertolucci e Carlo di Carlo che spiegano il metodo seguito per la ricostruzione del documentario intitolato La rabbia di Pasolini. In appendice si trova inoltre una telegrafia degli interventi televisivi del poeta ed una bibliografia essenziale degli scritti di P. P. Pasolini sulla televisione.
Per concludere ci piace fare nostre le parole tratte da uno degli interventi più belli contenuto nel libro:
Pasolini aveva letto troppo attentamente Gramsci (a differenza di tanti intellettuali di Sinistra snobisticamente distratti in proposito) per non rendersi conto dell’importanza della televisione e, siccome era anche uno dei pochi a sapere cos’è il popolo, era perfettamente in grado di valutare l’influenza politica, morale, culturale esercitabile ed esercitata sulle masse dalla televisione. (B. Voglino, op.cit., pag 47).
FRANCESCO VIRGA
lunedì 4 luglio 2011
La Sicilia pericolosamente bloccata
di Agostino Spataro Da troppo tempo, la Sicilia è ferma; ostaggio del conservatorismo dei suoi gruppi dominanti. Questo è il nodo politico centrale che, però, nessuno dei responsabili è disposto ad ammettere e, soprattutto, ad affrontare. Anzi, guai a chi fa notare le vistose crepe di questo mostruoso edificio del potere costruito intorno alla Regione. Ferma, per modo di dire. In realtà, va indietro, si allontana dagli standard raggiunti da altre regioni, non solo del centro nord. Sì, perché nelle dinamiche economiche e sociali la fissità non esiste: chi sta fermo viene sorpassato da altri che camminano. E così vediamo l’Isola, le sue belle province, quasi sempre precipitate al fondo di tutte le classifiche statistiche. Senza che succeda nulla. Il vero dramma della Sicilia sta anche in questa mancanza di percezione, di reazione, di opposizione. I giovani, invece di reagire, se ne vanno, dolenti e rassegnati, in cerca di un lavoro degno, di luoghi di studio e di cura più idonei al bisogno. Restano i figli dell’illegalità, della raccomandazione, del clientelismo deteriore. La Sicilia sembra fatta per loro. Solo per loro.
Il processo ha radici vecchie, ma oggi stanno venendo al pettine tutti i nodi, irrisolti o rinviati; si sta toccando il limite estremo, oltre il quale il sistema può esplodere. Pessimismo o specchio della realtà? Ognuno può farsene un’idea da se, guardandosi intorno. A cominciare dalla morta gora in cui è caduta la politica siciliana che, se non ci fosse qualche arresto eccellente, batterebbe la fiacca.
Spiace rilevarlo, ma questa è la sensazione più diffusa fra la gente. Un clima pesante che coinvolge e connota i comportamenti di quasi tutto il corpo politico e parlamentare di maggioranza e d’opposizione. In tutto ciò gravissima è la responsabilità di chi, per sopravvivere, ha stravolto la corretta dialettica democratica ed elettorale e anche di chi si è lasciato stravolgere, allettato dalla partecipazione a queste giunte senza né testa né coda. Lo dico chiaro: l’avere infilato il Pd in questo tunnel oscuro non è solo un errore di valutazione politica, ma una grave responsabilità strategica che rischia di bruciare ogni possibilità di cambiamento imperniata sul centro-sinistra e sostenuta da un ampio schieramento di forze e di gente per bene.
E’ tempo che gli strateghi comincino a rispondere delle loro azioni all’opinione pubblica, ai tanti interrogativi che molti militanti si pongono. Se la pallina erratica del “terzo polo” dovesse, infine, fermarsi sulla ruota di Alfano, fiammante segretario del Pdl, cosa farà il Pd? Affronterà, da solo o con Lombardo (visto che Idv e sinistra rifiutano ogni ipotesi di collaborazione col governatore) la battaglia elettorale contro il clientelismo scientifico alla catanese e il sistema di potere vigente alla Regione? Domande, nodi politici che si sperava venissero sciolti nell’attesissima assemblea regionale del partito democratico e per altri versi nella convention ri-fondativa del Mpa. Purtroppo, l’assise del Pd ha deciso di non decidere su nulla. E’ prevalso il solito metodo del temporeggiamento, della strizzatina d’occhio, del silenzio in attesa di…. nomina. Insomma, un capolavoro di doroteismo realizzato da manovratori adusi a tali pratiche, come ai vecchi tempi democristiani. Da Catania, in verità, di nuovo c’era poco d’attendersi. Il governatore ci ha abituati a queste rifondazioni annuali, auto celebrative, che non modificano di una virgola il suo disegno di conquista di nuove quote di potere e di galleggiamento del suo governo di turno. Il cambiamento? Sarà per un’altra volta. D’altra parte, in Sicilia, il cambiamento, quando si è verificato, non sempre è andato nella direzione del progresso, della legalità. Perciò un po’ tutti lo temono, anche coloro che sinceramente lo desiderano. Oltre la contingenza, in taluni settori della cultura e della politica siciliane c’è un quid che emana il lezzo rancido di una resistenza, tenace e diffusa, al cambiamento. Taluni partiti e loro rappresentanti alla regione, dietro lo scudo corroso dell’Autonomia, si comportano come un formidabile blocco conservatore. Per conservare cosa? Forse, la scandalosa gestione del bilancio regionale emersa, l’altro ieri, dall’impietosa analisi della Corte dei Conti? La Sicilia è come sequestrata dal conservatorismo dei suoi ceti dominanti. Per liberarla ci vogliono riforme vere ossia capaci di modificare lo stato di cose presenti e di spostare in avanti il ruolo delle forze sane e fattive, anche imprenditoriali, modificando a loro favore i rapporti di forza nelle istituzioni, nell’economia e nella società. Come fare? Difficile rispondere.Per affrontare questa bella prospettiva è necessario uno sforzo concreto di autorigenerazione dei partiti. In mancanza, i siciliani onesti dovrebbero decidersi a uscire dal guscio dell’individualismo e del timore reverenziale, dal recinto di militanze abitudinarie e ininfluenti e insieme ritrovarsi in campo aperto, a Palermo e nell’intera Sicilia, per fare quel che si è fatto a Milano e perfino a Napoli.
Agostino Spataro
Il processo ha radici vecchie, ma oggi stanno venendo al pettine tutti i nodi, irrisolti o rinviati; si sta toccando il limite estremo, oltre il quale il sistema può esplodere. Pessimismo o specchio della realtà? Ognuno può farsene un’idea da se, guardandosi intorno. A cominciare dalla morta gora in cui è caduta la politica siciliana che, se non ci fosse qualche arresto eccellente, batterebbe la fiacca.
