mercoledì 14 aprile 2010

Lombardo, recitazione della controversia siciliana

di Agostino Spataro
Tanto rumore per nulla. Si potrebbe dire. Chi s’aspettava dal discorso del governatore Lombardo sconvolgenti rivelazioni di fatti di mafia e di nomi “di politici legati alla mafia e agli affari” è rimasto deluso. In realtà, egli ha fatto meno nomi di quelli preannunciati in discorsi e interviste e tante, tantissime allusioni orientate in varie direzioni.
Una serie di messaggi criptati oscillanti fra la minaccia di scioglimento e gli ammiccamenti rassicuranti verso l’intera Assemblea. Se continua, e si rafforza, il governo, si potrà terminare la legislatura e anche chi scalpita per occupare il suo posto di presidente potrà sperare nella sua annunciata non ricandidatura per “affaticamento”. La parola d’ordine, maturata nelle ultime ore, pare essere quella di rasserenare il clima politico dando appuntamento a tutti alla prossima tornata elettorale. Lombardo è apparso conciliante anche verso Berlusconi e perfino verso taluni esponenti nazionali del PDL (in Sicilia ex alleati, a Roma colleghi dello stesso governo) che hanno posizioni di rilievo nel governo e nelle istituzioni. A cominciare da Alfano fino a ieri bollato come un ministro di giustizia “non giusto”. Paradossalmente, l’unica colpevole dovrebbe essere la libera stampa che ha pubblicato brani delle intercettazioni riguardanti, fra gli altri, il governatore e trasmesse dai Ros dei carabinieri al vaglio della magistratura catanese.
Insomma, sembra che i tanti inviti e consigli ad abbassare i toni, a non inasprire lo scontro, provenienti anche dai ranghi del Mpa, siano prevalsi sulle intenzioni più bellicose che avrebbero complicato, e di molto, il precario disequilibrio politico- parlamentare su cui si regge lo strano governo di Lombardo e soci. Perciò è rimasto deluso chi s’aspettava che il governatore desse un nome e un cognome ai tanti identikit tracciati e agitati in questi mesi per indicare coloro che, agendo in combutta col malaffare, hanno affossato la regione e con essa ogni speranza di rinascita dei siciliani. Invece, a parte certi tono allarmistici, abbiamo sentito soltanto i nomi di due politici: quelli del sen. Firrarello e dell’on. Torrisi del Pdl. Ammesso che siano vere le notizie riferite, i due, da soli, potevano provocare un danno così grande? Comunque sia, trattandosi di questioni inerenti delicate indagini giudiziarie, correttezza vorrebbe che chi sa vada a riferire alla magistratura e quindi attendere, responsabilmente e serenamente, gli esiti dei relativi accertamenti, dei riscontri e degli eventuali procedimenti. Inchieste, processi e sentenze (di condanna, di assoluzione ancor meno di autoassoluzione) non si fanno sui giornali e nemmeno nelle assemblee elettive, ma solo nei tribunali della Repubblica italiana. Ho aggiunto l’aggettivo “italiana” per evitare malintesi e soprattutto la sindrome per una persecuzione mediatica (inesistente) più volte denunciata.
Ogni altra strada diventa capziosa, deviante e rischia di creare polveroni e nuova confusione.
Ben altro è il dovere della politica, siciliana e nazionale, che, dopo le dichiarazioni di Lombardo e le conseguenti reazioni, si ritrova alle prese con una gran mole di materiali e di argomenti che si aggiungono a un pregresso a dir poco allarmante. Se non si vuole che la politica si trasferisca nei tribunali, partiti e istituzioni debbono darsi una smossa per cambiare registro e suonatori, anche per meglio accertare tutte le responsabilità del disastro siciliano. Promuovendo, per esempio, una grande operazione-verità per illuminare e scandagliare gli “affari” che hanno scandito l’ultimo decennio di gestione della regione. Certo, le responsabilità individuali sono importanti e, se del caso, vanno perseguite, tuttavia, la vera esigenza da cui partire è quella di un cambiamento radicale dei metodi di governo e di superamento dei sistemi d’interessi affaristici e mafiosi che li determinano. Oggi, a parte la gravità delle inchieste giudiziarie che incombono fra Catania e Palermo, questo cambiamento stenta ad affermarsi, soprattutto sul terreno dei metodi di gestione e di amministrazione. Cambiare vuol dire riformare luoghi, assetti e strumenti del vecchio potere e non accentrare tutto in mano politica, togliendo gli uomini indicati dai partiti avversari per metterci i propri. Una politica autenticamente riformatrice deve innalzare uno spartiacque invalicabile, rispetto al quale ciascuno si dovrà collocare: al di qua o al di là dell’efficienza e della legalità.
Per concludere. Non credo che questo 13 aprile resterà memorabile nella storia politica della Sicilia. A parte qualche petizione di principio, abbiamo ascoltato dalle parole di Lombardo una sorta di recitazione(a tratti ben interpretata) della controversia infinita di questo centro-destra siciliano allo sbaraglio che per sopravvivere deve riuscire a trascinare nella sua avventura il Pd, fino a destrutturarlo. Com' è accaduto ad altri partiti che hanno avuto rapporti d’alleanza col governatore.
Agostino Spataro
* pubblicato, con altro titolo, in “La Repubblica/Pa” del 14/4/2010

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