Il sindacalista della Cgil Pietro Milazzo ha una «condotta socialmente pericolosa». A dirlo è la questura di Palermo, con tanto di avviso orale per l´interessato, convocato venerdì scorso in commissariato per la reprimenda prevista dalla legge del 1956. È stato lo stesso attivista 57 enne, a capo del dipartimento Immigrazione della Cgil Sicilia, a darne notizia, parlando di un «provvedimento che si applica ai mafiosi. Io ho solo fatto presente agli ufficiali di pubblica sicurezza che non solo sono orgoglioso e rivendico in pieno tutto quanto ho fatto in questi anni, ma che ho tutta l´intenzione, pur nel fare opposizione a quest´atto repressivo ed intimidatorio (non tanto e non solo nei miei confronti), di proseguire sulla mia strada sino in fondo. Nessuna misura repressiva può fermare la mia scelta di vita, razionale e viscerale. Non sono e non voglio essere né un eroe, né un martire». L´avviso orale fa riferimento ai precedenti penali degli anni Settanta - «due condanne, nel ‘72 e nel ‘74, ma sottoposte a riabilitazione. Anche di questo se ne occuperanno gli avvocati», precisa Milazzo e alla mobilitazione per l´ultimo Festino: «Si cita il reato di violazione delle disposizioni su riunioni in luogo pubblico», spiega l´interessato. E la denuncia è del 17 luglio. Milazzo - dipendente della biblioteca della Regione, da anni in distacco sindacale - è quindi inserito tra le persone pericolose: per la legge del 1956, se non cambierà condotta, potrebbe finire sotto sorveglianza speciale. A questa può essere aggiunto il divieto di soggiorno nei casi in cui le altre misure di prevenzione non garantiscano adeguatamente la sicurezza pubblica.Per Milazzo è scattato via Internet, attraverso il sito www. kompa. net, un appello di solidarietà che ha come primi firmatari il professore universitario Fulvio Vassallo Paleologo, il presidente del centro Peppino Impastato Umberto Santino, Toni Pellicane e Nino Rocca del Comitato di Lotta per la casa 12 luglio. Domani è prevista anche una conferenza stampa nell´aula del consiglio comunale a sostegno di Milazzo, e qui potrebbero essere annunciate ulteriori forme di mobilitazione. «Questo "avvertimento" - è scritto nell´appello - lede Pietro così come l´intera vita democratica nella nostra città. Lede Pietro perché tratta la sua personale storia di impegno politico e sociale alla stregua della carriera di un criminale. Lede tutti noi perché intacca la libertà di espressione e di dissenso, l´agibilità politica e il diritto di manifestare». E ieri pomeriggio erano già oltre 250 le adesioni raccolte dall´appello.
La reazione di Milazzo è durissima: «L´avviso è un attacco politico ai fermenti che in questa città esistono e resistono ancora, tra diritti sociali, per la casa e dei migranti. L´amministrazione comunale è stata incalzata sull´emergenza abitativa: da oggi (ieri, ndr) le sette famiglie allontanate dallo Zen il 10 settembre sono tornate a "bivaccare", come dice il sindaco, davanti al palazzo delle Aquile, perché il Comune non paga più l´albergo dov´erano ospitate finora. Noi non difendiamo i furbi, che occupano pur avendo altre proprietà a disposizione, ma non accettiamo che si colpisca chi ha occupato anche senza titolo per necessità, come nel caso degli ultimi sbattuti fuori dallo Zen». Scendono in campo anche i segretari di Cgil Sicilia, Italo Tripi, e di Palermo, Maurizio Calà che chiederanno al questore Alessandro Marangoni (che ha firmato la diffida) un incontro per formalizzare la richiesta del sindacato di ritirarlo, parlando di un provvedimento «inopportuno e immotivato. Il ruolo della questura di Palermo - dicono - è stato storicamente un ruolo di mediazione tra le manifestazioni di disagio sociale e i palazzi del potere, spesso sordi a queste rivendicazioni».
(30 settembre 2008)
Per manifestare solidarietà e sostegno:
redazione@kom-pa.net
martedì 30 settembre 2008
mercoledì 24 settembre 2008
Cgil, autunno caldo: «Diritti in piazza»
La Cgil fa partire l'autunno caldo: il 27 settembre il maggior sindacato italiano ha indetto una mobilitazione per chiedere al governo un radicale ripensamento della politica economica, sociale e fiscale. Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, vede l'appuntamento di fine settembre come una tappa di un più ampio percorso: «Il 27 settembre sarà l'avvio di una fase di mobilitazione di cui saranno poi definiti gli sviluppi e le modalità». Il leader della Cgil ha precisato che la manifestazione si svolgerà in tutte le città per chiedere all'esecutivo «un cambiamento di indirizzo della politica economica, sociale e fiscale, secondo gli orientamenti contenuti nella piattaforma sindacale unitaria proposta quasi un anno fa».
Epifani ritiene che le priorità del Belpaese siano, in questo difficile momento, «l'occupazione e il lavoro, le sue condizioni, la sua qualità, la sua sicurezza in una fase di persistente crisi economica». Una difficile situazione in cui il governo, secondo il leader della Cgil, «non è stato in grado di mettere in campo scelte adeguate assumendo, anzi, politiche che inaspriscono le condizioni occupazionali e vanno nella direzione di un indebolimento delle condizioni di lavoro e di una ulteriore erosione del potere di acquisto di lavoratori e pensionati». Addirittura il governo che ha fatto della diminuzione delle tasse il suo cavallo di battaglia aumenta le imposte visto che, per il leader Cgil, «il fisco sta operando maggiori trattenute per 300 euro l'anno». Infine Epifani attacca: «Il governo è robin hood al contrario: preleva dai più poverie non redistribuisce dai più ricchi ai più poveri, ma allarga le distanze sociali».
Le critiche che la Cgil rivolge al governo, e che animeranno le manifestazioni del 27, non si mantengono su un piano generico ma entrano nel merito. Al primo punto ci sono il problema salari e carovita. Per il sindacato di Epifani le politiche del governo Berlusconi riducono il potere d'acquisto di pensioni e salari, non affrontano il disagio sociale, non combattono l'evasione. Aumentano le persone che arrancano, anche a causa dei tagli alle retribuzioni dei lavoratori pubblici e ai rinnovi di contratti con risorse inferiori all'inflazione. Ma la Cgil pone l'accento anche sui tagli al sistema pubblico, in particolare alla sanità ed al sistema di welfare. Inoltre peggiorano le condizioni dei lavoratori e degli immigrati, aumenta la disoccupazione, il precariato e la cassa integrazione per ampi settori produttivi. Il sindacato guidato da Epifani non dimentica nemmeno la scuola e il Sud. Sul primo aspetto, l'indice è puntato contro la riforma Gelmini che ha tagliato più di 8 miliardi alla scuola pubblica, determinando più di 100.000 esuberi ed evidenziando i primi segni di privatizzazione della scuola. E per il Sud vengono tagliati gli investimenti e la realizzazione di infrastrutture.
Alla manifestazione hanno aderito le associazioni dei consumatori Federconsumatori ed Adusbef. Le due associazioni in una nota spiegano di voler partecipare perché «condividiamo pienamente le motivazioni sostenute dalla Cgil, in quanto le misure adottate da questo Governo penalizzano soprattutto le famiglie a reddito fisso, lavoratori e pensionati». Il tema che sta più a cuore alle due associazioni è sicuramente quello del caro vita: «I costanti aumenti di prezzi e di tariffe, che si susseguono incessantemente dal 2002, aggravano fortemente la situazione». Per questo i consumatori invitano i cittadini a partecipare a tutte le iniziative che si terranno nelle diverse città italiane, per costruire «una grande mobilitazione capace di dare finalmente una scossa, affinchè vi sia un cambiamento radicale dell'attuale direzione delle politiche di Governo». Dal mondo politico arriva invece l'adesione di Sinistra Democratica.
L’Unità, 24.09.2008
Epifani ritiene che le priorità del Belpaese siano, in questo difficile momento, «l'occupazione e il lavoro, le sue condizioni, la sua qualità, la sua sicurezza in una fase di persistente crisi economica». Una difficile situazione in cui il governo, secondo il leader della Cgil, «non è stato in grado di mettere in campo scelte adeguate assumendo, anzi, politiche che inaspriscono le condizioni occupazionali e vanno nella direzione di un indebolimento delle condizioni di lavoro e di una ulteriore erosione del potere di acquisto di lavoratori e pensionati». Addirittura il governo che ha fatto della diminuzione delle tasse il suo cavallo di battaglia aumenta le imposte visto che, per il leader Cgil, «il fisco sta operando maggiori trattenute per 300 euro l'anno». Infine Epifani attacca: «Il governo è robin hood al contrario: preleva dai più poverie non redistribuisce dai più ricchi ai più poveri, ma allarga le distanze sociali».
Le critiche che la Cgil rivolge al governo, e che animeranno le manifestazioni del 27, non si mantengono su un piano generico ma entrano nel merito. Al primo punto ci sono il problema salari e carovita. Per il sindacato di Epifani le politiche del governo Berlusconi riducono il potere d'acquisto di pensioni e salari, non affrontano il disagio sociale, non combattono l'evasione. Aumentano le persone che arrancano, anche a causa dei tagli alle retribuzioni dei lavoratori pubblici e ai rinnovi di contratti con risorse inferiori all'inflazione. Ma la Cgil pone l'accento anche sui tagli al sistema pubblico, in particolare alla sanità ed al sistema di welfare. Inoltre peggiorano le condizioni dei lavoratori e degli immigrati, aumenta la disoccupazione, il precariato e la cassa integrazione per ampi settori produttivi. Il sindacato guidato da Epifani non dimentica nemmeno la scuola e il Sud. Sul primo aspetto, l'indice è puntato contro la riforma Gelmini che ha tagliato più di 8 miliardi alla scuola pubblica, determinando più di 100.000 esuberi ed evidenziando i primi segni di privatizzazione della scuola. E per il Sud vengono tagliati gli investimenti e la realizzazione di infrastrutture.
Alla manifestazione hanno aderito le associazioni dei consumatori Federconsumatori ed Adusbef. Le due associazioni in una nota spiegano di voler partecipare perché «condividiamo pienamente le motivazioni sostenute dalla Cgil, in quanto le misure adottate da questo Governo penalizzano soprattutto le famiglie a reddito fisso, lavoratori e pensionati». Il tema che sta più a cuore alle due associazioni è sicuramente quello del caro vita: «I costanti aumenti di prezzi e di tariffe, che si susseguono incessantemente dal 2002, aggravano fortemente la situazione». Per questo i consumatori invitano i cittadini a partecipare a tutte le iniziative che si terranno nelle diverse città italiane, per costruire «una grande mobilitazione capace di dare finalmente una scossa, affinchè vi sia un cambiamento radicale dell'attuale direzione delle politiche di Governo». Dal mondo politico arriva invece l'adesione di Sinistra Democratica.
L’Unità, 24.09.2008
Pizzini, edilizia e investimenti nel calcio. Arrestato il giovane legale dei Lo Piccolo
Marcello Trapani, brillante avvocato e procuratore di giocatori era da poco nel collegiodifensivo dei boss palermitani. Volevano entrare nella società di Zamparini. . Nei guai anche l'ex responsabile del settore giovanile dei rosanero
di SALVO PALAZZOLO
PALERMO - Un giovane e brillante avvocato, Marcello Trapani, gestiva gli investimenti del clan di Salvatore Lo Piccolo, il successore di Bernardo Provenzano alla guida di Cosa nostra palermitana: otto milioni di euro sarebbero dovuti finire nel Veneto, a Chioggia, per la realizzazione di un complesso residenziale. L'anno scorso, era stato arrestato Lo Piccolo, dopo una latitanza durata 25 anni. Adesso, i finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria di Palermo hanno scoperto alcuni degli insospettabili complici. L'indagine coordinata dai pm Domenico Gozzo, Gaetano Paci, Francesco Del Bene, Annamaria Picozzi e dal procuratore aggiunto Alfredo Morvillo ha portato in cella questa mattina non solo Marcello Trapani, 39 anni, accusato di associazione mafiosa, ma anche Giovanni Pecoraro, ex responsabile del settore giovanile del Palermo Calcio: deve rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa, perché avrebbe aiutato i Lo Piccolo nel loro progetto di pilotare i futuri lavori e la gestione del nuovo stadio. Il provvedimento di custodia cautelare firmato dal gip Silvana Saguto è fondato sulle intercettazioni, audio e video, che i finanzieri della Valutaria hanno effettuato nell'abitazione e nello studio dell'avvocato Trapani. Una telecamera nascosta ha ripreso il legale mentre scambia pizzini con uno dei figli di Lo Piccolo, Calogero, appena scarcerato. Di investimenti non parlavano mai, preferivano scrivere. E poi gettavano i bigliettini nell'immondizia. I finanzieri li hanno recuperati e ricomposti. Così è emersa la trattativa che doveva portare i boss ad investire in Veneto. Ma poi, l'arresto dei Lo Piccolo fermò l'affare. Ufficialmente, Trapani era stato nominato dalla famiglia Lo Piccolo dopo l'arresto di Salvatore e del figlio Sandro, nel novembre dell'anno scorso, per rafforzare il collegio di difesa. Il giovane avvocato, appena dal 2003 con la toga in spalla, si era subito distinto: invocando il "legittimo sospetto" della legge Cirami aveva chiesto alla Corte di Cassazione lo spostamento dei processi ai Lo Piccolo in un'altra sede giudiziaria, lontano da Palermo. "Perché qui i giudici sono condizionati dall'opinione pubblica e dai mass media", aveva annunciato. A quel tempo, sostiene la Procura, l'avvocato Trapani era già il più fidato consigliere dei Lo Piccolo. Almeno da due anni. La veloce carriera di Marcello Trapani non era passata davvero inosservata. Ai suoi colleghi, ma anche ai magistrati. Lui, d'altro canto, amava i riflettori, e non solo quelli dei processi importanti. Il legale finito in manette è pure molto noto nel mondo sportivo, perché procuratore di diversi giovani calciatori del Palermo, alcuni dei quali ceduti quest'anno a squadre di serie B. Anche i Lo Piccolo volevano entrare nel mondo del calcio, a tutto campo. Giovanni Pecoraro avrebbe avuto un ruolo persino dell'estorsione che i boss fecero all'imprenditore che stava ristrutturando la villa del calciatore Giovanni Tedesco. E nel natale 2006, i Lo Piccolo non esitarono a inviare una testa di capretto all'allora direttore sportivo del Palermo, Rino Foschi. A quel tempo, Salvatore Lo Piccolo era ormai il nuovo signore della città. Ed era iniziata la sua campagna di intimidazioni, a colpi di attentati incendiari e minacce contro i commercianti e gli imprenditori che non volevano sottostare alla legge di Cosa nostra.
(24 settembre 2008)
(24 settembre 2008)
Sanità regionale, intesa nella notte. Approvato il piano di rientro dell'assessore Russo
Approvato il piano di rientro dell'assessore Russo: taglio alle Aziende sanitarie, ridotte da 29 a 17. Il Garibaldi di Catania è stato accorpato al Cannizzaro, il Civico di Palermo al presidio Ingrassia. Scendono da 5.000 a 3.000 i posti letto in Sicilia. Lombardo: "Un passo avanti verso la riduzione degli sprechi". Adesso l'esame del Governo nazionale
PALERMO - La Giunta regionale di governo ha approvato in nottata lo schema presentato dall'assessore alla Sanità Massimo Russo che prevede la riqualificazione della rete ospedaliera siciliana. La novità fondamentale è rappresentata dal corposo taglio, da 29 a 14, del numero delle Aziende. In particolare, le Ausl restano nove e incorporeranno le aziende ospedaliere delle rispettive province. Le aziende ospedaliere, che attualmente sono 17, diventeranno due: una a Palermo (l'Arnas Civico alla quale viene accorpato il presidio ospedaliero Ingrassia) e l'altra a Catania (unificazione dell'Arnas Garibaldi e dell'azienda ospedaliera Cannizzaro). I Policlinici di Palermo, Catania e Messina si integreranno, sulla base di protocolli d'intesa, con le rimanenti aziende ospedaliere delle tre città.Prevista la riduzione di 5.000 posti letto per acuti tra pubblico e privato con la riconversione di circa 3.000 posti per lungodegenza e riabilitazione. "Grande soddisfazione" è stata espressa questa mattina dall'assessore regionale alla Sanità della Sicilia, Massimo Russo per l'approvazione del piano di rientro della Sanità avvenuta la notte scorsa in Giunta regionale. Russo ha elogiato il "grande senso di responsabilità delle forze politiche che hanno capito che questa sanità non funziona". Quindi, è stata dimostrata "coerenza con il piano di rientro". L'assessore volerà a Roma per presentare al ministro Saconi l'ipotesi per il ripianamento dei debiti. La risposta del Governo, se accettare il piano o inviare unm commissario, arriverà entro il 15 ottobre."Con l'approvazione del piano di contenimento della spesa il governo regionale fa compiere alla sanità siciliana un grande passo avanti verso la riqualificazione la razionalizzazione dei servizi e della spesa. Il nostro sistema sanitario costerà meno e funzionerà meglio". "Questa circostanza ci permette di tagliare quelli che oggettivamente sono gli sprechi per indirizzare maggiori risorse verso le eccellenze" commenta il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, soddisfatto per l' approvazione, entro i termini concordati col governo nazionale, del piano di contenimento della spesa sanitaria. "In questo momento - aggiunge - sento il bisogno di ringraziare gli operatori del mondo della sanità: migliaia di persone che svolgono con scrupolo e coscienza funzioni delicatissime e di cui, troppo spesso e con superficialità, si parla male senza cognizione di causa".
