mercoledì 7 gennaio 2009

Il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: «Mafia e politica, la logica è la stessa»

di Claudia Fusani
«Mancano i controlli sulla discrezionalità e sulla legalità degli atti della pubblica amministrazione. Una volta c'erano i Comitati regionali di controllo (Coreco) e i segretari comunali di nomina statale garantivano la legalità. Oggi i Coreco non ci sono più e i segretari sono di nomina politica». «Il sistema dei favori e delle clientele può far proliferare e prosperare il sistema mafioso».
Contro la corruzione, prima che dilaghi in ogni settore della vita pubblica e privata, serve una rivolta morale, «ogni individuo si deve sentire eticamente coinvolto per la sua parte, che sia pubblica o privata». Intanto l'Italia dovrebbe «ratificare il prima possibile la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione», una firma attesa dal 1997. E, contestualmente, «provvedere a punire anche la corruzione tra privati, come già avviene in Europa, non solo tra soggetti pubblici come avviene finora». Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso non è sorpreso per la fotografia che sta emergendo dalle inchieste che hanno coinvolto le giunte di Napoli, di Pescara, di Firenze e gli amministratori locali di Potenza. “L'Italia dei favori”, per chi si occupa di mafia, è pane quotidiano. «Spesso, direi sempre, nelle indagini di mafia abbiamo trovato un sistema clientelare basato sulle intermediazioni, tu hai bisogno-io ti prometto-tu mi dai in cambio qualcosa. La moneta di scambio più usata è il voto ma l'intermediazione può riguardare molte altre cose, dagli appalti al posto di lavoro, dalla nomina e all'incarico».

Le ultime inchieste, pur non avendo a che fare con la mafia, ci raccontano un sistema antico e conosciuto?
«Purtroppo è il legame di sempre tra chi ha il potere e lo gestisce e chi ha bisogno di qualcosa. È un meccanismo che dal sistema mafioso si è esteso, come metodo, nella sfera politica. C'è un parallelismo tra sistema mafioso e sistema politico e riguarda il metodo clientelare. Prendiamo i concorsi pubblici: oggi non c'è un candidato a un concorso pubblico convinto di poter avere il posto o l'incarico, che magari si merita, senza dover prima ricercare una spinta. Giuseppe Guttadauro, stimato medico e boss di Brancaccio, pluricondannato, decideva nel salotto di casa sua quale medico dovesse ricoprire un determinato incarico in un certo ospedale. Lo stesso fa il politico».

La politica, come la mafia, cerca di conquistare il consenso sulla base di un sistema di favori?
«È così. Oggi l'imprenditore stimato, il politico influente fanno parte di una rete di amicizie strumentali a cui si cerca di connettersi in mancanza di altre reti basate su valori come onesta, affidabilità, merito, professionalità. Tutto si risolve nella microfisica dei rapporti interpersonali. È lì che si prendono decisioni, si fanno affari, si veicolano capitali, si utilizzano conoscenze. Questo insieme reticolare ha una vischiosità e una forza di inerzia per cui chi non è dentro si ritrova esposto alla perdita di benefici. La scelta è restare fuori, da tutto, o entrare nel club. Questo sistema, allargandosi a macchia d'olio, ha creato la convinzione che le pratiche clientelari producano occupazione. Ormai è una regola di comportamento a cui tutti si attengono. Gli animali occupano il territorio. Mafia e politica adottano la stessa logica: occupare il territorio in vista del consenso».

Procuratore, analisi gravissima.
«È quanto ci raccontano le indagini. Il problema è che tutto questo è diventato normale, una prassi, come se andasse bene a tutti. Ricordo il caso di Vincenzo Lo Giudice (deputato della regione Sicilia e dal 2001 al 2004 deputato dell'Udc, condannato nel febbraio 2008 in primo grado per associazione mafiosa, corruzione, turbativa d'asta ndr), portatore di ben 40 mila voti e per questo conteso prima a destra e poi a sinistra. Allora dissi che finché la politica resta cieca di fronte a questi casi, sarà difficile uscire da ambiguità e collusioni. Mi fu risposto che quei voti sarebbero andati comunque a qualcuno. Tanto valeva portarseli a casa».

È stato pesato il fatturato della mafia. Quanto vale la corruzione nel bilancio di clan e famiglie?
«La prassi è che la famiglia mafiosa incassi una tangente del 2-3% del valore dell'opera costruita sul territorio del clan. Più in generale è stato calcolato che il 10 per cento del denaro pubblico prenda altre vie. Una seria lotta alla corruzione farebbe risparmiare questi soldi per destinarli a famiglie, scuola, lavoro, alla stessa giustizia».

Secondo un'indagine del Cnel la maggiore difficoltà per le imprese del nord che vogliono investire al sud non è la mafia ma "l'inefficienza della pubblica amministrazione".
«Un risultato che fa ancora più rabbia. Significa che quello della mafia è una specie di costo fisso, lo puoi preventivare nel budget. I ritardi, il rialzo dei costi e tutta quella burocrazia su cui poi prospera la corruzione, no. Quando penso a questa indagine mi viene in mente Vito Ciancimino, il sindaco del sacco di Palermo, che disse che i magistrati erano dei pazzi perché volevano distruggere il sistema della tangente fissa che a suo modo aveva un ordine ed era una garanzia».

Quanto può essere utile ai clan una classe politica e, per riflesso, una società che vivono più sui favori che sul merito?
«Il sistema dei favori e delle clientele può far proliferare e prosperare il sistema mafioso. Sono sistemi modulari, possono funzionare entrambi in modo autonomo e convivere seppur separatamente. Oppure ci possono essere reciproche interferenze. Dipende dal territori».

Perché sono fondamentali le intercettazioni per combattere i reati contro la pubblica amministrazione e poi, come s'è visto, arrivare al crimine organizzato?
«Oggi, in mancanza di testimoni e di documentazioni, le intercettazioni sono uno strumento necessario per portare prove granitiche in aula. Per un reato come la corruzione che richiede un accordo tra corruttore e corrotto - io lo chiamo sinallagma - per cui entrambi non hanno interesse a denunciare per proteggersi e non indebolirsi, le intercettazioni sono fondamentali».

Certe prassi come il favore e la clientela non sempre sono reato. Cosa serve per combattere certe storture del sistema?
«Mancano i controlli sulla discrezionalità e sulla legalità degli atti della pubblica amministrazione. Una volta c'erano i Comitati regionali di controllo (Coreco) e i segretari comunali di nomina statale garantivano la legalità. Oggi i Coreco non ci sono più e i segretari sono di nomina politica».

Il Parlamento, a maggioranza, ha approvato la norma per cui gli appalti fino a 500 mila euro saranno dati a trattativa privata, il 30% dei cantieri aperti oggi in Italia affidati sulla base delle conoscenze personali di sindaci, assessori.
«Non vorrei sembrare cinico, ma il vero problema oggi non è la trattativa privata o l'asta pubblica. Il problema è l'onestà e l'etica di chi affida i lavori: se lo fanno a prezzo giusto, nei tempi prestabiliti, ne guadagniamo tutti». Procuratore, è stato convocato dalla Commissione antimafia sull'emergenza legata ai legami tra politica e crimine organizzato? «Non ancora».
L’Unità, 06 gennaio 2009

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