sabato 19 gennaio 2008

Grasso-Cuffaro, è polemica Botta e risposta a distanza tra i due all'indomani della sentenza sulle talpe alla Dda

Il procuratore nazionale antimafia: "Favorì i singoli indagati per mafia". Il governatore: "Non ha letto la sentenza?"


PALERMO - Sulla sentenza del processo per le talpe alla Dda si registra uno scontro tra accusa e difesa sul capo di imputazione per il quale i giudici della terza sezione del tribunale hanno ritenuto colpevole il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, di favoreggiamento semplice e rivelazione di segreto d'ufficio, senza l'aggravante prevista dall'articolo 7 per avere avvantaggiato Cosa Nostra.
Tutto ruota attorno all'aiuto che, secondo quanto sostenuto dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso e dal Procuratore di Palermo Francesco Messineo, Cuffaro avrebbe fornito a "singoli indagati per mafia" anche se non all'organizzazione Cosa Nostra nel suo complesso. Una tesi che viene invece confutata dai difensori di Cuffaro, per i quali non ci sarebbe alcun favoreggiamento a boss mafiosi.
L'imputazione di favoreggiamento fa riferimento al capo "Q" in cui si legge: "per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110, 378 commi 1 e 2, c.p. e 7 l. n. 203/1991, per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso con altri soggetti ignoti e con Antonio Borzacchelli, maresciallo dell'Arma dei Carabinieri in aspettativa perchè eletto deputato dell'Assemblea Regionale Siciliana, aiutato, con le modalità di cui al capo che precede (la rivelazione del segreto d'ufficio ndr), Domenico Miceli, Salvatore Aragona e Giuseppe Guttadauro, sottoposti ad indagine, il primo per il delitto di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p.(concorso esterno in associazione mafiosa ndr), il secondo ed il terzo per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. (associazione mafiosa ndr), ad eludere le investigazioni che li riguardavano, commettendo il fatto al fine di agevolare l'attività dell'organizzazione mafiosa Cosa Nostra; In Palermo ed altrove, nella primavera - estate del 2001".
Immediata la risposta di Cuffaro: "Probabilmente il procuratore non ha letto la sentenza per intero. È stata studiata dai miei avvocati e sostiene che non solo non è stato favorito l'intero sistema mafioso ma neanche il singolo mafioso. Non ho motivo di non credere ai miei avvocati".
"Certamente cinque anni sono tanti - dice Cuffaro - nei prossimi giorni, quando avremo letto per intero le motivazioni che la Corte darà, io e i miei avvocati sosterremo le ragioni del mio comportamento. So di non aver violato alcun segreto d'ufficio perchè non avevo nessun segreto e nessuna notizia da dare".
La Sicilia, 19/01/2008

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