Spiace rilevarlo, ma questa è la sensazione più diffusa fra la gente. Un clima pesante che coinvolge e connota i comportamenti di quasi tutto il corpo politico e parlamentare di maggioranza e d’opposizione. In tutto ciò gravissima è la responsabilità di chi, per sopravvivere, ha stravolto la corretta dialettica democratica ed elettorale e anche di chi si è lasciato stravolgere, allettato dalla partecipazione a queste giunte senza né testa né coda. Lo dico chiaro: l’avere infilato il Pd in questo tunnel oscuro non è solo un errore di valutazione politica, ma una grave responsabilità strategica che rischia di bruciare ogni possibilità di cambiamento imperniata sul centro-sinistra e sostenuta da un ampio schieramento di forze e di gente per bene.
E’ tempo che gli strateghi comincino a rispondere delle loro azioni all’opinione pubblica, ai tanti interrogativi che molti militanti si pongono. Se la pallina erratica del “terzo polo” dovesse, infine, fermarsi sulla ruota di Alfano, fiammante segretario del Pdl, cosa farà il Pd? Affronterà, da solo o con Lombardo (visto che Idv e sinistra rifiutano ogni ipotesi di collaborazione col governatore) la battaglia elettorale contro il clientelismo scientifico alla catanese e il sistema di potere vigente alla Regione? Domande, nodi politici che si sperava venissero sciolti nell’attesissima assemblea regionale del partito democratico e per altri versi nella convention ri-fondativa del Mpa. Purtroppo, l’assise del Pd ha deciso di non decidere su nulla. E’ prevalso il solito metodo del temporeggiamento, della strizzatina d’occhio, del silenzio in attesa di…. nomina. Insomma, un capolavoro di doroteismo realizzato da manovratori adusi a tali pratiche, come ai vecchi tempi democristiani. Da Catania, in verità, di nuovo c’era poco d’attendersi. Il governatore ci ha abituati a queste rifondazioni annuali, auto celebrative, che non modificano di una virgola il suo disegno di conquista di nuove quote di potere e di galleggiamento del suo governo di turno. Il cambiamento? Sarà per un’altra volta. D’altra parte, in Sicilia, il cambiamento, quando si è verificato, non sempre è andato nella direzione del progresso, della legalità. Perciò un po’ tutti lo temono, anche coloro che sinceramente lo desiderano. Oltre la contingenza, in taluni settori della cultura e della politica siciliane c’è un quid che emana il lezzo rancido di una resistenza, tenace e diffusa, al cambiamento. Taluni partiti e loro rappresentanti alla regione, dietro lo scudo corroso dell’Autonomia, si comportano come un formidabile blocco conservatore. Per conservare cosa? Forse, la scandalosa gestione del bilancio regionale emersa, l’altro ieri, dall’impietosa analisi della Corte dei Conti? La Sicilia è come sequestrata dal conservatorismo dei suoi ceti dominanti. Per liberarla ci vogliono riforme vere ossia capaci di modificare lo stato di cose presenti e di spostare in avanti il ruolo delle forze sane e fattive, anche imprenditoriali, modificando a loro favore i rapporti di forza nelle istituzioni, nell’economia e nella società. Come fare? Difficile rispondere.Per affrontare questa bella prospettiva è necessario uno sforzo concreto di autorigenerazione dei partiti. In mancanza, i siciliani onesti dovrebbero decidersi a uscire dal guscio dell’individualismo e del timore reverenziale, dal recinto di militanze abitudinarie e ininfluenti e insieme ritrovarsi in campo aperto, a Palermo e nell’intera Sicilia, per fare quel che si è fatto a Milano e perfino a Napoli.
Agostino Spataro
Mafie e narcoeconomy. Le democrazie possono vincere gli imperi della droga o ne resteranno preda?
Carlo Ruta |
di Alessandro Zardetto
Il 22 giugno è arrivato in tutte le librerie Narcoeconomy, il nuovo libro del giornalista e storico Carlo Ruta. Un testo inedito, tra saggio e inchiesta (192 pagine, edito da Castelvecchi RX), che racconta del più grande e redditizio business delle mafie: il narcotraffico. L'analisi di Ruta parte da un dato particolarmente allarmante: nell'attuale crisi globale, l'unica attività economica che continua crescere e a garantire utili è proprio quella legata al traffico e alla produzione di droga. Tutti i piani di contrasto messi in atto dai governi mondiali, infatti, stanno fallendo mentre aumentano i capitali a disposizione degli imperi criminali.
Secondo lei, il potere delle mafie quanta influenza ha sulle scelte delle maggiori democrazie?
L’influenza delle mafie tende ad aumentare per un fatto soprattutto economico: i business criminali sono in crescita, e tanto più lo sono quelli delle droghe, perfino incentivati dalla crisi, che spinge ai margini e alla disperazione le aree sociali più deboli. A fronte di una recessione che negli anni scorsi ha colpito le attività produttive di numerosi i paesi, ricchi e poveri, il narcotraffico va ponendosi quindi come economia di sostegno. Il dato, clamoroso, è stato ammesso addirittura da Antonio Maria Costa, direttore dell’Unodc, l’Ufficio antidroga dell’ONU, con stime e dati. Secondo Costa nei mesi clou della recessione ben 325 miliardi di dollari ricavati dalla droga sarebbero affluiti a grandi gruppi bancari del Regno Unito, della Svizzera e italiani. In sostanza, il salvataggio di queste banche sarebbe stato sostenuto dalle narcomafie. Basta allora questo dato per comprendere i poteri di ricatto sulle democrazie dell’Occidente di cui i signori della droga dispongono oggi.
In base ai dati che ha raccolto, può quantificare la rendita del narcotraffico? Negli anni come si è evoluto questo dato?
Gran parte delle agenzie internazionali concordano nello stimare in circa 500 miliardi di dollari il giro d’affari annuo delle droghe, equivalente al fatturato delle prime sette casa automobilistiche della terra, ma anche a un terzo del Pil dell’intero continente africano. L’evoluzione è rilevabile dalle cifre delle tossicodipendenze, dei sequestri di droghe, dai trend della criminalità. Il narcotraffico negli ultimi due decenni ha invaso regioni che ne erano largamente libere. È emblematico il caso dell’Africa, dove convergono da anni le rotte della coca dall’America Latina, in direzione per l’Europa, e quelle dell’eroina da Oriente. I consumi di hashish e di cocaina hanno conosciuto poi un vero e proprio sprint, mentre, come avverte la stessa Unione Africana, la corruzione dei narcos in Guinea, in Costa d’Avorio e in altri paesi rischia di destabilizzare l’intera regione occidentale del continente, tra le più povere e, politicamente, tra le più deboli. Il business si è consolidato intanto nell’est europeo, a partire dalla Russia, dove, come denunciato dal Servizio federale per il controllo degli stupefacenti, si contano oltre 2 milioni e mezzo di tossicodipendenti da eroina, e rimane sostenuto nell’Europa occidentale.
