Una serata “magica” e pubblico delle grandi occasioni, ieri a Ficuzza, per ricordare Carlo Alberto Dalla Chiesa. Insieme ai giovani volontari del campo “Liberarci dalle spine” e ai soci lavoratori della coop sociale “Lavoro e non solo”, c’erano l’Arma dei Carabinieri, l’Arci, la Cgil, il Comune e la Rai-Sicilia, rappresentata dal direttore Vincenzo Morgante, il sen. Giuseppe Lumia. E poi – circostanza importantissima – anche tanti cittadini comuni di Corleone e della borgata, che hanno voluto fare memoria di un servitore dello Stato come Carlo Alberto Dalla Chiesa, che i primi passi da investigatore li mosse proprio qui, nel lontano 1949. Allora Dalla Chiesa era un giovane capitano, che aveva scelto di venire volontario a Corleone per combattere mafia e banditismo. E subito affrontò il “caso Rizzotto”, cioè l’assassinio per mano mafiosa del giovane segretario della Camera del lavoro di Corleone, avvenuto la sera del 10 marzo 1948. “Scoprirò gli assassini – promise alla famiglia – perché Rizzotto era un partigiano come me!”. E fu di parola. Arrestò Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, denunciò Luciano Liggio, ritrovò i resti di Placido. Ma la giustizia ingiusta di allora assolse gli imputati per insufficienza di prove.
Il 20 agosto 1982, proprio a Ficuzza, da prefetto di Palermo, Carlo Alberto Dalla Chiesa tenne il suo ultimo discorso pubblico, onorando la memoria del suo amico e collaboratore colonnello Giuseppe Russo, che la mafia dei “corleonesi” aveva assassinato nel 1977. Con lui c’era il ministro degli interni di allora Virginio Rognoni. Dalla Chiesa definì “vigliacchi” i mafiosi, chiese a Rognoni gli strumenti per combatterli. Non fu ascoltato, rimase solo, fu assassinato con la moglie Emanuela Setti Carraio e l’agente di scorta Domenico Russo la sera del 3 settembre 1982, in via Isidoro Carini, a Palermo. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti!”, scrisse quella sera una mano anonima su un manifesto. Ma, sull’onda dell’emozione per quelle tragiche morti, il 13 settembre il Parlamento fu quasi costretto ad approvare la legge La Torre-Rognoni, che per la prima volta introdusse nel codice penale italiano il reato di “associazione mafiosa” (art. 416/bis) e la possibilità di sequestrare e confiscare i patrimoni mafiosi. Strumenti importanti nella lotta alla mafia, che oggi hanno consentito la nascita delle coop sociali che lavorano sui terreni confiscati. Strumenti che vanno affinati, ammodernati, resi più incisivi, come hanno messo in rilievo l’ex sindaco di Corleone, Pippo Cipriani, coordinatore della serata, e il sen. Lumia. Il comune di Corleone la sua parte ha cercato di farla – ha sottolineato il sindaco Nino Iannazzo - assegnando tutti i beni confiscati nella sua disponibilità, tra cui le case confiscate ai fratelli Grizzaffi, nipoti di Totò Riina, e al fratello di Bernardo Provenzano. Ma la memoria resta importante per orientarci oggi, per avere una “stella polare”, per riconoscere nei soci lavoratori delle cooperative che operano sui terreni confiscati i naturali eredi dei contadini di Rizzotto, come ha messo in rilievo l’intervento del segretario della Camera del lavoro di Corleone, Dino Paternostro. In questo campo, la Rai siciliana può fare molto, “rispolverando” i propri archivi, che contengono materiali importanti, utilissimi a conoscere il passato. E Morgante si è impegnato ad agevolare questi percorsi. Già ha cominciato a farlo, mettendo a disposizione dell’Arma l’intervento di Dalla Chiesa a Ficuzza del 20 agosto 1982, che è stato proiettato nella piazza prima del dibattito, nell’ambito di un documentario. A ringraziare i presenti ci ha pensato Calogero Parisi, presidente della “Lavoro e non solo”, che ha parlato della fatica e della soddisfazione provate lavorando sui terreni dove scorazzavano i boss mafiosi. Infine, ha invitato a degustare i prodotti provenienti dai beni confiscati: dell’ottima pasta a forno, del buonissimo sfincione, e del generoso vino bianco. Tutti prodotti con in più la vitamina “L” della Legalità.
3 settembre 2008
mercoledì 3 settembre 2008
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