Il governatore dopo la sentenza: «Mai festeggiato. Sono consapevole del peso della mia condanna. A qualcuno fa comodo servirsi anche dei gesti più normali della buona creanza»
Il presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro con in mano un vassoio di cannoli prima della conferenza stampa di sabato (Ansa)
PALERMO - «Non ho mai festeggiato, perchè è forte in me la consapevolezza del peso della condanna a mio carico». Il presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro torna a ribadire con forze il concetto, difendendosi così da quanti (dopo la sentenza di primo grado che lo condanna il presidente della Regione Sicilia a cinque anni di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici per rivelazione di segreto d'ufficio e favoreggiamento semplice) lo accusano di aver festeggiato, con tanto di cannoli, il verdetto dei giudici. «Ho solo detto, e lo ribadisco da tre giorni, che ho provato conforto per una sentenza che stabilisce che io - aggiunge - non ho mai favorito nè la mafia nè i singoli mafiosi. L'ho detto e lo ribadisco, non sento nessuna voglia di festeggiare, evidentemente a qualcuno fa comodo strumentalizzare, anche i gesti più normali della buona creanza com'è quello di offrire un caffè ai giornalisti intervenuti alla conferenza stampa». Netto il riferimento alla polemica con il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che dopo la sentenza ha ribadito con forza il fatto che «i giudici hanno ritenuto provato il favoreggiamento di Cuffaro a singoli mafiosi come Guttadauro, Aragona o Miceli».
«A NESSUNO AUGURO IL MIO CALVARIO» - Ma Cuffaro non ci sta. E anzi contrattacca: «È vergognoso - continua Cuffaro - strumentalizzare il fatto che abbia sollevato un vassoio con dei cannoli (portato in buona fede da qualcuno dei tantissimi che si sono stretti a me per abbracciarmi) come i tanti presenti hanno potuto verificare, al solo scopo di toglierlo dal tavolo dove ci stavamo sedendo per fare la conferenza stampa». «Chiedo ai giornalisti presenti e che hanno potuto constatare che non c'è stato alcun festeggiamento, di aiutarmi a ristabilire il reale svolgimento dei fatti - aggiunge -. A nessuno auguro il calvario che abbiamo vissuto in questi lunghissimi cinque anni io e la mia famiglia, ma, quelli che come me, e sono purtroppo tantissimi, hanno dovuto sopportare per tanti anni il dramma di una accusa così infamante credo possono comprendere come ci si senta ad essere sollevati da un'accusa così pesante. Almeno in questo chiedo di essere capito».
Il Corriere della Sera, 20 gennaio 2008
domenica 20 gennaio 2008
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