di GOFFREDO DE MARCHIS
Mercoledì compie 90 anni. Sette volte presidente del consiglio ora è senatore a vita. "Provo rabbia perché hanno usato i processi per mettermi fuori gioco politicamente"
ROMA - Belzebù in Paradiso? "Penso proprio di sì. Ma per la bontà di Dio, non perché me lo meriti". Fra pochi giorni Giulio Andreotti compie 90 anni e guarda avanti, "senza fretta". Protagonista assoluto della seconda metà del secolo scorso, il volto e il corpo più conosciuti della Prima repubblica, sette volte presidente del Consiglio, imputato per mafia e per omicidio poi assolto in via definitiva (con una prescrizione), oggi senatore a vita. Andreotti è nato a Roma il 14 gennaio 1919, la festa è mercoledì prossimo. Un piccolo dono, tre etti di caramelle Rossana, viene gradito. "Ora però le nascondiamo. Posso mangiarne solo due al giorno". Il metodo, la disciplina lo aiutano ad affrontare la vecchiaia: "Mai cambiato abitudini". Al traguardo Andreotti arriva in buona forma. "Oggi sembra quasi normale toccare questa quota. Ma quando ero ragazzino io, un uomo di 30 anni era adulto e uno di 40 un vecchio". Altri tempi, è davvero il caso di dirlo. Che sta bene gliel'ha detto anche Benedetto XVI. "L'ho incontrato qualche giorno fa, al compleanno di padre Busa (95 anni). Si avvicina e mi fa: "Lei non invecchia mai"".
Il primo regalo della sua vita?
"Avevo 14 anni, un piccolo fonografo con un disco di Vittorio De Sica".
Praticamente non ha conosciuto suo padre. Le è pesata questa assenza?
"Mio padre è morto quando avevo due anni. Ma mia madre è stata capacissima, ha tirato su tre figli con la pensione di guerra che erano quattro soldi. Eppure non ci è mancato niente. Siamo cresciuti con una certa parsimonia, che è una bella cosa. Se poi la vita ti offre di più bene, altrimenti ci si abitua. Io sono ancora parsimonioso".
A sua moglie Livia promise che si sarebbe ritirato a 60 anni, nel 1979. Ne sono passati altri 30.
"Sono quelle promesse che si fanno. Livia all'inizio si è lamentata poi ha smesso. La mia vita è questa, non posso cambiarla. La politica che si fa adesso comunque è molto più calma e non solo perché i miei impegni sono diminuiti. I primi anni facevo il globetrotter, conoscevo tutti i comuni del mio collegio, il Lazio, non ho mai dormito a casa un sabato. È una fatica ma ti tiene vivo. Il contatto con la gente mi piaceva. Farsi un'idea dei problemi sulla carta, in un ufficio o peggio in televisione non è politica, diventa quasi un teorema di matematica".
È contento della sua vita fin qui?
"Ho avuto tutto. Ho una famiglia molto semplice, i miei figli fanno una vita regolare. Ognuno ha seguito la sua strada e alcuni hanno fatto carriera. Uno è vicepresidente di una multinazionale. Del lavoro non mi lamento. Ancora oggi mi chiedono articoli, mi invitano alle riunioni e mi piace molto andare in commissione. In aula invece il dibattito è un po' togato. Sono lontani i tempi della guerra fredda, dei grandi scontri".
E in America è diventato presidente un nero...
"Una svolta storica. Anzi mi dispiace che si debba sottolineare l'aspetto razziale quasi fosse una rarità".
Chi le manca dei protagonisti di un tempo?
"Fra le persone, De Gasperi. Ma mi manca soprattutto il metodo, il contatto con la gente che c'era prima. Adesso è tutto più meccanico. Allora i partiti e i sindacati erano soggetti molto forti e molto vivaci, oggi sono delle burocrazie. Tra gli avversari ricordo Di Vittorio. Un duro, che quando proclamava uno sciopero ci faceva penare per settimane. Ma lo rispettavamo. Durante una riunione della Dc qualcuno si lamentò perché la Cgil eccitava troppo i lavoratori. De Gasperi lo interruppe: "Non possiamo pretendere lo stile anglosassone da uno che è nato nelle Puglie dove per dare ai contadini due giorni di paga al mese abbiamo dovuto fare una legge"".