24/09/2008
PALERMO - La Giunta regionale di governo ha approvato in nottata lo schema presentato dall'assessore alla Sanità Massimo Russo che prevede la riqualificazione della rete ospedaliera siciliana. La novità fondamentale è rappresentata dal corposo taglio, da 29 a 14, del numero delle Aziende. In particolare, le Ausl restano nove e incorporeranno le aziende ospedaliere delle rispettive province. Le aziende ospedaliere, che attualmente sono 17, diventeranno due: una a Palermo (l'Arnas Civico alla quale viene accorpato il presidio ospedaliero Ingrassia) e l'altra a Catania (unificazione dell'Arnas Garibaldi e dell'azienda ospedaliera Cannizzaro). I Policlinici di Palermo, Catania e Messina si integreranno, sulla base di protocolli d'intesa, con le rimanenti aziende ospedaliere delle tre città.Prevista la riduzione di 5.000 posti letto per acuti tra pubblico e privato con la riconversione di circa 3.000 posti per lungodegenza e riabilitazione. "Grande soddisfazione" è stata espressa questa mattina dall'assessore regionale alla Sanità della Sicilia, Massimo Russo per l'approvazione del piano di rientro della Sanità avvenuta la notte scorsa in Giunta regionale. Russo ha elogiato il "grande senso di responsabilità delle forze politiche che hanno capito che questa sanità non funziona". Quindi, è stata dimostrata "coerenza con il piano di rientro". L'assessore volerà a Roma per presentare al ministro Saconi l'ipotesi per il ripianamento dei debiti. La risposta del Governo, se accettare il piano o inviare unm commissario, arriverà entro il 15 ottobre."Con l'approvazione del piano di contenimento della spesa il governo regionale fa compiere alla sanità siciliana un grande passo avanti verso la riqualificazione la razionalizzazione dei servizi e della spesa. Il nostro sistema sanitario costerà meno e funzionerà meglio". "Questa circostanza ci permette di tagliare quelli che oggettivamente sono gli sprechi per indirizzare maggiori risorse verso le eccellenze" commenta il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, soddisfatto per l' approvazione, entro i termini concordati col governo nazionale, del piano di contenimento della spesa sanitaria. "In questo momento - aggiunge - sento il bisogno di ringraziare gli operatori del mondo della sanità: migliaia di persone che svolgono con scrupolo e coscienza funzioni delicatissime e di cui, troppo spesso e con superficialità, si parla male senza cognizione di causa".
24/09/2008
lunedì 22 settembre 2008
Porta Pia, Paolo VI più laico di Alemanno
di Vittorio Emiliani
Lì per lì, sabato, guardando il Tg regionale del Lazio, mi sono un po’ stupito vedendo (e non si poteva non vederlo) il possente doppiopetto del vice-sindaco di Roma, Mauro Cutrufo, cinto di fascia tricolore, davanti al monumento che ricorda la storica Breccia di Porta Pia. Sta’ a vedere - mi son detto - che la giunta Alemanno è più sollecita delle amministrazioni di centrosinistra nel ricordare quella data fondamentale. Poi ho capito che, al contrario, Cutrufo celebrava i mercenari pontifici deceduti nell’ultima difesa del papa-re, insomma gli Zuavi. E mi è tornato alla mente che Paolo VI, in ossequio alle direttive del Concilio Vaticano II sull’abbandono da parte della Chiesa di ogni potere temporale, decise motu proprio di non far più celebrare la tradizionale Messa in ricordo di quei caduti contro i bersaglieri del generale Lamarmora. «Lì per lì», commentò Giulio Andreotti ad un dibattito alla Libreria Croce, «ci rimasero un po’ male i discendenti, le famiglie degli Zuavi, che, se ricordo bene, pubblicavano anche un loro bollettino… ».Mauro Cutrufo, evidentemente col beneplacito del sindaco Gianni Alemanno, indossata la fascia tricolore, italiana, ha assistito impavido alla lettura (quindi una cerimonia preparata) dei nomi e cognomi dei mercenari papalini caduti a Porta Pia, effettuata dal generale Antonino Torre dei granatieri, «delegato alla memoria» del sindaco Alemanno. Il quale evidentemente alla «memoria» mussoliniana aggiunge ora quella papalina. Così sindaco e vice-sindaco hanno fatto compiere al Comune di Roma un balzo all’indietro di quasi centoquarant’anni ed hanno offeso in un colpo solo i giovani e i meno giovani che caddero, non soltanto a Porta Pia, dove le perdite furono poche per la flebile resistenza dei papalini, ma nella difesa della Repubblica Romana del 1849 (dove morì, fra gli altri, Goffredo Mameli), hanno offeso il romanissimo Ciceruacchio e il suo figliolo quattordicenne, catturati e messi al muro dagli austriaci dopo lo scioglimento della colonna garibaldina, hanno offeso i perugini insorti trucidati dai pontifici e le camicie rosse che, una ventina di anni dopo, furono massacrate a Monterotondo e a Mentana dalla fucileria francese.Ha ben ragione lo storico Giovanni Sabbatucci a parlare di «aria malsana che arriva dalla celebrazione della Breccia di Porta Pia a rovescio», di provare «brividi» per come viene ormai trattata, pubblicamente, la storia d’Italia. Immaginate se Letizia Moratti, domani, celebrasse non gli eroi delle Cinque Giornate di Milano, non Carlo Cattaneo, ma il generale Radetsky e le sue truppe che repressero nel sangue quei moti unitari (oltre mille furono le condanne a morte, anche se molte commutate in durissimi ergastoli). Del resto, grottescamente, Bossi e i suoi intonano «Va’ pensiero» non sapendo che Giuseppe Verdi, proprio mentre componeva «Nabucco», scriveva ad un amico: l’Italia «dovrà essere libera, una e repubblicana». «Una», capito? Quello che più colpisce è l’incosciente disinvoltura con la quale si ribaltano i fatti che portarono alla faticosa Unità del Paese. Probabilmente il vice-sindaco Mauro Cutrufo voleva, e l’ha avuto, un titolo sui giornali o un servizio sul Telegiornale del Lazio, e per questo ha indossato la fascia tricolore per «celebrare» gli Zuavi pontifici. Bene, la prossima volta indossi una fascia bianca e gialla, quella del papa-re, e subito dopo magari, per ragioni di buon gusto, vada a dimettersi dalla carica. Chissà che non lo reclutino fra le guardie svizzere. Sempre che superi la visita attitudinale.
L’Unità, 22.09.08
Lì per lì, sabato, guardando il Tg regionale del Lazio, mi sono un po’ stupito vedendo (e non si poteva non vederlo) il possente doppiopetto del vice-sindaco di Roma, Mauro Cutrufo, cinto di fascia tricolore, davanti al monumento che ricorda la storica Breccia di Porta Pia. Sta’ a vedere - mi son detto - che la giunta Alemanno è più sollecita delle amministrazioni di centrosinistra nel ricordare quella data fondamentale. Poi ho capito che, al contrario, Cutrufo celebrava i mercenari pontifici deceduti nell’ultima difesa del papa-re, insomma gli Zuavi. E mi è tornato alla mente che Paolo VI, in ossequio alle direttive del Concilio Vaticano II sull’abbandono da parte della Chiesa di ogni potere temporale, decise motu proprio di non far più celebrare la tradizionale Messa in ricordo di quei caduti contro i bersaglieri del generale Lamarmora. «Lì per lì», commentò Giulio Andreotti ad un dibattito alla Libreria Croce, «ci rimasero un po’ male i discendenti, le famiglie degli Zuavi, che, se ricordo bene, pubblicavano anche un loro bollettino… ».Mauro Cutrufo, evidentemente col beneplacito del sindaco Gianni Alemanno, indossata la fascia tricolore, italiana, ha assistito impavido alla lettura (quindi una cerimonia preparata) dei nomi e cognomi dei mercenari papalini caduti a Porta Pia, effettuata dal generale Antonino Torre dei granatieri, «delegato alla memoria» del sindaco Alemanno. Il quale evidentemente alla «memoria» mussoliniana aggiunge ora quella papalina. Così sindaco e vice-sindaco hanno fatto compiere al Comune di Roma un balzo all’indietro di quasi centoquarant’anni ed hanno offeso in un colpo solo i giovani e i meno giovani che caddero, non soltanto a Porta Pia, dove le perdite furono poche per la flebile resistenza dei papalini, ma nella difesa della Repubblica Romana del 1849 (dove morì, fra gli altri, Goffredo Mameli), hanno offeso il romanissimo Ciceruacchio e il suo figliolo quattordicenne, catturati e messi al muro dagli austriaci dopo lo scioglimento della colonna garibaldina, hanno offeso i perugini insorti trucidati dai pontifici e le camicie rosse che, una ventina di anni dopo, furono massacrate a Monterotondo e a Mentana dalla fucileria francese.Ha ben ragione lo storico Giovanni Sabbatucci a parlare di «aria malsana che arriva dalla celebrazione della Breccia di Porta Pia a rovescio», di provare «brividi» per come viene ormai trattata, pubblicamente, la storia d’Italia. Immaginate se Letizia Moratti, domani, celebrasse non gli eroi delle Cinque Giornate di Milano, non Carlo Cattaneo, ma il generale Radetsky e le sue truppe che repressero nel sangue quei moti unitari (oltre mille furono le condanne a morte, anche se molte commutate in durissimi ergastoli). Del resto, grottescamente, Bossi e i suoi intonano «Va’ pensiero» non sapendo che Giuseppe Verdi, proprio mentre componeva «Nabucco», scriveva ad un amico: l’Italia «dovrà essere libera, una e repubblicana». «Una», capito? Quello che più colpisce è l’incosciente disinvoltura con la quale si ribaltano i fatti che portarono alla faticosa Unità del Paese. Probabilmente il vice-sindaco Mauro Cutrufo voleva, e l’ha avuto, un titolo sui giornali o un servizio sul Telegiornale del Lazio, e per questo ha indossato la fascia tricolore per «celebrare» gli Zuavi pontifici. Bene, la prossima volta indossi una fascia bianca e gialla, quella del papa-re, e subito dopo magari, per ragioni di buon gusto, vada a dimettersi dalla carica. Chissà che non lo reclutino fra le guardie svizzere. Sempre che superi la visita attitudinale.
L’Unità, 22.09.08
Corleone. La polpetta avvelenata di Nicolosi, i silenzi imbarazzati di Iannazzo
Il consigliere Colletto non ha mai fatto mistero della sua amicizia (a prova di assessorati, alla luce degli ultimi avvenimenti) con l’ex sindaco di Corleone Nicolò Nicolosi. Che adesso colga l’occasione dell’avvio dei lavori di ammodernamento della SS 118, per ricordare come l’ex sindaco (allora parlamentare nazionale) si sia battuto per la realizzazione di quest’opera, appare comprensibile. Come appare comprensibile che si tolga qualche “sassolino” dalla scarpa, sottolineando gli imbarazzi di Iannazzo e dei suoi Assessori, che stanno realizzando opere i cui finanziamenti erano stati ottenuti da Nicolosi, mentre stanno dimostrando una grande incapacità di ottenere un finanziamento di opere pubbliche che sia uno.
Nel contempo, non è superfluo precisare che l’ammodernamento del tratto Corleone-Marineo della SS 118 si è sbloccato solo quando l’Anas si è convinta a rivedere il progetto originario, rendendolo eco-compatibile. Adesso, però, questo progetto bisogna realizzarlo da Corleone a Marineo e fino a Bolognetta, impedendo che si abbia la “cattedrale nel deserto” del solo 3° lotto, come c’è più di un motivo per temerlo. E non bisogna mai dimenticare che per Corleone e i comuni della zona la vera strada dello sviluppo sarebbe l’ammodernamento della Corleone-S. Cipirello-Partinico. Per realizzare questa arteria bisogna incalzare l’amministrazione provinciale e il presidente Giovanni Avanti. Cari consiglieri provinciali del Collegio, perché non invitarlo ad un pubblico confronto a Corleone?
d.p.
22 settembre 2008
Nel contempo, non è superfluo precisare che l’ammodernamento del tratto Corleone-Marineo della SS 118 si è sbloccato solo quando l’Anas si è convinta a rivedere il progetto originario, rendendolo eco-compatibile. Adesso, però, questo progetto bisogna realizzarlo da Corleone a Marineo e fino a Bolognetta, impedendo che si abbia la “cattedrale nel deserto” del solo 3° lotto, come c’è più di un motivo per temerlo. E non bisogna mai dimenticare che per Corleone e i comuni della zona la vera strada dello sviluppo sarebbe l’ammodernamento della Corleone-S. Cipirello-Partinico. Per realizzare questa arteria bisogna incalzare l’amministrazione provinciale e il presidente Giovanni Avanti. Cari consiglieri provinciali del Collegio, perché non invitarlo ad un pubblico confronto a Corleone?
d.p.
22 settembre 2008
SICILIA, UN FEDERALISMO A LA CARTE
di Agostino Spataro
Avremo, dunque, un federalismo fiscale a la carte che riserva agli amici i piatti più prelibati?
Se la logica è quella del contestato articolo 20 della bozza Calderoli parrebbe proprio di si.
Contro tale norma sono insorti fortissimi dissensi, in Italia, mentre in Sicilia, regione beneficiaria, solo grandissimi silenzi. Sembra che anche in politica valga il motto che tanta fortuna ha portato alla mafia (traduco): la migliore parola è quella che non si dice.
A difendere l’articolo sono rimasti soltanto i due coautori: il succitato ministro leghista e Lombardo presidente della regione siciliana individuata come unica destinataria delle accise sui prodotti petroliferi.
Seguiremo il prosieguo e gli approdi di tale polemica, destinata a trascinarsi per un bel po’.
Quello che più mi preme rilevare è il metodo seguito per giungere alla formulazione dell’articolo e il clima, di sostanziale isolamento dei due, che non lascia ben sperare. Anzi potrebbe portare ad un’abrogazione della norma o quantomeno ad una sua modifica in senso molto restrittivo.
Non sarebbe questa la prima volta che il governo fa marcia indietro.
Si potrà sempre dire ch’era solo una trovata uscita dal cilindro di Calderoli per ingraziarsi un governatore alleato (elettorale) il quale, senza questa cortesia non potrebbe assolutamente accettare il progetto.
In politica, per altro, il metodo non è solo una questione di stile (molto inusuale in questo caso), ma di sostanza specie quando si trattano affari di stato.
Non sarà un’altra “porcata”?
Per essere chiari: una legge di così decisiva importanza per il futuro politico e istituzionale del Paese non può essere frutto di questo mix oscillante fra continui ricatti politici, minacce secessioniste e trattative anomale, addirittura personalistiche, per accontentare questo o quello.
Credo abbia fatto molta impressione apprendere che per accordarsi sul contrastato articolo Calderoli e Lombardo si siano visti, in piena estate, in una amena località di montagna. Come per una battuta di caccia alla quaglia. Quasi fossero state abolite le sedi costituzionalmente preposte a questo tipo di relazioni fra Stato e regioni.
Se questo è il metodo di fare le riforme in Italia, ne vedremo delle belle nei prossimi mesi.
Perciò, non ci si deve meravigliare se poi la gran parte dei presidenti delle regioni, degli stessi esponenti dei partiti della maggioranza, dissentono dalla proposta del ministro leghista, il quale l’ultima volta che è stato al governo (sempre con Berlusconi) si rese famoso al grande pubblico per la clamorosa “porcata” di legge elettorale che sta portando all’agonia la democrazia italiana.
Siamo sicuri che questa riforma non sia dello stesso spessore della precedente?
Interrogativi più che legittimi che fanno aumentare le preoccupazioni e la confusione generate da questo ddl che, se non corretto, potrebbe produrre una sorta di federalismo fiscale a la carte e non una riforma basata su principi e regole uguali per tutte le regioni, anche se bisogna mettere in conto che le nuove norme andrebbero a cozzare con molte delle prerogative accordate alle regioni a statuto speciale.
Più che riforma sarà antiriforma
Insomma, più che una riforma potremo avere un’antiriforma, cui seguirà il caos. Ma chi se ne frega. Tanto Bossi e la Lega vogliono il “federalismo” non tanto per mettere ordine ai bilanci e alle spese delle regioni quanto per far fare un passo avanti al loro progetto secessionista, mai veramente abbandonato.
Insomma, una secessione a piccoli passi, con l’obiettivo di scardinare l’assetto unitario e solidale dello Stato, muovendo dall’interno delle istituzioni.
A ben pensarci, anche il decreto Maroni sul trasferimento ai sindaci di molte, delicate competenze (e pochi fondi) sulla sicurezza obbedisce a tale logica: ognuno si faccia la propria legge senza più sentirsi vincolato al rispetto di alcuni fastidiosi simulacri come la Costituzione, i codici e robetta del genere. E così assistiamo ad un fiorire di ordinanze sindacali davvero fantasiose.
Se questo è- come pare- lo scopo della riforma non ci capisce cosa abbia da spartire la Sicilia col disegno leghista. Lo vorremmo capire dal presidente Lombardo che continua a frequentare Bossi e compagnia briscola.
