di Gabriele Isman
Mettere sotto scorta Massimo Ciancimino, a rischio per la sua collaborazione con la giustizia sui giorni delle bombe 1992 in cui lo Stato, attraverso i Ros, cercò una trattativa con Cosa nostra che presentò le sue richieste attraverso il "papello". A chiedere la protezione del figlio 44enne di Vito Ciancimino è stata la Procura di Palermo dopo le minacce - con lettere minatorie e anche almeno un pedinamento - che hanno allarmato i magistrati.
L´episodio più circostanziato risalirebbe al 27 giugno scorso: Massimo Ciancimino era appena sbarcato all´aeroporto Falcone-Borsellino. A prenderlo quel giorno erano andati la moglie con il figlio, Vito Andrea: lungo il tragitto da Punta Raisi verso Palermo, Ciancimino si era poi accorto di essere seguito da due scooter a rotazione. Una delle moto era stata notata sotto casa a Palermo da Ciancimino, condannato in primo grado a 5 anni per riciclaggio nell´ambito di un´inchiesta sulla fornitura di gas dalla Russia. Moglie e figlio erano dovuti scendere dall´auto, e Massimo Ciancimino aveva proseguito da solo il tragitto in macchina, con il terrore che quello potesse essere qualcosa più di un segnale, forse l´ultimo viaggio. Quel giorno, però il figlio di don Vito era riuscito a segnarsi il numero di targa di uno dei due scooter: nelle verifiche successive il mezzo è risultato rubato.
La decisione per la tutela di Massimo Ciancimino - professione dichiarata: mediatore d´affari - arriverà probabilmente giovedì quando è prevista una riunione del coordinamento provinciale per l´Ordine e la sicurezza, a cui partecipano il prefetto e i vertici della forze di polizia.
Sarà necessario poi un successivo passaggio dell´Ucis, l´ufficio centrale interforze per la sicurezza individuale, con sede a Roma, che dovrà indicare il livello di tutela da assegnare eventualmente a Ciancimino: dal cosiddetto livello uno - con passaggi di una pattuglia della polizia più volte al giorno sotto casa della persona da tutelare - al cinque, ovvero la scorta vera e propria.
Un passato ingombrante per lui, che nel 1992 - in mezzo alla strategia stragista di Cosa Nostra voluta da Totò Riina - convinse suo padre a trattare con i Ros che, a nome dello Stato, cercavano un´uscita dal momento nero che vide cadere Falcone e Borsellino. E proprio su quella trattativa e sul ruolo di don Vito nella cattura di Riina, Ciancimino sta collaborando con i magistrati nel suo presente da aspirante collaboratore di giustizia.
Come ricordato da La Stampa ieri, lo stesso boss stragista, in uno dei tanti processi a suo carico, ha parlato in aula per sottolineare l´assenza del testimone Massimo Ciancimino. Un segnale di peso, nel tradizionale silenzio di Riina in aula, ma anche la dimostrazione che il nipote del barbiere di Corleone è un personaggio scomodo.
Il sospetto che circola a Palazzo di giustizia e nelle forze dell´ordine è che la collaborazione di Massimo Ciancimino sia soltanto un modo abbastanza abile per difendere da possibili sequestri e confische il patrimonio occultato da suo padre negli anni in cui era stato assessore ai Lavori pubblici (dal 1959 al 1964, con sindaco Salvo Lima e 4.205 licenze edilizie firmate nel sacco di Palermo) e poi, nel 1970, primo cittadino. Soldi occultati, magari in conti all´estero, per cifre che potrebbero essere davvero ingenti. D´altra parte nel 2002, pochi giorni prima che l´ex sindaco morisse, il Comune chiese un maxi risarcimento danni da 150 milioni di euro. Don Vito ne restituì soltanto sette.
da la Repubblica
martedì 29 luglio 2008
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