Come si spiega tutto questo?
I grandi trafficanti di droga hanno saputo cogliere diverse opportunità. La prima è venuta dalla svolta neoliberista, sostenuta dai rivolgimenti nell’Est sovietico del 1989-1992, che hanno consentito di riorganizzare i traffici tra Oriente e Occidente. La seconda è scaturita dai paradisi d’oltremare, andati in auge ancora negli anni ottanta-novanta, dove trust e gruppi bancari internazionali hanno imparato a interloquire con maggiore stabilità con il mondo dei narcotici, delle armi e del contrabbando. La terza grande occasione è stata offerta, come si diceva, dalla crisi globale, da cui il narcotraffico, che copre circa il 60 per cento di tutti i business fuorilegge, ha tratto vantaggi particolari, grazie soprattutto alla propria facoltà di generare contante.
Secondo lei, fino a oggi i governi sono stati realmente interessati a contrastare il narcotraffico?
I governi, a partire da quelli dei paesi più ricchi, hanno mantenuto fin qui un approccio ostinatamente repressivo, che si è rivelato però del tutto inefficace. L’emergenza è oggi un fatto planetario, e come tale viene riconosciuta. Il caso degli Stati Uniti è istruttivo: circa la metà della popolazione delle carceri federali americane ha compiuto reati di droga. I trend dei consumi restano intanto sostenuti e in alcuni States perfino in crescita. Ciò malgrado si stenta a mettere in discussione il paradigma proibizionista, che è la causa prima dell’attuale situazione. Washington ha dietro una lunga storia di «crociate» contro il narcotraffico, soprattutto quello latinoamericano. Con quali risultati? In Perù, dove sono state condotte operazioni antidroga sin dagli anni cinquanta-sessanta, la produzione di cocaina torna a crescere. Malgrado il Plan Colombia, in atto dai primi anni novanta, nelle aree colombiane si continua a produrre una percentuale alta della coca mondiale. I cartelli di Medellin e Cali sono stati colpiti, pure militarmente, e sono stati bloccati i transiti di cocaina sulla rotta caraibica, ma le centrali del narcotraffico si sono spostate in Messico. Infine, la war on drugs ingaggiata contro i narcos messicani dal governo Calderon, su ispirazione delle amministrazioni americane, ha finito per irradiare la violenza e i business dei cartelli in Honduras, nel Salvador, in Guatemala e in altri paesi della regione centrale. In definitiva, tutto tende al peggioramento.
Perché le amministrazioni di Washington restano legate a questa linea, in America latina?
Le wars on drugs sono l’effetto di un paradigma controverso, ma anche effetto della mentalità militaristica che, tanto più nel secondo dopoguerra, è andata radicandosi nell’establishment statunitense. Indubbiamente esistono motivazioni di sicurezza nazionale. Negli States i consumi di droga nel secondo Novecento hanno superato i livelli di guardia e la situazione rimane critica. Le guerre alla coca sanciscono in ogni caso un potere di fatto. La dislocazione della DEA e di quadri militari in numerosi paesi ha garantito e continua a garantire ai governi americani e al Pentagono un potere reale di controllo sulle politiche dell’intero continente. Gli Stati Uniti hanno sempre considerato i paesi a sud, a partire dalla sponda messicana del Rio Grande, il proprio cortile di casa. La dottrina Monroe, insomma, non è mai venuta meno, e la versione che ne è uscita negli anni della guerra fredda ha partorito, come è noto, autentici mostri: dittature militari, squadroni della morte, stragi, delitti politici seriali. Adesso si tende ad agire diversamente, utilizzando modi e strumenti più limitati, più “tollerabili” e compatibili con le democrazie latinoamericane. Ma il nocciolo politico rimane intatto. È indicativo che paesi come la Bolivia di Evo Morales, l’Argentina di Néstor Kirchner e il Venezuela di Chavez abbiano espulso la DEA e i suoi supporti militari perché ritenuti a capo di attività cospirative.
Negli ultimi anni abbiamo assistito e assistiamo ancora a vere e proprie guerre per il controllo della droga. Quali sono i fronti più caldi? Dopo la morte di Pablo Escobar chi sono i nuovi "Signori della droga"?
Il centro della tensione si è spostato appunto in Messico, dove infuria una vera e propria guerra che per numero di vittime, caratteri e aspetti strategici trova un solo riscontro negli anni più cruenti della Colombia di Pablo Escobar. Quel limite potrebbe essere però già superato. Il Messico per il traffico di coca è divenuto la chiave di tutto. Se prima nei confini di questo paese scorreva il 50 per cento della polvere bianca colombiana destinata agli Stati Uniti, dai primi anni novanta ne transita circa il 90 per cento. I cartelli locali, che hanno assunto il controllo dell’intero ciclo, hanno finito per collocarsi quindi al top del narcotraffico globale. Basti pensare che il solo patrimonio di Joaquin Guzmán Loera, capo del cartello di Sinaloa, viene stimato in oltre un miliardo di dollari. La ricaduta di questo business sull’economia messicana è enorme. I cartelli hanno acquisito banche che riescono a garantire tassi di interesse competitivi rispetto a quelli concessi da banche “regolari”. E sul Prodotto nazionale lordo la coca ha un peso complessivo del 5-6 per cento. In questo senso, Medellin appare lontana. Molte cose sono cambiate dagli anni settanta-ottanta, quando Escobar, insieme con la famiglia Ochoa, faceva le regole della coca su scala mondiale.
E nelle regioni dell’oppio cosa accade? Chi controlla i flussi della droga?
Gli affari degli oppiacei stanno conoscendo una stagione florida, mentre l’Onu sovvenziona i paesi produttori per l’attuazione dei programmi di eradicazione, con risultati mediamente esigui. Al centro di tutto sta l’Afghanistan, da cui si irradia il 90 per cento dell’oppio globale. Sulla rotta più importante, quella della Mezzaluna d’Oro che conduce in Europa, conserva un ruolo determinante la mafya turca, tornata ad agire in profondità dopo che l’incidente di Susurluk del 1996 ne ha rivelato i rapporti con lo Stato. Attiva sulla stessa rotta è la mafia russa, l’Organizatsya, che secondo alcune fonti, giornalistiche e giudiziarie, dopo l’implosione sovietica ha fornito l’assist a numerosi imperi economici “legali”. Ancora su questa rotta fanno business i clan ucraini, kosovari e albanesi. Il Triangolo d’Oro del sud-est asiatico, che negli ultimi anni ha registrato una tenuta relativa delle coltivazioni di oppio e il boom delle droghe sintetiche, in particolare le metanfetamine, rimane infeudato invece alle Triadi, soprattutto a quelle di Hong Kong e Macao, oltre che ai locali signori della guerra. In virtù di tutto questo, la mafya turca, l’Organizatsya e le Triadi, egemoni queste ultime sulle rotte del Pacifico e dell’Oceano Indiano, in direzione degli Stati Uniti e dell’Australia, formano il gotha del traffico di eroina.