Infine una domanda: la strada imboccata, in solitudine, per arrivare all’art. 20, è la più giusta?
A molti non pare. Anche perché se dovesse saltare, com’è probabile, questo articolo, Lombardo resterebbe con un pugno di mosche in mano e con la difficoltà di spiegare, da solo, ai siciliani la sua precipitosa adesione al progetto di riforma, senza aver cercato un minimo di coordinamento con altre regioni meridionali e a statuto speciale e, sembra, senza la necessaria intesa con i partiti alleati.
Sarebbe il tracollo per le finanze della regione e per il suo attuale schieramento di governo.
Un progetto diabolico, quasi perfetto
Ovviamente tutto si può fare, purché ciascuno se ne assuma la responsabilità. Senza mai dimenticare- nel caso specifico- che la riforma leghista, maturata nel contesto di un certo egoismo nordista, mira a riprendersi il di più che si ritiene aver dato alla Sicilia e al Sud.
Una fandonia, giacché, facendo bene i conti, si potrebbe dimostrare esattamente il contrario.
Insomma, per la Sicilia e il Sud sarà un frutto avvelenato, un osso per scatenare la zizzania fra le regioni meridionali. Un progetto diabolico, quasi perfetto, per prendere con una fava chissà quanti piccioni, al nord e al sud.
Il principale problema della Sicilia, come di altre regioni del sud e anche del nord, è quello di avviare seri programmi di lotta agli sprechi, di risanamento per rimettere ordine ai loro bilanci e razionalizzare la spesa, divenuta ingovernabile soprattutto in alcuni settori.
Per fare tutto ciò non è necessaria la cura leghista, ma basterebbero una svolta politica e di governo e uno sforzo congiunto fra Stato, regioni e Unione Europea.
Comunque sia, per la Sicilia la faccenda è molto seria e non riguarda il solo Lombardo, ma tutti i partiti di governo e d’opposizione, le forze sociali sindacali ed economiche, la cultura e l’associazionismo, i cittadini. Di mezzo c’è il futuro dell’Isola e dell’Italia. Bisogna uscire da questo imbarazzato o calcolato mutismo e prendere posizione, ciascuno assumendosi, pubblicamente, le proprie responsabilità.
Agostino Spataro
22 settembre 2008
Avremo, dunque, un federalismo fiscale a la carte che riserva agli amici i piatti più prelibati?
Se la logica è quella del contestato articolo 20 della bozza Calderoli parrebbe proprio di si.
Contro tale norma sono insorti fortissimi dissensi, in Italia, mentre in Sicilia, regione beneficiaria, solo grandissimi silenzi. Sembra che anche in politica valga il motto che tanta fortuna ha portato alla mafia (traduco): la migliore parola è quella che non si dice.
A difendere l’articolo sono rimasti soltanto i due coautori: il succitato ministro leghista e Lombardo presidente della regione siciliana individuata come unica destinataria delle accise sui prodotti petroliferi.
Seguiremo il prosieguo e gli approdi di tale polemica, destinata a trascinarsi per un bel po’.
Quello che più mi preme rilevare è il metodo seguito per giungere alla formulazione dell’articolo e il clima, di sostanziale isolamento dei due, che non lascia ben sperare. Anzi potrebbe portare ad un’abrogazione della norma o quantomeno ad una sua modifica in senso molto restrittivo.
Non sarebbe questa la prima volta che il governo fa marcia indietro.
Si potrà sempre dire ch’era solo una trovata uscita dal cilindro di Calderoli per ingraziarsi un governatore alleato (elettorale) il quale, senza questa cortesia non potrebbe assolutamente accettare il progetto.
In politica, per altro, il metodo non è solo una questione di stile (molto inusuale in questo caso), ma di sostanza specie quando si trattano affari di stato.
Non sarà un’altra “porcata”?
Per essere chiari: una legge di così decisiva importanza per il futuro politico e istituzionale del Paese non può essere frutto di questo mix oscillante fra continui ricatti politici, minacce secessioniste e trattative anomale, addirittura personalistiche, per accontentare questo o quello.
Credo abbia fatto molta impressione apprendere che per accordarsi sul contrastato articolo Calderoli e Lombardo si siano visti, in piena estate, in una amena località di montagna. Come per una battuta di caccia alla quaglia. Quasi fossero state abolite le sedi costituzionalmente preposte a questo tipo di relazioni fra Stato e regioni.
Se questo è il metodo di fare le riforme in Italia, ne vedremo delle belle nei prossimi mesi.
Perciò, non ci si deve meravigliare se poi la gran parte dei presidenti delle regioni, degli stessi esponenti dei partiti della maggioranza, dissentono dalla proposta del ministro leghista, il quale l’ultima volta che è stato al governo (sempre con Berlusconi) si rese famoso al grande pubblico per la clamorosa “porcata” di legge elettorale che sta portando all’agonia la democrazia italiana.
Siamo sicuri che questa riforma non sia dello stesso spessore della precedente?
Interrogativi più che legittimi che fanno aumentare le preoccupazioni e la confusione generate da questo ddl che, se non corretto, potrebbe produrre una sorta di federalismo fiscale a la carte e non una riforma basata su principi e regole uguali per tutte le regioni, anche se bisogna mettere in conto che le nuove norme andrebbero a cozzare con molte delle prerogative accordate alle regioni a statuto speciale.
Più che riforma sarà antiriforma
Insomma, più che una riforma potremo avere un’antiriforma, cui seguirà il caos. Ma chi se ne frega. Tanto Bossi e la Lega vogliono il “federalismo” non tanto per mettere ordine ai bilanci e alle spese delle regioni quanto per far fare un passo avanti al loro progetto secessionista, mai veramente abbandonato.
Insomma, una secessione a piccoli passi, con l’obiettivo di scardinare l’assetto unitario e solidale dello Stato, muovendo dall’interno delle istituzioni.
A ben pensarci, anche il decreto Maroni sul trasferimento ai sindaci di molte, delicate competenze (e pochi fondi) sulla sicurezza obbedisce a tale logica: ognuno si faccia la propria legge senza più sentirsi vincolato al rispetto di alcuni fastidiosi simulacri come la Costituzione, i codici e robetta del genere. E così assistiamo ad un fiorire di ordinanze sindacali davvero fantasiose.
Se questo è- come pare- lo scopo della riforma non ci capisce cosa abbia da spartire la Sicilia col disegno leghista. Lo vorremmo capire dal presidente Lombardo che continua a frequentare Bossi e compagnia briscola.
Infine una domanda: la strada imboccata, in solitudine, per arrivare all’art. 20, è la più giusta?
A molti non pare. Anche perché se dovesse saltare, com’è probabile, questo articolo, Lombardo resterebbe con un pugno di mosche in mano e con la difficoltà di spiegare, da solo, ai siciliani la sua precipitosa adesione al progetto di riforma, senza aver cercato un minimo di coordinamento con altre regioni meridionali e a statuto speciale e, sembra, senza la necessaria intesa con i partiti alleati.
Sarebbe il tracollo per le finanze della regione e per il suo attuale schieramento di governo.
Un progetto diabolico, quasi perfetto
Ovviamente tutto si può fare, purché ciascuno se ne assuma la responsabilità. Senza mai dimenticare- nel caso specifico- che la riforma leghista, maturata nel contesto di un certo egoismo nordista, mira a riprendersi il di più che si ritiene aver dato alla Sicilia e al Sud.
Una fandonia, giacché, facendo bene i conti, si potrebbe dimostrare esattamente il contrario.
Insomma, per la Sicilia e il Sud sarà un frutto avvelenato, un osso per scatenare la zizzania fra le regioni meridionali. Un progetto diabolico, quasi perfetto, per prendere con una fava chissà quanti piccioni, al nord e al sud.
Il principale problema della Sicilia, come di altre regioni del sud e anche del nord, è quello di avviare seri programmi di lotta agli sprechi, di risanamento per rimettere ordine ai loro bilanci e razionalizzare la spesa, divenuta ingovernabile soprattutto in alcuni settori.
Per fare tutto ciò non è necessaria la cura leghista, ma basterebbero una svolta politica e di governo e uno sforzo congiunto fra Stato, regioni e Unione Europea.
Comunque sia, per la Sicilia la faccenda è molto seria e non riguarda il solo Lombardo, ma tutti i partiti di governo e d’opposizione, le forze sociali sindacali ed economiche, la cultura e l’associazionismo, i cittadini. Di mezzo c’è il futuro dell’Isola e dell’Italia. Bisogna uscire da questo imbarazzato o calcolato mutismo e prendere posizione, ciascuno assumendosi, pubblicamente, le proprie responsabilità.
Agostino Spataro
22 settembre 2008
domenica 21 settembre 2008
Per la libertà di espressione, della Costituzione, della democrazia. Intervista a Carlo Ruta
A cura di Enrico Natoli
Ci può raccontare la nascita di "accadeinsicilia"? Che tipo di informazione poteva trovare un lettore nelle pagine del sito?
Faccio una premessa. A partire dalla metà degli anni novanta, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio ho deciso di integrare il mio impegno, prevalentemente di tipo storiografico, con una serie di inchieste sul terreno, su talune realtà della Sicilia, volgendo in particolare l’attenzione sulle aree orientali, da Catania a Gela, da Siracusa a Vittoria. In tali luoghi infuriavano in quel periodo guerre di mafia che sconfessavano il mito di una Sicilia “differente”. Sono stati quindi anni difficili, in cui mi trovavo a fare i conti con avvertimenti di ogni tipo. Raccoglievo gli esiti delle inchieste su libretti che mi venivano pubblicati da “La Zisa”, una casa editrice palermitana, condotta da Maurizio Rizza dell’Istituto Gramsci. E in quel contesto ho scoperto, a fine decennio, il web. Ho valutato le possibilità di comunicazione inedite che mi avrebbe potuto offrire tale strumento, quindi ho creato “Accadeinsicilia”, nel 2001. Sin dall’inizio la mia idea è stata di congiungere le due prospettive: quella storiografica e quella dell’informazione. Dalla prima è nata la sezione “Giuliano e lo Stato”, con altre che documentano l’immagine della Sicilia nei secoli della modernità. Dalla seconda sono scaturite le inchieste sul presente, a partire da quella sull’uccisione del giornalista Giovanni Spampinato.
Come è avvenuta la chiusura di "accadeinsicilia" e la successiva apertura di "leinchieste"?
Dopo il 2000 ho deciso di portare l’investigazione sul terreno dei poteri forti. Mi sono occupato, con resoconti cartacei e on-line, di alcune potenti banche, dall’Antonveneta del nord-est alla BAPR, del caso appunto di Giovanni Spampinato, dei nessi fra Danilo Coppola e i salotti della finanza nazionale, di tangenti miliardarie nell’est della Sicilia. Le reazioni al lavoro d’inchiesta si sono fatte allora differenti. I boss avevano dimostrato di possedere una sorta di codice, che in qualche modo me li aveva reso prevedibili. Ne sentivo il fiato addosso, e tuttavia riuscivo ad avvertire in loro una specie di rispetto, seppur malinteso, nei riguardi del mio lavoro. I poteri forti dell’isola, quando si sono sentiti posti in discussione, hanno messo in opera una strategia di attacco che fino ad oggi non ha conosciuto soste. E in tale cornice nel dicembre 2004 è arrivato l’oscuramento di “accadeinsicilia”. Si è trattato di un atto gravissimo, fortemente lesivo di un diritto costituzionale. Ho provveduto quindi, dopo una breve interruzione, a ripristinare Il lavoro di documentazione e d’inchiesta on-line attraverso l’apertura di un altro blog, “Leinchieste” appunto, presso un server degli Stati Uniti.
Come sono nati i processi? Di cosa è imputato? Come si sono conclusi?
Quando mi sono occupato delle mafie militari, delle bande che imperversavano nel Gelese, nell’Ippari, nel Siracusano e in altre aree, ho ricevuto circa quindici querele, soprattutto da parte di amministratori pubblici, a vario titolo chiamati in causa. E da tutti i processi che ne sono scaturiti sono uscito vincente. Ma negli anni successivi, quando si sono mossi i potentati finanziari e alcuni ambiti istituzionali, le cose sono cambiate: a partire appunto dall’oscuramento di “Accadeinsicilia”. Solo per aver denunciato gli insoluti del caso di Giovanni Spampinato, oggi riconosciuti pure dalla Commissione Antimafia, sono stato investito, perlopiù su sollecitazione di un magistrato, da otto procedimenti giudiziari per diffamazione, fino a oggi in corso. Nel 2006, fatto che ha suscitato indignazione in Italia, sono stato condannato da un giudice non togato a otto mesi di carcere solo per aver accolto nel blog la testimonianza di un cittadino su un affare di tangenti. Nel luglio 2008 sono stato condannato in Appello, ancora per diffamazione, a un risarcimento inaudito, solo per aver espresso delle critiche, che il giudice di primo grado aveva riconosciuto come legittime, nei riguardi di tre magistrati catanesi, due dei quali fatti oggetto peraltro di diverse interrogazioni parlamentari. Rappresentativa della situazione rimane comunque la condanna, unica in Italia e in Europa, che mi è stata inflitta nel maggio scorso per stampa clandestina, solo per aver curato Accadeincilia, un normalissimo blog appunto, che tuttavia è stato reputato dal giudice Patricia Di Marco né più né meno che un giornale quotidiano.
Negli ultimi anni ci sono stati altri casi di richieste di risarcimento e di condanne nei confronti di storici e studiosi. In genere le richieste provengono dal mondo politico. Ci può dare il suo punto di vista su questi episodi? Hanno dei punti di contatto con la sua vicenda? Infine, come funziona il rapporto tra informazione e politica? Bossi nel' 98 diceva che Berlusconi era l'uomo di Cosa Nostra al Nord e oggi governano insieme. Può essere sufficiente la spiegazione che Bossi usa un linguaggio colorito, mentre per gli storici fioccano i processi?
La querela per diffamazione, come di recente ha bene argomentato Giovanna Corrias Lucente su Micromega, rappresenta oggi un esteso business. Per tradizione costituisce in ogni caso una importante arma che i potentati del paese, centrali e territoriali, possono usare, senza rischi e con guadagno facile, per impedire l’esercizio dell’informazione libera. La censura legale serve in effetti a intimidire il giornalista, detta norme di condotta all’intera categoria, lancia suggerimenti di cautela alle comunità di riferimento, all’opinione pubblica. Mi pare emblematico al riguardo il caso di Paolo Barnard: portato in tribunale da una multinazionale farmaceutica con pretese di risarcimento inaudite, isolato per tale motivo dal team di Report per cui lavorava, privato infine di ogni difesa legale da parte della RAI. Va d’altra parte considerato che il giornalista d’inchiesta, una volta rinviato a giudizio, non sempre può difendersi in modo pieno. Il vincolo della riservatezza della fonte, cui non può sottrarsi, può impedirgli infatti di esibire per intero gli elementi in suo possesso. E non per questo smette di essere, come ci viene ricordato dal mondo anglosassone, il cane di guardia della democrazia. Si può disattivare allora l’arma della querela temeraria, intimidatoria appunto, senza che si debba correre il rischio opposto; quello cioè di una sorta di impunità, in tutto e per tutto, per chi esercita il mestiere di cronista? Delle soluzioni, degne di una democrazia matura, esistono. Dovrebbero essere fissati dei limiti al risarcimento civile, per liberare il giornalista dalla minaccia di una condanna a vita, tale da condizionarne per intero l’iter professionale. Dovrebbe scomparire lo spauracchio delle pene carcerarie perché anacronistiche, incivili, a misura dei regimi autoritari. Dovrebbe essere impedito per legge il “primo colpo” della querela, attraverso la riformulazione dell’istituto della rettifica.
Perché si avverte l'esigenza di muoversi al di fuori dei canali informativi tradizionali? Quanta parte della storia siciliana e nazionale deve essere ancora raccontata?
Ci può raccontare la nascita di "accadeinsicilia"? Che tipo di informazione poteva trovare un lettore nelle pagine del sito?
Faccio una premessa. A partire dalla metà degli anni novanta, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio ho deciso di integrare il mio impegno, prevalentemente di tipo storiografico, con una serie di inchieste sul terreno, su talune realtà della Sicilia, volgendo in particolare l’attenzione sulle aree orientali, da Catania a Gela, da Siracusa a Vittoria. In tali luoghi infuriavano in quel periodo guerre di mafia che sconfessavano il mito di una Sicilia “differente”. Sono stati quindi anni difficili, in cui mi trovavo a fare i conti con avvertimenti di ogni tipo. Raccoglievo gli esiti delle inchieste su libretti che mi venivano pubblicati da “La Zisa”, una casa editrice palermitana, condotta da Maurizio Rizza dell’Istituto Gramsci. E in quel contesto ho scoperto, a fine decennio, il web. Ho valutato le possibilità di comunicazione inedite che mi avrebbe potuto offrire tale strumento, quindi ho creato “Accadeinsicilia”, nel 2001. Sin dall’inizio la mia idea è stata di congiungere le due prospettive: quella storiografica e quella dell’informazione. Dalla prima è nata la sezione “Giuliano e lo Stato”, con altre che documentano l’immagine della Sicilia nei secoli della modernità. Dalla seconda sono scaturite le inchieste sul presente, a partire da quella sull’uccisione del giornalista Giovanni Spampinato.
Come è avvenuta la chiusura di "accadeinsicilia" e la successiva apertura di "leinchieste"?
