Siamo arrivati a casa da poche ore, il ritorno è filato via liscio, anche se il caldo ha reso dure le ultime ore trascorse a Palermo. La lavatrice al piano sottostante gira a pieno ritmo, Renzo e Carlo puliscono il camper, Cicci mi ha appena scritto un messaggio. Vicino al tavolo la cassetta con ancora un po’ dei pomodori di Corleone. Uno sguardo a quella cassetta e davanti agli occhi scorrono le immagini dei campi con i ragazzi che raccolgono, con Angelo, Salvatore, Mario… che guidano la raccolta, del pranzo nel capannone di Canicattì dove lo scorso anno, poco prima della visita degli studenti di Pescia un cane morto era stato appeso e nei campi erano state divelte delle viti. La prima raccolta, il terreno che risponde generoso alle braccia di chi con una sfida che non deve essere lasciata sola vuole vivere del proprio lavoro e dare a sé ed ai figli la speranza di una vita libera e dignitosa. Anch’io raccolgo l’uva, insieme a Cicci. Da tempo non lo facevo più, ma, mentre mi piego a cercare le pigne mature, ricordo quando vendemmiavo dal nonno, sulle colline sopra Pescia. L’uva era scarsa e non sempre buona, i campi stretti con in mezzo alberi da frutto. Io bambina salivo dalla città per unirmi ai tanti cugini che, anch’essi bambini, lavoravano con il nonno e lo zio tutto l’anno quei fazzoletti di terra pietrosi; timorosa percepivo la presenza del nonno,burbero, che passava a scrutare come lavoravamo: “Attenti a non macolare l’uva e a raccogliere tutti i chicchi che cadono”, ripeteva con piglio e nella proda non rimanevano chicchi. Ora torno a sentire nelle orecchie quelle parole e mi chino a guardare se ho lasciato cadere qualche chicco; inevitabilmente sì, lo raccolto e quasi mi meraviglio che non lo facciano anche gli altri. Un sorso di acqua ristoratrice, poi di nuovo al lavoro.
Smisto la montagna dei panni per il lavaggio, mentre le immagini corrono al pranzo, al buon pane imbevuto nell’olio, poi alla corsa verso la cantina e…quanta attesa! Finalmente l’uva rovesciata nel “tino” pronta a dare il primo mosto. La gioia sul volto di Calogero è indescrivibile, la soddisfazione dell’impresa compiuta è sul volto di tutti. Il ritorno a Corleone è faticoso per il vento caldo che si alza a forti folate e che preannuncia un mutamento di clima.
Non so se la mia, la nostra, presenza sia di disturbo, certo è che pian piano anche noi ci sentiamo parte del gruppo, Carlo per primo. La sera, bellissima. Prima deboli e timorosi, poi più decisi si intonano canti. Il gruppo Agesci di Pestoia4 guida quel coro sempre più alto, ricco di voci, coinvolto. Quando cerca di trovare gli accordi e le note de I Cento passi, Salvatore prende in mano la situazione. Questa canzone non si può storpiare, occorre impararla ed impararla bene, scandirne tutte le parole, e si fa bravo e deciso maestro. Poco dopo la canzone esce ben intonata e tutti la cantano, qualcuno la scopre in quel momento. Un brivido di soddisfazione corre per il mio corpo e mi sento un po’ rincuorata. Due giorni prima eravamo stati a Cinisi. Era domenica e la casa di Peppino chiusa. Solo una bandiera della pace e un poster ne permetteva l’individuazione. Quando siamo scesi dal camper un nugolo di ragazzini ci è venuto davanti, ha capito dove eravamo diretti, ci ha guardato quasi schernendoci, poi di fianco alla porta d’ingresso della abitazione sul marciapiede un gruppetto di giovani seduto fra l’orgoglioso e l’arrogante su grosse moto rendeva difficile l’accesso alla porta di ingresso di casa Impastato. Indifferenza generale per quella casa, la presenza della targa e della bandiera disturbo della vita di una cittadina desiderosa di rimuovere quella presenza. “Peppino è morto invano” ci siamo detti. Ora no, la canzone più volte intonata per sempre meglio comprenderla e meglio raccontare di Peppino ci diceva che no, non era morto invano e non lo era soprattutto per tanti giovani, che sentivano vicino Peppino ed il suo impegno.
