domenica 28 ottobre 2007

FINCHE’ CONDANNA NON CI SEPARI. La politica siciliana delegata a un tribunale

di Agostino Spataro
Fino a qualche anno addietro sarebbe stato impensabile che il futuro politico della Regione potesse essere appeso agli esiti di una sentenza di tribunale. Come quella che sarà emessa a conclusione del cosiddetto processo talpe che vede imputato, fra gli altri, il presidente della Regione. Siamo cioè di fronte a una variabile inedita della politica che affida alla magistratura la risoluzione di un delicatissimo problema che, evidentemente, il centrodestra non desidera o non può risolvere. Una nuova delega ai giudici che già suppliscono, loro malgrado, la scarsa volontà delle istituzioni politiche e di governo che non intendono assumersi la loro parte di responsabilità nella lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione nella pubblica amministrazione. Ora anche l´onere di decidere le sorti politiche di un´istituzione importante qual è la Regione.
In altri momenti si è parlato di «via giudiziaria», perfino di alterazione dell´equilibrio fra poteri costituzionali autonomi. In questo caso nessuno se ne lagna. Tutto bene? Credo proprio di no. Molti cominciano a chiedersi: ma se la politica rinuncia ai suoi compiti e li delega alla magistratura cosa ci stanno a fare i partiti, l´Ars, il governo, i deputati? Una domanda inquietante alla quale bisognerebbe rispondere recuperando le funzioni primarie della politica, nel pieno e trasparente rispetto dei ruoli di maggioranza e d´opposizione. Seriamente. Non come ha fatto mercoledì a Palermo l´onorevole Casini il quale, forse pensando di trovarsi in un´isoletta sperduta del mar dei Sargassi, si è spinto a rivendicare per l´Udc il «monopolio della lotta alla mafia». Se queste sono l´analisi e la via indicata (ai giovani) c´è da star freschi sul futuro di questa regione.
Al di là del merito specifico, infatti, i comportamenti politici derivati da questa vicenda giudiziaria alimentano la tendenza antipartitica che ancora non ha investito la Sicilia. Qui, nonostante tutto, la malapolitica gode di un certo consenso. Ovviamente, fino a quando ci sarà qualcosa da mungere dal seno di mamma Regione. Ma se questa ondata dovesse arrivare potrebbe risultare più devastante che altrove, giacché investirebbe il sistema nel suo punto più debole, ovvero in questa Regione, trasfigurata da sessant´anni di malgoverno, ormai sotto tutela del governo centrale e di grandi corporazioni finanziarie titolari di crediti miliardari.
In Sicilia, dunque, la crisi non è solo di credibilità, ma anche di progettualità e di liquidità. Mancano le idee e le risorse per realizzarle. Questo è il nostro dramma. Poiché i migliori cervelli sono scappati e gli ingenti finanziamenti trasferiti dallo Stato e dalla Ue sono stati sprecati per soddisfare interessi affaristici e clientelari. E con l´esaurirsi delle risorse finanziarie, tutti i nodi verranno al pettine: si dovrà rendere conto di promesse non mantenute, di spartizioni inconfessabili quanto asimmetriche. Insomma, si sta raschiando il fondo del barile e perciò il gioco non può continuare. Forse è meglio uscire dal pantano.
Ma chi potrà assumersi la grave responsabilità di fermare le macchine? A poco più di un anno dalle elezioni, non è facile sciogliere l´Ars, il governo, bloccare sul nascere carriere e belle speranze. Manco a parlarne di questa eventualità. E difatti nessuno ne parla. Tranne Cuffaro che la brandisce come una minaccia. Perciò, tutti concordi nell´affidare ai giudici la responsabilità, magari sperando che la fatidica sentenza arrivi il più tardi possibile. Speranze che cominciano ad avere un qualche fondamento dopo che la presidenza della Corte di cassazione ha dichiarato ammissibile l´istanza di remissione presentata dai difensori di Cuffaro, giacché resta aperta la possibilità di un trasferimento del processo in altra sede e con altra corte.
Senza scomodare Kafka, non sarebbe questa la prima volta che i tempi di un processo vanifichino gli effetti che esso avrebbe potuto determinare. Si profila cioè un´attesa lunga, snervante che potrebbe paralizzare le già grame attività dell´Ars e del governo della Regione e degli enti territoriali. Anche questo è un segno dei tempi difficili che stiamo vivendo, di una nuova caduta di ruolo che spinge la regione verso il precipizio. E proprio quando sarebbe necessario il dispiegamento di tutte le potenzialità politiche, culturali, imprenditoriali e morali per far fronte alla crisi evidente che attanaglia l´Isola. Tutti gli indicatori e le proteste sociali lo confermano. Basterebbe vedere quello che, in questi giorni, succede a Palermo. Invece c´è un rifiuto cieco di prendere atto di una realtà socio-economica striminzita, ingiusta, nella quale a pochi arricchimenti, più o meno illeciti, corrispondono nuove povertà e nuova emigrazione. Una realtà controversa dove si finge di sconoscere l´origine di una buona fetta del reddito e quasi tutto dipende dall´entità e dai meccanismi della spesa pubblica. Una situazione dunque ad altissimo rischio sociale che, se si facesse sul serio la lotta alle diverse forme d´illegalità, potrebbe diventare esplosiva. Perciò la via d´uscita non è certo facile, meglio affidarla alla sentenza di un tribunale.
da la Repubblica

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