Dopo il 2000 ho deciso di portare l’investigazione sul terreno dei poteri forti. Mi sono occupato, con resoconti cartacei e on-line, di alcune potenti banche, dall’Antonveneta del nord-est alla BAPR, del caso appunto di Giovanni Spampinato, dei nessi fra Danilo Coppola e i salotti della finanza nazionale, di tangenti miliardarie nell’est della Sicilia. Le reazioni al lavoro d’inchiesta si sono fatte allora differenti. I boss avevano dimostrato di possedere una sorta di codice, che in qualche modo me li aveva reso prevedibili. Ne sentivo il fiato addosso, e tuttavia riuscivo ad avvertire in loro una specie di rispetto, seppur malinteso, nei riguardi del mio lavoro. I poteri forti dell’isola, quando si sono sentiti posti in discussione, hanno messo in opera una strategia di attacco che fino ad oggi non ha conosciuto soste. E in tale cornice nel dicembre 2004 è arrivato l’oscuramento di “accadeinsicilia”. Si è trattato di un atto gravissimo, fortemente lesivo di un diritto costituzionale. Ho provveduto quindi, dopo una breve interruzione, a ripristinare Il lavoro di documentazione e d’inchiesta on-line attraverso l’apertura di un altro blog, “Leinchieste” appunto, presso un server degli Stati Uniti.
Come sono nati i processi? Di cosa è imputato? Come si sono conclusi?
Quando mi sono occupato delle mafie militari, delle bande che imperversavano nel Gelese, nell’Ippari, nel Siracusano e in altre aree, ho ricevuto circa quindici querele, soprattutto da parte di amministratori pubblici, a vario titolo chiamati in causa. E da tutti i processi che ne sono scaturiti sono uscito vincente. Ma negli anni successivi, quando si sono mossi i potentati finanziari e alcuni ambiti istituzionali, le cose sono cambiate: a partire appunto dall’oscuramento di “Accadeinsicilia”. Solo per aver denunciato gli insoluti del caso di Giovanni Spampinato, oggi riconosciuti pure dalla Commissione Antimafia, sono stato investito, perlopiù su sollecitazione di un magistrato, da otto procedimenti giudiziari per diffamazione, fino a oggi in corso. Nel 2006, fatto che ha suscitato indignazione in Italia, sono stato condannato da un giudice non togato a otto mesi di carcere solo per aver accolto nel blog la testimonianza di un cittadino su un affare di tangenti. Nel luglio 2008 sono stato condannato in Appello, ancora per diffamazione, a un risarcimento inaudito, solo per aver espresso delle critiche, che il giudice di primo grado aveva riconosciuto come legittime, nei riguardi di tre magistrati catanesi, due dei quali fatti oggetto peraltro di diverse interrogazioni parlamentari. Rappresentativa della situazione rimane comunque la condanna, unica in Italia e in Europa, che mi è stata inflitta nel maggio scorso per stampa clandestina, solo per aver curato Accadeincilia, un normalissimo blog appunto, che tuttavia è stato reputato dal giudice Patricia Di Marco né più né meno che un giornale quotidiano.
Negli ultimi anni ci sono stati altri casi di richieste di risarcimento e di condanne nei confronti di storici e studiosi. In genere le richieste provengono dal mondo politico. Ci può dare il suo punto di vista su questi episodi? Hanno dei punti di contatto con la sua vicenda? Infine, come funziona il rapporto tra informazione e politica? Bossi nel' 98 diceva che Berlusconi era l'uomo di Cosa Nostra al Nord e oggi governano insieme. Può essere sufficiente la spiegazione che Bossi usa un linguaggio colorito, mentre per gli storici fioccano i processi?
La querela per diffamazione, come di recente ha bene argomentato Giovanna Corrias Lucente su Micromega, rappresenta oggi un esteso business. Per tradizione costituisce in ogni caso una importante arma che i potentati del paese, centrali e territoriali, possono usare, senza rischi e con guadagno facile, per impedire l’esercizio dell’informazione libera. La censura legale serve in effetti a intimidire il giornalista, detta norme di condotta all’intera categoria, lancia suggerimenti di cautela alle comunità di riferimento, all’opinione pubblica. Mi pare emblematico al riguardo il caso di Paolo Barnard: portato in tribunale da una multinazionale farmaceutica con pretese di risarcimento inaudite, isolato per tale motivo dal team di Report per cui lavorava, privato infine di ogni difesa legale da parte della RAI. Va d’altra parte considerato che il giornalista d’inchiesta, una volta rinviato a giudizio, non sempre può difendersi in modo pieno. Il vincolo della riservatezza della fonte, cui non può sottrarsi, può impedirgli infatti di esibire per intero gli elementi in suo possesso. E non per questo smette di essere, come ci viene ricordato dal mondo anglosassone, il cane di guardia della democrazia. Si può disattivare allora l’arma della querela temeraria, intimidatoria appunto, senza che si debba correre il rischio opposto; quello cioè di una sorta di impunità, in tutto e per tutto, per chi esercita il mestiere di cronista? Delle soluzioni, degne di una democrazia matura, esistono. Dovrebbero essere fissati dei limiti al risarcimento civile, per liberare il giornalista dalla minaccia di una condanna a vita, tale da condizionarne per intero l’iter professionale. Dovrebbe scomparire lo spauracchio delle pene carcerarie perché anacronistiche, incivili, a misura dei regimi autoritari. Dovrebbe essere impedito per legge il “primo colpo” della querela, attraverso la riformulazione dell’istituto della rettifica.
Perché si avverte l'esigenza di muoversi al di fuori dei canali informativi tradizionali? Quanta parte della storia siciliana e nazionale deve essere ancora raccontata?
A ragione viene detto che il giornalista d’inchiesta deve possedere l’indole del “lupo solitario”, che lo porta nei luoghi più impervi, i meno accessibili, i più pericolosi, per ciò stesso i più prossimi alle verità taciute. Per quanto mi riguarda, mi trovo spesso a percorrere vie divergenti, che richiedono il massimo di scioltezza operativa. Di certo, tale modo di essere può sollecitare l’approccio a canali informativi differenti. Ed è il mio caso, essendomi espresso maggiormente attraverso i libri e, più di recente, la rete. Ma non esiste una regola precisa, perché, come testimoniano innumerevoli storie personali, da Tommaso Besozzi ai nostri giorni, anche nei media tradizionali, perfino in quelli ostentatamente d’ordine, possono aprirsi varchi d’inchiesta di tipo divergente: cosa che accade quando il cronista riesce a imporre alla proprietà della testata la propria competenza. Per quanto riguarda l’altra parte della domanda, sulla storia non ancora raccontata, la situazione può essere resa come una scena teatrale, al buio, solcata da fasci di luce, che raffigurano lo stato delle conoscenze effettive, liberate cioè, oltre che dalla dimenticanza, dallo stereotipo e dal mito. In tale buio dominante, si perdono gli affari di Stato, lo stragismo, le trame dell’alta finanza, i delitti siciliani degli anni ottanta-novanta. E non solo: si cela tutto quel che non conosciamo, dalle mafie che non sono state mai classificate come tali alle ingiustizie senza voce e senza nome che percorrono il presente. Per il “lupo solitario”, evidentemente, il lavoro non manca. Ma non mancano pure i rischi.
E in tale scena, come si collocano gli affari dei poteri forti: stanno al buio o alla luce?
I poteri forti di oggi, quelli che tirano in particolare le fila della finanza, non fanno la democrazia. Costituiscono bensì un punto di collasso della medesima. Tanto più in Italia sono da tenere quindi sotto stretta osservazione. Quelli di un tempo, pensiamo agli Agnelli del primissimo Novecento, potevano permettersi di rispettare le regole di un regime liberale, potendone trarre anche guadagno. E quando tali regole andavano strette esistevano delle vie praticabili: la dittatura, come si ebbe con i fascismi europei degli anni venti e trenta, l’avventura bellica, l’assalto neocoloniale, lo stato d’assedio, e così via. Gli scenari adesso sono cambiati, nell’Occidente tutto, quindi pure in Italia. E negli ultimi tempi, quelli dell’economia senza confini e del web, in modo determinante. Non sono praticabili o consigliabili le svolte reazionarie vecchio stampo. Le guerre sono divenute un affare di pertinenza americana. Trovandosi allora a dover operare su un terreno stabilmente definito, senza poter uscirne con atti di forza dentro o fuori, i potentati finanziari si trovano nella “necessità” di violare in modo strategico le leggi, di corrodere la sostanza democratica, travisandone il senso, con l’adozione di metodi che, avallati da ceti politici ad hoc, non differiscono tanto da quelli delle società “onorate”. E’ un po’ la genesi del berlusconismo, del regime delle impunità dei nostri giorni. Compito essenziale del giornalista d’inchiesta, guardiano appunto delle libertà civili, è allora quello di alzare i sipari delle trame, di togliere la maschera ai poteri che vilipendono lo Stato di diritto, al centro come in periferia, ovunque. E’ utile sottolineare che i potentati finanziari sono forti proprio perché stanno al buio. Quando vengono illuminati diventano vulnerabili e talora, sotto il peso delle loro responsabilità rese pubbliche, si afflosciano. E’ stato il caso del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, referente dei concertisti di Antonveneta. Assume perciò significato strategico la repressione in atto nei riguardi della libera comunicazione, quella che colpisce Paolo Barnard e tanti altri. Rivelano una logica mirata le nuove normative sulle intercettazioni telefoniche. E con tutto questo va coordinandosi l’attacco, destinato probabilmente a fare testo oltre i confini italiani, alla libertà sul web.
Perché i potentati della Sicilia hanno deciso di spegnere la sua voce? Quale pericolo hanno ravvisato nelle sue inchieste? E lei come reagisce a tali atti repressivi?
Il giornalista d’inchiesta, se fa il proprio mestiere con correttezza e dedizione, costituisce, come dicevo prima, un pericolo in sé, a prescindere da tutto. Per quanto mi riguarda ho sempre fatto il possibile per essere sufficientemente razionale, distaccato dalle situazioni che mi sono trovato ad esaminare. Ho sempre cercato di tenermi distante dalle paludi, che pure in Sicilia sono insidiose e pervadenti. Probabilmente, si vuole colpire questo mio modo di essere, che peraltro mi ha permesso di comunicare con tanta gente. Credo che non venga sopportato inoltre il mio scrupolo di documentazione, che mi viene un po’ dall’interesse per i fatti storici. E poi, naturalmente, tutto il resto. Come reagisco a tali atti repressivi? Continuando a studiare il passato e il presente, a documentare, a informare. Gli ultimi eventi, comunque, hanno fatto maturare in me una decisione. In quasi venti anni di lavoro ho raccolto un archivio personale che si compone di circa ventimila documenti, in massima parte originali. Con tali documenti ho potuto operare con profitto su una varietà di casi, a partire appunto dalle trame dell’immediato dopoguerra. Ecco, ho deciso di rendere pubblico e fruibile a chiunque questo archivio, spero entro l’anno corrente. E ne sto studiando i modi. Sento infine di dover intensificare il mio impegno sulla linea della libertà di espressione, perché la situazione nel paese, davvero preoccupante, ci sollecita tutti, operatori della comunicazione e cittadini, a una mobilitazione responsabile.
Fonte: http://www.cuntrastamu.org/
E in tale scena, come si collocano gli affari dei poteri forti: stanno al buio o alla luce?
I poteri forti di oggi, quelli che tirano in particolare le fila della finanza, non fanno la democrazia. Costituiscono bensì un punto di collasso della medesima. Tanto più in Italia sono da tenere quindi sotto stretta osservazione. Quelli di un tempo, pensiamo agli Agnelli del primissimo Novecento, potevano permettersi di rispettare le regole di un regime liberale, potendone trarre anche guadagno. E quando tali regole andavano strette esistevano delle vie praticabili: la dittatura, come si ebbe con i fascismi europei degli anni venti e trenta, l’avventura bellica, l’assalto neocoloniale, lo stato d’assedio, e così via. Gli scenari adesso sono cambiati, nell’Occidente tutto, quindi pure in Italia. E negli ultimi tempi, quelli dell’economia senza confini e del web, in modo determinante. Non sono praticabili o consigliabili le svolte reazionarie vecchio stampo. Le guerre sono divenute un affare di pertinenza americana. Trovandosi allora a dover operare su un terreno stabilmente definito, senza poter uscirne con atti di forza dentro o fuori, i potentati finanziari si trovano nella “necessità” di violare in modo strategico le leggi, di corrodere la sostanza democratica, travisandone il senso, con l’adozione di metodi che, avallati da ceti politici ad hoc, non differiscono tanto da quelli delle società “onorate”. E’ un po’ la genesi del berlusconismo, del regime delle impunità dei nostri giorni. Compito essenziale del giornalista d’inchiesta, guardiano appunto delle libertà civili, è allora quello di alzare i sipari delle trame, di togliere la maschera ai poteri che vilipendono lo Stato di diritto, al centro come in periferia, ovunque. E’ utile sottolineare che i potentati finanziari sono forti proprio perché stanno al buio. Quando vengono illuminati diventano vulnerabili e talora, sotto il peso delle loro responsabilità rese pubbliche, si afflosciano. E’ stato il caso del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, referente dei concertisti di Antonveneta. Assume perciò significato strategico la repressione in atto nei riguardi della libera comunicazione, quella che colpisce Paolo Barnard e tanti altri. Rivelano una logica mirata le nuove normative sulle intercettazioni telefoniche. E con tutto questo va coordinandosi l’attacco, destinato probabilmente a fare testo oltre i confini italiani, alla libertà sul web.
Perché i potentati della Sicilia hanno deciso di spegnere la sua voce? Quale pericolo hanno ravvisato nelle sue inchieste? E lei come reagisce a tali atti repressivi?
Il giornalista d’inchiesta, se fa il proprio mestiere con correttezza e dedizione, costituisce, come dicevo prima, un pericolo in sé, a prescindere da tutto. Per quanto mi riguarda ho sempre fatto il possibile per essere sufficientemente razionale, distaccato dalle situazioni che mi sono trovato ad esaminare. Ho sempre cercato di tenermi distante dalle paludi, che pure in Sicilia sono insidiose e pervadenti. Probabilmente, si vuole colpire questo mio modo di essere, che peraltro mi ha permesso di comunicare con tanta gente. Credo che non venga sopportato inoltre il mio scrupolo di documentazione, che mi viene un po’ dall’interesse per i fatti storici. E poi, naturalmente, tutto il resto. Come reagisco a tali atti repressivi? Continuando a studiare il passato e il presente, a documentare, a informare. Gli ultimi eventi, comunque, hanno fatto maturare in me una decisione. In quasi venti anni di lavoro ho raccolto un archivio personale che si compone di circa ventimila documenti, in massima parte originali. Con tali documenti ho potuto operare con profitto su una varietà di casi, a partire appunto dalle trame dell’immediato dopoguerra. Ecco, ho deciso di rendere pubblico e fruibile a chiunque questo archivio, spero entro l’anno corrente. E ne sto studiando i modi. Sento infine di dover intensificare il mio impegno sulla linea della libertà di espressione, perché la situazione nel paese, davvero preoccupante, ci sollecita tutti, operatori della comunicazione e cittadini, a una mobilitazione responsabile.
Fonte: http://www.cuntrastamu.org/
Campi di lavoro. Adesso è il momento della promozione dei prodotti con la vitamina "L"
In questi mesi la Cooperativa Lavoro e Non Solo ha effettuato al meglio il suo impegno di raccolta dell' attività di agricoltura biologica. Dal grano ai ceci, dalle lenticchie alle mandorle. Attualmente è in corso la vendemmia e la raccolta dei pomodori. I campi di lavoro continueranno fino a novembre. Ora ha inizio il momento della promozione dei prodotti e della loro vendita. E' molto importante la promozione e valorizzazione in quanto l'impegno di Unicoop Tirreno a stringere un buon rapporto commerciale con la Cooperativa Lavoro e Non Solo su alcuni prodotti deve ottenere un buon risultato. Questo sarà possibile se i consumatori acquisteranno i nostri prodotti e se negli scaffali dell'Unicoop Tirreno vi sarà un movimento considerevole. Per questo motivo l'animazione e informazione da fare nelle comunità locali dove saranno presenti i prodotti sarà importante e di grande rilevanza. E' importante consolidare una rete di acquisti diretti nel territorio andando così ad offrire opportunità di consumo dei prodotti biologici e ricchi di vitamina L prodotti della Cooperativa Lavoro e Non Solo. In questi anni il ruolo delle Case del Popolo, dei Circoli Arci, delle Camere del Lavoro, dei Gruppi d'Acquisto Solidali, delle Parrocchie e anche di tante famiglie è stato straordinario. Ora però serve rafforzare tutto questo e farlo diventare "sistema relazionale e rete sociale ". Sarebbe diminuitivo pensare solamente a promuovere la vendita dei prodotti. Il nostro obbiettivo è costruire un "sentimento popolare di giustizia" che possa essere alimentato dalla ricchezza dell'ascolto, della riflessione e dall'impegno sociale. Questi prodotti sono ricchi della memoria storica del movimento contadino siciliano e dall'impegno attuale e quotidiano dei soci lavoratori della Cooperativa Lavoro e Non Solo e dei tanti, tanti volontari che in questi quattro anni hanno condiviso con loro un attività continua di antimafia sociale. Quindi questi prodotti dovranno essere promossi e venduti ma sopratutto dovranno far riflettere e far parlare. Solo così potremmo costruire "un sentimento popolare". Solo così potremmo realmente sostenere i soci lavoratori della Cooperativa Lavoro e Non Solo.