Che ruolo svolgono in questa partita le principali associazioni criminali italiane?
La criminalità organizzata italiana vive situazioni differenti. Dalla seconda metà degli anni novanta i clan della Sicilia hanno dovuto fare significativi passi indietro. La sfida militare allo Stato ha determinato troppi arresti, l’irrigidimento del regime del 41bis, la confisca di patrimoni ingenti. È stato inevitabile quindi il ritiro dal grande narcotraffico. Da alcuni anni c’è però voglia di ripresa. Si sta tentando di ricucire, in particolare, i contatti con le famiglie mafiose statunitensi, ma le difficoltà persistono. Di questa situazione ha beneficiato in fondo la ‘ndrangheta, subentrata quale interlocutore strategico dei cartelli colombiani e, dopo, messicani. La mafia calabrese è stata agevolata pure dai sommovimenti geopolitici dell’est nei primi anni novanta, perché ha potuto relazionarsi con i clan balcanici in ascesa, e, più in generale, con quelli che operano sulle rotte della Mezzaluna. Non è tutto perché, come è stato documentato da alcuni osservatori, dopo il 2001 i calabresi hanno guadagnato dalle politiche statunitensi del Patriot Act, le quali, nel colpire i paradisi oceanici, sospettati di collusione con il terrorismo islamico, hanno finito per incoraggiare il riciclaggio, da narcotici e non solo, nei paradisi del Nord Europa, dove le ‘ndrine esercitano da decenni una discreta influenza. Le realtà italiane non fanno comunque storia a sé. Sono parte di un sistema complesso, che ha formato ricchezze criminali notevoli in tutte le latitudini. C’è poi un aspetto che merita di essere sottolineato. I colpi inferti dallo Stato alle mafie storiche stanno offrendo, probabilmente, delle occasioni a realtà di minore profilo. In Sardegna, per esempio, i reati per droga presentano numeri significativi e vige un inedito clima intimidatorio. In evoluzione appare poi la situazione nel Lazio, Roma inclusa, dove negli ultimi due anni sono avvenuti sequestri ingenti di cocaina.
Nel suo libro c'è una interessante parte dedicata all'America Latina. Ha intervistato alcuni importanti giornalisti che si occupano da sempre di Narcos e democrazia. Che idea si è fatto a proposito?
Come detto, il continente ha vissuto il Novecento nella morsa di regimi illiberali. E tanti intellettuali sono riusciti a rappresentare con pienezza le istanze civili delle popolazioni, rivendicando il rispetto dei diritti e della dignità umana. Di qui la motivazione a far parlare alcuni esponenti emblematici di questo mondo. Si tratta di Gustavo Gorriti, già direttore de «La Prensa» di Panama, coeditore in Perù del giornale «Repubblica» e collaboratore del «New York Times», il docente colombiano Omar Rincón, direttore del Ceper, dell’Universidad de los Andes, e lo scrittore uruguaiano Raúl Zibechi. Hanno espresso punti di vista differenti, perché differenti sono le loro storie. È comune comunque il convincimento che l’America latina sia ancora lontana dall’uscita del tunnel, per il persistere delle disuguaglianze sociali, e, più ancora, per le umiliazioni che continua a subire dall’altra America.
Omar Rincón parla di narcoestetica, un concetto inedito per l’Italia. Di cosa si tratta di preciso?
Si tratta della cultura della droga che si è insinuata nel vivo delle società in Colombia, in Messico, in altri paesi del continente, distante da quella andina legata alla foglia di coca, che gode di una tradizione millenaria. È l’etica della ricchezza e dell’autoaffermazione a qualsiasi costo, che pone il denaro al centro di tutto. La narcoestetica, che si manifesta attraverso la musica, il teatro, il cinema, le telenovelas e altre forme artistiche, è espressione del narcosistema, valutato da Rincón come fattore di mobilità, di riscatto economico sociale, in un mondo che regge su disuguaglianze ataviche. Viene ravvisata come emblematica al riguardo la vicenda di Pablo Escobar, su cui esiste una vasta letteratura agiografica in tutto il continente. Per le popolazioni dell’America latina, tanto più per i ceti più svantaggiati, Escobar rimane l’eroe per eccellenza. E lo stesso modello propone Joaquin Guzman, leggenda del Messico profondo, dei giovani che, allontanatisi dalla povertà delle zone rurali, aspirano a migliorare radicalmente la loro condizione, facendosi largo a colpi di mitra.
Secondo lei, esiste un modo reale per contrastare i traffici illegali di droga?
Esiste ed è realizzabile. Si tratta della legalizzazione del consumo di droghe, reclamato da tempo da numerose agenzie nazionali e internazionali. Pure per effetto della crisi, in questa direzione stanno avvenendo fatti significativi. In America latina la Commissione sulle Droghe e la Democrazia, guidata da tre ex capi di Stato, Cardoso, Gaveria e Zedillo, propone di trattare il consumo di droghe come problema sanitario anziché criminale. La Commissione dell’Unione Europea si è detta interessata a ridiscutere il paradigma. Richieste di legalizzazione, sostenute anche da ambienti moderati e perfino tradizionalisti, vanno sommandosi poi nel Regno Unito e negli stessi Stati Uniti, mentre la Commissione dell’Unione Africana, per voce del suo presidente Jean Ping, continua a denunciare i danni che il narcotraffico sta provocando all’intero continente. Serie perplessità insorgono inoltre negli ambiti proibizionisti, inclusi quelli più accesi. Nell’ultimo rapporto dell’U.S. Government Accountability Office sulle wars on drugs in America latina si parla di una guerra perduta, a fronte dei miliardi di dollari erogati ai paesi produttori di cocaina. E questo convincimento, secondo un recente sondaggio, è condiviso dal 71 per cento dei cittadini statunitensi. In definitiva, mentre il ricatto criminale diventa sempre più oneroso, le comunità e numerose realtà pubbliche s’interrogano su cosa fare. La posta in gioco è altissima. Negli anni trenta la fine del proibizionismo degli alcolici indusse Lucky Luciano, Meyer Lansky e altri grandi gangster a investire sull’eroina, ritenuta allora l’affare del futuro. Oggi una riconversione del genere sarebbe impossibile, perché le droghe formano il business illegale supremo. Allo stato delle cose, sopra di esse non c’è nulla. Sugli imperi criminali il cambio di paradigma potrebbe avere quindi effetti devastanti. Ma gli Stati sono disposti ad azzardare, ad andare fino in fondo?
