lunedì 3 novembre 2008

Storia di monsignor Zuccaro, antenato dei preti di frontiera in Sicilia, accusato inquisito, rimosso e infine riabilitato

Negli anni seguenti alla repressione dei Fasci, si schierò con gli zolfatari e i braccianti Fu sospettato di marxismo e bersagliato da lettere anonime
TANO GULLO

Ci sono voluti 102 anni affinché giustizia fosse fatta. Tardi, ma meglio della gogna per l´eternità. Ignazio Zuccaro, vescovo di Caltanissetta, è potuto così essere tumulato nella cattedrale nissena, come spetta al suo rango, oltre un secolo dopo essere stato cacciato via con ignominia. Era un sant´uomo ed è finito nel fango. Era un vescovo e i suoi aguzzini più accaniti sono stati i preti. Era un inquisito innocente in una terra dove la mala pianta degli inquisitori è inestirpabile, torquemada peggio della gramigna. Amava la gente e tanti lo hanno tradito senza nemmeno la consolazione del bacio di Giuda. La storia di monsignor Ignazio Zuccaro, terzo vescovo di Caltanissetta, ha per sfondo gli anni terribili seguiti alla repressione crispina dei Fasci siciliani, quando sulla scia di sangue e della deportazione di migliaia di contadini dalle campagne alle galere, cattolici e marxisti si contendono l´egemonia nel territorio. Gli uni e gli altri armati di dialettica e di tante buone iniziative nel campo della cooperazione, per tirare dallo loro parte contadini, braccianti, zolfatari e sfruttati di ogni genere. Sullo sfondo un´Italia spaccata a metà con Stato e Chiesa che si guardano in cagnesco per la breccia di Porta Pia.In quel clima rovente, il vescovo Zuccaro, palermitano di nascita, preso di mezzo tra clero reazionario, affaristi, notabili e massoni, venne rimosso dalla guida della diocesi dopo dieci anni di irreprensibile apostolato - dal 1896 al 1906 - travolto da una valanga di infamità: presunte amanti, presunte ruberie, presunti favoritismi, presunte deviazioni eretiche e presunte frequentazioni con ideologie moderniste. Tutto presunto, tranne l´umiltà contestatagli, questa vera - peccato grave per un principe della chiesa - e niente di accertato, ma le calunnie schizzate in decine di lettere anonime bastò all´inquisitore inviato dalla Santa sede - il padre redentorista Ernesto Bresciani - per condannarlo senza possibilità di appello e cacciarlo via come un untore di peccati. Esule nella natia Palermo, alla sua morte avvenuta il 28 novembre del 1913, fu tumulato nel cimitero di Sant´Orsola, da dove è stato rimosso per essere trasferito, come prevede il rituale curiale, accanto alle tombe dei due vescovi nisseni che lo hanno preceduto e da altri che gli sono succeduti. Finalmente al riparo degli inquisitori. Il monumento funebre in marmo, pesante da trasportare è rimasto al momento a Palermo. È stato l´attuale vescovo di Catania, monsignor Mario Russotto ad aver voluto la riabilitazione del suo innocente predecessore. Un gesto significativo che cancella la barbarie di un oltraggio senza tempo. La vera colpa del prelato era un´altra, anzi erano tante altre. Innanzitutto il suo schierarsi senza titubanze e senza le tipiche ambiguità curiali con i preti sociali, quelli che erano in prima fila nella difesa dei disperati delle miniere e delle campagne; quelli che volevano una chiesa rifugio dei peccatori e casa dei poveri; quelli che tenevano con fatica acceso il lumicino lasciato in eredità da Leone XIII, il papa che aveva posizionato il suo esercito religioso a fianco di tutti i bisognosi; quelli che oramai erano malvisti da un apparato clericale che tornava a guardare al passato più retrivo. Per azzardare un paragone con l´oggi, quei preti erano gli antesignani dei nostri parroci di frontiera, che a volte a dispetto della Chiesa tengono testa ai prepotenti nei territori a rischio, inquinati dalle mafie e dalla miseria. E con il senno del poi, possiamo definire lo stesso Zuccaro un perfetto vescovo di frontiera, predecessore dei vari don Riboldi e dei Pappalardo di "Sagunto".Poi, il pastore nisseno aveva avuto il coraggio di mettere di lato i vecchi sacerdoti ormai diventati bastoni tra le ruote di ogni illusione progressista. Quei sacerdoti maneggioni, talora dediti all´usura e tal´altra alla copula. Quelli che impiegavano il tempo che gli restava dal dire messa, a consolare peccatrici, ad accumulare oboli e a sistemare nipoti, fratelli e parenti di ogni risma. E colpa ancora più grave per il presule vittima della congiura, avere smantellato una comarca