Maurizio Pascucci
Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine
Maurizio Pascucci
Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine
Esecutivo ARCI Toscana
Cambia pelle il portale "Libera Informazione"
Da venerdì 19 settembre è online la nuova versione del portale dell'Osservatorio Nazionale sull'informazione per la legalità e contro le mafie, Libera Informazione. Il sito, graficamente rinnovato senza tradire la struttura base del progetto, presenta numerose migliorie che permetteranno una gestione dei contenuti più fluida e sapranno dare spazio a più notizie in tempi rapidi. In primo luogo è stata data maggior rilevanza alle notizie in home page, più visibili e chiare e alle notizie di sommario. Vera e propria novità lo spazio riservato alle brevi, con un box ad hoc che permette di far visionare con dei semplici click le notizie più importanti delle ultime ore. Lo spazio dedicato ai territori è sicuramente il cardine del progetto: la navigazione , resa più rapida tramite l'utilizzo di una cartina sensibile dell'Italia, permetterà facilmente di accedere all'archivio dei pezzi riguardanti le realtà locali.Sono presenti inoltre due nuove rubriche "Accade oggi" e "Vedo Sento Parlo" che quotidianamente segnaleranno importanti ricorrenze e appuntamenti culturali e mediatici riguardanti i temi di mafia e antimafia. Rinnovata anche la sezione dei link con la presenza di sezioni interne deputate a vetrine per le realtà locali e una homepage arricchita di collegamenti multimediali.Per finire una impaginazione più chiara e leggibile permetterà di fruire al meglio del sito, sposando una accattivante veste grafica ad una immediata accessibilità, il tutto sotto l'egida di una maggiore fluidità e usabilità.Cogliamo l'occasione per invitarvi nuovamente a contribuire al progetto, tramite segnalazioni, spunti e articoli. La possibilità di mantenere un contatto con i riferimenti redazionali garantirà di sviluppare ulteriormente quella rete di contatti e informazione che è alla base del nostro lavoro. La volontà- è quella di costruire un portale che tenga conto di voci del territorio: un invito dunque a contribuire all'aggiornamento settimanale, facendo risaltare degli avvenimenti localmente importanti che hanno avuto poco risalto sulla stampa nazionale.Parimenti ogni altra forma di contributo sarà apprezzata.Un distinto saluto e un grazie anticipato(www.liberainformazione.org)
Norma Ferrara
Norma Ferrara
sabato 20 settembre 2008
martedì 16 settembre 2008
Campi di Lavoro a Corleone. Suoni, colori, bandiere, striscioni, ma la parola-chiave è futuro!
di MARTA FIORE
Nonostante sia ormai finita l’estate, rimango tuttora ancorata all’esperienza più politicamente rilevante della mia vita: Corleone, il campo di lavoro sui terreni confiscati alla mafia.
Perché a Corleone tutto diventa politica: l’arrivare, il partire e l’arrivare di nuovo, accompagnati dalle parole di un vicino, la partita di calcio in piazza, i compleanni in quelle case che, se per i volontari diventano subito le loro case, per i corleonesi sono ancora casa Grizzaffi (nipoti di Riina) e casa Provenzano.
Perfino una cena nella pizzeria della piazza, i luoghi, la terra, le parole, i gesti: tutto ha una densità diversa che bisogna prima di tutto ascoltare per imparare a riconoscere e a rispettare. La terra è la vera protagonista, il filo conduttore, l’elemento imprescindibile da cui si è mossa la Storia. Suoni, colori, bandiere, striscioni, pomodori, etichette, pale di fichidindia, viaggi, saluti, lacrime, sorrisi, promesse, futuro: ecco la parola chiave, futuro. Quel futuro così lontano da sembrare assurdo negli anni ’50, quel presente così vivo oggi nei nostri gesti, ma così rivoluzionario che vent’anni fa non era nemmeno possibile immaginarlo. E tutto questo è reso possibile dall’ordinarietà dei gesti dei soci della Cooperativa che vanno in campagna come chiunque altro nel paese ma che affrontano, mettendoci la loro faccia, una realtà “strana”, che a volte mantiene l’apparenza della normalità a volte neanche quella!
Tutto questo diventa possibile in quella Corleone così apparentemente arroccata nella sua storia, ma pronta – con la generosità tutta siciliana – a lasciarsi pian piano contaminare dai 400 giovani che la invadono ormai come appuntamento fisso ogni estate.
Diventa possibile che i soci lavoratori - anziché restar rinchiusi nelle loro case dallo stigma della paura - lavorino e vivano la loro vita da persone inserite nella società, consapevoli di non essere portatori di svantaggio ma – semmai - di una diversità che è risorsa.
E diventa possibile giocare una partita di calcio con i volontari dei campi, lo psichiatra del DSM e i soci della cooperativa senza che sia possibile dall’esterno capire dove stia la “diversità”.
E’ proprio vero – come ci siamo detti in verifica finale – che vogliamo
essere “la torre”, nel senso del mattoncino che ciascuno contribuisce a costruire
avere il “borsellino”, nel senso del grande bagaglio d’esperienza facile da portare con sè
diventare “impastato”, nel senso di contaminarsi al punto da stare dentro quest’esperienza, questa terra, questa Storia;
é proprio vero che c’è qualcosa di più alto qui che ti “costringe” all’essenzialità, che ti educa alla schiettezza e alla laboriosità.
Nonostante sia ormai finita l’estate, rimango tuttora ancorata all’esperienza più politicamente rilevante della mia vita: Corleone, il campo di lavoro sui terreni confiscati alla mafia.
Perché a Corleone tutto diventa politica: l’arrivare, il partire e l’arrivare di nuovo, accompagnati dalle parole di un vicino, la partita di calcio in piazza, i compleanni in quelle case che, se per i volontari diventano subito le loro case, per i corleonesi sono ancora casa Grizzaffi (nipoti di Riina) e casa Provenzano.
Perfino una cena nella pizzeria della piazza, i luoghi, la terra, le parole, i gesti: tutto ha una densità diversa che bisogna prima di tutto ascoltare per imparare a riconoscere e a rispettare. La terra è la vera protagonista, il filo conduttore, l’elemento imprescindibile da cui si è mossa la Storia. Suoni, colori, bandiere, striscioni, pomodori, etichette, pale di fichidindia, viaggi, saluti, lacrime, sorrisi, promesse, futuro: ecco la parola chiave, futuro. Quel futuro così lontano da sembrare assurdo negli anni ’50, quel presente così vivo oggi nei nostri gesti, ma così rivoluzionario che vent’anni fa non era nemmeno possibile immaginarlo. E tutto questo è reso possibile dall’ordinarietà dei gesti dei soci della Cooperativa che vanno in campagna come chiunque altro nel paese ma che affrontano, mettendoci la loro faccia, una realtà “strana”, che a volte mantiene l’apparenza della normalità a volte neanche quella!
Tutto questo diventa possibile in quella Corleone così apparentemente arroccata nella sua storia, ma pronta – con la generosità tutta siciliana – a lasciarsi pian piano contaminare dai 400 giovani che la invadono ormai come appuntamento fisso ogni estate.
Diventa possibile che i soci lavoratori - anziché restar rinchiusi nelle loro case dallo stigma della paura - lavorino e vivano la loro vita da persone inserite nella società, consapevoli di non essere portatori di svantaggio ma – semmai - di una diversità che è risorsa.
E diventa possibile giocare una partita di calcio con i volontari dei campi, lo psichiatra del DSM e i soci della cooperativa senza che sia possibile dall’esterno capire dove stia la “diversità”.
E’ proprio vero – come ci siamo detti in verifica finale – che vogliamo
essere “la torre”, nel senso del mattoncino che ciascuno contribuisce a costruire
avere il “borsellino”, nel senso del grande bagaglio d’esperienza facile da portare con sè
diventare “impastato”, nel senso di contaminarsi al punto da stare dentro quest’esperienza, questa terra, questa Storia;
é proprio vero che c’è qualcosa di più alto qui che ti “costringe” all’essenzialità, che ti educa alla schiettezza e alla laboriosità.
Campi di Lavoro Corleone. Ed io grido: "W i volontari toscani!!!"
di LORENA PECORELLA
Qualche giorno fa mi trovavo davanti ad un bar di Corleone, in cui era stata organizzata una serata di karaoke e in cui, insieme a me, vi trovavano un gruppo di ragazzi toscani dell’Arci, che cantavano, ballavano e cenavano. Insomma, si divertivano. Conoscendoli, e conoscendo anche i ragazzi corleonesi che li accompagnavano, mi sono unita a loro per cantare “i cento passi” dei Modena City Ramblers. Quando la canzone è terminata, mi sono messa da parte aspettando che ne partisse un’altra per riattaccare e non ho potuto non sentire le chiacchiere di un gruppo di persone sedute vicino a me. Uno di loro si lamentava del casino che facevamo. “Non si può mangiare tranquilli”- diceva. Qualcun altro, invece, ha espresso pensieri un po’ più pesanti ai quali non ho potuto non rispondere. Diceva che, in realtà, tutti questi toscani che vengono a lavorare nei campi confiscati alla mafia non fanno nulla, “non sanno cosa vuol dire lavorare”. Al che mi sono arrabbiata, invitando questo gentile signore ad andare anche lui sui campi per constatare di persona il lavoro di questi ragazzi, che iniziano la loro giornata lavorativa prestissimo, che si fanno il mazzo sotto il sole e lavorano perché credono nella legalità, per non ricevere nulla di materiale in cambio, nessuna ricompensa, ma solo i giudizi ignoranti dei corleonesi antichi e dalla mentalità chiusa.Io, quella sera, mi sono vergognata delle parole di quel corleonese e ho pensato, invece, alle parole di tanti toscani conosciuti durante il campo a Calenzano, lo scorso luglio. Che differenza!!Quelle, erano parole di speranza, di fiducia, pronunciate da gente che crede in noi, ci stima e si unisce a noi nell’impegno e nella lotta all’indifferenza, all’omertà, alla mafia.Noi corleonesi, invece, non sappiamo far altro che lamentarci e giudicare chi sta facendo quello che NOI avremmo il DOVERE di fare.Ok, se volete, mandiamo a casa tutti questi ragazzi, però andiamo noi a lavorare questi campi, e lì, vorrei vedere chi lo farebbe. Nessuno, perché abbiamo paura, perché siamo solo bravi a parlare.Ho conosciuto tantissimi volontari toscani, e non solo, con la voglia di venire a Corleone a lavorare e a produrre i prodotti dell’Antimafia, e sono loro che ogni giorno mi fanno svegliare con la voglia di cambiare, sono loro che stanno cambiando Corleone, che ci danno una mano. Non finirò mai di ringraziarli e mi scuso per l’ignoranza radicata con cui devono fare i conti qui a Corleone.Miei cari compaesani, come credete che le cose possano cambiare se continuate a pensarla in questo modo? O , forse, in realtà, voi non volete affatto che le cose cambino? Beh…fate come credete.Potete anche non apprezzare il nostro e il loro lavoro, ma, per favore, state con la bocca chiusa. E’ meglio per tutti. O, almeno, prima di parlare, riflettete sulle vostre parole, perché, sappiate, che possono fare male, tanto male. Grazie.
Da DIALOGOS - Corleone
domenica 14 settembre 2008
I BOSS DEL DUEMILA NON VANNO IN CHIESA
Come è cambiato il rapporto dei mafiosi con la fede dopo il ´93. La crisi iniziò con la strage di Ciaculli e culminò con la morte di padre Puglisi. Oggi i padrini non vengono più riveriti nelle parrocchie. Pubblichiamo uno stralcio dell´articolo sui rapporti tra mafia e Chiesa scritto per il nuovo numero della rivista "Segno"
di NINO FASULLO
di NINO FASULLO
Com´è noto, la mafia è nella storia siciliana tra i fenomeni più complessi e difficili da analizzare. Forse nessuno può dire di averla compresa e spiegata esaurientemente. Diversi suoi aspetti sono oscuri e attendono di essere indagati con competenza e spirito critico. Tra essi uno dei più importanti è sicuramente quello religioso. I rapporti dei mafiosi con la religione non sono stati ancora trattati in modo pertinente e approfondito: direbbe il filosofo, iuxta propria principia. E sì che il tema non è né marginale né di scarso interesse. Bisognerà pure trovare risposte convincenti a chi si pone domande sul senso e il valore dei comportamenti religiosi di taluni mafiosi autori di delitti efferati. Quando si viene a sapere di boss sanguinari che pregano, maneggiano sacre scritture e libri teologici e intrattengono amicizie con preti e prelati, da cui incassano assoluzioni sacramentali come fossero mercanzie private in svendita, non si può evitare l´interrogativo su come ciò sia possibile. E chiedersi che tipo di dio possa essere quello cui il mafioso fa riferimento. Ma chi sono, infine, questi mafiosi? Un´eccezione antropologica e religiosa? Interrogativi di questo genere si pongono in molti, spesso senza trovare risposte. Non si ha, infatti, notizia di discussioni, dubbi, scelte e iniziative coerenti intraprese da chi ne aveva, diciamo, il compito istituzionale.Ora quella situazione contrassegnata dal silenzio non esiste più. Sembra aver fatto spazio allo studio, alla riflessione e alla formazione di una cultura della responsabilità. Così pare, così si spera. Sembra dimostrarlo anche - possiamo leggerlo su questa linea? - il saggio di Alessandra Dino, La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa nostra, edito da Laterza (Roma-Bari, pp. 312, 16 euro), interamente dedicato ai rapporti dei mafiosi con la religione, ovvero con la chiesa. I pregi del libro sono notevoli. Presenta uno scenario ricco di eventi e protagonisti (una miriade), di fatti, parole e nessi. L´insieme è un affresco dai colori foschi e forti, a strati intrecciati e convergenti, nessuno autonomo: tutto si tiene. Un quadro impressionante e pure deprimente. (...) Complessi, aspri, contraddittori, tormentati sono stati gli ultimi trent´anni, quelli della crisi, aperti a Ciaculli e chiusi negli occhi innocenti del parroco Puglisi. Credo si possa assumere la strage del 1963 come fatto scatenante la crisi, che sarebbe andata avanti negli anni Sessanta e Settanta, avrebbe camminato negli anni Ottanta e sarebbe caduta sull´incementato di via Anita Garibaldi di Brancaccio. Ancora qualche anno (maggio 1994) e la chiesa avrebbe siglato un documento contro la mafia singolarmente energico.Oggi la situazione è un´altra. Sembra presentare elementi di novità costituiti, principalmente, dal mutamento dei due soggetti della relazione allacciata nel 1860: la chiesa e la mafia. Sono cambiati la coscienza e i comportamenti della chiesa. È cambiata la mafia a causa dei nuovi interessi, delle prospettive, degli spazi che l´attraggono. Il fatto nuovo sembra chiaro: 1) la chiesa non è più disposta a tacere sulla mafia, come ha fatto per più di cento anni di storia mafiosa. Vescovi e preti hanno una nuova consapevolezza e un nuovo senso di responsabilità. Sono più liberi e hanno nuove premure pastorali. 2) I mafiosi, da parte loro, non hanno più bisogno della chiesa e della sua legittimazione sociale e culturale. Hanno altri interessi e orizzonti. Non vanno più in chiesa. Avvertono che non sarebbero graditi. Già a Brancaccio, col parroco Puglisi, non vi entravano, si sentivano estranei e si tenevano lontani. Era mutato il sentimento religioso generale che essi stessi condividevano. Mentre prima i mafiosi venivano accolti con tutti i riguardi, sia nelle sedi parrocchiali che in quelle prelatizie, ora non più. Metterebbero tutti a disagio, darebbero fastidio. La gente non sopporterebbe la loro presenza sugli stessi scranni in cui siedono i bambini. Qualcuno potrebbe alzarsi a chiedere che il mafioso venga allontanato, messo alla porta. Ma è difficile che ciò accada perché i mafiosi non vanno più in chiesa. Non hanno più bisogno della Chiesa. Non sono più devoti. Perché la chiesa si è fatta estranea a essi e essi alla chiesa. Sarebbero pesci fuori acqua.Questa è la novità. Non c´è più intesa tra le due. Non hanno più la stessa cultura. Se all´inizio, nel contesto in cui nacque e si formò, il silenzio della chiesa sulla mafia era indispensabile, ora non più. Ora i mafiosi non agiscono più nell´ambito della borgata, del paese, della città, nei cui feudi e giardini si svolgevano le guardianie, l´abigeato, le relazioni sociali. Oggi la mafia svolge nuovi affari e ha bisogno di altri spazi e piazze. Non per nulla si è moltiplicata, si è fatta "mafie", cioè si è ramificata, specializzata, autonomizzata, localizzata in molti sensi. In queste condizioni la chiesa non solo non le serve, ma le sarebbe di ostacolo. Non la seguirebbe, anche perché la mafia ha perso ogni attitudine alle "devozioni". Questo è il fatto nuovo, questa è la tendenza. Il fatto che in alcuni preti sopravvivano vecchi giudizi e comportamenti, non è rilevante. Potremmo trovarci davanti a cascami sociali, culturali, religiosi. La chiesa, e i preti più consapevoli e responsabili, hanno altro cui dedicarsi che intrattenere relazioni positive con mafiosi.Cambiamo scenario e abbandoniamo l´evidente ottimismo con cui carichiamo la prospettiva sopra abbozzata. I legami tra mafiosi e chiesa (o alcuni ecclesiastici) continuano. Non c´è dubbio. Sembrano assumere forme, figure e linguaggi nuovi, meno rumorosi di prima. Ad esempio, nel terreno politico. Continua la politica, con gli appuntamenti elettorali, le promesse di opere e di denaro. È innegabile che i candidati non vincerebbero se non passassero ancora oggi dalle chiese e non vi trovassero preti disponibili e collaboranti. In questo senso le chiese appaiono possibili luoghi di affari forse non limpidi e deplorevoli. Ma si tratta ancora di mafia? O il mutamento sta passando anche da lì, dalle sacrestie?