Operazione Estate Sicura. Controlli dei Carabinieri nelle località turistiche e marine: 30 persone denunciate
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I Carabinieri della Stazione di Villagrazia di Carini, hanno sorpreso unitamente a personale della vigilanza privata del centro commerciale “Poseidon” due giovani incensurati di Torretta, L.T., nato a Palermo, classe 1993 e G.S., nato a Carini, classe 1995, dopo che avevano superato le barriere varco dell’uscita senza acquisti. A seguito di perquisizioni i due compagni di merenda sono stato trovati in possesso di alcuni capi di abbigliamento griffati, appena rubati all’interno dell’ipermercato “Auchan”. L’intera refurtiva per un valore complessivo di circa 100 euro recuperata è stata restituita ai responsabili del centro commerciale. Per quanto invece riguarda l’attività strettamente legata alla verifica del rispetto delle norme del Codice della Strada, da registrare l’utilizzo “massiccio” da parte dei militari dell’esame dell’alcol test a mezzo etilometro, che a portato a nr. 18 deferiti all’Autorità Giudiziaria per guida in stato di ebbrezza alcolica e al contestuale sequestro dei mezzi.
Nel corso dei numerosi posti di controllo attuati dai militari dell’Arma sono stati controllati diversi conducenti di ciclomotori e motocicli, e nonostante le varie campagne di sensibilizzazione, ben 145 sono le trasgressioni rilevate ed i conducenti di motocicli e ciclomotori sorpresi alla guida dei loro mezzi senza il casco, altri senza averlo allacciato regolarmente e contestuale fermo amministrativo dei mezzi per la durata di 60 giorni e la sanzione amministrativa di 74,00 euro. Nr. 2 denuncie per l’utilizzo di polizze falsificate e nr. 3 denunciati per guida senza patente mai conseguita, nr. 1 per possesso di armi ed oggetti atti ad offendere, nr. 1 denunciato sorpreso alla guida di un veicolo sottoposto a sequestro e sprovvisto di copertura assicurativa, per un totale di 145 mezzi controllati, nr. 19 patenti e nr. 30 carte di circolazione ritirate, nr. 41 i mezzi sottoposti a fermo amministrativo. Nell’ambito sempre di tali attività i militari dell’Arma hanno controllato diversi locali d’intrattenimento quali pub e pizzerie, chioschetti e paninerie lungo il litorale di Carini, Capaci, Cinisi, Isola delle Femmine, Terrasini, Sferracavallo e Mondello verificando le licenze e la salubrità dei luoghi nonché le autorizzazioni comunali e demaniali in concessione per gli spazi all’aperto sino a Ficarazzi, Porticello, Santa Flavia, Trabia e Bagheria, per un totale di nr. 64 esercizi pubblici controllati. Nelle aree del carinese, i Carabinieri della locale Compagnia, hanno denunciato all’Autorità Giudiziaria nr. 2 commercianti per aver organizzato abusivamente serate danzanti non autorizzate e per violazione delle prescrizioni della licenza del Questore.
Contestualmente sono state elevate sanzioni amministrative per mancata installazione apparecchiatura misurazione tasso alcolemico presso un esercizio pubblico; serata danzante abusiva presso un’abitazione privata; per violazione delle prescrizioni di licenza del Questore, art. 17 Tulps) ad una discoteca; serata danzante abusiva presso un lido balneare. Nel corso dei controlli, venivano altresì sanzionati 6 persone per esercizio abusivo di parcheggiatore abusivo. Nr. 349 sono state le persone controllate dall’arma territoriale, sottoposte alla misura cautelare degli arresti domiciliari e alla sorveglianza speciale, senza registrare alcune violazioni, grazie agli incessanti controlli.
In relazione ai furti di energia elettrica sono state denunciate nr. 03 persone, allacciate abusivamente alla rete elettrica pubblica e per aver depotenziato il contatore. Due casi di furto aggravato di energia elettrica sono stati registrati in Bolognetta e Villabate, dove i rispettivi proprietari, a seguito di verifica effettuata dai Carabinieri delle locali stazioni, unitamente a personale specializzato della società Enel, hanno scoperto allacci abusivi alla rete pubblica. Pertanto sono stati denunciati due disoccupati, identificati in C.E., nato Palermo classe 1984, incensurato di Bolognetta e R.A., nato Palermo classe 1990, pregiudicato di Villabate (PA).
A Palermo, i Carabinieri della Stazione Scalo, unitamente a personale della società Enel, hanno denunciato per il reato di truffa B.V., nata a Palermo, classe 1987, del luogo, titolare di un’attività alimentare sita in via Montegrappa, che a seguito di accertamento, sul contatore aveva realizzato una manomissione affinché registrasse solo il 40% dell’energia effettivamente erogata.
Non è mancato il contrasto al mercato degli stupefacenti e nell’ambito di questa attività sono stati segnalati nr. 8 giovani all’Ufficio Territoriale del Governo quali assuntori, sorpresi con modesti quantitativi di sostanza stupefacente per complessivi: gr. 8 tipo “hashish”; “marijuana” gr. 5; “cocaina “gr. 3; “eroina gr. 1, sottoposta a sequestro.
I relazione ai reati ambientali, due sono state le persone denunciate a Cinisi dai Carabinieri della locale Stazione, per illecito trasporto di rifiuti pericolosi: G.I., nato a Carini, classe 1980, e D.R., classe 1965 del luogo per deposito abusivo di materiale edile e per la produzione di calce, senza autorizzazione.
Palermo, 03 luglio 2011
domenica 3 luglio 2011
Gli affari dei nuovi corleonesi
Giuseppe Grizzaffi |
L’informativa del Ros del 16 dicembre 2009 evidenziava un interessante colloquio registrato il 24 giugno 2008 nella Casa circondariale di Termini Imerese tra Francesco Grizzaffi (già condannato per l’estorsione del mangimificio) e sua moglie, Anna Lucia Maniscalco. Nel corso del dialogo, la donna, informava il marito che la cognata Gaetana Anna Spadafora (moglie di Mario Salvatore Grizzaffi) e probabilmente il figlio di Toto Riina, si erano appropriati delle somme estorte a Romeo senza dividerle con tutti gli altri familiari. Lucia: “dice che questi… Sono tutte cose sue… E dice che se li doveva prendere lei… E voleva questi soldi… eh… (inc. a bassissima voce) noialtri… se li è presi e se li è messi in tasca…” – poi continua “Se li è presi e non ha dato niente a nessuno… dice che erano suoi… tuo cugino è uscito… dice no… quelli sono i nostri… Se li sono divisi lui e lei…. Giuseppe così mi ha detto… si sono presi metà l’uno”.