La crisi dei partiti quindi è un male.
"Certo. Toglie un sistema di formazione politica che si costruisce su conoscenze storiche, approfondimenti economici e internazionali. La politica non è solo un fatto epidermico e occasionale".
Il campione di questa nuova politica è Berlusconi.
"Berlusconi è partito con un grande vantaggio: sapeva che tutto ciò che aveva fatto prima era andato bene. Non si era mai occupato di televisione e ha costruito un'azienda pari a quella di stato, non aveva mai visto un mattone e ha tirato su dei quartieri. Sotto questo aspetto è un uomo che vale. Magari fortunato, ma capace".
E come politico?
"Migliora. All'inizio commetteva un grandissimo sbaglio, quello di dire "voi politici". Ma lui che faceva?".
Come statista?
"Le prime volte che sedeva al banco del governo era scocciato, guardava continuamente l'orologio. Poi a mio avviso gli è venuta la passione, segue i problemi, parla con competenza".
Insomma, lei lo ha votato.
"No. Ma nemmeno gli ho votato contro".
Un tempo era lei l'uomo più potente d'Italia.
"Macché. Al massimo potevo essere un valvassino. Diciamo che andavo bene nel mio collegio. Nel Lazio non avevo concorrenti temibili anche perché me ne occupavo dalla mattina alla sera. Nessuno mi ha mai regalato niente. Se non fossi senatore a vita, i voti li prenderei anche adesso. Giro ancora abbastanza, raramente la sera sto a casa. Partecipo a molte riunioni, anche a certi incontri che si fanno presso famiglie. Sono persone semplici, si parla di tutto. Prima mi informo su chi sono per evitare passi falsi".
I processi sono acqua passata?
"Quando ci ripenso, provo una rabbia incontrollabile. Essere sotto tiro per cose che hai fatto, passi. Ma così no. Hanno usato i processi per mettermi fuori gioco politicamente. È stato un momento di politica molto cattiva".
Magistratura e Palazzo sono di nuovo ai ferri corti.
"I magistrati sono un grande problema. La legge è uguale per tutti, tranne che per loro. Forse perché nei tribunali ce l'hanno scritto alle spalle e fanno fatica a girarsi. Bisogna cancellare le correnti organizzate perché le correnti sono giocoforza politicizzate".
Nel suo rapporto speciale con il Vaticano ha fatto più gli interessi della Chiesa che dell'Italia?
"Glielo garantisco, il Vaticano non ha bisogno di aiuti, né del mio né di altri. Certo, la Santa sede è a Roma e chi si occupa di politica estera ne deve tenere conto. Semmai sono loro ad aver aiutato noi. Quando De Gasperi andò in America dopo la guerra, il cardinale Spellman ci aprì molte porte perché gli italiani erano visti malissimo".
L'Osservatore romano però prepara una grande intervista per i suoi 90 anni.
"Mi fa piacere. Cominciai a leggerlo nel '31 durante la persecuzione dei circoli cattolici da parte dei fascisti. Mia madre mi dava 40 centesimi per il maritozzo, io invece ci compravo l'Osservatore e il Messaggero. Era un rischio acquistarlo perché all'edicola c'erano i picchetti neri. Una volta capitai in Vaticano proprio in quegli anni e vidi Pio XI piangere e gridare contro chi gli contestava la firma dei Patti lateranensi. Quella scena mi turbò e svenni. I miei amici mi nascosero dietro una tenda bianca, di seta".
Le piacerebbe una riforma presidenzialista?
"Direi di no. Chi ha avuto un periodo di dittatura deve stare attento alle ricadute". Ma sono passati 60 anni "A maggior ragione. Se hai avuto una brutta polmonite a 18 anni non smetti di riguardarti a 70".
Custodisce molti segreti?
"Un po' di vita interna dello Stato la conosco. Molti no, qualcuno sì. Ma li tengo per me. Non farei mai un libro o un'intervista su certi episodi. La categoria del folklore politico non mi appartiene".
(La Repubblica, 9 gennaio 2009)
venerdì 9 gennaio 2009
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1 commento:
GIULIO ANDREOTTI E' MOLTO MIGLIORE DI TANTI POLITICI DELLA SECONDA REPUBBLICA
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