LA REPUBBLICA, VENERDÌ, 12 SETTEMBRE 2008
LA REPUBBLICA, VENERDÌ, 12 SETTEMBRE 2008
Governare col trucco
di CONCITA DE GREGORIO
Sono arrabbiata. Sono fiera di esserlo. La rabbia aiuta a non abituarsi a tutto. Ho sentito le parole del ministro Carfagna. Diceva: «Io provo orrore per le donne che vendono il proprio corpo per denaro». Parlava forse di un suo calendario? No, parlava delle prostitute o meglio: solo di quelle che stanno per strada. Perché non succede niente? Perché non telefoniamo, chiamiamo, bussiamo, usciamo per strada? Forse ci stiamo davvero abituando a tutto.
Laura Guasti, Firenze
Più che altro stiamo cadendo nella trappola magistralmente ordita in anni di politica televisiva da Berlusconi e dai suoi ministri: discutere dei dettagli, attaccarci agli slogan, accapigliarci su una scemenza di facciata senza arrivare mai alla sostanza delle cose. Il grembiule, il voto, la bella cordata di imprenditori che «vuole salvare la compagnia di bandiera», la tassa abolita, l’immondizia sparita, l’esercito per strada che così sei più tranquillo quando esci la sera. Chi non vorrebbe salvare Alitalia, camminare in strade pulite, pagare meno tasse, avere figli che imparano in classe le regole della convivenza e quando tornano a casa che è buio non debbano imbattersi in prostitute abbrutite? La gente di sinistra, forse? E allora che problema c’è: ecco qua il governo del fare, lasciatelo lavorare. La questione, purtroppo, è che è un trucco. È il gioco delle scatole: una bella scatola col fiocco da esibire, l’altra marcia da nascondere. Le tre carte. I limoni legati col nylon alle piante del G8, la calza sull’obiettivo che maschera le rughe. È sempre quel trucco lì, una toppa, e poi via per settimane a parlare del fiocco.È evidente che lo scopo della proposta Carfagna non è quello di combattere la prostituzione: è un progetto di decoro urbano, il suo. Una questione di ordine, di eleganza dell’inquadratura. L’obiettivo è mostrare strade sgombre di viados. Guardate che pulizia. Se volesse combattere la prostituzione dovrebbe occuparsi della tratta di essere umani, di mafia del commercio sessuale, di chi fa entrare in Italia milioni di ragazzine senza documenti e poi le riduce in schiavitù, di come faccia e di chi glielo consenta. Dovrebbe poi anche occuparsi dell’altra prostituzione, quella tutta italiana e non di strada: la prostituzione «pulita» delle studentesse che ricevono in studi che sembrano quello del dentista e poi la sera vengono a fare la baby sitter a casa tua, ragazze ben pagate e ben consapevoli della loro scelta, del resto motivata dalla richiesta di un esercito di uomini «per bene» che saldato il conto tornano in ufficio. Non lo fa, naturalmente. Allo stesso modo Gelmini esibisce la sua riforma come quella del grembiule e dei voti in pagella, un bel ritorno all’ordine antico: peccato che tagli 90mila posti da maestro e azzoppi la scuola. La scatola vuota e ben ripulita dai debiti della cordata Alitalia, le tasse comunali che cambiano nome, l’esercito che fa la guardia alle discariche ma si dimentica dei treni dei tifosi. È sparita la camorra, a Napoli? Gomorra era uno scherzo? Certo che no, ma conta la foto. Un bell’annuncio, un bel grembiule blu, quattro soldati con la mitraglietta cosa vuoi che sia se poi alle volanti hanno tagliato la benzina. Devono solo stare fermi, tanto. E poi tutti giù a parlare di estetica, pazienza per l’etica.
L'Unità, 14.09.08
Sono arrabbiata. Sono fiera di esserlo. La rabbia aiuta a non abituarsi a tutto. Ho sentito le parole del ministro Carfagna. Diceva: «Io provo orrore per le donne che vendono il proprio corpo per denaro». Parlava forse di un suo calendario? No, parlava delle prostitute o meglio: solo di quelle che stanno per strada. Perché non succede niente? Perché non telefoniamo, chiamiamo, bussiamo, usciamo per strada? Forse ci stiamo davvero abituando a tutto.
Laura Guasti, Firenze
Più che altro stiamo cadendo nella trappola magistralmente ordita in anni di politica televisiva da Berlusconi e dai suoi ministri: discutere dei dettagli, attaccarci agli slogan, accapigliarci su una scemenza di facciata senza arrivare mai alla sostanza delle cose. Il grembiule, il voto, la bella cordata di imprenditori che «vuole salvare la compagnia di bandiera», la tassa abolita, l’immondizia sparita, l’esercito per strada che così sei più tranquillo quando esci la sera. Chi non vorrebbe salvare Alitalia, camminare in strade pulite, pagare meno tasse, avere figli che imparano in classe le regole della convivenza e quando tornano a casa che è buio non debbano imbattersi in prostitute abbrutite? La gente di sinistra, forse? E allora che problema c’è: ecco qua il governo del fare, lasciatelo lavorare. La questione, purtroppo, è che è un trucco. È il gioco delle scatole: una bella scatola col fiocco da esibire, l’altra marcia da nascondere. Le tre carte. I limoni legati col nylon alle piante del G8, la calza sull’obiettivo che maschera le rughe. È sempre quel trucco lì, una toppa, e poi via per settimane a parlare del fiocco.È evidente che lo scopo della proposta Carfagna non è quello di combattere la prostituzione: è un progetto di decoro urbano, il suo. Una questione di ordine, di eleganza dell’inquadratura. L’obiettivo è mostrare strade sgombre di viados. Guardate che pulizia. Se volesse combattere la prostituzione dovrebbe occuparsi della tratta di essere umani, di mafia del commercio sessuale, di chi fa entrare in Italia milioni di ragazzine senza documenti e poi le riduce in schiavitù, di come faccia e di chi glielo consenta. Dovrebbe poi anche occuparsi dell’altra prostituzione, quella tutta italiana e non di strada: la prostituzione «pulita» delle studentesse che ricevono in studi che sembrano quello del dentista e poi la sera vengono a fare la baby sitter a casa tua, ragazze ben pagate e ben consapevoli della loro scelta, del resto motivata dalla richiesta di un esercito di uomini «per bene» che saldato il conto tornano in ufficio. Non lo fa, naturalmente. Allo stesso modo Gelmini esibisce la sua riforma come quella del grembiule e dei voti in pagella, un bel ritorno all’ordine antico: peccato che tagli 90mila posti da maestro e azzoppi la scuola. La scatola vuota e ben ripulita dai debiti della cordata Alitalia, le tasse comunali che cambiano nome, l’esercito che fa la guardia alle discariche ma si dimentica dei treni dei tifosi. È sparita la camorra, a Napoli? Gomorra era uno scherzo? Certo che no, ma conta la foto. Un bell’annuncio, un bel grembiule blu, quattro soldati con la mitraglietta cosa vuoi che sia se poi alle volanti hanno tagliato la benzina. Devono solo stare fermi, tanto. E poi tutti giù a parlare di estetica, pazienza per l’etica.
L'Unità, 14.09.08
Scuola elementare di Corleone. L’anno scolastico inizierà regolarmente. Ma che fatica!
Inizierà regolarmente l’anno scolastico presso la Direzione Didattica Statale “C.F.Aprile” di Corleone ed in particolar modo nei locali del plesso scolastico “Santa Maria” di via Don G. Colletto, dopo che l’Ufficio tecnico del Comune, ha ufficialmente attestato che gli stessi sono “allo stato attuale strutturalmente stabili ed agibili” (prot. N. 14487 del 12/9/2008).
A questa decisione si è arrivati dopo le continue richieste del Dirigente Scolastico S. Mistritta, in merito alla sicurezza ed all’igiene, rimaste senza nessuna risposta.
Al Consiglio di Circolo del 9 settembre, si era deciso di invitare l’amministrazione comunale che si è presentata con ben tre assessori (Siragusa, Giandalone e Cardella). Dopo aver preso nota del “fatto e faremo”, i genitori hanno semplicemente chiesto che gli “organi competenti” attestassero che la sicurezza dei propri figli, del personale docente e del personale scolastico venisse garantita con opportune verifiche e che non si dovesse aspettare la successiva emergenza per affrontare le problematiche (intasamento grondaie, pulizia interna ed esterna dei locali scolastici, mancati pagamenti di contributi deliberati ecc.).
La ferma decisione che i genitori non avrebbero mandato i propri figli a scuola, ha probabilmente “svegliato “ gli amministratori che si sono attivati per il regolare inizio delle attività didattiche. Ma agire tempestivamente e venire incontro alle esigenze dell’utenza senza solleciti continui , è così difficile?....
Mario Midulla
(Rappresentante dei genitori presso il Consiglio di Circolo della Direzione Didattica Statale “C.F.Aprile”)
FOTO. Dall'alto: La crepa del tetto della scuola elementare prima dell'intervento di manutenzione; il tetto dopo la manutenzione
A questa decisione si è arrivati dopo le continue richieste del Dirigente Scolastico S. Mistritta, in merito alla sicurezza ed all’igiene, rimaste senza nessuna risposta.
Al Consiglio di Circolo del 9 settembre, si era deciso di invitare l’amministrazione comunale che si è presentata con ben tre assessori (Siragusa, Giandalone e Cardella). Dopo aver preso nota del “fatto e faremo”, i genitori hanno semplicemente chiesto che gli “organi competenti” attestassero che la sicurezza dei propri figli, del personale docente e del personale scolastico venisse garantita con opportune verifiche e che non si dovesse aspettare la successiva emergenza per affrontare le problematiche (intasamento grondaie, pulizia interna ed esterna dei locali scolastici, mancati pagamenti di contributi deliberati ecc.).
La ferma decisione che i genitori non avrebbero mandato i propri figli a scuola, ha probabilmente “svegliato “ gli amministratori che si sono attivati per il regolare inizio delle attività didattiche. Ma agire tempestivamente e venire incontro alle esigenze dell’utenza senza solleciti continui , è così difficile?....
Mario Midulla
(Rappresentante dei genitori presso il Consiglio di Circolo della Direzione Didattica Statale “C.F.Aprile”)
FOTO. Dall'alto: La crepa del tetto della scuola elementare prima dell'intervento di manutenzione; il tetto dopo la manutenzione
I cattolici si dividono. La targa per Salvo in chiesa? Sì da Biagio Conte, no da Garau
di SALVO PALAZZOLO
La targa in ricordo di Ignazio Salvo sul confessionale donato dalla famiglia alla chiesa di Regina Pacis divide il mondo politico e il popolo dei cattolici: «Deve essere subito rimossa - dice il senatore Giuseppe Lumia - è una scelta sbagliata e inopportuna alla luce dell´insegnamento di don Pino Puglisi, sacerdote ucciso dalla mafia». Ma c´è chi non la pensa come lui. Biagio Conte, il francescano laico grande animatore della carità a Palermo, ribatte: «Se è una donazione fatta col cuore, allora non vedo nulla di strano. La Chiesa non può chiudere la porta a nessuno. Deve dare accoglienza e speranza a tutti, anche perché le colpe dei padri non ricadono sui figli. È il seme dei martiri che sta germogliando. Palermo sta cambiando, non possiamo fermarci». Ma quella targa può acuire il dolore dei familiari delle tante vittime di mafia? Il missionario risponde: «La giustizia di Dio sarà implacabile contro chi ha commesso del male, tutti ne dobbiamo essere certi. Chiunque ha dato la vita per questa città non è morto invano, quel sangue sta scuotendo le coscienze».Il caso è aperto. Maurizio Artale, presidente del Centro Padre nostro, ricorda che il Centro Borsellino chiuse dopo le polemiche per una maxidonazione che doveva arrivare da ambienti poco chiari. «Allora adesso prendiamo i soldi di tutti? - si chiede - La verità è che oggi nella Chiesa molti dimenticano troppo spesso il ruolo del vescovo, cui bisognerebbe chiedere indicazioni e autorizzazioni per certe scelte». Artale ricorda di quando un signore molto benestante voleva fare una donazione al centro fondato da padre Puglisi, in cambio di una targhetta. «Abbiamo deciso di no, perché quel nome era discusso. Allora gli abbiamo detto: faccia una donazione anonima per i bambini del quartiere. Non si è più rivisto. Forse le intenzioni di quella persona non erano proprio buone».Sulla beneficenza padre Carmelo Torcivia, rettore della chiesa di Santa Maria della Catena, ricorda le parole del Vangelo («Non sappia la tua mano destra cosa fa la sinistra): «Le targhe in chiesa non vanno messe - dice - perché sono una forma di personalizzazione fuori luogo». Ma aggiunge: «Io credo fermamente nel perdono di Dio. Se si appura che un´offerta è fatta con purezza di intenzioni, perché non accettarla se è destinata ai poveri?».Anche Antonio Garau, parroco di Maria Santissima del Carmelo, è contrario alle targhe commemorative in chiesa: «Chi vuole fare del bene non deve cercare pubblicità. Al massimo il parroco può intitolare un´aula del catechismo, ma non offrire targhe e targhette in chiesa. A chiunque». La discussione è aperta. Anche nella parrocchia di Regina Pacis si discute sul futuro di quella dedica a Ignazio Salvo, l´esattore arrestato da Giovanni Falcone, condannato per mafia al maxiprocesso e ucciso nel 1992 dai killer di Riina.
LA REPUBBLICA, VENERDÌ, 12 SETTEMBRE 2008
LA REPUBBLICA, VENERDÌ, 12 SETTEMBRE 2008
giovedì 11 settembre 2008
Caccia. Il tar ha sospeso la stagione in Sicilia, accogliendo il ricorso di Legambiente
LA LAV ALLERTERÀ LE PREFETTURE SICILIANE E LE FORZE DELL’ORDINE CONTRO LA CACCIA DI FRODO: “COMMETTE REATO CHI NON RISPETTA LO STOP”
Con decreto presidenziale del 9 settembre il TAR Palermo - su ricorso dei legali di Legambiente Sicilia, avvocati Antonella Bonanno, Nicola Giudice e Corrado Giuliano - ha sospeso la caccia in Sicilia (iniziata lunedì 1 settembre) riconoscendo che il “Calendario Venatorio” emanato dall’Assessorato regionale all’Agricoltura e Foreste produrrebbe gravi ed irreparabili danni alla fauna, già stremata da siccità, caldo e incendi. Per effetto di tale provvedimento, è stata sospesa su tutto il territorio regionale qualsiasi forma di caccia fino al 26 settembre prossimo; il decreto del TAR, come qualsiasi altro provvedimento del Giudice, è già esecutivo dalla data del suo deposito (avvenuto ieri); in ogni caso i legali di Legambiente hanno già formalmente notificato alla Regione Siciliana la decisione del Tribunale Amministrativo.
Qualunque attività di caccia che venga ciononostante esercitata, pertanto, è penalmente rilevante e sanzionata ai sensi dell'art. 30, comma 1, lett. a), della Legge statale sulla caccia n. 157/1992 e del codice penale. La LAV, quindi, nelle prossime ore trasmetterà una circolare contenente il decreto del TAR alle Prefetture e Questure della Sicilia, alle Procure ed ai comandi provinciali di Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale. “Considerata la forte pressione venatoria nell’Isola ed il radicamento sul territorio di fenomeni di bracconaggio diffuso, abbiamo motivo di ritenere che potrebbero verificarsi casi di esercizio abusivo della caccia” dichiara Marcella Porpora, coordinatrice regionale LAV Sicilia. “A tal proposito ricordiamo che per l’integrazione del reato di “esercizio venatorio in periodo di divieto” non occorre necessariamente che si verifichi lo sparo e la conseguente uccisione di fauna – precisa Marcella Porpora - posto che la stessa legge sulla caccia 157/92 considera “attività venatoria” anche il mero “vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla”.
La LAV, quindi, invita i competenti Organi di vigilanza ad organizzare adeguati servizi di controllo e prevenzione, affinché venga garantita sull’intero territorio regionale l’immediata e piena esecuzione del citato decreto del T.A.R. “Le Forze dell’Ordine hanno già mostrato un’encomiabile attenzione alla lotta al bracconaggio e dunque siamo sicuri – aggiunge Porpora – che anche nei prossimi delicati giorni verranno perseguiti eventuali illeciti venatori, non fosse altro perchè l’abusivo esercizio della caccia costituirebbe grave danneggiamento del “patrimonio indisponibile dello Stato” costituito dalla fauna selvatica (L. 157/92, art. 1)”.
