Alza le mani al cielo, un avanzo di Toscano fumante e puzzolente tra l'indice e il medio. Alza le mani, come i suoi ragazzi massacrati dalle «Forze dell'Ordine» in quel luglio di sette anni fa, quando aveva appena 73 anni. Un ragazzino. Tra due settimane saranno ottanta, per «Andrea Gallo, prete». Ottant' anni «angelicamente anarchici» (come da titolo della sua imperdibile autobiografia, ristampata innumerevoli volte dalla Mondadori), ottant' anni tra prostitute e travestiti, tossici e ladri, comunisti e partigiani. E con cinque cardinali (Siri, Canestri, Tettamanzi, Bertone e Bagnasco) che non solo rappresentano il fior fiore della Chiesa di questi decenni ma «non mi hanno mai ammonito. Mai».
Ma su, don Gallo: non facevate altro che litigare. Non era sempre sui giornali proprio per questo?
Neanche un cartellino giallo, mai e poi mai. Mai subito processi, mai ricevuto nemmeno un ammonimento, né da Siri né da tutti gli altri: chiudo la carriera vergine».
Una buona occasione, questi ottant' anni, per fare un bilancio.
«Non è tempo di bilanci, ho dieci Comunità da tirare avanti, compresa questa di Sampierdarena di cui nessuno parla: sei ragazze salvate dal racket della prostituzione. Mi chiedo, di sfuggita: siamo riusciti a tirarle fuori, a farle smettere, a renderle libere. Perché non lo fanno anche altri?».
E cosa si risponde?
«Che aveva ragione la mia povera mamma che proprio qui, e ho celebrato io, ha festeggiato i sessant' anni di matrimonio con mio papà: tu fai del bene, fai bene il prete, applica quello che ti ho insegnato, ama la Chiesa, dai la voce a chi non ce l'ha».
Non l'avranno ammonita, i suoi vescovi, ma certo la rampognavano: a cominciare da Siri.
«Mi chiamavano in Tribunale Ecclesiastico, io mi appellavo all'Arcivescovo e lui si chiudeva con me nel suo ufficio. Cosa dixan quelli de sutta? Cosa dicono quelli di sotto, cioè l'intero Arcivescovado? e ghignava. Piuttosto — mi diceva, sempre in dialetto — raccontami gli ultimi ceti che fanno su di me. E rideva, Siri, come un bambino. Anche quella volta che — io non avevo più una lira — tirò fuori dalla tonaca, una dopo l'altra, tre banconote da centomila».
Erano bei soldi.
«Io non ne avevo mai vista una, di banconote da centomila. Ma a mia madre cosa le dico, gli chiesi? Ti ghe dixi che u le stetu u ternu au Seminaiu, le dici che hai vinto un terno al lotto».
Poi arrivò Canestri.
«Ci provò, quel sant' uomo di Canestri: tu e don Federico Rebora (che è il nostro angelo custode, l'uomo che cristianamente ci aprì le porte della Comunità di San Benedetto quando eravamo senza casa) state diventando vecchi, meglio se vi occupate di altro. Ma poi non solo lasciò perdere, ma una volta che la Comunità aveva bisogno di soldi, tirò fuori un bustone bianco, pieno di banconote: "Prendi quello di cui hai bisogno". Non volevo crederci».
E con Tettamanzi?
«Rapporti magnifici, sempre. Il giorno dopo il G8 suona il telefono, qui in Comunità. "E' Tettamanzi" mi dicono, abbassando la voce e gli occhi. Io allora, prima che lui apra bocca, dico tutto d'un fiato: "Eminenza sono pronto a correggere i miei errori". "Ma cosa vuoi correggere e correggere, non c'è proprio niente di sbagliato in quello che hai fatto. Piuttosto volevo dirti che sono arrivate valanghe di lettere contro il tuo Cardinale. Ho fatto controllare i mittenti: tutte anonime" e rideva anche lui».
Don Gallo, rideva anche con Bertone, il suo successore?
«Con Bertone avevamo fatto tre anni di Seminario insieme: entrambi veniamo da don Bosco, dai Salesiani. Quando per mille giorni consecutivi giochi a pallone insieme, quando mangi, dormi, vai in bagno insieme, si crea un rapporto strettissimo. Ma quando le nostre strade si sono incrociate di nuovo io gli davo del lei: davanti a tutti e anche quando siamo restati da soli. Non ha fatto una piega».
E adesso, con Bagnasco?
«Bagnasco è un buono, una persona dolce, solare. Per dire, lui è stato sei anni vescovo di Pesaro: ebbene, i compagni di laggiù gli volevano bene, dicevano che era più facile dialogare con il vescovo che con tutti gli altri. Bagnasco ha, fortissimo, il significato di Chiesa. Che vuol dire assemblea».
Nell'assemblea c'è sempre uno che parla e gli altri che ascoltano.
«Fossi stato più coerente, nei miei primi ottant' anni, oggi lei non sarebbe qui ad intervistarmi. Se ho un rammarico è la troppa visibilità: a vent' anni ho scelto Gesù, prima sono stato sui monti coi partigiani, non mi sono mai tirato indietro, ho sempre cercato di essere la voce di tutti quelli che la voce non ce l'hanno, di quelli che con i «principi non negoziabili» devono negoziare tutta la vita. Tutto questo mi ha portato alla ribalta: avrei preferito un articolo in meno e un risultato concreto in più».
(La Repubblica-Genova, 17 luglio 2008)
(La Repubblica-Genova, 17 luglio 2008)
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