Sembra inoltre che la mafia nutrisse un interesse per la Alizoo che non si limitava alla messa a posto, ma che vi esercitasse un’influenza diretta, che andava dalla designazione dei fornitori, all’assunzione del personale: dal 2007 al 2008 Alessandro Correnti prestò servizio nella ditta. C’e un fatto: la società di Romeo si trova posizionata in una zona che formalmente ricade nel territorio di Monreale, ma che in realtà risulta vicina al territorio di Corleone, essendo ubicata al km 44 sulla strada provinciale San Cipirello – Corleone. Vi sono stati disquisizioni e scontri in Cosa Nostra sulla gestione di un’attivita al crocevia. L’11 gennaio 2010 Nicolò Romeo, fratello e socio di Salvatore, viene assassinato. I carabinieri di Monreale il 14 gennaio 2010, intercetteranno una conversazione telefonica tra Salvatore Romeo e un suo conoscente, Angelo Bellini, il quale lo aveva chiamato per porgergli le condoglianze: Bellini: “Buongiorno, niente ho saputo ieri sera…”Romeo: “Purtroppo siamo a Palermo e quindi lei capisce il motivo per cui… Perché non gli basta che un cristiano va a pagare, ma deve sapere a chi… secondo me…. poi certo prove, prove non ne abbiamo”.
Un delitto che nemmeno Alessandro Correnti e Gaetano Riina riuscivano a spiegarsi. Due mesi dopo l’omicidio, veniva registrata una loro conversazione. In particolare, Riina lasciava intendere che seppure adottando tutte le cautele necessarie aveva cercato di acquisire notizie sul delitto e su chi avesse dato il permesso di compierlo. L’agguato aveva comunque creato imbarazzo nella famiglia di Corleone. Romeo pagava il pizzo e, dunque, andava protetto.
LiveSicilia, 3 luglio 2011
Il procuratore Francesco Messineo: «Quella dei “corleonesi” è una famiglia ad intensa vocazione criminale»
Totò Riina |
«La vecchia mafia non ha alcuna intenzione di ritirarsi. E tanto meno il nucleo familiare di Salvatore Riina. Nonostante la repressione delle forze dell'ordine, i processi e le condanne a pesantissime pene detentive, c'è tra questi personaggi mafiosi una perdurante, intensa vocazione a proseguire nelle attività criminali». C'è una punta di amarezza nelle parole del procuratore Francesco Messineo. Non si contano le indagini e gli arresti degli ultimi anni a carico della cosca corleonese, eppure i «peri 'ncritati» continuano a dettare legge. Se ci fossero ancora dei dubbi tra gli inquirenti, i risultati dell'inchiesta «Apice» li hanno spazzati via. Diciotto anni dopo la clamorosa cattura di «Totò u curtu» e cinque dopo quella di Bernardo Provenzano in contrada «Montagna dei Cavalli», Corleone resta infatti la «capitale» della mafia siciliana e quindi dell'intero Pianeta. Con un ruolo di preminenza - spiega il procuratore - del «nucleo familiare di Riina», che sarebbe stato certamente ancora maggiore se le bufere giudiziarie non l'avessero travolto. A partire da Giovanni, il maggiore - dopo Maria Concetta - dei quattro figli di Totò Riina e Ninetta Bagarella, che sta scontando l'ergastolo per vari omicidi commessi insieme con lo zio Leoluca Bagarella a Corleone. Come hanno riferito diversi collaboratori, «Gianni» - che oggi ha 35 anni - era destinato a raccogliere lo scettro del padre e sarebbe stato lui il nuovo capo dei capi di Cosa nostra se non fosse finito in cella. Lo zio - hanno spiegato i collaboratori - lo stava «educando» a prepararsi all'incarico a cui lo aveva designato suo padre. Anche l'altro maschio di casa Riina, Giuseppe Salvatore, è in carcere dove sta scontando una condanna a 8 anni per associazione mafiosa. Quanto alle ragazze, Maria Concetta ha avuto qualche guaio giudiziario mentre Lucia, la più piccola dei fratelli Riina, non è stata mai coinvolta in alcuna indagine. È per queste obiettive difficoltà - come risulterebbe da una serie di intercettazioni ambientali - che Gaetano Riina, in attesa di tempi migliori, si sarebbe fatto carico, a 79 anni, del ruolo di capo effettivo, senza esserne stato ufficialmente nominato, del mandamento mafioso di Corleone e di «educatore» dei pronipoti Giuseppe Grizzaffi e Alessandro Correnti. «Noblesse oblige». Gli inquirenti - almeno per il momento, vigendo il segreto istruttorio - non citano il nome di Ninetta Bagarella che, in ogni caso, resta il punto di riferimento del marito, detenuto nel carcere di Opera e sottoposto al regime del 41 bis che gli dovrebbe impedire qualsiasi contatto con il mondo esterno. In fondo, è lei la «memoria storica» - anche per appartenenza ad una rilevante famiglia mafiosa - di quanto è accaduto dentro Cosa nostra nell'ultimo cinquantennio. Fatto sta che i «corleonesi» continuano a dettare legge. Con un ruolo preponderante che si è affermato nei primi anni '60 del secolo scorso, in occasione della guerra di mafia tra i Greco e i La Barbera. Un conflitto da cui emerge unico vincitore Luciano Liggio, insieme con i suoi luogotenenti Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. È in quegli anni che "Lucianeddu", dopo avere eliminato il 2 agosto 1958 il vecchio capomafia Michele Navarra, comincia a tessere la rete di alleanze e di rapporti che porterà il suo clan ad uscire dai confini di Corleone per affermarsi come uno dei più potenti e influenti di Cosa nostra. Con il risultato che Salvatore Riina, nel 1969, fa parte, quale «rappresentante» dello stesso Liggio all'epoca latitante, del triumvirato - insieme con Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti - che gestisce gli affari di Cosa nostra in difficoltà a causa della repressione dello Stato.
Il disegno di supremazia mafiosa perseguito da Liggio è realizzato - dopo il suo arresto a Milano nel 1974 - da Totò Riina. Con determinazione assoluta e senza fermarsi davanti ad alcuno ostacolo. È lui - come hanno riferito decine di collaboratori, da Tommaso Buscetta ad Antonino Calderone - a condurre la strategia che costringerà Cosa nostra, dopo l'ennesima guerra di mafia dei primi anni '80, ad imboccare la strada senza ritorno della sfida allo Stato con l'assassinio di magistrati e investigatori, con le stragi e gli attentati che insanguineranno anche Milano, Roma e Firenze.