E’ tardi, ma i ragazzi non sembrano intenzionati a conquistare il letto, forse per una abitudine sempre più frequente a cercare nelle ore notturne quei contatti umani che durante il giorno sono tanto difficili da trovare. Qui no, domani la sveglia suonerà presto, non è possibile lasciare che le ore del giorno siano consumate sotto le lenzuola; il lavoro nei campi è duro ed occorre utilizzare le migliori ore del mattino e poi…non saremo soli! Così in poco tempo il piazzale si svuota, la notte richiede il suo sonno.
Ieri l’uva, oggi i pomodori. La raccolta non è molto lontano da Corleone ed il grande campo si riempie presto di mani che sempre più esperte scelgono, colgono, riempiono casse. Qui le voci si intrecciano, i volti si incontrano, le storie di ciascuno si mescolano. Due giorni fa poco ci si conosceva, oggi si racconta di noi e Angelo comincia a parlare, Bernardo e Salvatore ascoltano e narrano della propria terra, del proprio lavoro. Io sento meno la fatica di ieri, i pomodori mi sembrano più “alti” dell’uva.
Per il timore di rimanere senza gasolio alla fine della mattina ci allontaniamo dal gruppo e non riusciamo a trovarci di nuovo se non nel primo pomeriggio, al rientro alla palestra. E’ molto caldo e sul volto di tutti la fatica lascia il suo segno. Quante cose si capiscono ora! La necessità delle giuste ore di sonno per essere pronti al mattino presto per il lavoro; certo presto, perché quando il sole si alza il caldo annebbia forze ed idee, presto perché i campi non sono dietro casa ed occorre tempo per raggiungerli. E qui poi la preoccupazione di Calogero. Queste terre, le terre della speranza, un po’ qua ed un po’ là, e per raggiungerle occorre attraversare poderi di mafiosi, che sembrano aspettare una qualche difficoltà, un piccolo fallimento, uno scoraggiamento per togliere la speranza.
E’ giovedì, domani lasceremo il campo. Ci dispiace non andare con i ragazzi questa mattina, ma non vogliamo tornare a casa e non avere visto Corleone, non avere provato a capire qualcosa di questa cittadina. Così, mentre Carlo va con i ragazzi, noi facciamo un giro per Corleone: la attraversiamo in largo ed in lungo, percorriamo i vicoli, alziamo lo sguardo verso i terrazzi, le finestre, sbirciamo dentro i negozi, proviamo ad incrociare lo sguardo con i numerosi anziani che, seduti al bar, sulla panchina davanti al municipio, vicino ad una bottega, parlano, discutono, talvolta con voce sommessa, altra alzando il tono. Ci guardano, ci sentiamo guardati ed un po’ di imbarazzo serpeggia. Entriamo in alcune chiese. Non sono vuote e non possiamo fare i turisti. Nella prima numerose persone, in gran parte donne, recitano un rosario ad alta voce, nell’altra, Santa Rosalia, un sacerdote celebra la Messa in una chiesa quasi piena. Le donne, con la borsa della spesa lasciata fuori della panca in cui sono sedute, in chiesa a pregare, gli uomini, quelli di una certa età, fuori a parlare.
Alla Palestra sono arrivati gli scout del Firenze 13. Il feeling con alcuni di loro è immediato
L’intenso pomeriggio. Prima la visita a casa Provenzano, poi l’incontro con il giudice Ingroia, illuminante, infine Salvatore che ci porta a vedere il covo in cui è stato catturato Provenzano.
La proiezione di “Scacco al re”, dopo cena, prosegue la riflessione della giornata sulla organizzazione della mafia. Carlo è stanchissimo e si addormenta sul pavimento.
Ormai stiamo per lasciare il campo con molto dispiacere, ma con una grande carica dentro, la voglia di urlare a tutti quanto abbiamo visto ed abbiamo vissuto, di urlare quanto in silenzio, ma con tenacia Calogero e tutti gli altri della cooperativa stanno facendo, quanto Maurizio ha costruito. Sappiamo che sarà lunga e difficile, ma se tutti noi ci saremo a cominciare dalla vita quotidiana si formerà una catena difficile da spezzare. Andiamo al campo per prendere un po’ di pomodori da portare con noi. Carlo è subito con i ragazzi, fa fatica a staccarsi. La cassetta è pronta, la mettiamo sotto il sedile. Ora è lì, in casa accanto al tavolo, quasi vuota.
Un saluto a tutti ed una promessa di incontrarci di nuovo.
Grazie per quanto abbiamo potuto ricevere
Laura Papini
(Pescia (Prato)
martedì 28 agosto 2007
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