10.09.2008
Con decreto presidenziale del 9 settembre il TAR Palermo - su ricorso dei legali di Legambiente Sicilia, avvocati Antonella Bonanno, Nicola Giudice e Corrado Giuliano - ha sospeso la caccia in Sicilia (iniziata lunedì 1 settembre) riconoscendo che il “Calendario Venatorio” emanato dall’Assessorato regionale all’Agricoltura e Foreste produrrebbe gravi ed irreparabili danni alla fauna, già stremata da siccità, caldo e incendi. Per effetto di tale provvedimento, è stata sospesa su tutto il territorio regionale qualsiasi forma di caccia fino al 26 settembre prossimo; il decreto del TAR, come qualsiasi altro provvedimento del Giudice, è già esecutivo dalla data del suo deposito (avvenuto ieri); in ogni caso i legali di Legambiente hanno già formalmente notificato alla Regione Siciliana la decisione del Tribunale Amministrativo.
Qualunque attività di caccia che venga ciononostante esercitata, pertanto, è penalmente rilevante e sanzionata ai sensi dell'art. 30, comma 1, lett. a), della Legge statale sulla caccia n. 157/1992 e del codice penale. La LAV, quindi, nelle prossime ore trasmetterà una circolare contenente il decreto del TAR alle Prefetture e Questure della Sicilia, alle Procure ed ai comandi provinciali di Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale. “Considerata la forte pressione venatoria nell’Isola ed il radicamento sul territorio di fenomeni di bracconaggio diffuso, abbiamo motivo di ritenere che potrebbero verificarsi casi di esercizio abusivo della caccia” dichiara Marcella Porpora, coordinatrice regionale LAV Sicilia. “A tal proposito ricordiamo che per l’integrazione del reato di “esercizio venatorio in periodo di divieto” non occorre necessariamente che si verifichi lo sparo e la conseguente uccisione di fauna – precisa Marcella Porpora - posto che la stessa legge sulla caccia 157/92 considera “attività venatoria” anche il mero “vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla”.
La LAV, quindi, invita i competenti Organi di vigilanza ad organizzare adeguati servizi di controllo e prevenzione, affinché venga garantita sull’intero territorio regionale l’immediata e piena esecuzione del citato decreto del T.A.R. “Le Forze dell’Ordine hanno già mostrato un’encomiabile attenzione alla lotta al bracconaggio e dunque siamo sicuri – aggiunge Porpora – che anche nei prossimi delicati giorni verranno perseguiti eventuali illeciti venatori, non fosse altro perchè l’abusivo esercizio della caccia costituirebbe grave danneggiamento del “patrimonio indisponibile dello Stato” costituito dalla fauna selvatica (L. 157/92, art. 1)”.
10.09.2008
Corleone. Dopo la raccolta di pomodoro, i volontari incontrano Dino Paternostro, segretario della Cgil
Eccoci arrivati al fatidico momento…ha inizio la settimana lavorativa!!!
Fuori è ancora buio e la nostra sveglia suona… Dopo un’abbondante colazione siamo pronti ad affrontare la giornata lavorativa e a mettere in gioco le nostre forze e le nostre risorse come meglio possiamo.
Ancora tutti addormentati, ci dividiamo in due gruppi: il primo resterà a casa a fare un po’ di pulizie e a preparare il pranzo ai sopravvissuti; il secondo,agile e scattante, si lancerà nella missione della raccolta del pomodoro con il grido di battaglia:”Noi siamo pomodori, noi siamo pomodori”…. è il nuovo inno di noi lavoratori!!! Un viaggio tranquillo ci accompagna attraverso il paesaggio di una Sicilia ancora addormentata nella sua totale bellezza. Dopo una mezzora arriviamo finalmente al campo.Un viaggio tortuoso ma comunque piacevole e affascinante, vede protagonisti poi Lorenzo, Fabrizio e Federico che con alcuni ragazzi della cooperativa vanno a recuperare le cassette da portare agli altri lavoratori! Arrivate le cassette e dopo qualche dritta su come impostare il lavoro, si formano le coppie per dare inizio alle danze. Una mattinata calda ma rinfrescata da una vento lieve accompagna il nostro lavoro. Piacevole il confronto con i ragazzi di Corleone. L’impressione è stata quella di parlare con ragazzi semplici e alla mano. Scambio di idee e racconti di vita sinceri, diretti e spontanei hanno lasciato il posto durante il lavoro a pensieri e preoccupazioni personali.
Alla fine della mattinata e del lavoro i ragazzi della cooperativa erano soddisfatti dei risultati raggiunti e questo per noi sarà un incentivo nel portare avanti gli obiettivi che ci hanno portato fino a qua. E’ stata una prima giornata di lavoro un po’ stancante ma la soddisfazione nel vedere partire il camion con tutte le casse di pomodori, riempite da tutti noi, è stata più forte di qualsiasi stanchezza. Tornati a casa, abbiamo goduto di una doccia rinfrescante, di una squisita pasta al pomodoro e di un ottimo spezzatino con patate cucinato da Mario e Suor Maria e per concludere qualche ora di meritato riposo.
Alle 17,00 ci è venuto a trovare Dino Paternostro, sindacalista della CGIL. L’incontro è stato molto interessante perché con parole semplici e partecipate, Paternostro ha raccontato in breve tutta la storia dei fasci siciliani. Ha iniziato il racconto parlando di un libro che finalmente era riuscito ad avere su Carmelo Battaglia, ultimo sindacalista assassinato nel 1966. E’ importante, secondo Paternostro, fare memoria di tutti i personaggi che si sono battuti per la democrazia e fare memoria significa anche sapere che faccia avevano questi personaggi.
Descrive, poi, il movimento contadino citando personaggi importanti dell’antimafia che si sono battuti per la libertà e la democrazia, sacrificando la propria vita come Bernardino Verro e Pio La Torre.
Arriva, in un secondo momento, a parlare delle cooperative, citando i decreti Bullo, approvati dal governo tra il 1943 e 1945, che stabilivano la possibilità da parte dei contadini di riunirsi in cooperative e coltivare terreni lasciati incolti o mal coltivati dagli agrari.
Ricorda poi andando avanti con la storia la strage di Portella della Ginestra, il 1 maggio del ’47, fino ad arrivare all’assassinio del segretario della Camera, Placido Rizzotto e a quello successivo del comandante Carlo Alberto Dalla Chiesa. Entrambi personaggi che con il sangue e la fatica, hanno lottato per una “giustizia più giusta”.
Conclude l’intervento sottolineando l’importanza di questi campi di lavoro, di lavorare le terre confiscate per renderle nuovamente vive e libere, di camminare insieme unendo tutte le nostre fragilità per essere più forti.
Attraverso queste esperienze, pezzi d’Italia si rendono conto che Corleone non è solo la città di Rina e di Provenzano ma anche un luogo di gente per bene.
Chiude il momento dicendo:” ….C’era una volta la mafia…. Il giorno in cui si potrà scrivere questo libro, sarà un giorno bellissimo!”.
La giornata si conclude ai giardini pubblici LA VILLA con la visione di un film intitolato “Il posto dell’anima” che ci colpisce e ci lascia qualche riflessione aperta sul mondo del lavoro e sui problemi ad esso legati. E’ stato bello guardarsi indietro e vedere che se all’inizio del film c’eravamo solo noi della comunità il Doccio e di Banca Etica, dopo si sono avvicinati ragazzi e ragazze di Corleone….Piccoli segni che riempiono i cuori!
E’ ora di dormire perché i pomodori ci aspettano!!! Sogni d’oro!
I Volontari del campo di Corleone
FOTO. Dall'alto: la raccolta di pomodoro; con Dino Paternostro, segretario della Cgil di Corleone
Fuori è ancora buio e la nostra sveglia suona… Dopo un’abbondante colazione siamo pronti ad affrontare la giornata lavorativa e a mettere in gioco le nostre forze e le nostre risorse come meglio possiamo.
Ancora tutti addormentati, ci dividiamo in due gruppi: il primo resterà a casa a fare un po’ di pulizie e a preparare il pranzo ai sopravvissuti; il secondo,agile e scattante, si lancerà nella missione della raccolta del pomodoro con il grido di battaglia:”Noi siamo pomodori, noi siamo pomodori”…. è il nuovo inno di noi lavoratori!!! Un viaggio tranquillo ci accompagna attraverso il paesaggio di una Sicilia ancora addormentata nella sua totale bellezza. Dopo una mezzora arriviamo finalmente al campo.Un viaggio tortuoso ma comunque piacevole e affascinante, vede protagonisti poi Lorenzo, Fabrizio e Federico che con alcuni ragazzi della cooperativa vanno a recuperare le cassette da portare agli altri lavoratori! Arrivate le cassette e dopo qualche dritta su come impostare il lavoro, si formano le coppie per dare inizio alle danze. Una mattinata calda ma rinfrescata da una vento lieve accompagna il nostro lavoro. Piacevole il confronto con i ragazzi di Corleone. L’impressione è stata quella di parlare con ragazzi semplici e alla mano. Scambio di idee e racconti di vita sinceri, diretti e spontanei hanno lasciato il posto durante il lavoro a pensieri e preoccupazioni personali.
Alla fine della mattinata e del lavoro i ragazzi della cooperativa erano soddisfatti dei risultati raggiunti e questo per noi sarà un incentivo nel portare avanti gli obiettivi che ci hanno portato fino a qua. E’ stata una prima giornata di lavoro un po’ stancante ma la soddisfazione nel vedere partire il camion con tutte le casse di pomodori, riempite da tutti noi, è stata più forte di qualsiasi stanchezza. Tornati a casa, abbiamo goduto di una doccia rinfrescante, di una squisita pasta al pomodoro e di un ottimo spezzatino con patate cucinato da Mario e Suor Maria e per concludere qualche ora di meritato riposo.
Alle 17,00 ci è venuto a trovare Dino Paternostro, sindacalista della CGIL. L’incontro è stato molto interessante perché con parole semplici e partecipate, Paternostro ha raccontato in breve tutta la storia dei fasci siciliani. Ha iniziato il racconto parlando di un libro che finalmente era riuscito ad avere su Carmelo Battaglia, ultimo sindacalista assassinato nel 1966. E’ importante, secondo Paternostro, fare memoria di tutti i personaggi che si sono battuti per la democrazia e fare memoria significa anche sapere che faccia avevano questi personaggi.
Descrive, poi, il movimento contadino citando personaggi importanti dell’antimafia che si sono battuti per la libertà e la democrazia, sacrificando la propria vita come Bernardino Verro e Pio La Torre.
Arriva, in un secondo momento, a parlare delle cooperative, citando i decreti Bullo, approvati dal governo tra il 1943 e 1945, che stabilivano la possibilità da parte dei contadini di riunirsi in cooperative e coltivare terreni lasciati incolti o mal coltivati dagli agrari.
Ricorda poi andando avanti con la storia la strage di Portella della Ginestra, il 1 maggio del ’47, fino ad arrivare all’assassinio del segretario della Camera, Placido Rizzotto e a quello successivo del comandante Carlo Alberto Dalla Chiesa. Entrambi personaggi che con il sangue e la fatica, hanno lottato per una “giustizia più giusta”.
Conclude l’intervento sottolineando l’importanza di questi campi di lavoro, di lavorare le terre confiscate per renderle nuovamente vive e libere, di camminare insieme unendo tutte le nostre fragilità per essere più forti.
Attraverso queste esperienze, pezzi d’Italia si rendono conto che Corleone non è solo la città di Rina e di Provenzano ma anche un luogo di gente per bene.
Chiude il momento dicendo:” ….C’era una volta la mafia…. Il giorno in cui si potrà scrivere questo libro, sarà un giorno bellissimo!”.
La giornata si conclude ai giardini pubblici LA VILLA con la visione di un film intitolato “Il posto dell’anima” che ci colpisce e ci lascia qualche riflessione aperta sul mondo del lavoro e sui problemi ad esso legati. E’ stato bello guardarsi indietro e vedere che se all’inizio del film c’eravamo solo noi della comunità il Doccio e di Banca Etica, dopo si sono avvicinati ragazzi e ragazze di Corleone….Piccoli segni che riempiono i cuori!
E’ ora di dormire perché i pomodori ci aspettano!!! Sogni d’oro!
I Volontari del campo di Corleone
FOTO. Dall'alto: la raccolta di pomodoro; con Dino Paternostro, segretario della Cgil di Corleone
mercoledì 10 settembre 2008
I professionisti dell’antipizzo, Il caso Lo Bello
di CLAUDIO FAVA
Quando parliamo di mafia, ci tocca ragionare anche su una sottocultura di luoghi comuni e di ammiccamenti poco raffinati ma utilissimi a prendere le distanze, a celebrare dubbi, a insinuare malizie. Cominciò Leonardo Sciascia ventuno anni fa prendendosela con i professionisti dell’antimafia, e fu pessimo profeta perchè di quei cosiddetti professionisti (Sciascia ne citò per cognome e nome uno per tutti: Paolo Borsellino) i sopravvissuti sono proprio pochini. Adesso siamo ai professionisti dell’antipizzo. Anzi, al professionista: Ivan Lo Bello, presidente degli industriali siciliani, colpevole d’aver promesso (e mantenuto) di cacciar via dall’associazione gli imprenditori che avessero preferito pagare e tacere. Tra qualche settimana dovrebbero riconfermarlo nell’incarico, ma i suoi colleghi di Catania hanno già aperto il tiro a bersaglio: «Lo Bello? Non lo votiamo. Troppo monotematico con questa sua fissazione sul pizzo». E subito si sono alzati gli echi malevoli, le voci di contorno e di rimbalzo: la battaglia contro il racket? Una vetrina, una passerella, una trovata per farsi pubblicità...Sono gli stessi argomenti, magari un po’ dirozzati, che usarono molti anni fa commercianti e imprenditori palermitani contro Libero Grassi. Colpevole d’aver detto, anzi d’aver proclamato con tutta la carica emotiva di una denunzia in televisione, che lui il pizzo non lo avrebbe mai pagato. I commenti di molti suoi colleghi furono un repertorio di grossolano buon senso: certe cose non si dicono, non si denunziano e soprattutto non si raccontano in tivù; meglio pagare, tacere e conservarsi in salute. Libero Grassi lo ammazzarono una settimana dopo il florilegio di quei commenti.Ora, non sappiamo se gli industriali che si sono schierati, con siffatti argomenti, contro Lo Bello abbiano presente quanto la mafia abbia gradito la loro scomunica. Non sappiamo se si rendano conto che il gesto di quel loro presidente aveva, da solo, riscattato lustri di opacità. Non so se la memoria li soccorre per ricordare che il predecessore di Lo Bello fu allontanato dall’incarico con ignominia dopo aver scoperto le tresche d’affari che mescolavano i suoi soldi a quelli di una veccia famiglia mafiosa palermitana.No, davvero non sappiamo se ci sia consapevolezza sulla violenza di certi gesti, di certi ammonimenti. Sciascia, forse, non se ne rese conto: ma chi si nutrì di quel tristo riferimento ai “professionisti dell’antimafia” lo fece, nei mesi e negli anni a venire, sperando che quella povera gente - giudici, giornalisti, poliziotti, professori, studenti - venisse spazzata via. E che tornasse il tempo felice e scellerato in cui tutta aveva un prezzo e una scorciatoia, dalle licenze edilizie ai pubblici appalti. Forse anche adesso qualcuno rimpiange il tempo in cui si pagava tutti e tutti si taceva, ricevendone in cambio benevolenza e protezione dai signori delle cosche. Ci auguriamo che Lo Bello resti a lungo presidente degli industriali siciliani, che non defletta mai dalla linea di rigore civile che si è dato e che ha preteso dalla sua associazione. Ci auguriamo che non resti solo e che il nuovo ritornello sui “professionisti dell’antipizzo” venga raccolto per ciò che é: un atto di viltà, parole di miseria da dimenticare subito.
La solidarietà moltiplica il poco condiviso e… ce n’è in abbondanza!
Arrivare in Sicilia è sempre una forte emozione… si approda a Palermo con tante aspettative e desideri che muovono quelle impreviste riflessioni che aiutano poi a guardare al quotidiano della nostra vita individuale e collettiva con una maggiore ricchezza e criticità. Per la comunità “Il Doccio”, quella dei campi di lavoro, è la terza esperienza che vede il consolidarsi di un legame profondo e significativo con la terra di Sicilia, ma soprattutto con la Coop. Lavoro e Non solo. Mi piace condividere la riflessione più fresca e nuova che ristora queste prime calde e assolate giornate corleonesi nei campi. E’ stata una piacevole sorpresa cogliere con mano che gli sforzi e i tentativi fatti in primis dai soci della Coop in stretta collaborazione con i tanti volontari e gli Enti pubblici aderenti al progetto, stanno producendo una crescita consistente ed effettiva sia nell’impegno di antimafia sociale, ma soprattutto nella realtà e nel consolidamento della stessa cooperativa. I nuovi beni assegnati sono favoriti da una migliore organizzazione e pianificazione degli interventi, gli spazi adibiti all’accoglienza dei volontari risultano più funzionali e facilitanti, i campi producono più raccolto e nel parlare, soprattutto con i ragazzi della cooperativa, si coglie quella voglia di progettualità e di trasformazione, segno reale di fiducia e rinnovata voglia di cambiamento.