Il 15 gennaio del 1993, giorno in cui il Ros scrive la parola «fine» sulla ultra ventennale latitanza di «Totò u curtu», sembra che la storia di Cosa nostra abbia finalmente voltato pagina e che per i famigerati «corleonesi» ed i loro alleati sparsi in tutta la Sicilia sia iniziato un inarrestabile declino. E invece no. «La mafia - aggiunge il procuratore Messineo - continua ad essere uguale a se stessa e non ha la minima intenzione di mutare i suoi comportamenti criminali e di rinunciare ai suoi legami con il territorio. L'inchiesta dimostra che il mandamento mafioso di Corleone continua ad avere una centralità di riferimento per tutte le cosche e questo nonostante Totò Riina sia nell'impossibilità di svolgere effettivamente il ruolo di capo dei capi di Cosa nostra. Pensavamo che fosse cambiato qualcosa. Gaetano Riina, nuovo capo "per rispetto" del fratello in carcere, del mandamento corleonese, è la prova che ci eravamo sbagliati».
La Sicilia, 02/07/2011
sabato 2 luglio 2011
L'arresto di Gaetano Riina. Gli approfondimenti, i retroscena
Gaetano Riina |
L’indagine, iniziata circa 3 anni fa, si proponeva lo scopo di delineare il nuovo assetto del mandamento mafioso di Corleone e delle storiche famiglie che avevano subito durissimi colpi con l’arresto dei capi storici e con il sequestro di numerosi beni, dopo l’operazione Perseo, sempre condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo. Le investigazioni da subito dimostravano la forte influenza di Gaetano Riina il quale, benché residente da anni a Mazara del Vallo, aveva cominciato ad occuparsi degli affari della famiglia mafiosa corleonese. Ulteriori e preziosissimi elementi erano poi emersi all’indomani dell’omicidio di Nicolò Romeo, avvenuto tra Corleone e San Cipirello l’11 gennaio 2010. Romeo era titolare dell’impresa “Alizoo”, attiva nel campo dell’allevamento e macellazione bestiame e sottoposta a estorsione da parte della famiglia mafiosa di Corleone.
Il mandamento mafioso di Corleone è sicuramente uno dei più importanti di tutta la storia di Cosa Nostra. I suoi esponenti per decenni infatti sono stati riconosciuti universalmente al vertice assoluto dell’organizzazione criminale. Riina, Provnzano, Bagarella avevano infatti, sin dagli anni ’60 preso il predominio inizialmente di tutta la provincia di Palermo, scalzando di fatto le famiglie cittadine, e successivamente erano riusciti a rimanere al vertice della commissione regionale. Nemmeno l’arresto del capo, Totò Riina, avvenuto ormai quasi 20 anni fa, aveva deposto i corleonesi che con Leoluca Bagarella prima e soprattutto con Bernardo Provenzano dopo, avevano traghettato la mafia siciliana nel nuovo millennio. La cattura di quest’ultimo, avvenuta nell’aprile del 2006, e l’immensa mole di documentazione probatoria rinvenuta, sembrava aver dato il colpo mortale al clan dei corleonesi. Ma sin dalla cattura di Bernardo Prevenzano era risultato chiaro che costui si avvaleva di una serie di uomini d’onore che agivano indisturbati nella zona di Corleone, e costituivano gli ultimi anelli della catena in grado di condurre fino al latitante. Dall’analisi dei pizzini sequestrati nel covo di Montagna dei Cavalli emergevano moltissimi spunti investigativi, poi confluiti in nuove indagini, dirette ad accertare i nuovi assetti di vertice dell’organizzazione mafiosa, ed i ridisegnati confini dei mandamenti, individuandone i nuovi capi. Dopo l’operazione Perseo, le sorti del mandamento, ma soprattutto della famiglia Riina/Grizzaffi, erano state curate da Gaetano Riina che, forte della sua esperienza e del rapporto di parentela con il capo di cosa nostra, era la persona con il giusto carisma e ascendente per poter rappresentare degnamente Corleone nel rapporto molte volte complicato con gli altri mandamenti della provincia.
L’assenza dei capi storici del mandamento di Corleone, l’inesperienza dei giovani associati quali i nipoti di Riina, Giuseppe Grizzaffi e Alessandro Correnti, avevano rischiato di offuscare la posizione dei corleonesi in seno a “Cosa Nostra”. I soldi delle estorsioni e delle messe a posto non arrivavano più con puntualità e molto spesso vi erano convergenze d’interessi di altre famiglie mafiose su territori di storica competenza di Corleone. Nel corso dell’attività di indagine emergevano contatti tra alcuni familiari di Salvatore Riina e l’azienda ALIZOO TORRE DEI FIORI s.r.l., produttrice di mangimi, pollame e uova, sita in un apice del territorio del Comune di Monreale, fra i Comuni di San Cipirello e Corleone il cui socio nonché fratello del titolare,Nicolò Romeo , fu assassinato nel gennaio 2010. In particolare, emergeva l’influenza che Gaetano RIINA riusciva ad esercitare nel territorio di Corleone, suo luogo di origine, ed in quello di Mazara del Vallo (TP), dove risiede oramai da molti anni, e dove, per quanto riferito da molti collaboratori di Giustizia, il fratello Salvatore aveva trascorso parte della sua latitanza. In tale località Gaetano Riina era entrato in contatto con le diramazioni locali di cosa nostra, svolgendo ruoli ed attività di tipico stampo mafioso, avvalendosi della collaborazione di uomini d’onore della zona tra i quali Giovanni Durante. Inoltre, si acquisivano importanti elementi circa le attività mafiose dei pronipoti di Gaetano Riina, Giusepp Grizzaffi e Alessandro Correnti . In particolare, l’indagine ha consentito di: acquisire concreti elementi di reità per associazione di tipo mafioso nei confronti di: Gaetano Riina per avere fatto parte della famiglia mafiosa di Corleone (paese di origine dell’indagato), partecipando e presiedendo a riservati incontri aventi ad oggetto questioni di estrema rilevanza per l’organizzazione, fungendo da partavoce e consigliere di altri associati, controllando le attività economiche che si svolgevano sul territorio, intervenendo per la realizzazione di diverse estorsioni e distribuendo i proventi estorsivi ai suoi sodali, e per avere altresì apportato similari contributi alla famiglia mafiosa di Mazara del Vallo; di Giuseppe Grizzaffi e Alessandro Correnti, per avere fatto parte della famiglia mafiosa di Corleone partecipando a riunioni, contribuendo alla risoluzioni di controversie in ambito associativo e alle decisioni concernenti l’organigramma della consorteria corleonese, intervenendo nella pianificazione delle estorsioni e gestendo la cassa comune del sodalizio. rivelare un controllo capillare delle attività economiche nel territorio del mandamento di Corleone e in Mazara del Vallo sebbene, per il momento e per una precisa strategia della DDA, sia stato contestato formalmente solo un episodio estorsivo a Gaetano Riina e Giovanni Durante (per avere costretto un commerciante, gestore di un’attività di rivendita all’ingrosso di frutta e verdura operante all’interno del mercato ortofrutticolo di Mazzara del Vallo, mediante minaccia consistita nel prospettargli gravi ritorsioni personali, a versare loro periodicamente somme di denaro).