affaristica, affidando gli appalti per la costruzione del seminario e per altre opere, a ditte esterne, non permeate da contaminazioni locali. Ce n´era abbastanza per ordire "La venerabile impostura", come recita il titolo del bel libro di Sergio Mangiavillano che racconta la vita di sua eminenza monsignor Zuccaro e tutte le trame che intorno ad essa si svilupparono (Intilla editore, Roma, 196 pagine, 15 euro). Una biografia che si legge per alcuni aspetti come un racconto, ricca com´è di colpi di scena e di intensi profili psicologici, e per altri versi come un romanzo storico, che ci aiuta a capire la Sicilia degli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, puntellati da laceranti contraddizioni e di momenti significativi per lo sviluppo del futuro isolano.Gli echi delle stragi dei contadini siciliani affiliati ai Fasci ordinate dal riberese Francesco Crispi, allora presidente del Consiglio, non si erano ancora spenti quando don Ignazio Zuccaro ha varcato la soglia della curia vescovile di Caltanissetta. A Santa Margherita, a Marineo, a Caltavuturo e in altri centri siciliani la polizia ha sparato sui lavoratori inerti che protestavano. Un centinaio di morti e duemila incarcerati, il tragico bilancio di quel tiro al bracciante. Strascico della repressione, tanta paura, disorientamento dei sindacati, fuga dalla Sicilia. Una delle conseguenza di quell´ondata di violenza fu un fortissimo flusso migratorio verso le Americhe e il nord Europa. Anche una decina di sacerdoti della diocesi nissena, i più affamati nell´esercito di duecento tonache, si accodarono in quel cammino della speranza. Dopo un periodo di sbandamento, le idee socialiste ritornarono nelle teste dei tanti lavoratori da tempo alla disperazione. Nelle campagne e nelle zolfare lo sfruttamento era disumano, le paghe da fame e i lavoratori ridotti in schiavitù, o quasi. Una miscela esplosiva che tornava in ebollizione. Ed ecco allora i marxisti di nuovo in prima linea armati di bandiere e delle idee che "Il manifesto" pubblicato da Marx e Engels nel 1948 aveva messo nelle loro teste. Ed ecco i cattolici, guidati da quel manipolo di preti sociali, contrapporre alle istanze rivoluzionarie, la via della giustizia sociale che potesse portare alla composizione dei conflitti sociali, contestando l´utopia socialista di una società senza classi. Assemblee, giornali, cooperative, era un ribollire di frenesie che rimettevano le lancette della storia in movimento dopo che l´orologio era stato schiacciato dalla diaspora dei Fasci. I marxisti avevano facile presa sugli zolfatari e sui braccianti; i cattolici sui contadini e i piccoli proprietari. Era una contesa senza quartiere per l´egemonia. Sua eccellenza Zuccaro si schierò senza titubanze con i poveri e gli sfruttati, aiutando materialmente le famiglie dei "carusi" (i lavoratori bambini, come il Ciaula che non aveva mai visto la luna) vittime della miniera. Non solo propugnava la via del dialogo anche contro quei socialisti che il clero più tradizionale considerava seguaci di Satana. Il suo stesso segretario, don Angelo, direttore di un battagliero giornale, era il principale animatore di quel vasto movimento che contendeva adepti alla sinistra. Questa scelta di campo fu il vero movente della congiura. Gli affibbiarono ogni nefandezza, inclusa la sua debolezza per donna Emilia, moglie di un notabile, l´avvocato Garaci, dama avvicinata esclusivamente per le sue attività filantropiche al fianco della curia. Le tante dichiarazioni a favore dell´inquisito non bastarono per fugare il dubbio dalla mente dell´implacabile inquisitore, che colse anche l´occasione per mettere insieme un dossier terribile sulla chiesa isolana e sui siciliani; una sorta di inchiesta Franchetti e Sonnino sul mondo ecclesiastico. In quanto alla condanna, c´è da pensare che fosse stata decisa in Vaticano prima che l´istruttoria arrivasse a conclusione. «Era quello il tempo - ha scritto lo storico Cataldo Naro, vescovo di Monreale prematuramente scomparso due anni fa - in cui bastavano denunce anonime per mettere sotto processo perfino un vescovo. Il dossier compilato da padre Bresciani raccoglie le accuse più infamanti e dipinge un quadro fosco dell´intera diocesi descrivendo un clero concubinaro, affarista, corrotto, in rotta con i regolari e un popolo ignorante, superstizioso, abbandonato a se stesso».

La Repubblica, venerdì, 31 ottobre 2008

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