C’è una piacevole ventata di crescita, di mutamento, di dinamismo in una terra che sembra non voler modificare niente di sé stessa a svantaggio di coloro che effettivamente fanno fatica e risultano sfruttati e annientati dal potere mafioso. Quello che offre il lavoro costante e quotidiano dei soci della cooperativa, in sinergia con l’impegno di chi opera antimafia sociale a sostegno di questa realtà, è la possibilità effettiva si sognare un futuro più libero da compromessi e accessibile a tutti. In questo tempo storico in cui sembrano essersi assopiti e spenti i grandi valori della giustizia, della solidarietà e dell’uguaglianza sociale, qui a Corleone mi sembra di poter tornare a sperare in un mondo più semplice, più giusto e più pulito.
Vivo questi giorni con il cuore colmo di gratitudine: avverto come non mai che il lavoro spesso silenzioso e costante di tanti di noi, vissuto in modalità svariate e differenti, sta producendo un cambiamento che lascia tutti sperare in quella novità di vita che tutti ci auguriamo più accessibile e possibile.
E’ proprio vero, la solidarietà condivisa moltiplica ogni nostro piccolo gesto e produce quell’abbondanza inattesa che costruisce unione, vicinanza e prossimità.
L’impegno responsabile e attento di una società aperta e solidale costruisce realmente questi nuovi spiragli di positività e cambiamento… e ce n’è in abbondanza!… questo sogno, questo spero…
Nadia ASC, responsabile della comunità “Il Doccio”
C’è una piacevole ventata di crescita, di mutamento, di dinamismo in una terra che sembra non voler modificare niente di sé stessa a svantaggio di coloro che effettivamente fanno fatica e risultano sfruttati e annientati dal potere mafioso. Quello che offre il lavoro costante e quotidiano dei soci della cooperativa, in sinergia con l’impegno di chi opera antimafia sociale a sostegno di questa realtà, è la possibilità effettiva si sognare un futuro più libero da compromessi e accessibile a tutti. In questo tempo storico in cui sembrano essersi assopiti e spenti i grandi valori della giustizia, della solidarietà e dell’uguaglianza sociale, qui a Corleone mi sembra di poter tornare a sperare in un mondo più semplice, più giusto e più pulito.
Vivo questi giorni con il cuore colmo di gratitudine: avverto come non mai che il lavoro spesso silenzioso e costante di tanti di noi, vissuto in modalità svariate e differenti, sta producendo un cambiamento che lascia tutti sperare in quella novità di vita che tutti ci auguriamo più accessibile e possibile.
E’ proprio vero, la solidarietà condivisa moltiplica ogni nostro piccolo gesto e produce quell’abbondanza inattesa che costruisce unione, vicinanza e prossimità.
L’impegno responsabile e attento di una società aperta e solidale costruisce realmente questi nuovi spiragli di positività e cambiamento… e ce n’è in abbondanza!… questo sogno, questo spero…
Nadia ASC, responsabile della comunità “Il Doccio”
martedì 9 settembre 2008
Attentato al magistrato Giacomo Montalbano
Colpita la villa del giudice Giacomo Montalbano attualmente in servizio alla Corte d' appello di Caltanissetta e fino a tre anni fa gip a Palermo. Davanti alla sua abitazione di San Nicola l'Arena è stato appiccato un incendio, solo l'intervento dei pompieri ha evitato il peggio
PALERMO - Un attentato incendiario è stato messo a segno ai danni del giudice Giacomo Montalbano, attualmente in servizio alla Corte d' appello di Caltanissetta e fino a tre anni fa gip a Palermo. Il magistrato si è sempre occupato di processi di mafia e a politici e imprenditori collusi con Cosa nostra.L'attentato incendiario è stato messo a segno la notte fra venerdì e sabato nella casa di campagna, a San Nicola L'Arena, a una decina di chilometri da Palermo, del magistrato.Qualcuno è arrivato a bordo di un fuoristrada e dopo aver effettuato un buco nella rete di recinzione è entrato nell'appezzamento di terreno di Montalbano appiccando il fuoco ad una pineta che circonda lla villetta.I rumori dell'auto che si allontanava velocemente e il crepitio delle fiamme hanno svegliato Montalbano che è corso fuori dalla casa e si è trovato davanti le fiamme alte più di due metri. L'arrivo dei pompieri ha evitato che l'incendio si propagasse.Dell'attentato incendiario al giudice Montalbano sono stati informati gli uffici giudiziari di Palermo e Caltanissetta. La notizia, fino adesso, era rimasta segreta.Giacomo Montalbano è stato presidente del collegio del tribunale delle misure di prevenzione che ha ordinato lo scorso mese la confisca di beni per 240 milioni di euro all'imprenditore Pietro Di Vincenzo di Caltanissetta.Prima di lasciare gli uffici del gip di Palermo, Montalbano ha ordinato gli arresti dei favoreggiatori di Bernardo Provenzano, nell'operazione "Grande mandamento" e si è occupato dell'inchiesta sulle "talpe nella Dda" che coinvolgeva l'imprenditore Michele Aiello e l'ex presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro. Montalbano è tutelato dai carabinieri.
09/09/2008
PALERMO - Un attentato incendiario è stato messo a segno ai danni del giudice Giacomo Montalbano, attualmente in servizio alla Corte d' appello di Caltanissetta e fino a tre anni fa gip a Palermo. Il magistrato si è sempre occupato di processi di mafia e a politici e imprenditori collusi con Cosa nostra.L'attentato incendiario è stato messo a segno la notte fra venerdì e sabato nella casa di campagna, a San Nicola L'Arena, a una decina di chilometri da Palermo, del magistrato.Qualcuno è arrivato a bordo di un fuoristrada e dopo aver effettuato un buco nella rete di recinzione è entrato nell'appezzamento di terreno di Montalbano appiccando il fuoco ad una pineta che circonda lla villetta.I rumori dell'auto che si allontanava velocemente e il crepitio delle fiamme hanno svegliato Montalbano che è corso fuori dalla casa e si è trovato davanti le fiamme alte più di due metri. L'arrivo dei pompieri ha evitato che l'incendio si propagasse.Dell'attentato incendiario al giudice Montalbano sono stati informati gli uffici giudiziari di Palermo e Caltanissetta. La notizia, fino adesso, era rimasta segreta.Giacomo Montalbano è stato presidente del collegio del tribunale delle misure di prevenzione che ha ordinato lo scorso mese la confisca di beni per 240 milioni di euro all'imprenditore Pietro Di Vincenzo di Caltanissetta.Prima di lasciare gli uffici del gip di Palermo, Montalbano ha ordinato gli arresti dei favoreggiatori di Bernardo Provenzano, nell'operazione "Grande mandamento" e si è occupato dell'inchiesta sulle "talpe nella Dda" che coinvolgeva l'imprenditore Michele Aiello e l'ex presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro. Montalbano è tutelato dai carabinieri.
09/09/2008
lunedì 8 settembre 2008
Mafia, le parole d'onore. Ecco le frasi-chiave dei mafiosi, il codice di Cosa Nostra
Un cronista ha annotato nei suoi taccuini in anni di lavoro le frasi-chiave dei mafiosi, voci minacciose o all'apparenza innocenti, cariche però sempre di un messaggio
di ATTILIO BOLZONI
SONO VOCI che provengono da un altro mondo. Salgono minacciose, stordiscono. A volte arrivano sfuggenti e all'apparenza innocue, a volte sono volutamente cariche di presagi. Nascondono sempre qualcosa, portano sempre un messaggio. Tutto è messaggio nella loro parlata. Anche i dettagli che sembrano più irrilevanti, i gesti che accompagnano o prendono il posto delle voci. Anche i silenzi. È un coro inquietante che ho ritrovato sul mio taccuino. Quelle parole e quei "discorsi" sono diventati i miei appunti. In questo libro i mafiosi parlano di moralità e famiglia, di affari e delitti, di regole, amori, amicizie tradite, di religione e di Dio, di soldi e di potere, di vita e di morte. Del rapporto con il carcere e con la legge, di latitanze infinite, della Sicilia e dello Stato. In alcune circostanze scoprono fragilità, in altre mostrano una stupefacente fibra. E ricordano con rimpianto i loro antichi privilegi, descrivono i luoghi-simbolo della loro autorità. L'Ucciardone, primo fra tutti. Confessano il loro passato o difendono il loro presente. Raccontano ancora di mogli e di figli, di padri, di sorelle o fratelli rinnegati. Spiegano chi sono e da dove vengono. Uno di loro dice: "Perché in Sicilia, quello a cui non si può rinunziare, è la considerazione che hanno gli altri per te". È quella che loro chiamano la dignitudine. Il libro è una raccolta di pensieri e di "ragionamenti" mafiosi. Parole d'onore. È un inventario di follie. Una combinazione fra il delirio e la logica più implacabile, fra la paranoia e una spaventosa razionalità. Non è solo un linguaggio e non è solo un codice quello di mafia: è esercizio d'intelligenza, esibizione permanente di potere. Ogni riflessione è un calcolo, ogni modo di dire svela una natura di criminali molto speciali. "Conoscere i mafiosi ha influito profondamente sul mio modo di rapportarmi con gli altri e anche sulle mie convinzioni... Per quanto possa sembrare strano, la mafia mi ha impartito una lezione di moralità", spiegava Giovanni Falcone in Cose di Cosa Nostra a Marcelle Padovani. Falcone è stato il primo, con il rigore del magistrato e la passione civile di certi grandi siciliani, a esplorare sino in fondo la mentalità mafiosa. Diceva: "Conoscendo gli uomini d'onore ho imparato che le logiche mafiose non sono mai sorpassate né incomprensibili. Sono in realtà le logiche del potere, e sempre funzionali a uno scopo. In certi momenti, questi mafiosi mi sembrano gli unici esseri razionali in un mondo popolato da folli. Anche Sciascia sosteneva che in Sicilia si nascondono i cartesiani peggiori". In Parole d'Onore protagonisti sono mafiosi grandi e piccoli, noti e meno noti, i palermitani e quegli altri delle province interne. Ogni capitolo è una storia a parte, mai del tutto però separata dalle altre. È come un fiume sotterraneo che scorre nella vicenda siciliana per oltre cinquant'anni. È un andare avanti e indietro nel tempo con un ordine dettato dalle loro argomentazioni. Sempre le stesse, sempre uguali. Eterne. Ogni capitolo ha dentro una frase pronunciata da un mafioso. Riferita a un processo o a un pubblico ministero. Carpita da una microspia. Urlata o sussurrata in una piazza. Sono molte voci ma la trama è una sola. Tutto si tiene in Cosa Nostra. Il mio mestiere di giornalista mi ha portato anche a far conoscenza con molti di loro. Nei palazzi di giustizia. Nelle borgate. Qualche volta anche nello loro case. Li ho incrociati sulle strade di Palermo, dove un quarto di secolo fa infuriava la guerra di mafia. Fra gli ultimi orti di Brancaccio e dopo le case diroccate sul mare della Bandita, dietro i palazzoni di Passo di Rigano e dell'Uditore, in mezzo ai vicoli dell'Acquasanta e dell'Arenella. Li ho rivisti qualche anno dopo, rinchiusi nelle gabbie delle aule bunker. Un osservatorio unico per capire il loro pensiero. Dal maxi processo di Palermo dell'inverno 1986 alle ultime scorribande della primavera del 2008. Dai Buscetta e dai Liggio - passando per Totò Riina e per le stragi - fino al "decalogo" ritrovato nel covo dei Lo Piccolo, padre e figlio, capi improvvisati di una Cosa Nostra dall'incerto futuro. L'idea di questo libro è nata tanto tempo fa, forse nel 1993. Nelle settimane successive all'arresto di Totò Riina ho soggiornato per qualche tempo a Corleone, in più di un'occasione ho avuto modo di incontrare suo fratello Gaetano. Ero là per ricostruire la vita di quei "contadini" siciliani che avevano tenuto in ostaggio lo Stato italiano. Con Gaetano Tanuzzo Riina abbiamo parlato di tante cose. Anche di Tommaso Buscetta. Di quello che aveva confessato al giudice Falcone. Di quello che aveva fatto nella sua esistenza fra la Sicilia e l'America, Palermo e il Brasile. Gaetano Riina, un giorno, mi ha dato una risposta che ho riconosciuto come una delle più formidabili parole d'onore mai sentite. Mi ha detto, a proposito del pentimento di Buscetta: "Ha visto il mondo e gli è scoppiato il cervello".
di ATTILIO BOLZONI
SONO VOCI che provengono da un altro mondo. Salgono minacciose, stordiscono. A volte arrivano sfuggenti e all'apparenza innocue, a volte sono volutamente cariche di presagi. Nascondono sempre qualcosa, portano sempre un messaggio. Tutto è messaggio nella loro parlata. Anche i dettagli che sembrano più irrilevanti, i gesti che accompagnano o prendono il posto delle voci. Anche i silenzi. È un coro inquietante che ho ritrovato sul mio taccuino. Quelle parole e quei "discorsi" sono diventati i miei appunti. In questo libro i mafiosi parlano di moralità e famiglia, di affari e delitti, di regole, amori, amicizie tradite, di religione e di Dio, di soldi e di potere, di vita e di morte. Del rapporto con il carcere e con la legge, di latitanze infinite, della Sicilia e dello Stato. In alcune circostanze scoprono fragilità, in altre mostrano una stupefacente fibra. E ricordano con rimpianto i loro antichi privilegi, descrivono i luoghi-simbolo della loro autorità. L'Ucciardone, primo fra tutti. Confessano il loro passato o difendono il loro presente. Raccontano ancora di mogli e di figli, di padri, di sorelle o fratelli rinnegati. Spiegano chi sono e da dove vengono. Uno di loro dice: "Perché in Sicilia, quello a cui non si può rinunziare, è la considerazione che hanno gli altri per te". È quella che loro chiamano la dignitudine. Il libro è una raccolta di pensieri e di "ragionamenti" mafiosi. Parole d'onore. È un inventario di follie. Una combinazione fra il delirio e la logica più implacabile, fra la paranoia e una spaventosa razionalità. Non è solo un linguaggio e non è solo un codice quello di mafia: è esercizio d'intelligenza, esibizione permanente di potere. Ogni riflessione è un calcolo, ogni modo di dire svela una natura di criminali molto speciali. "Conoscere i mafiosi ha influito profondamente sul mio modo di rapportarmi con gli altri e anche sulle mie convinzioni... Per quanto possa sembrare strano, la mafia mi ha impartito una lezione di moralità", spiegava Giovanni Falcone in Cose di Cosa Nostra a Marcelle Padovani. Falcone è stato il primo, con il rigore del magistrato e la passione civile di certi grandi siciliani, a esplorare sino in fondo la mentalità mafiosa. Diceva: "Conoscendo gli uomini d'onore ho imparato che le logiche mafiose non sono mai sorpassate né incomprensibili. Sono in realtà le logiche del potere, e sempre funzionali a uno scopo. In certi momenti, questi mafiosi mi sembrano gli unici esseri razionali in un mondo popolato da folli. Anche Sciascia sosteneva che in Sicilia si nascondono i cartesiani peggiori". In Parole d'Onore protagonisti sono mafiosi grandi e piccoli, noti e meno noti, i palermitani e quegli altri delle province interne. Ogni capitolo è una storia a parte, mai del tutto però separata dalle altre. È come un fiume sotterraneo che scorre nella vicenda siciliana per oltre cinquant'anni. È un andare avanti e indietro nel tempo con un ordine dettato dalle loro argomentazioni. Sempre le stesse, sempre uguali. Eterne. Ogni capitolo ha dentro una frase pronunciata da un mafioso. Riferita a un processo o a un pubblico ministero. Carpita da una microspia. Urlata o sussurrata in una piazza. Sono molte voci ma la trama è una sola. Tutto si tiene in Cosa Nostra. Il mio mestiere di giornalista mi ha portato anche a far conoscenza con molti di loro. Nei palazzi di giustizia. Nelle borgate. Qualche volta anche nello loro case. Li ho incrociati sulle strade di Palermo, dove un quarto di secolo fa infuriava la guerra di mafia. Fra gli ultimi orti di Brancaccio e dopo le case diroccate sul mare della Bandita, dietro i palazzoni di Passo di Rigano e dell'Uditore, in mezzo ai vicoli dell'Acquasanta e dell'Arenella. Li ho rivisti qualche anno dopo, rinchiusi nelle gabbie delle aule bunker. Un osservatorio unico per capire il loro pensiero. Dal maxi processo di Palermo dell'inverno 1986 alle ultime scorribande della primavera del 2008. Dai Buscetta e dai Liggio - passando per Totò Riina e per le stragi - fino al "decalogo" ritrovato nel covo dei Lo Piccolo, padre e figlio, capi improvvisati di una Cosa Nostra dall'incerto futuro. L'idea di questo libro è nata tanto tempo fa, forse nel 1993. Nelle settimane successive all'arresto di Totò Riina ho soggiornato per qualche tempo a Corleone, in più di un'occasione ho avuto modo di incontrare suo fratello Gaetano. Ero là per ricostruire la vita di quei "contadini" siciliani che avevano tenuto in ostaggio lo Stato italiano. Con Gaetano Tanuzzo Riina abbiamo parlato di tante cose. Anche di Tommaso Buscetta. Di quello che aveva confessato al giudice Falcone. Di quello che aveva fatto nella sua esistenza fra la Sicilia e l'America, Palermo e il Brasile. Gaetano Riina, un giorno, mi ha dato una risposta che ho riconosciuto come una delle più formidabili parole d'onore mai sentite. Mi ha detto, a proposito del pentimento di Buscetta: "Ha visto il mondo e gli è scoppiato il cervello".
(La Repubblica, 7 settembre 2008)
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