Da: www.agenparl.it
venerdì 1 luglio 2011
Mafia, in manette il fratello di Totò Riina. “E’ il consigliere del clan di Corleone”
di SALVO PALAZZOLO
Gaetano Riina, 78 anni, è accusato di aver collaborato alla riorganizzazione delle famiglie di Cosa nostra. Risponde anche di estorsione: avrebbe architettato una serie di ricatti a imprenditori che operano nel settore degli appalti pubblici. I carabinieri hanno arrestato anche i due nuovi reggenti della famiglia di Corleone: Giuseppe Grizzaffi e Alessandro Correnti
I giovani mafiosi lo cercavano per un consiglio o per una raccomandazione. E lui non si tirava indietro, come fosse un vecchio padrino, anche se non ha mai avuto una condanna per mafia. Gaetano Riina, il settantottenne fratello minore del più noto Totò Riina, era ormai diventato un punto di riferimento per le nuove leve della mafia siciliana, che stanno cercando di riorganizzarsi dopo gli arresti e le condanne degli ultimi anni. Questo dicono le indagini dei carabinieri del Gruppo Monreale e del Ros, coordinate dal sostituto procuratore di Palermo Marzia Sabella e dall’aggiunto Ignazio De Francisci. Il cognome Riina conta ancora molto: Gaetano avrebbe ereditato dal fratello Totò, in carcere dal 1993, una rete di relazioni e di complicità. Per questa ragione, Gaetano Riina è stato arrestato con l’accusa di associazione mafiosa ed estorsione.
Per quasi due anni gli investigatori dell’Arma l’hanno tenuto sotto controllo, grazie a microspie e a intercettazioni telefoniche. Gaetano Riina abitava a Mazara del Vallo, nel Trapanese, ma si spostava spesso a Corleone. Nella sua città d’origine seguiva passo passo le attività dei due nuovi reggenti: Giuseppe Grizzaffi, 33 anni, figlio di una sorella dei Riina, e il cognato Alessandro Correnti, 39 anni. Anche loro sono finiti in manette questa mattina, con l’accusa di associazione mafiosa. Una quarta ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata notificata a Giovanni Durante, che risponde solo di concorso nell’estorsione contestata a Gaetano Riina, ai danni di un imprenditore del settore ortofrutticolo.
Le indagini
I carabinieri della Compagnia di Corleone hanno seguito praticamente in diretta le ultime mosse di Cosa nostra. I summit, le estorsioni fra Corleone e Mazara del Vallo, e soprattutto la gestione dei proventi degli affari. Una parte dei soldi del pizzo e gli affitti di alcuni immobili intestati a prestanome sarebbero andati direttamente a Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina. Ma è tempo di crisi per Cosa nostra, e la signora Riina si lamentava dell’esiguità della sua rendita, che serviva anche per le spese legali del marito. A tenere la cassa erano Grizzaffi e Correnti, con la supervisione di Gaetano Riina. Anche se per eredità dinastica lo scettro del potere su Corleone sarebbe spettato solo a Grizzaffi, figlio dell’ex reggente, Giovanni, sposato con una delle sorelle Riina. Ma il giovane Giuseppe Grizzaffi veniva ritenuto inadeguato per il ruolo. Anche questo emerge dalle intercettazioni. Neanche i familiari gli perdonavano la sua passione eccessiva per l’alcol. E allora era stato affiancato da Correnti. Intanto, Gaetano Riina continuava ad atteggiarsi a tranquillo pensionato di provincia. Ma ogni tanto partecipava anche a summit mafiosi. E dispensava i suoi consigli, soprattutto per organizzare sempre nuove estorsioni, soprattutto agli imprenditori che operavano nel settore degli appalti pubblici.
Ritratto di famiglia
Il 23 luglio 2008, il fratello di Riina indossò l’abito buono per partecipare alle nozze della figlia più piccola di Totò Riina, Lucia. Quel giorno, a Corleone, Gaetano Riina era sorridente più che mai. Accolse persino i giornalisti, scherzando: "E voi che ci fate qui?". Era ormai diventato il portavoce ufficiale della famiglia. Con tono più severo, nel '93, aveva organizzato un'improvvisata conferenza stampa al palazzo di giustizia di Palermo: "I giornalisti e i pentiti rovinano la gente - aveva detto - . Guardate cosa hanno fatto ad Andreotti: era un uomo di Stato, era l'Italia, era tutto e lo hanno ridotto ad un niente. Voi scrivete, scrivete e nemmeno lo sapete il danno che fate". Era tre mesi dopo l'arresto di Totò Riina. Gaetano Riina non è mai finito in carcere, ma già nei primi anni Ottanta un giudice attento e intelligente gli aveva confiscato un immobile a Mazara del Vallo. Quel giudice era Alberto Giacomelli, fu ucciso quando era ormai in pensione, il 14 settembre 1988: i boss non avevano dimenticato che tre anni prima aveva fatto un affronto al capo di Cosa nostra, indagando sul fratello. Dopo quell'inchiesta, Gaetano Riina è sempre vissuto nell'ombra. Ma la sua condotta apparentemente irreprensibile non gli ha evitato la sorveglianza speciale. Ufficialmente, era solo un agricoltore, ma si dava un gran da fare. Qualche anno fa, la procura regionale della Corte dei Conti scoprì che il fratello del capo dei capi era persino riuscito ad ottenere, dal 1997 al 2004, dei contributi comunitari in ambito agricolo, pur non avendo titolo per chiederli, in quanto sottoposto a misure di prevenzione. E lui fu costretto a restituire poco più di 25 mila euro.
Federalismo criminale
L'anno scorso, il nome di Gaetano Riina era emerso nell'ambito di un'indagine della Dia di Roma sugli affari di 'ndrangheta e camorra a Fondi, dove opera uno dei maggiori poli agroalimentari d'Europa. Le intercettazioni documentarono accordi imprenditoriali tra diverse consorterie criminali: in provincia di Latina c'erano i Tripodo di Reggio Calabria, i Mallardo di Giugliano, i casalesi, e soprattutto alcuni mafiosi trapanesi. "Dall'indagine emergeva un rapporto fiduciarono fra questi siciliani e Gaetano Riina", ha scritto Fabrizio Feo nel suo libro inchiesta (La mafia del camaleonte - Rubbettino editore) sull'ultimo grande latitante di Cosa nostra, il trapanese Matteo Messina Denaro. Nel libro viene raccontata la storia di quella indagine a Fondi, che alla luce degli arresti di oggi assume un importanza davvero particolare. Se lo chiedevano gli investigatori della Dia: "E' solo una coincidenza che Gaetano Riina si sia trasferito da tempo da Corleone a Mazara, nella provincia dove il successore di Riina e Provenzano ha il fulcro del suo potere?"
(La Repubblica, 01 luglio 2011)
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